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Cari Contro-Lettori,

per quanto reso celebre dalle versioni cinematografiche e televisive susseguitesi negli anni -l’immagine di prima pagina è infatti tratta dalla locandina del film “Il giro del mondo in 80 giorni”, con David Niven, del 1956- in realtà l’utilizzo della mongolfiera, nel romanzo originale di Giulio Verne (del 1872), non c’è da nessuna parte.

E quindi cominciamo subito con le palle.

E poi, c’è un passaggio significativo, nel succitato libro con protagonisti il gentiluomo vittoriano Phileas Fogg (di recente portato in tv, anche sulla Rai, dal bravo David Tennant) e il suo “servo” (una volta usava così) francese Passepartout: i nostri eroi, giunti su suolo americano, incappano subito in un “comizio” elettorale, al solito piuttosto acceso, tant’è che a un certo punto, fra i competitori e i relativi supporters, gli animi si “surriscaldano” un po’ troppo. E non a caso i Nostri preferiscono allontanarsi, perché, come suggerisce nell’occasione lo stesso Fogg: «Per quanto politici, i pugni restano sempre pugni».

Ma quanto a beccarli, quando la bagarre è finita, sappiamo tutti che sono sempre i cittadini che si ritrovano per lo mezzo, tra cazzotti, palloncini, palle e palloni da tutti i lati, nessuno escluso. E, nella confusione generale, è difficile capire chi veramente è un “gentiluomo” (vittoriano o meno), chi un semplice “servo”, chi è alla cerca di facili “passepartout”, e chi è un “pallone gonfiato” e basta. Che, come si accennava, nel romanzo di Verne manco c’è. Ma nella vita di tutti giorni, in questo nostro Paese, trattasi di specie assai prolifica, viepiù che sempre ammandrillata.

E allora, per venire alle cose lucane, con pallone aerostatico o senza, perché non farsi, tutti i vari competitor, un bel giro della Basilicata in 80 giorni? Qualcuno ricorderà che si era tentato qualcosa di simile con un camper, ma questa volta dovrebbe trattarsi di scendere sul serio dal predellino, o piedistallo, utilizzando tutti i mezzi locomotori che la nostra regione ci offre: treni, bus, automobili, magari –perché no- il dorso di mulo (al posto dell’elefante usato in India da Phileas Fogg) e infine anche i piedi.

La gente potrebbe raccontarne delle belle.

Altro che romanzi d’avventura.

Walter De Stradis    

 

 

 

 

 

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Scalo di Grassano, Tursi,
San Giorgio Lucano,
Sant’Arcangelo, Oliveto
Lucano e Stigliano in
provincia di Matera; Teana
e adesso Montemurro in provincia di
Potenza. Venticinque anni di sacerdozio
(festeggiati l’estate scorso a Stigliano),
di cui quindici in Italia.
Il neo parroco di Montemurro, il
cinquantenne don Mario Antonio, è un
sacerdote originario dell’Angola, dai
modi particolarmente soavi e con un
sorriso che è di per sè un abbraccio. La
fuga dei giovani, dai piccoli centri lucani
-di cui ormai ha vasta esperienza- ma
anche dalla fede, è uno dei sui crucci:
per questo, a un certo punto -lui, cintura
nera di karate- ha deciso di sposare la
pastorale con le arti marziali.
In quale momento della sua vita ha
capito che sarebbe stato un sacerdote?
Da ragazzo, in Angola, a Cubale, il mio
paese, mi piaceva molto pescare, e una
mattina, mentre mi accingevo a farlo,
vidi che lì nei pressi c’era il gruppo
scelto per il seminario e allora mollai
la canna e andai dal parroco (che era
Svizzero). Lui disse ok: potevo anch’io
dare gli esami (che superai il giorno
dopo).
Ma cosa la spinse, quel giorno
particolare, a contattare il suo
parroco?
Da bambino pregavo sempre, e fui
colpito dall’arrivo di un sacerdote nel
mio paese. Dissi subito a mia madre che
anch’io volevo essere sacerdote. Anche
a scuola mi dissero che ci ero portato.
E così, poi, in quel giorno di pesca, mi
convinsi del tutto.
E’ interessante, perché lo stesso Gesù
disse ai discepoli «Vi renderò pescatori
di uomini».
Infatti. Ci ho pensato spesso, anche
perché al mio Paese abbiamo trascorso
situazioni non facili. Io ho fatto anche
gli studi di medicina, e mi sono trovato
davanti a un bivio, anche perché ero
l’unico ad aver superato la selezione per
il seminario. Alla fine, pur sapendo che
il percorso sacerdotale era lungo, mi
affidai a Dio, seguendo la Sua volontà, e
le cose sono andate bene. E adesso sono
in Italia da quindici anni, dopo essere
stato sacerdote nella mia stessa Angola.
Walter De Stradis
-continua

 

 

 

 

 

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Cari Contro-Lettori,
«È con un misto di inquietudine e determinazione
che ci rivolgiamo a voi in merito alla recente
pubblicazione dell’elenco delle aree idonee
alla localizzazione del deposito nazionale
delle scorie nucleari. Come saprete, tra
queste aree ve ne sono ben dieci che ricadono
completamente sul suolo lucano, e altre quattro
che coinvolgono la nostra regione insieme con
la Puglia…».
Inizia così una lettera aperta diramata dal
Sindaco di Pisticci (Mt), Domenico Albano, e
dall’assessore all’Ambiente, Rossana Florio.
Sono dunque 51 i luoghi indicati dal Governo
per ospitare i siti nucleari e in Basilicata ci
sono anche Bernalda, Montescaglioso, Irsina,
Montalbano Jonico, Genzano di Lucania. Il
ministero dell’Ambiente e della Sicurezza
Energetica ha infatti pubblicato sul proprio
sito l’elenco delle aree idonee per il deposito
nazionale delle scorie nucleari, contenuto nella
Carta Nazionale delle Aree Idonee.
Ci risiamo.
Insomma, se non si fosse capito, nel “punteggio”
di questo particolare “concorso pubblico”, che
si rinnova, volto a ricevere il dubbio onore di
ospitare una delle peggio pattumiere d’Italia, il
“candidato” Basilicata è di nuovo in “vantaggio”
su tutti gli altri concorrenti. E se ne sta lì, con i
gomiti poggiati sul banchetto celeste e il cipiglio
ansiogeno, nell’enorme e immaginaria sala
della selezione, tipo una di quelle che (quasi)
ognuno di noi ha dovuto frequentare una volta
nella vita, nell’aula congressi di un qualche
hotel romano, o nell’ancor più triste scatolone
metallico di un ente fiera meridionale. Ma
questa volta è diverso. Se di solito il candidato
lucano, in certe occasioni, avverte
sulla schiena il sudore freddo di
una competizione impari (a meno
che non abbia il suo bravo santo
in Paradiso), in questo caso il
candidato Basilicata, nonostante
un curriculum piuttosto ricco
(petrolio, rifiuti di vario genere,
anche radioattivi, siti pericolosi
assortiti etc.), teme di poter vincere questa
competizione.
E non sono bastati i fasti del cinema e delle
produzioni televisive, che dalla gettonatissima
Matera ultimamente hanno anche dilagato su
Potenza; non contano nulla i successi della
Capitale Europea della Cultura, che hanno
indubbiamente mostrato al mondo lo splendore
adamantino del patrimonio lucano: per “loro”,
evidentemente, i Lucani sono e rimarranno
sempre i figli della serva. O peggio, il cestino lì
nell’angolo, in fondo allo stanzone. Eh già, perché
questa immagine consolatoria e utilitaristica del
cittadino basilicatese (privato della grossa, anzi,
auto-privatosi persino dei suoi rappresentanti in
Parlamento), non nascondiamocelo, ce l’hanno
per primi i basilicatesi stessi. Quelli potenti,
invero. Sindaci, presidenti, direttoroni. Quelli,
cioè, che da sempre guardano al cittadino solo
come a un elettore, che guardano al paziente
solo come a un contribuente (o, al più, un
rompiscatole), che guardano al lavoratore
solo come a una tendenza in un grafico, e al
disoccupato come a una rogna che è meglio che
se la gratti qualcun altro. Ma tutti, e proprio tutti
i Lucani, in ogni caso vengono considerati alla
stregua di una grande “deposito” di comunicati
stampa trionfalistici e di promesse da mercato
rionale. Promesse che, è vero, vengono
puntualmente smentite da indagini e report
nazionali (si pensi a quelli di Agenas e Svimez in
ambito sanità), ma quegli stessi report e indagini
–state tranquilli, cittadini- verranno sommersi
da mille altri comunicati/promesse/annunci,
accartocciati e rotolanti verso il basso, giù nel
pozzo senza fondo di quell’immensa discarica di
Basilicata, colma fino all’inverosimile di palle
locali e di minacce nazionali.

 

Walter De Stradis

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Cari Contro-Lettori,

«In questi anni, questi meccanismi che vanno in “sincrono perfetto” quando accadono certi fatti di cronaca, io li ho visti, anzi, li ho subiti».

Sono queste le parole di Gildo Claps, intervenuto sabato scorso, al Polo Bibliotecario di Potenza, per la presentazione di un romanzo, scritto da Antonella Grippo, in cui il caso Claps è solo uno dei tanti misteri italiani che si incrociano, pur se rivisti alla lente della finzione e del thriller letterario. I meccanismi che si muovono in “sincrono perfetto”, a cui ha fa riferimento il fratello di Elisa, sono ovviamente quelli dei legami e legacci massonici, che anche il più fesso degli italioti sa bene essere scattati in diversi fattacci della storia del Belpaese, e di cui la verità giudiziaria è riuscita, o ha potuto, o ha voluto, solamente disvelare una parte.

Gildo Claps ha dunque colto ancora una volta l’occasione, come fa ormai da trent’anni, per dire la sua su una certa anima opaca, come la nebbia gialla vittoriana resa celebre dai romanzi agli albori del thriller stesso, che ha pervaso e ancora pervade i vicoli posti negli anfratti più segreti del cuore della nostra città. «A Potenza, da sempre, i migliori “affari” si fanno in silenzio», ha detto. Non prima, però, di aver precisato di gradire, una volta tanto, la possibilità di parlare negli argini della recensione di un thriller letterario, visto che di querele ne ha subite «fin troppe». Già, un particolare che non viene fuori spesso, in tutta la vicenda che gli ha straziato la vita, ma che lo ha trasformato in un irriducibile ricercatore di verità. Le querele, dunque. C’è stato anche chi ha avuto questo barbaro coraggio, evidentemente. In ogni caso, mentre Gildo Claps raccontava queste cose, di questi abbracci “fraterni” fra potenti, che danno calore a pochi e che tolgono il respiro e le possibilità a tutti gli altri, la mente di chi scrive andava, chissà perché, al discorso del professore di Medicina allo studente meritevole, presente in una scena del film “La meglio gioventù”. «E Allora vada via... Se ne vada dall'Italia. Lasci l'Italia finché è in tempo. Cosa vuole fare, il chirurgo? Qualsiasi cosa decida, vada a studiare a Londra, a Parigi... Vada in America, se ha le possibilità, ma lasci questo Paese. L'Italia è un Paese da distruggere: un posto bello e inutile, destinato a morire. Tra poco ci sarà un'apocalisse? E magari ci fosse, almeno saremmo tutti costretti a ricostruire... Invece qui rimane tutto immobile, uguale, in mano ai dinosauri. Dia retta, vada via...»

E lei, allora, professore, perché rimane? Chiede divertito lo studente di medicina.

«Come perché?!? Mio caro, io sono uno dei dinosauri da distruggere!».

E come diceva Costanzo, “Buona camicia a tutti”.

Walter De Stradis

 
 

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Cari Contro-Lettori,
nell’opinione comune, naturalmente, una fascia da Miss è assai meno autorevole di una fascia da sindaco (o di un altro politico), stante il diverso carico di “responsabilità” in capo all’una e all’altra. Entrambe, tuttavia, per loro natura sono rappresentative di un territorio e giocoforza debbono farsi anche veicolo dei valori ascrivibili a quella piccola o grande parte di pianeta, oltre che al pianeta stesso, particolare, quest’ultimo, che sarebbe alla base dell'odioso clichè –soprattutto nel cinema americano- che immortala l'avvenente vincitrice del concorso di turno mentre balbetta qualche frase di circostanza. Ma la storia ci insegna che le banalità propinate ai cittadini dal palco di un comizio, o dal tavolo di una conferenza stampa, o da una tribuna politica televisiva, spesso provengono da chi indossa -e assai spesso con maggiore disinvoltura e faccia tosta di una reginetta di bellezza- un tipo di fascia che si diceva appunto diversa. Già, perché a vedere i risultati raggiunti in certi capoluoghi di provincia (Quale? Ri-leggetevi la classifica dei sindaci del Sole 24 ore), le promesse sciorinate in campagna elettorale, a conti fatti, suonano più vuote e circostanziali di quella Miss Universo che nei film di Hollywood, per meritarsi il 6 politico dell’intelligenza, si augura “la Pace nel Mondo”.Ma qui, dall’altra parte dello schermo, siamo nella realtà. E la realtà della nostra città, ben al di là dei proclami e dei lavori pubblici di comodo (siamo a pochi mesi dalle elezioni, e alcune cose, già pronte, paiono ferme, in attesa di “inaugurazione” a orologeria? ma ci torneremo), grazie a Dio è anche quella dei giovani, belli fuori, e belli dentro. Diciamocelo una volta tanto: i nostri ragazzi non sono tutti come quel nugolo di imbecilli scalmanati che, specie d’estate, tengono in scacco le vie del Centro (e anche di alcune zone della periferia).
I nostri giovani sono anche quelli della manifestazione per Elisa Claps, i quali –come ricordava sullo scorso numero l’onorevole Savino- hanno materializzato un bell’esempio di serietà, compostezza ed efficacia.
I nostri giovani sono anche i bravi studenti del Liceo Scientifico “Galilei”, che da qualche tempo stanno dando vita a una serie di interviste a personaggi che le testate locali “vere” non sempre riescono a procacciarsi agilmente, dal protagonista della fiction su Elisa, a nientemeno che il Procuratore Capo di Potenza (ne leggete a pagina 4). E ciascuno di costoro non si è certo abbandonato a banalità di circostanza, quelle all’americana o da comizio nostrano, per intenderci.
Questi nostri giovani, sono ben rappresentati anche da ragazze come Aurora Laguardia, la diciottenne potentina che è stata il volto della nostra regione alle ultimissime fasi di Miss Italia, e che –nell’intervista “a pranzo” a pagina 7- si è fatta veicolo di significati importanti, tramite parole ponderate, ma dritte come un chiodo, e su argomenti –anch’essi non di circostanza- come la violenza sulle donne, il caso Claps, e la rassegnazione dei Lucani.
Viva la bella Potenza e viva la bella Basilicata.

Walter De Stradis

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Cari Contro-Lettori,

«ne ho viste io di cose, che voi umani non potreste immaginarvi».

E’ una frase che conoscono anche quelli che non hanno visto il film di fantascienza in cui è contenuta (“Blade Runner”, 1982, di Ridley Scott). La pronuncia, in punto di morte, un “replicante” (un uomo sintetico, ex combattente stellare, interpretato dal Rutger Hauer), ma le sue parole sono entrate nel linguaggio comune a significare meraviglia, stupore o anche delusione, per quanto a volte accade sotto i nostri occhi. E sotto i nostri occhi, ormai tempo fa, capitò la famosa delibera di giunta del Comune di Potenza (del 20/12/2022), tramite la quale alcuni locali municipali venivano assegnati ad altrettante associazioni senza scopo di lucro. Tutto giusto, per carità, ma non mancavamo di notare, con allegato stupore e meraviglia, che tra queste, a fronte di altre che lamentavano l’esclusione dall’elenco, figurava l’associazione “Marinai d’Italia”, e per di più facente capo a Matera. Si dirà: e capirai, anche se a Potenza (né tantomeno a Matera) c’è il mare, i locali comunali vuoti e in disuso, che il Municipio ha pure tentato di vendere, sono tanti e “si gettano”, meglio dunque darli in affitto a qualcuno. E anche questo è giusto. Tuttavia, una sorta di rigurgito alla Rutger Hauer fa capolino lo stesso, se è vero quel che ci ha raccontato la professoressa Rosalba Romano, presidente di un’associazione che si occupa di una fesseria come la prevenzione degli incidenti stradali mortali. La prof infatti afferma che, dopo un periodo di affitto, il locale della sua associazione di promozione sociale, lei ha dovuto comprarselo, di tasca sua. Il tutto, a seguito di sfratto del Comune. Anche questo è tutto regolare, nulla quaestio, per carità: il Municipio, come dicevamo poc’anzi, deve fare cassa. Ma il sindaco Guarente converrà con noi, o almeno lo crediamo, che il meccanismo generale pare un tantino da oliare, se i marinai d’Italia, in una città di montagna, beneficeranno (o potrebbero beneficiare, perché non sappiamo se hanno poi preso possesso del locale assegnato), di uffici e quant’altro, mentre l’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada, nella persona del suo presidente, ha dovuto contrarre un prestito ventennale per comprare l’attuale “box” in piazza XVII Agosto (ne leggerete meglio a pagina 7). O, almeno, questo è il nostro punto di vista, anche se replicanti non siamo.

Specie se, sempre sotto i nostri occhi, a poche ore dalla Giornata mondiale del Ricordo delle Vittime della Strada (che domenica si svolgerà a Bella), capitano i dati diffusi dall’Istat, e secondo i quali: «Nel 2022 si sono verificati in Basilicata 914incidenti stradali, che hanno causato la morte di 46 persone e il ferimento di altre 1.355. L’anno 2022 è caratterizzato da una netta ripresa della mobilità e, come conseguenza, dell’incidentalità stradale. Rispetto al 2021diminuiscono leggermente gli incidenti (-0,4%),mentre aumentano i feriti (+1,7%) e ancor più le vittime (+27,8%), in linea con quanto avviene a livello nazionale dove, tuttavia, ad un aumento maggiore del numero di incidenti (+9,2%) e feriti (+9,2%) corrisponde una variazione più contenuta del numero delle vittime (+9,9%)».

C’è di che riflettere. E buona camicia a tutti.

Walter De Stradis

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Cari Contro-Lettori,

se dovessimo individuare un minimo comune denominatore a servizi presenti sul numero di questa settimana, potremmo dire che si tratta senz’altro della solitudine. E’ un male, un veleno, questo, che affligge l’uomo moderno in generale, e l’uomo potentino in particolare.

Tanto per cominciare, infatti, per il re salentino della pizzica (e big internazionale della world music) Antonio Castrignanò (che abbiamo intervistato ad Accettura), la “tarantola” dei tempi nostri (che non “morde” più soltanto le contadine) è appunto quel senso di abbandono tipico « della società moderna, che allontana l’individuo da se stesso; laddove invece il Tarantismo, per sua natura, era portato a “inglobare” l’individuo che stava soffrendo, a riportarlo alla “normalità” attraverso una ritualità, e ad accoglierlo nuovamente nella comunità. Questo è un insegnamento che il Tarantismo ci ha lasciato e di cui tutt’oggi si avverte l’esigenza, ovvero la socialità, lo stare insieme, rafforzare lo spirito dell’individuo».

All’atto pratico, e per stringere l’obiettivo sul capoluogo di regione, ciò si traduce anche nelle parole del viceparroco del “problematico” quartiere di Bucaletto, a detta del quale «La situazione povertà c’è, ma vi è anche il problema delle dipendenze. La solitudine è il problema più grande che poi sfocia anche nella dipendenza, più spesso legata all’alcool. (…) Le persone che realmente hanno bisogno dell’aiuto alimentare fortunatamente sono poche. Abbiamo 15 famiglie che aiutiamo. Ma il vero problema è la solitudine, perché qua si è soli e si sentono abbandonati. Bisognerebbe fare un po’ di rigenerazione urbana e sociale. Una delle cose che aiuterebbe il rione sarebbe quella di renderlo più attrattivo per le famiglie lucane come zona abitabile anche tramite l’intervento delle istituzioni. (…) La commistione tra cattiva politica e scarsa apertura mentale comporta ulteriore isolamento. (…)Ormai il quartiere è vuoto, ma questo impone che la politica si muova. Noi, il nostro, come supporto e sostegno, lo facciamo. A Bucaletto la chiesa è l’unica istituzione che promuove cultura, educazione e studio». E scusate se è poco. Sarà paradossale dirlo, ma coloro che a Potenza ritengono di essere stati lasciati soli, sono in buona compagnia. Si leggano anche le parole della prof.ssa Romano, dell’Associazione Familiari e Vittime della Strada: ««…dal 2002 ad oggi l’associazione ha ricevuto fondi per un totale di 3.800 euro, veramente pochi in 21 anni di attività dell’associazione (…)Raramente le istituzioni supportano e collaborano con l’associazione per fermare le stragi stradali, per non parlare dei fondi che di diritto dovrebbero essere stanziati per attività e servizi svolti dai volontari gratuitamente, che oltre al tempo messo a disposizione, sostengono economicamente l’associazione».

Che dire, sarebbe interessare sapere cosa pensano di tutto questo su al Comune. A parte i soliti rimbrotti, ovviamente.

Meditate, gente, meditate.

Walter De Stradis

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Cari Contro-Lettori,

“I giovani del mezzogiorno: L’incerta transizione all’età adulta”, è un interessante rapporto pubblicato dall’Istat il 12 ottobre scorso.

La condizione dei giovani italiani appare piuttosto fragile, a partire da una riduzione ormai strutturale della loro consistenza demografica. I giovani sono i veri protagonisti del cosiddetto “inverno demografico”: essi diminuiscono mentre la popolazione aumenta (+3,3% dal 2002 a oggi). È un fenomeno attivo fin dai “baby-boomers” (nati fra il 1956- ’65), ma che ha subito un’accelerazione a partire dai cosiddetti “millennials” (nati fra il 1981-‘95). Le preoccupazioni si accentuano nel caso dei giovani del Mezzogiorno, tema particolarmente complesso e attuale poiché associa più fattori di svantaggio, territoriale e generazionale, sottolineati dall’impianto operativo del PNRR. Su questo piano, le tendenze in atto sembrano prefigurare criticità accentuate, che si traducono in rischi strutturali, ossia di tenuta demografica per ampie aree del Mezzogiorno. Tuttavia, per ovvie ragioni storiche (roba di secoli), ciò che per gli altri è un raffreddore (e non lo è), per noi lucani è polmonite. Tutte le regioni meridionali, a eccezione di Abruzzo (17%) e soprattutto Sardegna (15,8%), presentano attualmente una componente giovanile più cospicua della media nazionale. Tuttavia, l’arretramento rispetto al 2002 è più forte in tutta la Ripartizione, con punte molto alte in Sardegna, Basilicata, Calabria, Molise e Puglia. La Campania ha il valore più elevato di 18-34enni (19,9%), seguita dalle altre regioni maggiori del Sud. Nel Centro-nord si distingue in positivo il caso del Trentino Alto Adige – in particolare la Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen (19,2%) – la cui quota di popolazione giovanile risulta seconda soltanto alla Campania.

Se si fa riferimento ai contesti regionali maggiormente interessati dal “de-giovanimento” –come accennato Sardegna, Calabria, Basilicata, Molise, Puglia– si può osservare come il fenomeno segnali nessi visibili con i principali parametri di sviluppo socio-economico. Ne deriva che la popolazione giovanile tende a ridursi con intensità maggiore dove sono più carenti le opportunità occupazionali specifiche e dove è più bassa la ricchezza prodotta, e viceversa. Il Mezzogiorno d’Italia è – attualmente – una delle punte più avanzate di un fenomeno inedito, che vede una riduzione strutturale del peso dei giovani a un livello mai sperimentato in passato.

Al progressivo deterioramento della condizione occupazionale delle giovani generazioni di meridionali si associa anche un certo decadimento qualitativo del lavoro, per l’incremento dei lavori atipici o non standard, e di tutte le varie forme di precariato indotte dalle trasformazioni strutturali del mercato del lavoro e dall’andamento del ciclo economico. Infatti, accanto a una certa tendenza incrementale del lavoro subordinato rispetto a quello autonomo, si registra un aumento progressivo del lavoro atipico. Questo fenomeno è diffuso soprattutto nelle attuali generazioni di giovani del Mezzogiorno, dove la quota di lavoro giovanile atipico è particolarmente ampia e ormai del tutto prevalente; in particolare in Calabria (67%), Sardegna (66,8%), Basilicata (63,3%), Sicilia (60,3%).

Secondo ulteriori dati Istat nella nostra regione la soglia di povertà assoluta oscilla tra i 585 euro mensili di una famiglia composta da una sola persona over 75, ai 1.850 euro di un nucleo di cinque maggiorenni residenti nelle aree urbane. Stabili invece i dati sulla povertà relativa, che misura le disuguaglianze nella distribuzione della spesa per i consumi. In Basilicata si assiste a un lieve miglioramento: l'indice passa dal 19,9% al 19,1%. Più di un punto percentuale in meno rispetto alla media del Mezzogiorno che si attesta al 20,5%. Il bonus gas (che ci ha reso i meno cari d’Italia, da questo punto di vista) e l'effetto dei sostegni pubblici come il reddito di cittadinanza mitigano l'impatto dell'aumento dei prezzi.

Da tutto ciò emerge che il tassello giovanile è quello forse più importante sulla scacchiera. Sempre che le pedine non vengano prese per pedoni, e viceversa.

Walter De Stradis

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Cari Contro-Lettori,

la politica è morta a Potenza.

Ne danno il triste annuncio i cittadini/elettori, col capo chino, il lutto al braccio e le mani giunte, in processione:

al supermercato per fare la spesa, con i rincari che mordono e le tasche che languono; in fila alla Caritas, per gli indispensabili e un tempo mai neanche ipotizzati aiuti;

in coda nei pressi di uno sportello, per pagare le multe dell’Autovelox di varco d’Izzo o le quote delle mense scolastiche più alte (non in senso altimetrico) d’Italia;

in attesa, dietro la porta di un qualche Amministratore cittadino, aspettando di essere ricevuti per segnalare qualche problema rionale (e soprattutto di essere “ascoltati”, ma all’uopo si consiglia di munirsi di dispositivo Amplifon, da donare all’illustre interlocutore);

in un ingorgo stradale, chessò, dalle parti di Corso Garibadi o di Santa Maria, pregando, e bestemmiando, che i “benedetti” lavori pubblici (pur necessari, ma organizzati alla “canina”) si tolgano presto d’impaccio.

Le esequie si tengono tutti i giorni, per i vicoli del Centro, ove –anche con l’irrigidirsi delle temperature- certi giovinastri continuano morbidamente a fare il bello e cattivo tempo; per le vie dei rioni periferici, con l’illuminazione che marca visita; per le strade di “campagna”, tempestate di fossi, e spesso “condite” di spazzatura.

Le orazioni funebri si tengono poi in consiglio comunale, sempre che non salti il numero legale, ove la figura del Presidente si dà per irrimediabilmente deceduta (dichiarazione di morte presunta) e alcune questioni cruciali rimangono nel limbo dell’incertezza, altre nell’inferno delle eterne incompiute o nel buco nero dei soldi perduti (vedi Sport).

La politica a Potenza è morta e continuerà a morire ogniqualvolta un genitore, al bar, o all’edicola o dal tabaccaio, si lamenterà di non avere “Santi in Paradiso” che possano miracolare il figlio, laureato in ingegneria, che ora deve partire per Lecco, onde accettare un posto da usciere (testimonianza raccolta dallo scrivente). E meno male.

Una prece.

Walter De Stradis

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foto di Giuliano Brancati

 

 

Cari Contro-Lettori,

quel giorno, Giuliano, che sin da piccolo, da dietro i vetri, aveva testimoniato il tormento del padre di Elisa consumarsi per anni, in quel silenzioso e personalissimo avanti-e-indietro -dal tabacchino che gestiva, al palazzo di fronte- lo rincorse per salutarlo, poiché il signor Antonio aveva deciso di chiudere il suo esercizio.

Per il giovane potentino, residente a Montereale e aspirante film-maker, quello era -anche per lui, silenzioso e personalissimo- il segno di un’epoca che in qualche modo si chiudeva. E volle testimoniarlo con questa foto, quella di un uomo, Antonio, sempre lui, che attraversa un ponte, tornandosene a casa una volta per tutte, e portando via con sé le domande (e chissà, magari anche le risposte che si era dato), che con dignità stoica aveva custodito nel proprio tacere.

Oggi Giuliano, che di cognome fa Brancati, il film-maker lo fa di professione, e ha da poco rimesso mani (ma anche cuore, cervello e una discreta dose di attributi, leggi alla voce “coraggio”) al docu-film sul caso Claps (o meglio, “su Elisa Claps”, come tiene a precisare) che aveva già proiettato qui a Potenza nel 2016.

“Cruciverbaschemalibero – Elisa Claps segreto di Stato”, che torna visibile su internet il 17 ottobre, è dunque frutto del lavoro d’inchiesta e di ricerca durato oltre due anni, a cavallo tra il 2010 e il 2012; un progetto Hara produzioni, distribuito da Sofra Multimedia con le musiche originali di un artista lucano, Enrico Condelli.

Come ci spiega meglio a pagina 7, Giuliano ha inteso, con le sue interviste “stradali” e gli spezzoni di filmati (una sorta di rassegna stampa della memoria collettiva) cuciti insieme con l’ago della poesia e il filo dell’inchiesta, poggiare una mano sul ventre caldo (o meno) della sensibilità potentina. Il fine ultimo è quello di poterci guardare tutti in uno specchio e dare finalmente un volto a quell’immagine di noi stessi, non sempre a fuoco, che ci viene restituita. I suoi segmenti filmici, Giuliano (che in quella tabaccheria aveva comprato sia i quaderni di scuola sia le sigarette, mentre il signor Claps cercava di riempire le caselle di uno “schema libero” e complicatissimo, che andava ben oltre il numero della Settimana Enigmistica aperta sul suo bancone) li chiama “semi di verità”. Proprio come quei reperti, ci spiega, che in tempi più che sospetti, filtrati da una qualche “apertura” di quel maledetto Sottotetto, si sarebbero posati sul ventre di Elisa (ma forse su quello di tutti noi), che lì giaceva nel suo sonno eterno.

Così come eterno e incessante deve essere il cammino su quel simbolico ponte: pochi metri di congiunzione tra due luoghi che non sempre, però, paiono poi così vicini.

Verità e Giustizia.

Walter De Stradis

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