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Cari Contro-Lettori,

mercoledì scorso, una volta attraversati i Calanchi e –a distanza di alcuni anni dall’ultima volta- raggiunta Aliano (provincia di Matera), subito ci sono riaffiorate alla mente le immagini del film di Francesco Rosi, cioè prima ancora di quelle evocate dal romanzo originale di Carlo Levi (ovviamente, parliamo di “Cristo si è fermato a Eboli”). Chi scrive appartiene alla progenie dei cine/tele-condizionati, e tant’è, nel passeggiare sotto la casa-confino (politico) dello scrittore e pittore, la memoria (fotografica) è andata subito a ri-cercare gli stessi muri, gli stessi vicoletti e le stesse finestrelle sfiorate dal pensoso Levi-Gian Maria Volontè del lungometraggio.

Per la verità, il film fu girato -nel 1979- non solamente nel paesino che fu teatro della vicenda storica, bensì anche nei vicini Craco e Guardia Perticara (con qualche puntatina anche in Puglia). Al regista serviva probabilmente uno scenario che meglio rendesse -ancor più della sola Aliano, evidentemente- lo straniamento che doveva aver colpito allora il torinese Levi, trovatosi all’improvviso al cospetto di un paesaggio malandato, quasi marcito, e alieno (e lo “spaccato” di Craco vecchia offerto nelle scene iniziali del film è davvero sconcertante), e di gente –inizialmente- imperscrutabile.

Col sindaco di Aliano, ospite della nostra rubrica di interviste “a pranzo”, abbiamo anche discusso delle polemiche circa la presunta obsolescenza dell’immaginario e del patrimonio “leviano”, visto e considerato che –dicono alcuni fra i critici del “levismo”- la Basilicata è ormai lanciatissima nella modernità, e non è più quella scalcagnata, disperata e rugginosa terra dei ricordi dello scrittore e pittore torinese, che vi aveva forzatamente soggiornato ormai più di ottant’anni fa.

Probabilmente, e non è ponziopilatismo, le contraddizioni che caratterizzano il modus vivendi (e operandi) di questa regione rendono davvero arduo prendere una netta e chirurgica posizione circa la reiterazione o riproposizione di una certa iconografia.

Limitiamoci infatti a osservare che se negli anni 30 del Ventesimo secolo, la nostra terra era “l’impoverished region” (per citare i titoli di testa in inglese della versione integrale e restaurata della Rialto Films), in cui si veniva “confinati”, cioè ove si veniva mandati per punizione (per ragioni politiche), oggi la Basilicata con tutti i suoi piccoli borghi, è una meta turistica ambita e promozionata (giustamente) come tale; un accogliente rifugio ove si viene dunque “per premio” (etero o auto-concesso che sia); un set naturale, storico e meraviglioso in cui le produzioni cinematografiche e televisive ormai fanno a gomiti, e non solo quelle didascaliche, documentaristiche o di denuncia (persino il muscolare James Bond ultima generazione è venuto a fare qui le sue ultime acrobatiche scorribande). Tuttavia, siamo ancora lungi dall’essere diventati, nei titoli di testa, una “enrichened region”.

Ma cosa ne è stato di quei paesi che offrirono le location a quel commovente, suggestivo, lunghissimo film di Rosi?

Dopo i fasti (?) di Matera (e dei suoi Sassi) –la quale, da quel “serraglio umano” che nel film aveva sconcertato la sorella di Levi (interpretata da Lea Massari), è diventata Capitale Europea della Cultura 2019- oggi tocca proprio ad Aliano (ri)proporsi come candidata a Capitale Italiana della Cultura 2024 (e per larga parte, in forza al lascito di Levi). Guardia Perticara, dal canto suo, ospita gli uffici di una grossa compagnia internazionale, la Total, impegnata nelle estrazioni petrolifere lì nei pressi. Fato diverso è toccato però a Craco vecchia, che da paese “fantasmagorico” che era ai tempi del film di Rosi è nel frattempo diventata in tutto e per tutto un paese “fantasma”, cioè abbandonato (ma quanto fascino, però).

Tuttavia gli “abbandoni” che affliggono e angustiano la nostra terra oggi sono ben altri.

Oggi i “confinati” lucani sono di due tipi.

I primi (intercambiabili con i secondi) sono i giovani (e non) lucani costretti (oggi come allora) all’esilio in altre regioni o all’estero per conclamata anemia di opportunità nella loro regione; i secondi (intercambiabili con i primi) sono tutti quelli che rimangono qui, confinati in casa loro, costretti a convivere da decenni con una folla di onnipotenti racco-mandati e racco-mandanti, incapaci e indolenti (ma non facciamo di tutta un’erba un fascio: ci sono pure gli incompetenti).

Satira a parte, che voi si appartenga alla prima o alla seconda categoria, sappiate che siete, in ogni caso, anche voi confinati “politici”.                         Walter De Stradis    

 

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Cari Contro-Lettori,

Pino (il nome è di fantasia) lavora come “tuttofare”, ovviamente senza contratto, per alcuni uffici privati della Città. Un tempo, una vita fa, era stato un “assunto” pure lui, ma poi la grossa azienda del Nord da cui dipendeva in qualità di operaio specializzato aveva chiuso i battenti e –dopo aver fatto un ciaone circolare a sindacati e istituzioni di sorta- aveva battuto anche la ritirata.

Passata dunque quell’età anagrafica che può rendere la propria persona “appetibile” per un nuovo, stabile posto di lavoro, Pino si era dovuto rimboccare le maniche sulle braccia non troppo lunghe, ma spesse. Dopotutto era solo l’ennesima volta nella sua vita, quell’esistenza sbocciata in una casetta di contrada coi mattoni esposti e la camera dei genitori (quella col lettone gonfio, ma duro) con un’ampia finestra sulla campagna multicolore.

Pino “ci ha famiglia”, ma non nel becero senso comune italiota, cioè quell’idioma consolatorio cui troppo spesso si ricorre in caso di “necessità”, e pertanto, come accennato, gira per alcuni uffici della Città facendo piccoli lavori: pulizie, lampadine da cambiare, risme di carta da comprare, piccoli guasti da riparare. Il fatto è che a lui non piacciono i sussidi, preferisce darsi da fare. Solo così, ci spiega, si sente “di esistere”. Ma in questo modo, il suo “stipendio” mensile (tutto sommato, nel senso matematico) in questi tempi di magra pandemica, alcune volte non ha raggiunto nemmeno i due zeri, nonostante il suo cellulare squillasse in continuazione, perché Pino è uno di quei tipi strani che sanno fare tutto e di cui non si può fare a meno. Pagarlo come si deve? Beh, nessuno è perfetto.

Pino ha due figli che vivono e lavorano a Chiasso, ove hanno trovato adeguato sbocco –facendo la strada più lunga, spesso l’unica, che rimane ai giovani Lucani- per le loro competenze e capacità. L’infaticabile padre ha voluto raggiungerli per il battesimo del suo primo nipotino svizzero, ma alle prime luci dell’alba (ma forse era ancora notte) del giorno prima, lui si trovava ancora con dei vecchi e pesanti faldoni fra le braccia, cioè roba da spostare in un vecchio e polveroso magazzino della ditta tal dei tali.

Pino, che con l’aria che tira non ha voluto prendere il treno, si è poi fatto prestare i sodi dal fratello per potersi pagare la benzina e raggiungere la Svizzera, dopo un viaggio interminabile e senza dormire, giusto qualche pipì e un panino lungo la strada. Le sigarette? Una spesa inutile che ha dovuto tagliare, da tempo.

Una volta a Chiasso, distrutto, ma felice, Pino ha finalmente riabbracciato i suoi figli e dato il primo bacio al nipotino, ma il giorno dopo è subito ripartito (ancora quell’alba), prima che ricominciasse a squillargli il telefonino a tutto spiano.

Ma in realtà non è di quel viaggio che aveva premura di raccontarci, bensì del ragionamento, e dell’idea, che man mano sta maturando, come un frutto “proibito”, ma succulento, nella sua testa. Alla tenera età di anni 64, l’indistruttibile Pino, ormai morto e rinato tante di quelle volte, sta meditando seriamente di raggiungere definitivamente i suoi figli, sì, lì in Svizzera, e di mandare al diavolo una volta per tutte questa Terra di politici incapaci, di eterni litiganti per le Poltrone (vecchi, ma anche e soprattutto nuovi) e di familismi soffocanti (in TUTTI i settori, nessuno escluso).

Dopo la fuga dei giovani talenti, ci sarà anche quella di molti dei loro, più attempati, genitori?

Stiamo freschi! E il Generale Inverno (lui no) non c’entra nulla con certi brividi.

Walter De Stradis

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Cari Contro-Lettori,

c’è da domandarsi perché a pagina 6 il nostro opinionista Mario Petrone, dissertando di benzina, bollette e rincari in generale, abbia voluto parlare di ennesima “tosatura” per i Lucani.

Cos’avrà voluto mai dire?

Avanziamo delle ipotesi.

Che il suo non sia un riferimento al “Barbiere di Siviglia”?

Potrebbe anche essere, visto e considerato che i nostri politici, novelli “Figaro”, probabilmente (e all’uopo basta collezionare e leggere in fila una manciata dei loro ultimi comunicati) percepiscono se stessi come “factotum della città”, pronti cioè “a far tutto, la notte e il giorno”. Certamente -se è questa la metafora “colta” del nostro Petrone- colpisce nel segno, più che altro laddove i nostri governanti locali, in realtà, sono protagonisti di un “bel vivere”, toccati come sono da una “miglior cuccagna”, che consente al beneficiario di ammettere con goduria che “al mio comando tutto qui sta”. Il crescendo rossiniano delle difficoltà incontrate dai giovani lucani sarebbe la degna conferma di questa ricostruzione.

Ipotesi numero due: rimanendo ancora in ambito musicale, è anche probabile che il nostro opinionista abbia voluto fare un riferimento alla tradizione tutta meridionale (e dunque anche lucana) dei famosi “barbieri musicanti” (celebrati di recente anche da un bellissimo disco di Graziano Accinni), depositari di quella tradizione che voleva i loro negozi non solo come luoghi atti all’uso di pettini, rasoi e saponette, bensì anche di chitarre, fisarmoniche e mandolini. E quindi il Lucano “tosato” in questa accezione sarebbe da intendere come Lucano “suonato”, e per benino. E potrebbe anche essere, visto che noi cittadini della Basilicata, a fronte degli errori che si ripetono con ritmi ossessivi, ascoltiamo la canzone, ma non ce l’accattiamo (come direbbe sempre la vecchietta della nostra rubrica).

Terza e ultima ipotesi: l’articolista col termine “tosatura” non vuol far nessun ammiccamento, colto o popolaresco che sia, e si riferisce molto più pragmaticamente non agli uomini, bensì alle pecore, e dunque all’antica pratica che vuole che queste siano private del vello, che sostanzialmente è tutto ciò che queste povere bestie hanno e indossano.

Ma proprio mentre ci pare lampante che questa terza interpretazione sia la più –ehm- ficcante, ci sorge un leggerissimo (fantozzianamente parlando) dubbio: non sarà che con “tosatura” il buon Petrone volesse intendere tutte e tre le metafore?

Ovvero che i Lucani sono dei pecoroni tosati a mestiere da quattro (sia detto con sommo rispetto per la categoria) "barbieri" (che si sentono tanto “Fighi”), che nel frattempo, armati di chitarre e mandolini, (loro) se la cantano e (loro) se la suonano?

Ai posteri l’ardua sentenza.

Walter De Stradis

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Cari Contro-Lettori,

 

 

una tipica frase di lancio da vecchio film del terrore è la seguente: “pensateci, prima di spegnere la luce”.

Ma, a sentire il presidente regionale di Federcomsumatori (l’intervista completa a Michele Catalano la leggerete a pagina 7), viene da pensare che la “tag-line” di questo 2022 potrebbe essere esattamente il contrario: “pensateci, prima di ACCENDERE la luce”.

Come riporta, non a caso, il giornale online Investireoggi.it, il 2022 sarà un anno da incubo sul fronte dei rincari. L’aumento del costo dell’energia non inciderà soltanto sulle bollette di elettricità e gas, ma anche su una serie di beni primari, che vanno dalla sanità alla spesa alimentare. La tabella degli aumenti dei prezzi in percentuale della Federconsumatori pertanto dipinge un quadro a tinte fosche. Un ulteriore elemento di preoccupazione è dato dalla possibilità che molte aziende, incapaci di pagare le bollette, possano chiudere nel corso dell’anno: si stima che si potrebbero perdere fino a 500.000 posti di lavoro.

Il governo Draghi ha stanziato 3,8 miliardi di euro per attenuare l’impatto dei rincari, ma la situazione sembra essere ancora critica.

Sempre a proposito di aziende (in questo caso nostrane), è lo stesso Catalano a dirci, con un sospiro, che le difficoltà economiche da queste incontrate starebbero (usiamo il condizionale, và) facendo fregar le mani ai poco raccomandabili professionisti dell’usura.

Ma, come diceva Corrado, non finisce qui.

Se prima –sottolinea sempre il presidente lucano di Federconsumatori- le famiglie si allarmavano, e contattavano la sua associazione, a fronte di bollette da 600/1000 euro, oggi ne basta una da 100 euro (come quella in prima pagina) per mettere in crisi il destinatario e spingerlo ad alzare il telefono in cerca di assistenza.

Insomma, potremmo dire che in Basilicata –e in tempi recenti- l’ “aspettativa di bolletta” si è molto abbassata.

Chiaro segnale dell’impennarsi dell’asticella della povertà.

Il che fa “intostare la nervatura”, come avrebbe detto (o meglio, cantato) Pino Daniele, se è vero com’è vero che la Basilicata (lo denuncia il segretario della Cgil lucana Summa) ha ancora 134 milioni di euro di Fondi strutturali e di investimento europei per il 2014-2020 NON IMPEGNATI e 355 milioni di risorse del Fs, a valere sul Patto per la Basilicata 2014-2020, ALTRETTANTO NON IMPEGNATE. Senza contare le royalties petrolifere, che la piena funzionalità di Tempa Rossa e con il rialzo dei prezzi del greggio potrebbero crescere del 10% nel corso del 2022. «Queste risorse – spiega il sindacalista- devono essere investite in un piano di emergenza occupazionale ad avvio rapido, in grado di dare una spinta alla ripresa troppo anemica dell’economia regionale ed eviti ulteriori impoverimenti di risorse umane».

Per il calendario cinese il 2022 è l’anno della tigre.

E per quello lucano?

Scegliete voi l’ “animale” simbolo.

Walter De Stradis

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Cari Contro-Lettori,

quella di Capodanno è una festa sicuramente più malinconica rispetto al Natale. Nonostante i proverbiali botti e l’ennesimo cenone/pranzone, siamo chiamati un po’ tutti a fare i bilanci dell’anno appena consumatosi e soprattutto a fare i conti con le prospettive (per chi le ha) e le speranze (sempre che qualcuno non ce le abbia tolte) relative ai dodici mesi che verranno.

Il tutto, condito da un bel pacco di spese, quote, e tasse da pagare, che si profilano già agli albori dell’orizzonte prossimo venturo.

Un’alba tragica?

Non esageriamo, suvvia, ma certo è che con lo scurirsi (ci risiamo) della situazione Covid e con le nuove povertà che ormai affliggono una famiglia lucana su quattro (lo dovette ammettere in estate persino l’eterno dimissionario assessore Cupparo) e che ci hanno riportato indietro di otto anni (lo dissero, sempre in estate, commentando i dati Istat, il segretario generale della Basilicata della Cgil, Angelo Summa, e il direttore scientifico dell’Ires-Cgil, Ettore Achilli), bisogna sforzarsi un attimino per mantenere una certa attitudine festaiola.

Alcuni di voi ricorderanno anche quella vecchia trasmissione televisiva della BBC (che in realtà va in onda ancora adesso, Italia compresa) intitolata “Doctor WHO” (in Italiano “Dottore CHI”), nella quale un misterioso Dottore, appunto, che cambia volto e look ogni tot di anni, se ne va in giro per l’Universo a bordo di una macchina del tempo recante l’aspetto di una vecchia cabina telefonica della polizia britannica. Ebbene, i nostri politici, a conti fatti –non ultimo il presidente Napo-Lucano (il Generale CHI)- anche loro hanno cambiato faccia (si fa per dire) ogni tot di anni, ma allo stato attuale ci stanno riportando INDIETRO nel tempo, piuttosto che avanti.

E questa volta a bordo di quella cabina (elettorale) ci siamo tutti.

“Stanti le evidenze del rapporto per il 2021 e per le previsioni al 2022 –afferma oggi, a fine dicembre, sempre il segretario generale della Cgil Basilicata, Angelo Summa- lo scenario che si prospetta è di una crescita troppo lenta e che allargherà inevitabilmente i divari sociali ed economici della regione. Con questi ritmi Basilicata non potrebbe recuperare i valori di ricchezza prodotta nel 2019 prima del 2025, mentre il resto del Paese sarebbe in grado di riassorbire gli effetti della crisi pandemica entro i primi mesi del 2022. Anche la ripresa occupazionale per il 2021 in Basilicata rischia di essere lenta, al di sotto delle perdite registrate nel 2020, non in grado di fermare il rinforzato flusso di emigrazione di forza-lavoro, caratterizzata da forti fenomeni di precarizzazione e degrado del mercato del lavoro”.

Ma orsù, Lucani, è bene ripeterlo, questa è l’ora di essere allegri, e come diceva Renato Pozzetto nel film “Il ragazzo di campagna”, ci sono molte “interessanti prospettive per il futuro”.

E se sei campano di origine (o comunque di fuori), è ancora meglio.

Capisci a me.

E buon anno a tutti.

Walter De Stradis

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Cari Contro-Lettori,

«Basilicata, il voto punisce il “sistema” dell’ex governatore Pittella».

E’ questo il titolo di un articolo (25 marzo del 2019), apparso sul portale del quotidiano economico nazionale “Il Sole 24Ore”, che viene colto a mo’ di esempio, in un bacino di titolazioni similari verosimilmente più ampio.

Allo stesso modo è verosimile ritenere che il tenore della notizia sia riferibile ai guai giudiziari di Marcello Pittella, che era principale “protagonista” dell’inchiesta denominata dai media “Sanitopoli”: «Malgrado l’elezione in consiglio regionale con 8.803 voti (il più votato), è lui, Marcello Pittella, presidente dem uscente della Regione Basilicata, il grande sconfitto di queste elezioni. LUI E IL SUO SISTEMA DI POTERE». (Il maiuscolo è nostro – ndr)

Oggi (in realtà mercoledì) Marcello Pittella –che illo tempore era stato posto ai domiciliari con gran clamore- è stato assolto in primo grado nell’ambito di quella stessa inchiesta.

E’ ovvio e naturale che –ad assoluzione ottenuta- in molti si siano riscoperti amici, simpatizzanti e sostenitori dell’ex governatore: si tratta, dopotutto, di uno degli sport più praticati in Italia, “il salto sul carro del vincitore” (o “dell’assolto”, che dir si voglia); ma è inevitabile, e altresì doveroso, che alcune riflessioni (di natura politica e non) vadano fatte “asetticamente”, ovvero senza agili “parteggiamenti” di sorta e pietismi di comodo.

E’ chiaro persino a mio nipote che –come l’articolo del “Sole” sembra sintetizzare in poche righe- il corso politico di questa regione sia improvvisamente cambiato, anche a seguito e in virtù (non ce lo nascondiamo) di una poderosa inchiesta giudiziaria, diventata anche mediatica (è fisiologico, vista la corposità della notizia), che allo stato attuale (ci riferiamo sempre a Pittella) si è sgonfiata piuttosto e anzichenò. Sia detto che l’alternanza (specie dopo alcuni decenni di monocolore e viste anche le non poche ciofeche politiche che vi abbiamo raccontato per anni) non è di per sé un male, anzi, il contrario, ma con l’assoluzione pittelliana, per Bardi e soci vien clamorosamente meno anche l’ultimo degli alibi (il famoso “stia zitto proprio lei che…”) che è più volte rimbalzato, seppur in accorto “politichese”, nelle stanze del consiglio regionale, e se la memoria non ci inganna anche per bocca dello stesso Generale. Il significato, squisitamente politico di questa cosa è dunque lapalissiano: la maggioranza di centrodestra, che non potrà più sminuire le proprie incompiute e incertezze gratificandosi di paragoni con un “delittuoso” centrosinistra (perchè le sentenze vanno rispettate, anche quando magari non piacciono), ha finito il blocchetto delle giustificazioni di papà … e ora sotto a studiare. Anzi, a lavorare, visto che si è “studiato” un po’ troppo (vedasi Piano strategico licenziato dopo due anni, invece che dopo sei mesi). Dovranno insomma “giustificare” ai lucani, come mai hanno fatto finora, la loro esistenza politica e la loro presenza su quelle comode poltrone, e meritarsi il lauto guiderdone. Nell’interesse di tutti, insomma, dovranno dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio (come si sente dire nei film processuali americani) che sono lì perché ci sanno fare (ce lo auguriamo tutti), e non semplicemente perché un generale della Finanza è stato eletto anche a seguito dell’arresto del leader politico (poi assolto) della parte rivale.

Ultimissima considerazione: siamo di fronte a una sentenza di primo grado, ma prima o poi una seria riflessione sui meccanismi del sistema penale italiano, così come concepito, andrà pur fatta. Perché quando uno –che è stato arrestato e poi assolto- afferma sommessamente di “non portare rancore”, è chiaro che lo fa mordendosi una mano. Nel frattempo, buon Natale a tutti.

Walter De Stradis

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Cari Contro-Lettori,

è quantomeno curioso che, nel Paese dei bocconi amari, un celebre e autodefinitosi antidoto contro “il logorio della vita moderna” sia proprio un…amaro.

Ma questo è anche il Paese delle contraddizioni e va bene così.

Si dirà che anche la Basilicata ha il suo, di amaro, e quand’anche avesse gli stessi poteri distensivi del similare prodotto pubblicizzato ai tempi -in tv e sui giornali- dal baffuto Ernesto Calindri, qui da noi ce ne vorrebbero ettolitri per mandare giù le asprezze e le delusioni della terra governata dal Generale (baffuto anch’egli) Bardi.

E si va da “logorio” di figure apicali, come nel caso –toh- dell’ormai silurato presidente della Lucana Film Commission, che avrebbe pagato lo scotto di alcuni suoi “versetti satanici” a proposito del sonno profondo della Regione Basilicata;

a quello di tutti coloro che avevano invocato le dimissioni del dg dell’Arpab, a seguito di un suo certo “poemetto” a proposito del compianto Gino Strada e che ora –dopo essersi dovuti accontentare di una blanda tiratina d’orecchi all’incauto verseggiatore- lamentano una certa qual “disparità di trattamento”;

a quello del direttore dell’Asp pressoché universalmente riconosciuto come fautore di un buon lavoro –per quella che è la sua parte- nell’attività di contenimento della Pandemia (perlomeno a leggere le numerose interviste ai sindaci realizzate da questo giornale), e che pure ha dovuto a lungo agire con una mannaia del capo pendente sul suo capo (ci si perdoni l’allitterazione), come se una cosa del genere non avesse inevitabili conseguenze sul morale e sulle prestazioni;

a quello dei numerosi, “semplici”, cittadini che ogni giorno si vedono combattere dalle parti delle tende del Qatar, desiderosi di ricevere una vaccinazione in tutta sicurezza e agilità, e che attendono con rassegnazione i lunghi minuti, ammassati come polli nel proverbiale pollaio (e queste sono un tipo di problematiche le cui risposte vanno cercate più in su, fino ad arrivare all’assessorato competente);

a quello degli imprenditori ed esercenti agro-alimentari attivi in certe zone della Basilicata, i quali –come denuncia il coordinatore della Cia nell’intervista “a pranzo” su questo numero- ricevono chiamate di possibili clienti, che vogliono tuttavia essere rassicurati circa la distanza dei pozzi petroliferi da fagioli e pecorino.

Con tutto questo “logorio della vita moderna” in Basilicata, sorge il dubbio che la regione governata dal Generale che ha presenziato in pompa magna alla prima materana del nuovo film di James Bond (ruolo che fu di Sean Connery, oggi di Daniel Craig), non sia amministrata da una squadra di “James Tont”, significativo e parodistico personaggio del cinema italiano, interpretato ai tempi dal buon Lando Buzzanca.

E buon “amaro” a tutti.

Walter De Stradis

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Cari Contro-Lettori,

 

il Presidente del Consiglio regionale, Cicala, a poche ore di distanza l’uno dall’altro, ha diramato ben due comunicati inerenti la “Cultura”, che sono apparsi appaiati sul sempre più irresistibile portale informativo della Regione Basilicata. A leggere in sequenza i titoli (“Cultura, Cicala: risorsa per la crescita” e “Cicala: L’arte, foriera di creatività, ci invita alla riflessione”), l’occasionale e distratto lettore può anche pensare che in regione sia spuntato dal nulla un nuovo e insospettabile Mecenate della Cultura, delle Arti e del Bello in generale. «Io sono convinto che la bellezza renda migliori, elevi dalla quotidianità e dai suoi inciampi», afferma infatti l’esponente Leghista. «La cultura –dichiara, particolarmente ispirato- è soprattutto valore collettivo e ognuno deve fare la propria parte insieme, grandi e piccoli editori, per aumentare il numero di lettori anche nella nostra Regione. Se insieme lavoreremo per questo, i risultati arriveranno». Orbene, in attesa di capire cosa concretamente significhi per Cicala il “lavorare insieme con gli editori” –visto che, se parliamo anche di giornali (e sempre “cultura” è)- qui ognuno si porta (con sacrificio e orgoglio) la propria croce- tocca registrare che le ovvietà di circostanza diramate del presidente del consiglio regionale sono più d’una. Essì che i comunicati sono usciti l’uno in vista dell’allestimento di una particolare collettiva di opere pittoriche e l’altro in occasione della “Fiera del libro” a Roma (ove il Consiglio regionale sarà presente, pagando le spese, con un suo stand), ma qui il politico sembra aver cicaleggiato una serie di asserzioni da pura “Fiera delle Banalità”.

Giusto qualcuna: «La cultura, con il suo carico di identità, tradizione e innovazione rappresenta, di fatto, una risorsa per la crescita a tutti i livelli»; «Non vi può essere una comunità senza un substrato culturale che ne fondi in maniera profonda il suo essere». « È intorno alla nostra cultura che si è generata nel tempo la nostra identità, il nostro essere lucani». «Solo se ne siamo consapevoli possiamo aprirci al mondo, relazionarci con il resto dell’universo senza temere che questo atteggiamento di apertura possa in qualche modo rendere meno solida la nostra visione del mondo stesso» (!!!!). « Di fronte ad un bel quadro, per goderne fino in fondo, siamo costretti a dedicare del tempo». «Lo stimolo alla lettura rappresenta un importante contributo all’arricchimento della persona». Minchia, signor tenente!  

Chi scrive, qualche anno fa è stato ospite come scrittore presso lo stand del consiglio regionale all’evento di cui parla Cicala: non saprei dire come si svolgerà quest’anno la cosa, ma quella volta si era tutti (gli stand istituzionali) al piano di sopra, isolati e solitari, rispetto a quelli –affollatissimi- degli editori privati. I visitatori si potevano contare sulle dita di una sola mano, e noi autori ci intervistammo tra di noi (non ci rimaneva altro da fare) e buonanotte al secchio. Soldi e tempo sprecato (a parte una bella mangiata, la nostra, a base di carbonara). Senza contare tutte le riviste e pubblicazioni che da sempre si stampano in Regione (chi di voi ne ha mai letta una, o anche solo vista???) che lì rimangono, sovente ancora imballate. Tuttavia Cicala insiste: «I numeri dimostrano che la cultura è uno dei motori dell’economia italiana. …resto convinto che tutto questo possa realizzarsi anche in Basilicata, attraverso l’implementazione di un nuovo modello economico, fatto di salvaguardia dell’ambiente, protezione del territorio, cura dei luoghi, attenzione al bello, investimenti nel patrimonio storico, artistico ed architettonico». Ha dimenticato soltanto la scoperta della cura del cancro. Perché, evidentemente, per lui tutto è possibile. A parole.

Tanto i “lettori” ci sono, no?

Walter De Stradis

 

Ps: per non farci mancare nulla, il

comunicato del presidente del consiglio

Cicala circa la Fiera del libro di Roma, in

alcuni passaggi, ricalca pari pari quello

scritto da uno dei suoi predecessori -Vito

Santarsiero del Pd- in occasione della

omologa manifestazione di Torino, edizione

2018 !!! Vedasi ai link:

https://www.trmtv.it/cultura/2018_05_11/171211.html

 

https://www.consiglio.basilicata.it/consiglioinforma/notizia.html?id=242689

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Cari Contro-Lettori,

come ben sanno gli appassionati di narrativa horror, pare che il grosso dell’iconografia moderna del terrore sia nata praticamente in una sola notte, in una magione sul lago nei pressi di Ginevra, chiamata villa Diodati.

Era l’estate del 1816 e il celebre poeta maudit Lord Byron vi ospitò alcuni amici, fra i quali il suo medico personale, il dottor Polidori, e una diciassettenne, certa Mary Shelley. Per farla (molto) breve, in virtù di una sfida letteraria maturata fra intellettuali che si annoiavano davanti al camino, a seguito di quella notte particolare nacquero “Il Vampiro” (di Polidori, romanzo breve che conteneva già in nuce il successivo “Dracula” di Stoker), e “Frankenstein” (della Shelley, che non ha bisogno di presentazioni). Insomma, ci fu tutto un lavorio di suggerimenti, sogni e ispirazioni vicendevoli fra poche persone che portò alla creazione di miti letterari (e cinematografici) sfruttatissimi e copiatissimi ancora oggi e che hanno macinato una quantità di soldi inimmaginabile.

Facciamo un salto temporale e arriviamo all’estate del 2019: c’è un nugolo di “poeti e intellettuali”, riunitisi attorno a un certo Generale Bardi -in una magione in viale Verrastro a Potenza chiamata “Regione Basilicata”- che forse si annoiano: quel che è certo però, è che non riescono a buttar giù uno straccio di “Piano strategico” regionale (nonostante la loro “sfida letteraria”, ben accolta dai lucani che li avevano da poco votati), che vedrà infatti la luce circa due anni e mezzo dopo.

Per la serie: il mondo è proprio strano. C’è chi riesce a partorire non uno, ma ben due capolavori, due pietre miliari, in una sola notte e chi ci mette quasi due anni per stilare un compitino.

Da questa settimana, infatti, analizzeremo punto per punto il Piano Strategico (ovvero, la bozza, o per meglio dire “la creatura”) che il professor Bardenstein e i suoi assistenti hanno approvato pochi giorni orsono, laddove ci si sarebbe aspettati di poterlo leggere –come invece era previsto- a sei mesi dal loro insediamento. Lo stesso generale napolucano afferma che se lo avessero scritto prima, il Piano, oggi sarebbe “carta straccia”, visto che nel frattempo c’è stato il Covid e ora arrivano i soldi del Pnrr. Capovolgendo il discorso, allora, al cittadino non resta che chiedersi –piuttosto- cosa sarebbe stato allora il Piano strategico del Generalissimo SENZA il Pnrr. Siamo alle porte del Natale, e il “regalo”, anzi la “manna dal cielo”, per Bardi sembra essere già arrivata, insomma. Una giustificazione per il preside che levati, neanche la più solerte delle mamme potrebbe approntare.

Consoliamoci col fatto, almeno, che siamo l’unica regione che non rischia la zona gialla.

Per questa settimana può bastare.

Ps. Il "professor Bardenstein" della vignetta in prima pagina, pur rappresentando il Generale Bardi, è in realtà l’attore Boris Karloff, così come appare nel manifesto originale del film “Frankenstein 70”: la sinistra e causale somiglianza non ha necessitato di alcun ritocco grafico. Quando si dice che la satira a volte si fa da sola.                             Walter De Stradis

 

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Cari Contro-Lettori,

nel nuovo libro di Vinicio Capossela, a pagina 316 si legge quanto segue «…Che fine fece il corvo? Si sistemò in Basilicata e lì fondò una repubblica di rapaci. Poi arrivarono i politici e presero il loro posto. In Basilicata c’è il petrolio. Sembrerebbe una fortuna ed eppure non si traduce in ricchezza per il territorio. Del petrolio resta l’inquinamento delle falde acquifere e altri danni all’ambiente e alla salute. I controllori dipendono dai controllati e per il sistema clientelare imperante la gente è praticamente privata del diritto di protestare, pena la perdita del lavoro. Al posto dei contadini di Carlo Levi ora ci sono gli impiegati. La rassegnazione non cambia» (“Eclissica”, Vinicio Capossela, Feltrinelli 2021).

Il famoso musicista-scrittore ha letto questo breve passaggio ad alta voce nel corso della presentazione del suo volume (una sorta di, corposa, biografia artistica) tenutasi giovedì sera a Pignola (borgo a pochi passi da Potenza al quale lo stesso Capossela è assai legato, in virtù di alcune amicizie e collaborazioni musicali maturate negli anni). E, nonostante il clima rigido, si può dire che è stato l’unico momento di “gelo” in una serata per altri versi calda, confortevole e travolgente (terminata col pubblico che accompagnava in coro il noto cantautore, che ha concluso la serata con l’esecuzione di alcuni suoi brani).

A sfogliare il libro, ci si accorge che –oltre ad alcuni altri passaggi in cui l’autore elogia le bellezze e le risorse culturali della nostra terra- c’è tuttavia qualche altra amara e acuta divagazione, vedasi alcune righe relative a certe dinamiche materane (non facciamo spoiler, le trovate nel libro). Parliamo di un testo (in cui la Basilicata è solo una parte di un tragitto assai più ampio) scritto da un grosso personaggio per un grosso editore con una grossa distribuzione: un papabile best-seller, insomma. Per farla breve, l’ennesima figura escrementizia (Emilio Fede sarebbe più spiccio) a livello nazionale, per la Basilicata è bell’e servita. E non è certo colpa dello scrittore. Il poetico e trasognato Vinicio Capossela non è infatti quel che si definisce un artista “impegnato”, né di “denuncia” (e non è certo obbligatorio), ma evidentemente vale anche per lui ciò che ci disse il jazzista partenopeo Daniele Sepe (lui sì, impegnato e di denuncia) a margine di un altro concerto, quello pro-operai Fiat tenutosi a Potenza, in piazza Don Bosco, nel 2004 (cit. dal numero di Controsenso di quel 5 giugno): «Il compito di risvegliare le coscienze toccherebbe ai politici, dato però che loro non lo fanno, ci vediamo costretti a parlare di politica noi artisti che invece potremmo cantare della fidanzata che ci ha lasciato o di quella che verrà. Preferirei che si tornasse noi musicisti a fare delle grandi sinfonie e i politici a fare il loro mestiere». E scusate se è poco. E non consola né tranquillizza il fatto che il brano letto da Capossela sia riferito a una sua esibizione a Potenza che risale (esattamente) a 10 anni fa. Specie se, ancora OGGI, e solo per dirne qualcuna, Eni e Total fanno sega a importanti convegni (come quello di Stigliano) e uno come il Monsignor Intini, il vescovo di Tricarico (altro paese assai legato, e viceversa, a Capossela, per via di Infantino e Scotellaro), ha invitato pubblicamente i Lucani (allo stesso incontro) a diventare protagonisti del loro futuro e della tutela dell’ambiente; su questa materia, dice, anche la Chiesa è chiamata a prendere posizioni, in linea con quanto affermato da Papa Francesco.

E Amen.

Walter De Stradis

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