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di Walter De Stradis

Hanno iniziato, come si suol dire, “sui banchi di scuola”, ma poi la loro passione per la musica elettronica (quella che potremmo definire “house music”) li ha fatti diventare, nell’arco di venti anni, un duo storico nell’ambito della “club culture” potentina. Ma non solo: Aniello Golluscio e Maurizio Marchese, al secolo gli “Shake Beat”, sono anche -rispettivamente- presidente e tesoriere dell’associazione culturale “Open Space”, che conta migliaia di iscritti.

E scusate se è poco.

d - Ricordate il momento in cui, da semplici frequentatori di serate musicali, siete passati dall’altra parte, ovvero dietro la consolle?

r - (Aniello) E’ iniziato tutto grazie a un amico, che ci ha avviati all’ascolto di un genere musicale peculiare e poco diffuso dalla radio. A un certo punto la passione è diventata tale da spingerci a selezionare questa musica e a suonarla, nei vari posti in cui ci chiamavano. Avevamo circa sedici anni.

d - Immagino che abbiate iniziato dalle feste scolastiche, ma poi vi siete ritrovati anche su scenari importanti, anche europei.

r - (Aniello) Sì, siamo stati a Berlino, a Roma, a Milano e a Firenze. E’ in programma un nuovo evento nella Capitale, il 29, al famoso “Sanctuary”. A Firenze ci torneremo a dicembre.

d - E in Basilicata quante date avete fatto?

r - (Aniello) Non le abbiamo mai contate.

d - Chiedevo, perché mi dicevate prima che gli iscritti alla vostra associazione culturale, “Open Space”, sono 7.500!

(Maurizio) E’ un buon risultato.

(Aniello) Lo scopo è divulgare la musica dal punto di vista culturale, ma sono incluse anche presentazioni di libri e quant’altro afferente a questo mondo. Ricordo con piacere anche una collaborazione proprio con “Controsenso”, di alcuni anni fa.

d - Siete sulla scena da vent’anni, avete iniziato selezionando vinili?

r - (Maurizio) Sì, proprio col giradischi e un mixer. Iniziammo a comprare i vinili e a mixarli “a orecchio”, mettendo due dischi insieme sotto la stessa battuta.

d - La domanda nasce spontanea: e dove li compravate, a Potenza, certi dischi?

r - (Aniello) A Potenza no, li compravamo in Germania, per posta. Aspettavamo “anima anima” che arrivassero.

(Maurizio). Quando capitavamo dalle parti di Roma o Firenze, li compravamo lì, dopo averli ascoltati.

d - Adesso l’uso degli mp3 ha consentito praticamente a chiunque di improvvisarsi DJ, nei generi musicali più disparati. Voi come vi muovete?

r - (Aniello) “Suonando” gli mp3 “sopra” i vinili. E’ una tecnologia in voga da una decina d’anni, nei DJ set di tutto il mondo. Noi non prepariamo mai la scaletta, ci lasciamo ispirare dalle varie situazioni, ma ciò comporta che portarsi dietro due-trecento dischi diventa una cosa impraticabile. Pertanto, utilizziamo questi vinili speciali, con delle schede audio (dopo aver regolarmente acquistato degli mp3 da alcuni portali) attuando un processo inverso: la puntina del giradischi, anziché “leggere” il vinile, lo “scrive”. In questo modo, tu mantieni il controllo su un disco fisico, che però è un vinile “magico” che veicola degli mp3.

d - Spostiamoci sul discorso “movida” a Potenza. Con la vostra associazione, qualche anno fa, avete dato vita al progetto “Basentum”, sul fiume Basento, appunto, con l’istallazione di alcuni gazebo. Quell’evento fu foriero, però, anche di molte polemiche.

r - (Aniello) Sì, molte. Usammo materiali di uso comune, legno e quant’altro, onde evitare un impatto invasivo, come da prassi. L’unica cosa che disturbava un po’, evidentemente, era il bel movimento che si era creato, con numeri importanti, con gente che veniva addirittura dalla Campania.

d - Quindi a Potenza, nel vostro settore, c’è invidia?

r - (Aniello) Più che altro, fu una questione di politica e permessi. Noi ci eravamo limitati a leggere un bando, a parteciparvi e a essere autorizzati.

(Maurizio) Dopotutto si trattava di rivitalizzare un posto completamente abbandonato a se stesso.

d - Specie d’estate, puntualmente, divampano le polemiche sulla “movida notturna” in città, nel Centro in particolare. C’è chi lamenta rumori, schiamazzi, comportamenti inappropriati da parte di alcuni giovani, e quindi la questione è spesso sui giornali, compreso il nostro.

r - (Aniello) La questione centro storico è molto complessa.

(Maurizio) Anche in virtù dell’età media dei residenti, che è molto alta. Il che spinge alcuni di loro a non tollerare...

(Aniello)...ma giustamente, anche. Perché c’è chi si comporta bene e chi si comporta male, ma non si possono giustificare atteggiamenti incivili o ineducati. Tuttavia, spesso gli organizzatori, comunali o privati che siano, perdono le speranze: ottenere un permesso (per una serata, un Festival, la presentazione di un libro) è molto difficile; e una volta ottenute le autorizzazioni, diventa complessa anche la questione sicurezza. Cioè, è giusto, ma una città come Potenza, se è a corto di eventi, va subito in declino.

d - C’è troppa burocrazia?

r - (Maurizio) Sì, troppa.

(Aniello) A volte si tratterebbe di chiudere un occhio, per far del bene alla città, non per fare disastri. Molte volte, invece, vengono messi i bastoni tra le ruote.

d - Da parte di chi?

r - (Aniello) Non saprei dirlo, però a volte trovare una “presenza” negli uffici, o altrove, è molto complesso. E’ difficile arrivare a una soluzione seduti a un tavolo; ogni volta è necessario fare più incontri, più sedute, e quindi l’imprenditore o l’associazione di turno si stanca. A quel punto, o fa le cose alla carlona, tanto per farle, o rinuncia del tutto.

d - Il dibattito è anche un po’ questo: da sempre esiste il ritornello “A Potenza non c’è mai niente”; ma ci sono quelli che invece sostengono che nel Capoluogo le iniziative non mancano. I vostri 7.500 iscritti lo testimonierebbero. Insomma, Potenza è “viva” o no?

r - (Aniello) E’ “viva”, eccome. Anche se fanno di tutto per farci “morire” , in senso lato...

(Maurizio) ...per farti gettare la spugna, per farti perdere gli stimoli a promuovere qualcosa di diverso nella città, ma che altrove vedi dappertutto. Nelle nostre “one night” mensili ospitavamo anche DJ dall’estero. Il punto è: perché ciò deve accadere solo in altre città e non anche a Potenza?

d - Voi dite: “Ci vogliono far gettare la spugna”; ma cosa significa: c’è una volontà precisa o si tratta solo di “inedia”?

r - (Aniello) Non è una volontà. Semplicemente, vedo e noto che gli eventi ci sono (dal teatro alle mostre di pittura); tuttavia, rendendo le cose difficili per il popolo che magari ama la musica live o la discoteca, così come per l’intenditore d’arte, si rende la città meno vivibile rispetto ad altre realtà. Bisognerebbe essere un po’ più aperti mentalmente, tutto qui. Proprio il detto “A Potenza non c’è mai niente”, spinge la gente a non seguire più le cose.

d - E’ un cane che si morde la coda: meno le cose si fanno e meno si ha voglia di farle.

r - (Aniello) Proprio così. Aggiungerei: “E meno si ha la voglia di seguirle”. In questo momento, se la nostra e le diverse altre realtà ottengono seguito, l’organizzatore (pubblico o privato) è più invogliato a creare delle situazioni.

d - Pertanto, il messaggio rivolto, non so, a sindaco o governatore, quale potrebbe essere?

r - (Aniello) Dare più spazio ai giovani, consentendo loro di organizzare cose...

(Maurizio) E ci vuole più tolleranza. Specie se pensiamo che ci sono tanti spazi vuoti abbandonati.

(Aniello) L’esempio più eclatante è proprio il fiume.

d - Altra questione assai dibattuta: esiste collaborazione tra le varie associazioni?

r - (Maurizio). Esiste, abbiamo fatto alcune cose, ma poi arriva puntualmente il momento in cui c’è chi vuole avere sempre l’ultima parola o vuole essere predominante.

(Aniello) Il mondo delle associazioni ha voglia di fare, ma -come dicevo prima- se troppo vuoi, non te lo permettono. Noi abbiamo collaborato con altre associazioni, che da anni si sbattono come noi, per fare delle lezioni musicali nei centri estivi, alla “Torraca”, alla “La Vista” etc.

d - So che questo sabato (oggi, per chi legge), c’è un evento importante.

r - (Maurizio) Al “Basilikos” ospiteremo Sara Bluma, una famosa DJ internazionale, “resident” di uno dei più importanti club romani, che a sua volta ha sedi distaccate anche in Costa Smeralda e a Mykonos.

(Aniello) Noi le faremo da spalla e dobbiamo dire “grazie” all’organizzazione di un privato, che condivide con noi questa passione da anni, Mladen Lazic, figlio di Ranko, noto allenatore di calcio.

d - Ritenete che l’abbinamento che alcuni fanno, “musica elettronica = rave”, in qualche modo vi danneggi? O voi non c’entrate nulla con quel mondo?

r - (Maurizio) Non c’entriamo assolutamente nulla. I rave sono fatti in posti illegali, invece la musica elettronica che proponiamo noi si basa sulla “club culture”, ovvero la cultura del club, quello legale.

d - Esiste un brano, nel vostro genere, che si adatterebbe a titolare la situazione attuale della Basilicata?

r - (Maurizio) Difficile individuarne uno, considerato il nostro bagaglio di conoscenze.

(Aniello) ...anche perchè la Basilicata è in constante evoluzione. Non so se più nel bene o più nel male. Forse un po’ più nel male.

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di Walter De Stradis

 

 

 

Forse, più che un giornalista, per descrivere la bellezza sfolgorante del contesto, ovvero la Sellata, ci sarebbe voluto un poeta (ma bisognerà accontentarsi). E’ infatti in quella splendida e coloratissima cornice, che abbiamo incontrato -al Parco Ricevimenti Hotel Pierfaone (di cui è direttore)- il presidente dell’Associazione Cuochi Potentini, Donato Pessolani.

d - Presidente, la sua associazione esiste addirittura dal 1975.

Sì, l’anno che viene compieremo cinquant’anni. Rappresenta tutti gli associati sul territorio, tantissimi colleghi professionisti che ne fanno parte da tanto tempo, ma anche molti allievi, ai quali si cerca di trasmettere i valori della professione del cuoco.

d - Però l’associazione è aperta, mi pare di capire, anche agli amatoriali, agli appassionati di cucina.

r - Esattamente, vi partecipano anche amatori e tutti coloro che si vogliono avviare al mondo della cucina e delle ristorazione. L’associazione nasce preminentemente per rappresentare la nostra professione, con particolare riferimento alla trasformazione dei prodotti del territorio. Noi siamo paladini, portiamo la Basilicata fuori dai confini, attraverso i prodotti che ci offre.

d - Mediaticamente parlando, questo è un momento in cui la cucina, i cuochi, gli chef, hanno grande visibilità; sono dappertutto, disseminati in moltissimi programmi televisivi. Il messaggio che arriva ai telespettatori è sempre quello giusto?

r - Occorre distinguere. E’ vero, oggi la televisione ci offre una grande vetrina e il cuoco non è visto più soltanto come uno “spadellatore”, trattandosi invece di un uomo di cultura che trasforma i prodotti in un certo modo, rispettando il territorio e gli abbinamenti utili a un’alimentazione più corretta. Pensi alla citatissima “dieta mediterranea”, che ben rappresenta ciò che facciamo noi. Però, come dicevo, bisogna distinguere lo “show” che appare in tv, dal mestiere vero e proprio, che rimane dietro le quinte, ove c’è tutta una conoscenza, un sacrificio, una dedizione, impiegati affinché i clienti si sentano bene. Tra l’altro noi lucani siamo ottimamente rappresentati in Federazione nazionale, in virtù della presidenza di Rocco Pozzulo, fattore che contribuisce alla visibilità del cuoco lucano a ogni livello.

d - Ambasciatori dei sapori lucani, ma -abbiamo detto- anche dei valori. In che modo?

r - Abbiamo cucinato in vari posti del mondo, Brasile, Francia, la settimana prossima saremo a Tirana. Il punto è far conoscere il nostro prodotto in modo tale che anche all’estero noi si venga riconosciuti come terra di coltivazione: abbiamo il peperone di Senise, il canestrato di Moliterno, il formaggio podolico, i fagioli di Sarconi. Ci sono poi gli abbinamenti coi vini dell’Aglianico e le trasformazioni che proiettano all’esterno l’immagine di una Basilicata che ESISTE e che è foriera di grandi prodotti.

d - Ma c’è un minimo comune denominatore, fra tutti questi prodotti, che differenzia la cucina lucana da tutte le altre?

r - Credo che la nostra differenza risieda in una cucina, tra virgolette, povera. La patata rossa di collina, assieme al peperone, per i nostri contadini rappresentava il cibo da portare in campagna quando si andava a lavorare. Pensi al nostro strascinato, con peperoni cruschi e mollica di pane: nasceva da un grano di grande qualità, quello del senatore Cappelli e poi, il pane che avanzava, sbriciolato, con un po’ di olio extravergine, magari di Ferrandina, andava a comporre, assieme a una sbriciolata di peperoni, un “piatto povero”, ma saporito e consistente.

d - A proposito di “povertà”, la vostra associazione è stata spesso protagonista di “pranzi sociali”, come “U muzz’c d San Gerard”, tenutosi qualche giorno fa.

r - Per noi, essere a disposizione anche di chi non può avere un pranzo fatto per bene la domenica, è fondamentale. Prima di Natale ripeteremo un’esperienza simile all’Hospice. Si cerca di lenire un po’ di sofferenza per queste persone, facendole sentire bene a tavola, all’interno di una giornata diversa dal solito.

d - Questi pranzi solidali che immagine vi restituiscono a proposito della povertà nel capoluogo?

r - Il problema c’è dappertutto. Noi giriamo un po’ tutte le regioni d’Italia e a Potenza, come in tutte le città, ci sono persone che hanno bisogno di essere aiutate, accolte, integrate. Noi, come associazione, ci occupiamo del lato cibo, ma poi avremmo bisogno di tante altre realtà -e anche forse della politica- affinché queste persone possano essere accolte in maniera dignitosa. L’altro giorno, in occasione del “Muzz’c”, è stato bellissimo: c’eravamo noi, il vescovo, il sindaco, l’assessore Mongiello. Tutti insieme, disponibili a far vivere questa bella giornata. Serviamo un po’ tutti, ecco.

d - Come associazione avete qualcosa da chiedere alla politica?

r - La ringraziamo, la politica, perché -per quel che ci riguarda- sono sempre molto disponibili. Non è una risposta di facciata: ovunque siamo andati, abbiamo chiesto il loro sostegno, e sono sempre al nostro fianco. Credono nei cuochi e nel fatto che possiamo esportare la conoscenza della Basilicata. Guardate che il nostro lavoro, oltre a quello di cucinare bene, è anche quello di far conoscere la regione!

d - Ai clienti lo raccontate, anche, il piatto?

r - Assolutamente sì. Spieghiamo come viene fatto il prodotto a chilometro zero, come si tratta, come si cucina, come si conserva...Il connubio politica e associazioni è molto importante perché la Basilicata, ahimè, non proprio è riconosciuta in tutti modi. E quindi, serviamo anche noi, ma abbiamo bisogno di aiuto. Ma sono convinto che riusciremo tutti in questo intento.

d - Ma il cliente vi chiede anche le “storie”, quelle di una volta, che ci sono dietro i piatti e le ricette?

r - Il cliente è MOLTO interessato a questo. Attenzione: fra vent’anni, i nostri figli e nipoti non sapranno più cos’è la pasta di casa, come si fa il maiale, come si prepara la salsiccia e si conserva la sugna. I clienti chiedono e noi ci stiamo applicando per far sì che le nostre tradizioni siano portate nel tempo.

d - Le faccio una provocazione: visto che ne siamo circondati, è immaginabile, in futuro, anche la nascita di un qualche “All you can eat” di cucina lucana?

r - Non giudichiamo mai il lavoro che fanno gli altri, ma la nostra non può diventare una cucina di massa. La nostra cucina va ricercata, vissuta, gustata. D’altronde, in questa Basilicata che propone un turismo all’insegna della vita “lenta”, della natura, della passeggiata, noi abbiamo bisogno di gustarli, i nostri piatti. Non si può massificare. Il prodotto di nicchia non lo trovi tanto facilmente, va ricercato e poi venduto, o servito, con una certa esperienza e qualità.

d - Due parole sulla location. Lei stesso ha denunciato, sulle nostre pagine, che non sempre la Sellata si è fatta trovare pronta all’appuntamento coi turisti che vogliono praticare sci da queste parti. Siamo alla vigilia della stagione: com’è la situazione?

r - Sembra che gli impianti si apriranno, sempre che arrivi la neve. Vorrei fare una premessa: oggi la montagna non è solo sci, l’impianto deve girare 365 giorni all’anno, perché la zona va vissuta in tutte le sue sfaccettature. Oggi, come può ben vedere, è una giornata fantastica d’autunno, da vivere con delle passeggiate. E qui serve la politica. Occorre dare una “accoglienza certa”, che si verifica se l’impianto gira tutti i giorni. Da parte nostra, stiamo cercando di dar vita a un consorzio, un’associazione di imprese, sia con Viggiano sia con Lauria, poiché la seggiovia è la montagna, non è solo “sci”, ma tutto un insieme. E la politica, così come sostiene i costi di un pullman che fa la tratta Abriola-Potenza, o Calvello-Potenza, dovrebbe sostenere i costi di un impianto che gira tutti i giorni e fa vivere la montagna. Altrimenti, diventa faticoso aprire “all’occorrenza”: non è un lavoro che si può fare “a bottone”. La politica DEVE sapere che in un contesto professionale, in presenza di questa offerta ricettiva a 360 gradi, i servizi servono tutti i giorni. La montagna va passeggiata, va vissuta. Qui abbiamo un clima pazzesco, fantastico, da vivere all’insegna della salute e del benessere, visto anche lo stress che c’è nelle città.

d - Mentre parliamo (è mercoledì – ndr), alla radio discutono della vittoria di Trump alle presidenziali USA. Cosa gli cucinerebbe, se fosse invitato alla casa Bianca, e perché?

r - In linea con quanto ho detto finora, userei il peperone crusco di Senise, il nostro pane, e la farina del grano senatore Cappelli. Gli cucinerei gli strascinati, che sono la nostra tradizione: olio extravergine, molliche di pane preparate a parte e aromatizzate; saltiamo tutto in padella, e aggiungiamo il cacioricotta nostrano. Secondo me, si farebbe bella figura. E Trump sarebbe ben contento.

 

 

 

 

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Maglia nera alla Basilicata per presenza femminile nei Consigli di amministrazione. Il dato emerge da un’indagine di Manageritalia, che posiziona la regione all’ultimo posto nella classifica italiana con appena il 16,6 per cento di donne nominate nei Cda aziendali.

“Il punto – commenta la consigliera regionale di parità, Ivana Pipponzi – non è la mancanza di professioniste con titoli e competenze adeguate a ricoprire posizioni di vertice”.

Nel 2023 la Basilicata è stata una delle 13 Regioni ad aderire a “Woman on board 2023”, un progetto che ha fornito, principalmente alle donne, gli strumenti necessari per occupare ruoli di responsabilità nelle aziende e nelle società pubbliche e private.

“La formazione universitaria e gli stessi master post laurea non bastano più” – aggiunge Pipponzi. “Oggi conta moltissimo la formazione continua, l’essere continuamente aggiornati. Le donne lucane, avvocate, commercialiste, consulenti del lavoro, hanno colto l’opportunità offerta da “Woman on board 2023”. Alla fine del percorso formativo, è stata creata una short list a disposizione delle società che ricercano talenti per le posizioni apicali. Un elenco, consultabile sul sito del mio ufficio, dal quale le aziende della regione possono attingere per inserire manager donne nei propri Cda”.

La differenza tra uomini e donne in termini di opportunità, accesso, diritti, status è evidente nelle aziende. Eppure è dimostrato che le imprese che investono sulle donne crescono di più e sono più competitive. “Le donne – sostiene ancora la consigliera di parità – hanno visione, prospettive e competenze diverse da quelle degli uomini, portando così a decisioni più informate e migliori. La legge determina i casi nei quali è un obbligo il rispetto della quota di genere per i Consigli di amministrazione. E’ auspicabile, invece, che ci sia una maggiore apertura alle donne manager anche nei cda anche dove tale opzione è discrezionale. Sarebbe una scelta importante e antidiscriminatoria, un passo in avanti verso una maggiore uguaglianza di genere e fonte di progresso per le aziende stesse”.

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Con un timbro vocale pacato e una leggera inflessione pugliese (è originario di Molfetta), da pochi giorni l’ingegner Domenico De Pinto è il nuovo Comandante Provinciale dei Vigili del Fuoco di Potenza. Nella sua carriera, ha ricoperto importanti ruoli tecnici e operativi, partecipando alle attività di soccorso in occasione di diversi eventi sismici di rilevanza nazionale, tra cui il terremoto delle Marche nel 1997, dell’Aquila nel 2009 e dell’Emilia Romagna nel 2012

d - Comandante, lei viene qui a Potenza a ricoprire un ruolo molto importante, che nello scorso anno e mezzo è stato ricoperto -ad interim- dallo stesso direttore regionale.

r - Sì, il posto era rimasto vacante, ma in quel periodo è stato ricoperto egregiamente da Vincenzo Ciani, che ha una grandissima esperienza di comando, oltre che di direttore. Grazie a lui, quindi, il Comando non ha subito alcun contraccolpo e tutti i servizi sono andati perfettamente in linea. Tuttavia, va da sé che in ogni Comando provinciale ci vuole una figura di Comandante, con la sua presenza fissa, continua, e i suoi rapporti con le istituzioni locali e soprattutto con il personale: quest’ultimo ha bisogno di vedere la figura di riferimento, che è appunto il Comandante.

d - Trattasi di una figura operativa che...

r - ...è una figura assolutamente operativa. Nella mia carriera ultra-trentennale ho partecipato a numerosissimi interventi di soccorso, anche a livello di calamità nazionale.

d - E adesso si ritrova qui a Potenza, territorio sismico.

r -E’ così. So anche che è in fase di conclusione un piano di emergenza provinciale, nel quale un eventuale sisma rientra tra gli eventi presi in considerazione.

d - Lei è pugliese, quindi un nostro vicino: quali sono le caratteristiche della nostra provincia da attenzionare maggiormente?

r -Mi sono insediato da una settimana e ho bisogno di studiare bene il territorio. Il mio ultimo comando è stato a Foggia, un territorio molto differente; oltre a Foggia stessa, che conta 160mila abitanti, sono presenti tre grandi centri urbani (Cerignola, San Severo e Manfredonia), che insieme ne contano almeno altri 160mila. Per non parlare di una lunga superficie costiera, delle isole Tremiti, del Parco del Gargano e del Subappennino Dauno, che è poi quello che più si avvicina al territorio della provincia di Potenza. Quest’ultima, invece, consta di molti più comuni, più piccoli, su cui si riversano problematiche diverse.

d - A cominciare dai collegamenti.

r -Sì, ho visto: in alcuni casi per raggiungere un posto ci si impiega anche due ore, due ore e mezza. Fortunatamente, Potenza è anche baricentrica rispetto all’estensione della provincia. Tuttavia devo dire che i nostri distaccamenti coprono perfettamente il territorio. Abbiamo una copertura a Nord e un’altra a Sud, alle quali poi sia aggiungono anche due distaccamenti volontari, che per me sono una parziale novità. A Milano, dove ho lavorato, c’erano, ma a Foggia e Barletta no.

d - Interessante. Ci spiega meglio di cosa si tratta?

r -I distaccamenti volontari sono formati da persone che non sono vigili del fuoco permanenti (assunti per concorso); fanno un altro lavoro, ma “a chiamata” raggiungono il distaccamento, si tolgono il cappello da operaio o da professionista, e diventano vigili del fuoco a tutti gli effetti. I due nostri distaccamenti sono a Terranova di Pollino e a San Chirico Raparo. Sono molto operativi e noi facciamo grande affidamento su di essi.

d - Diceva, quindi, che questa cosa non è presente ovunque.

r -No. Cioè, al Nord è quasi normale avere distaccamenti volontari (Torino ne ha una quarantina), che vanno avanti anche per tradizione familiare (con passaggi di testimone tra padre e figlio) e includono anche imprenditori che -come in Brianza- proteggono le numerose strutture presenti, attivando una sorta di auto-tutela (anche se, come vigili del fuoco, ci sono anche per tutto il resto e costituiscono un rafforzamento degli strumenti dello Stato).

d - Come si diventa vigile del fuoco volontario?

r -Di solito l’iniziativa parte dal Sindaco. Nel fare richiesta, questi mette a disposizione una struttura (un “piccolo comando”, che deve essere vagliato da noi, con camerate, bagni, autorimesse, etc.); dopodichè emette un bando, a cui possono partecipare anche i residenti delle città limitrofe. Dopo alcune visite mediche predisposte da noi, superate queste, i vincitori del bando partecipano a un nostro corso, di 120 ore; a quel punto mandiamo tutto l’incartamento al Ministero per l’iscrizione nei quadri volontari dei Vigili del Fuoco. E’ quindi una procedura abbastanza lunga, non è una cosa semplice, ma se c’è la volontà, si fa.

d - Lei ha già incontrato il Prefetto. Cosa si aspetta dalle altre istituzioni?

r -Nulla, perché ho già trovato totale disponibilità. La necessaria collaborazione inter-istituzionale già c’è, quindi non devo fare altro che continuare su questa linea.

d - Cosa chiede invece al cittadino?

r -Non vorrei utilizzare delle frasi fatte, parlando di “coscienza civica”, ma da quel che ho capito, qui già c’è.

d - Però, in base alla sua esperienza, quanti incendi, quante calamità dipendono dal comportamento o dalla negligenza umana?

r -Se pensiamo agli incidenti stradali, agli incendi boschivi etc. direi che un 50% è dovuto a un errore umano, a una negligenza, a un atto, anche non doloso. Ma noi ci siamo anche per questo.

d - Che impressione le ha fatto la città di Potenza?

r -Bellissima.

d - Addirittura.

r -Non è per piaggeria. Potenza non la conoscevo, né il suo territorio. Sono arrivato non sapendo cosa mi aspettasse, sia dal punto di vista del Comando sia dal punto di vista del territorio. Son quindi “salito” -dico bene?- un paio di volte in città...

d - Sì, da noi si dice proprio “salire”, perché il Centro è in alto.

r -Invece Foggia, da dove provengo, è completamente piatta, e io a volte mi muovevo addirittura in bicicletta. Qui ho verificato che forse l’unica difficoltà è “salire” e trovare parcheggio. Però il centro storico...c’è una bella piazza, ci ho passeggiato, c’è bella gente, ci siamo fermati a prendere un bel caffè in un bel bar...

d - Si è sentito a suo agio.

r -Mi ha tolto le parole di bocca, ma mi sono sentito subito a mio agio anche qui al Comando.

d - Ecco, che tipo di situazione ha trovato? E’ soddisfatto del numero di mezzi e di personale?

r -Ho avuto già una prima impressione quando, saputa la mia destinazione, sono venuto a trovare il direttore Ciani (che è stato il mio comandante a Foggia e col quale c’è un grande rapporto di intesa); ho attraversato il piazzale, e ho sgranato gli occhi. Ho visto dei mezzi, nuovi, tenuti in efficienza, puliti, pieni di attrezzature. E li guardavo con un po’ di invidia, perché in quel momento ero ancora in servizio a Foggia. (sorride)

d - Beh, allora, qui a Potenza, una volta tanto, possiamo dare i punti agli altri.

r -Assolutamente sì. E considerate che io ho fatto anche il reggente vicario del Comando di Bari per sei mesi: ovviamente quella struttura ha un’altra grandezza, ma Potenza, in quanto a mezzi, non ha nulla da inviare a nessuno.

d - Vorrei chiudere con una riflessione. A microfoni spenti abbiamo fatto cenno ai due vigili del fuoco di Matera morti questa estate nell’adempimento del loro dovere, e lei mi ha detto che, poco prima di trasferirsi qui, un suo capo-reparto di Foggia aveva perso la vita. Che tipo di riflessioni nascono in un vigile del fuoco quando succedono queste cose?

r - (Silenzio) Guardi, avevo i brividi mentre mi faceva questa domanda. Non è una frase fatta: i vigili del fuoco sono una famiglia. Noi abbiamo una famiglia di sangue (genitori, figli, nipoti) e poi quella dei Vigili del Fuoco. Lavoriamo in turni da 12 ore, siamo sempre insieme, lavoriamo in squadra, perché da soli non siamo nessuno. Si forma quindi un legame affettivo, magari si litiga anche, ma poi si torna come prima: si mangia insieme, si riposa insieme, si festeggia insieme e soprattutto si lavora insieme. E in team lavoriamo guardandoci negli occhi. Quando si perde un collega, si perde un familiare. Nel mio caso, quel collega lo conoscevo praticamente da vent’anni. E l’avevo incontrato due giorni prima dell’evento: c’era stata una bomba d’acqua, lui tornava da un intervento di soccorso ed è stato sommerso dalla piena di un canalone. La sua famiglia adesso è diventata anche la mia.

d - Oltre al dolore personale, in questi quasi c’è magari anche, non so, un rammarico?...Vi sentite tutelati sul lavoro?

r -Noi siamo SEMPRE tutelati sul lavoro. Per salvare gli altri, per tutti gli interventi di soccorso, noi operiamo sempre con tutti gli accorgimenti. Se il soccorritore non opera in sicurezza, mette a rischio se stesso e gli altri. Ci sentiamo assolutamente tutelati, abbiamo mezzi e procedure all’avanguardia. Ovviamente, ci sono degli eventi imprevedibili: un’onda di piena non te l’aspetti, il vento che cambia direzione mentre sei nel fuoco e ti intrappola, non lo puoi prevedere. Ma c’è sempre un lavoro di squadra e un’attenzione altissima, che garantiamo sempre.

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di Walter De Stradis

N

onostante avesse 102 anni di età, la notizia della scomparsa di Padre Vitale Dartizio ha colpito la città Capoluogo come il proverbiale fulmine a ciel sereno. Quando lo intervistammo “a pranzo” (solo simbolico, a causa della pandemia), nell’aprile del 2020 (in occasione del suo 98esimo compleanno), su queste pagine lo definimmo un “Inno alla Gioia che cammina su due gambe”. Oggi, nel refettorio di quello stesso convento dei frati minori sito nel rione Santa Maria a Potenza (ove il francescano era stato parroco, per poi tornarci a vivere negli ultimi dieci anni), abbiamo voluto incontrare un suo confratello, il vicario parrocchiale Frate Antonio Monaco -un “giovane” barbuto di cinquant’anni- che si è particolarmente distinto nel cercare di portare avanti quella “fiaccola”, anche attraverso un mezzo di comunicazione che Padre Vitale prediligeva: la radio.

d - Frà Antonio, proprio nello spirito di Padre Vitale, che per tanti anni è stato anche speaker radiofonico coi suoi programmi religiosi, lei conduce dagli studi di “Radio Cantiere”, che si trovano qui in parrocchia, un programma con ospiti, assieme al cantante e poeta Vito Viglioglia.

r - Si tratta di una radio che vuole innanzitutto propugnare i valori cristiani; poi, dal canto mio, seguendo i dettami di San Francesco, cerco di seguire la “via della Bellezza”, tragitto sul quale si incontra Dio. E lo facciamo senza parlare di Fede in modo diretto, ma attraverso gli incontri, soprattutto, con personaggi del mondo musicale e artistico. Abbiamo infatti ospitato musicisti come Graziano Accinni, Danilo Vignola, Antonio Nicola Bruno e il poeta Domenico Brancucci.

d - Lei è infatti appassionato di musica.

r - Sì, mi sono anche cimentato nel songwriting, con alcuni cantautori del napoletano, e ho avuto modo di seguire per due anni un laboratorio di scrittura con Gnut. Il mio genere d’elezione è il country, ma nell’esperienza diretta mi rifaccio al cantautorato italiano, seppur con quel tipo di venature.

d - Dunque non c’è il rischio che i confratelli qui in convento le chiedano di abbassare il volume dello stereo!

r - (Sorride) No, no, io ascolto di tutto. E poi nella buona tradizione conventuale usiamo le cuffie! (risate)

d - Quella di Radio Cantiere è la sua prima esperienza?

r - No, ne ho fatta un’altra, quando vivevo in Campania, nell’ambito della “Gioventù Francescana”. Il programma, assai legato al mondo giovanile, si chiamava “Parlami d’amore”, e io curavo una rubrica musicale. In ogni puntata commentavo un brano di un cantautore. Si trattava anche in questo caso di una web radio.

d - Torniamo a Padre Vitale, col quale lei ha convissuto fianco a fianco qui in convento negli ultimi due anni, e che lascia un grande vuoto in questa città. Aveva 102 anni: è stato lucido fino all’ultimo?

r - Certamente. Poche ore prima di avere il malore, era come sempre lì al telefono, a chiamare gente. Pensi che solo qualche settimana prima aveva portato un gruppetto di persone in pellegrinaggio a Monte Carmine; a maggio, quasi senza dirci nulla, aveva organizzato praticamente da solo un altro pellegrinaggio, a Pompei. Era una figura davvero energica.

d - Celebrava ancora la messa?

r - Certo. Qui a Santa Maria, per via della struttura, concelebrava, ma a contrada Dragonara, nella rettoria del Divino Amore, celebrava ogni domenica, fino all’ultima, prima di avere il malore.

d - Si sentiva tranquillo negli ultimi tempi?

r - Sì, l’unica cosa che diceva -e noi un po’ sorridevamo- era che iniziava a sentire “il peso degli anni” (sorriso generale). Tuttavia continuava a progettare nuovi pellegrinaggi...

d - Ma secondo lei qual era “il segreto” di Padre Vitale? Non so, mangiava poco...

r - No, mangiava come tutti e non aveva nessun segreto particolare. Per come l’ho vissuto io, se dovessi definirlo con alcune parole, direi “Tra tenacia e testardaggine”. Era molto ostinato nelle sue cose e forse era questo il suo segreto. In aggiunta, era un grande ottimista. Una delle sue parole ricorrenti era “futuro”. Aveva sempre questa proiezione. E in una persona di 102 anni, certo faceva riflettere. Era molto attento alle notizie di cronaca e seguiva con molta passionalità tutte le situazioni di conflitto nel mondo; e quando leggeva di un qualche spiraglio di pace, lui subito esultava, come se la guerra fosse già finita. Le cose andavano poi diversamente, come sappiamo, ma lui non smetteva mai di sperare.

d - Lei ha praticamente già anticipato la mia prossima domanda: qual è il più grande insegnamento che le ha lasciato e in che modo lei cercherà di darvi seguito?

r - Portando avanti proprio questo senso di speranza, molto forte. Quando Padre Vitale incontrava qualche giovane gli diceva sempre di andare avanti, di guardare verso il futuro. E poi, nel mio piccolo, come mi ha fatto notare lei (io non ci avevo mai fatto caso!), continuare in questo discorso della radio, raccogliere questa fiaccola e portarla...

d -...nel futuro.

r - Esatto!

d - Tantissimi sono stati i messaggi di cordoglio, sia da parte dei cittadini sia da parte delle istituzioni. Ce n’è stato uno che lei ritiene particolarmente significativo?

r - Più che una frase (in un momento del genere, come sa, le parole sono tante), mi è rimasto impresso un episodio, che più che altro mi ha fatto sorridere. L’altra sera una signora è venuta a pregare davanti al feretro e a un certo punto ha esclamato: «Ah, non ha neanche una ruga!». Questa cosa mi ha divertito, perché è sintomatica dell’impressione di “eternità” che Padre Vitale trasmetteva: molte persone non avevano cognizione di avere di fronte un uomo di 102 anni. Se proprio devo citare una frase, durante le esequie, il Generale dell’Ordine dei frati minori, nel suo messaggio ha ricordato con parole anche divertenti la tenacia di Padre Vitale. Il nostro Provinciale, infatti, a un certo punto -vista l’età- gli aveva chiesto di riconsegnare la patente di guida, e lui a sua volta aveva scritto al Generale, per poter continuare! Ma poi, piano piano, Padre Vitale ha compreso che la guida gli costava fatica e ha accettato serenamente. Mi colpiva davvero, questa sua tenacia.

d - Tornando alla musica, qui in parrocchia, questa estate avete ospitato un evento, “Note di Pace”, che ha visto protagonisti molti importanti artisti lucani e che ha avuto anche un piccolo “riconoscimento”.

r - Lo scopo dell’evento era una raccolta fondi da donare alla popolazione di Gaza, in cui è presente una piccola comunità cristiana. All’inizio, in realtà, dovevamo devolvere soltanto a questi ultimi, ma poi abbiamo deciso di allargare. Abbiamo raccolto una somma non grandissima, ma quei 600 euro ho avuto la possibilità di consegnarli direttamente nelle mani del Patriarca di Gerusalemme, Sua Beatitudine Pizzaballa (che era venuto nella nostra provincia religiosa, a Cava De’ Tirreni, per ordinare quattro frati che sono diventati sacerdoti). In risposta, lui ci ha inviato un ringraziamento formale. “Note di Pace” l’ho organizzata insieme a Vito Viglioglia dei Meteopanik e al presidente dell’associazione “Il Cantiere”, Franco Mastrangelo (che gestisce anche la radio) e stiamo riflettendo sul ripetere questa esperienza, perché è stato anche un momento di riflessione sulla musica lucana, che è così poco conosciuta. In ogni caso, le attività del “Cantiere” continueranno, e ci sono dei progetti che vorremmo inserire nell’ambito di “Potenza Città dei Giovani”...

d - Ma Potenza, secondo lei, è davvero “a misura di giovani”?

r - (Sorride) Secondo me “potrebbe”. Ci sono molti spazi vuoti che potrebbero essere utilizzati per i giovani (in ambito artistico o sportivo), tipo lo slargo a via Mazzini, sovrastante le scale mobili.

d - Un messaggio, un consiglio al sindaco Telesca?

r - Gli chiederei, da vero potentino (fino ai 24 anni ho vissuto sempre qui), di valorizzare una città che ha tante potenzialità, e che deve riscoprire. Gli direi di guardare lontano, non soltanto alle urgenze, ma sopratutto alle possibilità.

 

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di Walter De Stradis

 

 

 

 

E’ curioso che proprio il nome legato al re dei vampiri possa presto trasformarsi in un portatore di linfa vitale (leggi economia e turismo) per Acerenza e il resto della Basilicata. Perlomeno, è ciò che si augura la famiglia Glinni, originaria del comune lucano, che da una quindicina di giorni ospita nel proprio palazzo un museo dedicato al Dracula storico, ovvero Vlad Tepes, “L’Impalatore”.

La vicenda in cui si snoda il legame tra il voivoda della Valacchia e la città acheruntina, così come ricostruita dai Glinni (e da altri studiosi), è sicuramente accattivante e dall’indubbio potenziale. Noi ce la siamo fatta spiegare da Carlo Francesco Glinni, noto legale lucano, che ha presieduto all’inaugurazione del museo, svoltasi il 15 giugno scorso con tanto di autorità rumene. L’occasione si è rivelata ghiotta per disquisire, tra il serio e il faceto, anche di "nobiltà" e potere in Basilicata.

d - Avvocato non tutti hanno un palazzo nobiliare, nel proprio paese di origine, in questo caso Acerenza. Il palazzo Glinni, alcuni giorni fa, è stato riaperto al pubblico dopo molto tempo, con una novità al suo interno: il museo di Dracula. Potrebbe trattarsi di una nuova risorsa per il turismo lucano, ma partiamo dal suo, di lignaggio.

r - La mia famiglia ha origini irlandesi, e infatti “Glinni” non è il vero cognome, Quello originario sarebbe “O’ Connor”. La mia famiglia è arrivata qui nel 1640, a seguito della guerra che gli Irlandesi persero contro gli Inglesi, Fu fatta salva la vita ai nobili e questi ultimi furono smistati, in Italia e altrove, dal Papa. Ai “Glinni” fu dunque deciso di dare questi territori, che si estendevano da Acerenza fino a Gioia del Colle (non è un caso che in entrambi i paesi ci siano piazza e via che portano il nostro nome). Una volta in paese, ai miei avi -che parlavano gaelico, irlandese- la gente locale chiese il nome, non la provenienza, ma avendo capito il contrario, loro risposero “From the Glynn” (ovvero “proveniamo dalla Contea di Glynn”). Da lì, rimase il cognome “Glinni”. Tutto ciò accadde circa 150 anni dopo le vicende di Vlad Tepes “Dracula” e di Maria Balsa.

d - Su Dracula torniamo tra un attimo. Cosa significa, in Basilicata, avere alle spalle un cognome e un casato così importante? Si è avvantaggiati nella vita?

r - No, nella maniera più assoluta. Io sono un avvocato, che circa venticinque anni fa ha creato uno studio associato, e non ho mai ricevuto alcunché. Ma questo accade anche per il mio carattere. Tutto ciò che io e i miei fratelli abbiamo realizzato, o meno, dipende esclusivamente da noi stessi. Ovvio è che c’è un riconoscimento nelle nostre terre, specie ad Acerenza, ove ricordano ancora la figura di mio padre, che negli anni 60/70 -epoca Colombo- contribuì alla realizzazione delle grandi opere in Basilicata; così come magari ricordano ancora mio nonno Domenico.

d - Però queste sono anche responsabilità.

r - Sì, lo sono, anzi, per me è quasi un pegno rimanere una persona leale e onesta al pari dei miei avi. E nella società di oggi, essere una persona perbene, è un compito gravoso.

d - Veniamo al museo di Dracula, da poco allestito nel suo palazzo. Era pure lui una persona perbene?

r - Bisogna distinguere la figura storica di Vlad Tepes, dal personaggio fittizio creato da Bram Stoker. Quest’ultimo scrisse un romanzo, raccontando di questo succhia-sangue...

d - A cui “appioppò”, sostanzialmente, il nome con cui era conosciuto Vlad Tepes.

r - Esatto, ma Vlad Tepes era in realtà tutt’altro, un difensore della Cristianità, un Cavaliere del Drago (da cui, per tutta una serie di passaggi, deriva il nome “Dracula” - ndr), né più, né meno che un prosecutore dei Cavalieri Templari. Difendeva il mondo cristiano dagli Ottomani, dai Turchi, dagli Arabi...un po’ come avviene oggi: il mondo arabo preme sempre per “invadere”, in qualche modo, l’Occidente. Oggi ci sono i migranti, una volta c’erano veri e propri eserciti che sfondavano le frontiere.

d - Però Vlad li impalava, eh, non a caso lo chiamavano “Vlad l’Impalatore”.

r - Guardi, io -che ho studio a Bucarest- ho assistito a un convegno che verteva proprio su questo tema, e dal quale è emerso, è stato accertato, che è impossibile che Vlad Tepes abbia impalato quel numero di Turchi che gli hanno attribuito.

d - Si parla di migliaia e migliaia.

r - Centinaia, di migliaia. In realtà, potrebbe essere che ne abbia impalato soltanto qualcuno, onde spaventare tutti gli altri e farli desistere dal proseguire la guerra. E probabilmente si trattava di Ottomani già morti in battaglia. Cinquecentomila Turchi impalati? Non è neanche tecnicamente possibile, considerato che per impalare un uomo occorrono chissà quante ore.

d - In Romania “Dracula” è un eroe nazionale, anzi, so che il romanzo, invece, viene visto con molta antipatia.

r - Si, pensi che quando è stata deposta la lapide di Vlad Tepes di fronte la cattedrale di Acerenza, un prete ortodosso recitò delle preghiere in cui c’era il suo nome. Non solo un eroe, quindi, ma un vero e proprio santo.

d - Benissimo, arriviamo, finalmente, alla domanda da un milione di dollari: cosa c’entra “Dracula” con Acerenza? Perché un museo proprio lì?

r - Perché ad Acerenza è seppellita la figlia di Vlad Tepes, Maria Balsa...Proprio perché era la figlia di Vlad Tepes (morto in battaglia), fu adottata da Ferdinando II di Napoli, e portata lì nientemeno che da Skanderberg. Se fosse stata una semplice orfana rumena, non avrebbe avuto tutti quegli onori. Successivamente, lei venne data in sposa a una delle persone più ricche di Napoli, il conte Ferrillo, duca di Muro Lucano e signore di Acerenza. Ne consegue che era sicuramente la figlia di Tepes. A riprova di questo, ci sono alcune circostanze singolari. Maria Balsa chiese al marito di ricostruire la cattedrale di Acerenza (distrutta da un terremoto), e in quell’occasione venne realizzata quella cripta particolare con gli affreschi del Todisco; questi ultimi, interpretati in maniera del tutto differente fino a poco tempo fa, sono stati completamente “riletti” da studiosi rumeni, secondo i quali invece narrano di questa principessa, figlia di Vlad Tepes etc. Successivamente, la figlia riscattò il corpo del padre, poi seppellito a Santa Maria La Nova a Napoli, ove ci sono simboli inequivocabili, legati alla famiglia di Vlad Tepes, ovvero il drago e la cometa di Halley. Ma le vicende sono tantissime, addirittura pare che lo stesso Gesualdo da Venosa -un tizio curioso, che si portava nei cimiteri- discendesse da Vlad Tepes, essendo il nipote di Maria Balsa. Mistero si aggiunge a mistero.

d - Ora che avete fatto questo primo allestimento...

r -...un primo allestimento, grazie alle donazioni arrivate dalla Romania, con un busto identico a quello di Santa Maria La Nova (una sorta di riconoscimento formale). E poi c’è un quadro di un artista rumeno molto importante, nonché tutta una serie di immagini che ripercorrono il percorso europeo di Vlad Tepes. Abbiamo intenzione di ampliarlo, nelle prossime settimane, con proiezioni multimediali e attività per famiglie, insomma, un vero e proprio attrattore.

d - Che sarà propriamente storico, o magari si richiamerà anche alla figura del Conte Dracula, il vampiro letterario e cinematografico?

r - Pensiamo di fare entrambe le cose: raccontare la vera storia di Vlad Tepes da un lato, e dall’altro l’aspetto più ludico dedicato al personaggio di Dracula. La Basilicata ha necessità di attrattori turistici: Acerenza è un paesino stupendo, ma a parte la Cattedrale...beh, anzi, c’è chi ha trovato “blasfemo” che il nostro museo fosse proprio lì di fronte, non conoscendo la storia che abbiamo raccontata finora.

d - E la politica, dal canto suo, l’ha capita questa iniziativa? Io ero presente all’inaugurazione, ma non mi pare di aver visto il sindaco.

r - In realtà abbiamo avuto il patrocinio della Regione e dell’Apt. La comunità di Acerenza, questa vicenda di Dracula, probabilmente non riesce a interpretarla nella giusta direzione. Eppure Acerenza è un paese che perde un abitante ogni tre giorni.

d - E’ questa la vera “emorragia”?

r - (ride). Esatto! Fra qualche anno non avremo più abitanti. Questo dunque è un vero investimento, da parte di un imprenditore (Palazzo Italia, nostro partner in questa operazione), ma che serve a creare un attrattore che dovrebbe ampliare il circuito turistico nella zona, aggiungendosi agli alpaca, alla cattedrale di Acerenza, alla diga, alle grotte di Pietragalla. Se in questi casi non si crea un “pacchetto”, diventa difficile. Tuttavia in Basilicata abbiamo visto decine di comunità risorte grazie al turismo (Castelmezzano, il ponte tibetano,, Sant’Angelo Le Fratte etc.).

d - Quindi Dracula dovrebbe essere portatore di linfa e non il contrario.

r - E’ il personaggio più cliccato del web. E sta per uscire una nuova, grande serie (incentrata su Vlad Tepes) -prodotta in Romania, ma in cui è presente anche Acerenza- che sarà presto su tutte le piattaforme.

d - Avvocato, esistono i vampiri in Basilicata?

r - Esistono, ma non sono quelli di Stoker. Diciamo che sono dei personaggi che vivono in alcuni palazzi. Si sono spostati, insomma, dai castelli ai palazzi del potere.

 

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di Walter De Stradis

N

ovemila “fascicoli” aziendali e quasi quindicimila soci, che vogliono «più realtà e incidenza» soprattutto rispetto alla burocrazia. Secondo il presidente di Coldiretti Basilicata, Antonio Pessolani (al suo secondo mandato), il contadino e l’imprenditore non capiscono il motivo per cui, per alcune cose -anche semplici- passano mesi e mesi, mentre le loro pratiche attraversano diverse “trafile”, non di rado giungendo a compimento «quando l’agricoltore ormai non ne ha più bisogno». A questi, insomma, interessa che aprendo il rubinetto fuoriesca acqua: «come e perché questo avvenga poco gli interessa, perché lui è resiliente e vuole produrre, a favore della comunità. E questo è un atto di generosità in sè».

d - Presidente, come giustifica la sua esistenza? Facciamo un piccolo “riassunto delle puntate precedenti”.

r - In realtà sono prestato all’agricoltura. Nasco come ingegnere, e per quindici anni ho svolto l’attività professionale. Tuttavia ho sentito “il richiamo della foresta”, essendoci in famiglia aziende agricole (formaggio podolico) che ho seguito e fatto crescere insieme ai miei genitori e fratelli. A un certo punto, mi ci sono dedicato in maniera esclusiva, e una volta aperta la partita Iva, per me è stato facile scegliere il sindacato, la Coldiretti è stata sempre nel mio cuore. In meno di un mese sono stato selezionato tra i possibili dirigenti, e -fedele al motto “se non ti rappresenti tu, lo farà qualcun altro”- mi ci sono buttato anima e corpo, con spirito di sacrificio.

d - Lei però ha operato anche in politica, è stato sindaco di Abriola...

r - Si, ho fatto politica locale per venticinque anni. Dal 2007 al 2012 sono stato sindaco del mio paese, ma sono stato anche vice presidente della comunità montana, senza contare la mia esperienza alla guida del Gal Basento Camastra (oggi “PerCorsi”), fra i cui progetti c’è stato anche il film “Basilicata Coast to Coast” con Rocco Papaleo...

d -...oggetto anche di tante polemiche...

r -...sì, le polemiche ci saranno sempre, ma da quel progetto, sono forse nate anche la Lucana Film Commission, nonché Matera Capitale della Cultura.

d - Sì, ma viste le polemiche sui “luoghi comuni” presenti nel film, se fosse stato lei il regista, cosa avrebbe cambiato?

r - Avrei esaltato maggiormente le capacità della Basilicata, anche dal punto di vista imprenditoriale, perché ci sono grandissime aziende, in tutti i settori: nel Metapontino abbiamo un’ortofrutta che fa spavento a livello internazionale (fragole, agrumi); nel cerealicolo abbiamo imprese e pastifici importanti. Insomma, tante cose che danno lustro e vanno ben oltre l’aspetto bucolico rappresentato in quel film.

d - Sul tavolo ci sono vari problemi. Cominciamo da quello più “caldo”, la siccità.

r - E’ un allarme, quello dei cambiamenti climatici, che noi lanciamo da diversi anni ormai. Lo avevamo previsto, pertanto abbiamo dettato -a livello nazionale- un’agenda che si prefigge di ricostruire tanti laghi, che consentirebbero di invasare ben oltre il 10% attuale di acqua, per tenerla come scorta per le grosse aziende agricole in stato di bisogno. Per fortuna, in Basilicata la situazione non è drammatica, perché qualcuno prima di noi aveva pensato a un piano degli invasi con tante dighe, come quella di Monte Cotugno, Senise, che ci consente ancora di respirare. Tuttavia, questi invasi vanno messi a regime, vanno evitati gli sprechi e soprattutto vanno resi ancora più capienti. Vanno fatti dei lavori, e ci sono le risorse (regionali e nazionali), ma gli enti preposti (Autorità di Bacino, Acque del Sud) devono attivarsi..

d - Una delle prime conseguenze del caldo, è che la produzione nostrana di miele sarà pari a zero.

r - Eh sì. Con i grandi calori, i fiori ci sono, ma la pianta va in auto-difesa, per cui produce solo il minimo indispensabile per auto-prodursi (e le api ne soffrono). L’anno scorso c’era un problema inverso a causa delle troppe piogge. La natura, insomma, si auto-regola, e noi dobbiamo stare attenti a non creare danni, e a favorire un giusto riequilibrio.

d - Siamo in attesa della nuova giunta regionale: quale dovrà essere la prima pratica sulla scrivania del nuovo assessore all’agricoltura?

r - Da quindici anni, come Coldiretti, dalla politica manteniamo un’autonomia tale, che ci consente di aprire bocca su tutti i settori. Avendo fatto tante assemblee territoriali, il primo problema che viene alla luce, oltre a quello della siccità, è la lotta alla fauna selvatica, ovvero i cinghiali. E guardi che non è più soltanto un problema dell’agricoltura...

d - Ormai vanno a spasso anche nella città.

r - Sotto casa, negli orti privati! C’è un tema che riguarda la sicurezza, anche per gli automobilisti sulle strade (registriamo un aumento esponenziale degli incidenti). Pertanto chiediamo alla Regione di approntare un piano di abbattimento selettivo, verificata la legge nazionale che consente anche nei parchi di fare un intervento straordinario, finanche con l’esercito, visto che le forze numeriche dei cinghiali sono in aumento.

d - E tutta questa carne che fine deve fare?

r - Beh, noi stiamo costruendo anche delle filiere, in cui so che la Regione ha messo delle risorse (tre milioni di euro). Anche qui, però, ci vuole un’accelerata: ridurre drasticamente i numeri dei cinghiali, perché l’agricoltura non riesce più a produrre.

d - Tra l’altro credo ci sia anche un problema di percezione delle responsabilità, in tema sicurezza, Il presidente di un’associazione, che gestisce un'area verde a Potenza, ci raccontava di uno scarica-barile verificatosi in concomitanza dell’arrivo degli ungulati. Insomma, chiamato a intervenire, ciascun ente diceva fosse competenza di un altro.

r - Eh sì. Ci sono periodi diversi che determinano competenze diverse. A volte le determina l’ATC insieme alla Regione, in periodo di caccia, il che consente ai cacciatori di intervenire; in alcuni altri casi è la Provincia, in altri casi ancora la competenza è di un determinato Parco. Insomma, come lei ha ben individuato, c’è sempre un ginepraio di burocrazia. Come accade per l’acqua e per gli invasi, d’altronde: spesso si ha difficoltà ad aprire il rubinetto, perché ci sono diverse autorità che devono dare il beneplacito. Ecco perché occorre una legge regionale per armonizzare le competenze, anche in ambito abbattimento: sicuramente i Comuni queste competenze non le hanno, per cui in molti casi non possono agire, anche in presenza di un problema di sicurezza cittadina. Il 9 e il 10 di Luglio noi saremo alla Regione, a protestare, in mobilitazione permanente, per fare proposte sul tema fauna selvatica. Abbiamo individuato anche una soluzione: istituire, da parte di Coldiretti, un gruppo di guardie volontarie ambientali, per poter contrastare (nel caso abbiano il porto d’armi) questa invasione di cinghiali, insieme ai cacciatori. Daremo questi strumenti, affinché la Regione dichiari lo stato di calamità -perchè di ciò si tratta- onde dar vita a un piano straordinario di emergenza di abbattimento dei cinghiali. E’ un’arma importante, insieme alle catture e ad altri strumenti (a proposito dei quali la Regione ci ha seguito e li sta mettendo in atto).

d - Facciamo un passo indietro: lei ha detto che in Basilicata ci sono tante realtà imprenditoriali, belle e floride, ma il quadro generale non mi risulta sia tutto rose e fiori.

r - No, però la nostra regione è una piccola nicchia che in qualche modo è stata preservata, e ci si è attrezzati in merito. I mille ettari di fragola Candonga nel Metapontino...beh, oggi parliamo del primo produttore in Europa! Oggi c’è anche l’avvio del procedimento di IGP a livello ministeriale, quindi parliamo di un settore che è in crescita e che fa occupati. Poi, certo, c’è uno sbilanciamento nelle cosiddette aree interne, in cui troviamo tanti prodotti di nicchia, che non riescono a fare massa critica e a sfondare sui mercati. C’è un fattore determinante: il non giusto riconoscimento del prezzo ai produttori. Dare oggi cinquanta centesimi per un litro di latte (che sullo scaffale si vende a circa due euro) è un dramma impensabile. La lancetta è troppo spinta sulla speculazione. Tuttavia, col decreto “pratiche sleali” che abbiamo fatto approvare, abbiamo messo dei paletti, cercando di fare arrivare il prezzo del latte a settanta centesimi.

d - Siamo in estate, periodo di sagre, di finanziamenti pubblici, e di polemiche in merito...visto che non manca chi s’inventa delle cose “estemporanee”.

r - Certo. Ho fatto il sindaco e conosco le realtà locali. Se una sagra è legata a una tradizione (pecorino di Filiano, canestrato di Moliterno, fagiolo di Sarconi), va benissimo. Quello che manca, è una regia a livello di Regione (Dipartimento Agricoltura e Dipartimento Ambiente), Apt e Gal, per fare sistema, con tanto di calendario e itinerario per trattenere il turista più giorni. Gli “spot” a sé stanti, campanilistici, non servono a nulla.

d - Se potesse prendere Bardi sottobraccio, cosa gli direbbe.

r - Gli sottolineerei l’importanza del senso di appartenenza al popolo lucano, ma penso che anche lui coltivi questo valore. Come presidente di Coldiretti, quando mi trovo a ragionare con un socio, ragiono per prima cosa come imprenditore. Quindi direi al presidente Bardi di ragionare prima da cittadini. Capisco che ci sia tutto un “folclore” istituzionale, un’agenda, da seguire, ma lo inviterei a visitare di più, insieme a noi, le aziende, onde comprendere “l’anima” dell’imprenditoria locale.

d - L’agricoltura lucana può essere una forma di richiamo contro lo spopolamento?

r - Assolutamente sì. Se ripartiamo dai temi trattati in questa intervista, e rimettiamo ordine, oggi l’agricoltura è l’unico settore in crescita, insieme al turismo. Facendo questo connubio, si apre un’opportunità grandissima. Io sono ottimista.

 

 

 

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di Walter De Stradis

N

ominato arcivescovo di Potenza-Muro Lucano-Marisco Nuovo il 2 febbraio scorso, monsignor Davide Carbonaro, cinquantasette anni, ha fatto il suo ingresso nel Capoluogo, da capo della chiesa locale, il 18 maggio scorso. Si è ritrovato a Potenza, praticamente, nel bel mezzo dei festeggiamenti del Santo Patrono e dell’accesa campagna elettorale per le comunali.

Quel che si dice, un battesimo del fuoco.

d- Come giustifica la sua esistenza?

r - In modo semplicissimo, ma profondissimo: mi sento amato. Lo sono stato e lo sono ancora. Sono stato molto amato dai miei genitori -nel contesto di una famiglia meridionale, molto semplice, proveniente dalla Sicilia- e ho capito, crescendo, che quello era il riflesso di un amore molto più grande. Quello di Dio.

d- Di cosa si occupava la sua famiglia?

r - Siamo della Val di Noto, mamma originaria di Rosolini, papà di Ispica. Mamma faceva la casalinga e papà l’artigiano, il falegname. Ho vissuto in Sicilia fino a 11 anni, ma poi c’è stato il “richiamo” da parte dei fratelli di papà, che si erano già trasferiti a Roma negli anni Cinquanta. E così, ho vissuto, nel 1978, l’esperienza dello “sradicamento”, il passaggio da una piccola realtà, alla periferia di una città grandissima come Roma. Tuttavia, mi venne in aiuto la chiesa, perché subito i compagni di classe mi portarono in oratorio e vissi un’esperienza molto bella. Tenga conto che la periferia di Roma, in quegli anni lì, implicava tutto un mondo.

d- Nel senso che l’amore e la fede l’hanno “salvata”.

r - Mi potevo perdere come qualsiasi altro ragazzo, come purtroppo è accaduto ad alcuni miei amici. Mi preme dire che diversi miei amici, sia d’infanzia sia della periferia di Roma (Torre Maura, sul Casilino), sono stati presenti alla mia ordinazione episcopale, rimettendo insieme i pezzi di una storia straordinaria.

d- Quando ha capito che nella sua vita sarebbe stato un sacerdote?

r - Beh, già da piccolissimo: da persona del Sud, vivevo nel cuore della devozione popolare. Sa, mia nonna, con cui vivevo, mi portava a messa, e già desideravo entrare in seminario. Poi a Roma, dopo l’iniziale disorientamento, la frequentazione della parrocchia di San Giovanni Leonardo a Torre Maura, il catechismo, la cresima, riaccesero nel mio cuore il desiderio di diventare sacerdote. Anche se mio padre, per la verità, non era molto d’accordo.

d- Era comunista, papà?

r - No, non era comunista, ma era un gran mangiapreti e gli è capitata ‘sta disgrazia, nella sua vita (risate). Papà era il classico siciliano degli anni Quaranta, cresciuto in un ambiente un po’ anticlericale. Amava l’arte e i libri antichi. Ma io stesso, l’apertura della conoscenza, la ricchezza dalla cultura (anche quella spirituale) l’ho appresa sulle ginocchia di mio padre. Ricordo le grandi discussioni; io studiavo alla Gregoriana e lui, autodidatta degli studi sacri, mi diceva: “Portami qui un gesuita, gli spiego io la vera teologia!” (sorride).

d- Lei ci ha narrato di un ambiente tipico delle parrocchie di quartiere di alcuni decenni fa, che l’ha formata; di recente ho intervistato il parroco storico di Tito (Pz), il neo centenario don Nicola, che ha espresso alcune riserve sulla chiesa “moderna”, così come l’ha vista cambiare in ottant’anni di sacerdozio.

r - Dal mio punto di vista, la chiesa è cambiata in meglio, dialogando con la Modernità; io, così come i mie confratelli, sono il frutto di quegli anni Ottanta che hanno visto i cambiamenti del Concilio Vaticano Secondo, i grandi cambiamenti della Chiesa. Si è trattato di mettere al passo la parola del Vangelo col nostro tempo. Ho avuto, in questo senso, grandi insegnanti, che oggi sono grandi figure: Cardinal Ladaria, Monsignor Fisichella...

d- Come interpretare, allora, l’emorragia di fedeli che c’è stata negli ultimi decenni?

r - Dipende. E’ un effetto della secolarizzazione. Questa emorragia è soprattutto visibile nel Nord Italia. Nel Nord Europa c’è stato un distacco tra la fede e la vita. La modernità e la post-modernità hanno portato a questa sorta di “autonomia”, che mette la fede da parte. Nel Sud Italia, invece, ritroviamo ancora un forte senso religioso, legato alla fede popolare. Voi Lucani lo sapete bene: di fronte alla Madonna di Viggiano...beh, non ci sono argomentazioni che tengano! (sorride). La secolarizzazione c’è anche da noi, ma c’è ancora una parte buona, che può essere coltivata.

d- Lei è arrivato in città nel bel mazzo dei festeggiamenti del Santo Patrono, ricevendo un abbraccio particolarmente caloroso. Tuttavia, quando le hanno detto che doveva andare a Potenza, cos’ha pensato?

r - Quando me l’hanno detto, geograficamente non sapevo neanche dove fosse! (ride)

d- Un classico.

r - Infatti, penso che l’abbiate già sentito. Comunque, già dopo i primi approcci, ho compreso che è un luogo che ha una sua bellezza, anche naturale. Poi mi ha colpito la semplicità delle persone. Una delle prime volte che sono venuto qui, ho fatto una passeggiata, e la gente mi ha subito fermato, riconoscendomi, chiedendomi di fare dei selfie e così via. E poi, in occasione della mia ordinazione episcopale a Roma, sono venuti molti fedeli della diocesi, è questa è stata una cosa bellissima. E poi, ancora, c’è stato il grande abbraccio, al mio ingresso in città, e la Festa di San Gerardo è stata la conferma.

d- Al di là del “protocollo ufficiale”, cosa le ha detto il suo predecessore, Ligorio?

r - Lui e gli altri vescovi mi hanno consegnato una narrazione, come avviene in ogni altra realtà, delle ricchezze e delle povertà di questa chiesa. Con loro, qualche settimana prima della mia ordinazione episcopale, ho potuto fare la cosiddetta visita “ad limina” (la visita al Santo Padre e agli uffici di curia); per cui, il racconto di Ligorio e degli altri vescovi, presente nelle loro relazioni al Santo Padre e ai Dicasteri, mi ha consentito di ascoltare la ricchezza di una chiesa che è viva, ma che ha anche le sue ferite e le sue povertà.

d- Potenza è il capoluogo di regione in una terra in cui la povertà sembra crescere: in che modo la povertà può influire sul percorso pastorale di un Arcivescovo?

r - Mmm, io parlerei di povertà e di ricchezza insieme. La Basilicata ha davvero molto, sia dal punto di vista territoriale sia da quello artistico, si tratta di mettere insieme l’intelligenza, le prospettive, la lungimiranza, lo sguardo sulle proprie realtà, e mettersi a lavorare insieme. Un arcivescovo viene in un territorio, si guarda intorno, e inizia a dialogare, anche con gli uomini politici, e dovrà dire una parola su questa ricchezza e su questa povertà presenti sul territorio.

d- I suoi predecessori, a dire il vero, non hanno mai lesinato critiche a quella politica incapace di trasformare le ricchezze territoriali in sviluppo reale. Che tipo di rapporto intende instaurare con la politica locale?

r - Innanzitutto di dialogo, parola che preferisco a “critica”. E poi, il pastore è sempre un padre di tutti, e un padre, ogni tanto, va dai propri figli a chiedere conto dello stato delle cose. E io penso di pormi anche da questo punto di vista.

d- Lei ha citato la Madonna di Viggiano, sa bene che i politici, ogni volta, sono sempre tutti lì, in passerella, seduti in prima fila. Una tiratina d’orecchi, magari ogni tanto...

r - (Sorride). Se sarà necessario, anche questo, ma sempre nel dialogo fraterno, e sempre nella dimensione adulta, di persone al servizio della gente. Lo spirito illumina la carne e la carne dà valore e forza allo spirito.

d- Fra una quindicina di giorni Potenza sceglierà il suo prossimo sindaco. Cosa gli dirà?

r - “Coraggio, andiamo avanti!”. Dobbiamo voler bene a questa nostra città e alle persone che la abitano.

d- C’è qualcosa che la spaventa, in questo inizio di percorso pastorale in una città come Potenza?

r - Sì, mi spaventa il non conoscere molte realtà.

d- Girerà molto?

r - Già lo sto facendo, sia all’interno della città, sie nell’hinterland. Sto girando, in occasione delle cresime, per diverse cittadine, e sto già sperimentando le differenze tra il centro e la periferia. Il mio compito sarà quello di far dialogare queste realtà.

d- Ho avuto modo di assistere a una sua celebrazione di cresima, sabato scorso a Potenza, e lei a un certo punto ha parlato del diavolo. Esiste davvero o è solo un concetto “filosofico”?

r - Sì, sì. San Paolo VI parlava di “dimensione personale” del diavolo, e il male ha una sua influenza. Ne sentiamo ancora le conseguenze, ma c’è una vittoria definitiva attraverso la Pasqua di Cristo Signore. Le conseguenze più gravi del male sull’uomo sono la morte, ma questa a sua volta è superata con la Resurrezione di Cristo e noi siamo risorti insieme a lui.

d- Il libro che la rappresenta?

r - Mamma mia! (ride). “Il Nome della Rosa”, di Umberto Eco. Adoro il mondo medievale e qui ci sono luoghi assolutamente straordinari, come la cattedrale di Acerenza.

d- La canzone?

r - I Pooh, quella che fa “Ci sono uomini soli...per la sete di avventura”, e forse è un’avventura quella che il Signore mi sta chiedendo di vivere. Una cosa straordinaria.

d- Il film?

r - Bah, potrei dire... “Top Gun”.

d- Lei è uno degli Anni Ottanta, l’ha detto prima.

r - Giustamente.

d- Tra cent’anni scoprono una targa a suo nome qui in Arcidiocesi: cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

Non saprei...”Qui giace quel vescovo che mai tace” (sorride). Che non tace soprattutto per la Verità e per il Vangelo.

 

 

 

 

pipponzi_intervista.jpgLa consigliera regionale di Parità Pipponzi ha invitato i sindaci eletti nella tornata elettorale dell’8 e 9 giugno a rispettare le quote di genere per una corretta composizione delle giunte.

“La mancata rappresentanza di genere – ha affermato la Consigliera di parità – lede il principio della democrazia paritaria, privando l’attività amministrativa di una diversa prospettiva e di una visione che solo l’armonica compresenza di uomini e donne può conferire per costruire una società più giusta ed equalitaria”.

Entrando nel dettaglio, le norme stabiliscono che i sindaci dei Comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti devono garantire la rappresentanza di genere nelle giunte, obbligo che vale, chiarisce la Consigliera, anche per gli organi collegiali del Comune e per gli Enti e organismi da esso dipendente.

“Poiché non è specificata la quota di genere che deve essere assicurata, ne consegue – ha aggiunto Pipponzi - che in queste amministrazioni le regole che prevedono la presenza del sesso meno rappresentato in misura non inferiore al 40 per cento dei componenti dell’organo collegiali non sono vincolanti. Se il sindaco ritiene di derogare al principio della pari rappresentatività è tenuto però a motivare congruamente la sua scelta. E se lo Statuto comunale lo prevede è possibile attingere a un assessore esterno a seguito di un interpello rivolto al genere meno rappresentato, come stabilito dalla sentenza n. 237/2018 del Tar Basilicata che ha annullato la delibera sindacale di un Comune lucano con meno di 3.000 abitanti”.

Nei Comuni con oltre 3.000 abitanti, invece, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento con arrotondamento aritmetico. “Ovviamente anche per queste amministrazioni comunali – ha concluso la Consigliera di parità - vale la regola della necessità di documentare l’istruttoria messa in campo per garantire la rappresentanza di genere. Rivolgo, infine, gli auguri di buon lavoro ai sindaci, ai consiglieri e soprattutto alle consigliere comunali elette, auspicando che tutti e tutte mettano in atto, prima di tutto, la necessaria sensibilità paritaria, fondamentale per garantire ai cittadini la piena partecipazione alla vita pubblica”.

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 clikka sulla foto per guardare il video andato in onda su Lucania TV

 

di Walter De Stradis

 

 

 

Il cavalier Michele Prestera è il tipico

Levantino (è per metà Lucano e per

metà Venezuelano) dal piglio fattivo,

con i capelli e baffi bianchi che spiccano

sulla pelle olivastra. Dopo essere già

stato diverse cose (sindacalista di lungo

corso, vice sindaco a San Chirico Raparo,

nonché co-fondatore ed ex presidente del

Parco della Grancia) attualmente è presidente

del Centro di Solidarietà Don Tommaso

Latronico ETS, che dal 1991 si occupa di

sostegno alimentare, convenzionato col

Banco Alimentare della Campania. E’ inoltre

membro della segreteria regionale di UIL

Pensionati, con delega all’handicap e in

ambito culturale e storico ricopre la carica di

presidente del Centro Studi “Carlo Alianello”

APS.

D - Cavaliere, come giustifica la sua esistenza?

R - Grazie a Dio non mi sono costruito da solo

(sorride), ma esisto a seguito dell’incontro tra

mio padre e mia madre. Sono nato a Caracas,

Venezuela, ma sono cresciuto in un piccolo

paese come San Chirico Raparo; in questo

modo ho scoperto una serie di sollecitazioni,

provenienti dalla cultura popolare lucana,

dai rapporti di vicinato; si tratta di valori in

cui ancora mi riconosco, oltre all’esperienza

cristiana che ancora oggi mi sostiene in ogni

cosa che faccio.

D - Come nasce e di cosa si occupa il Centro

Solidarietà Don Tommaso Latronico?

R - Don Tommaso Latronico, originario di Nova

Siri, è stato il fondatore di Comunione e

Liberazione in Basilicata. Io lo conobbi

una cinquantina d’anni fa, 1973-73; ero un

operaio metalmeccanico, e rimasi affascinato

da questo suo progetto che allora si avviava.

Fui uno dei primi ad aderire a questa proposta

cristiana, all’insegna del “qui e ora”. Il

Cds è solo una delle tante realtà venutesi a

creare, ma ancora oggi assiste oltre cento

famiglie bisognose. Ma quella del “dono”

è solo una risposta fi sica; si tratta in realtà

del bisogno di condividere un’esperienza,

acquisendo maggiore consapevolezza di sé e

del senso della vita.

D - Cento famiglie riferite a quale territorio?

R - Potenza. Con la partenza, a settembre, del

Banco alimentare regionale, rafforzeremo e

allargheremo la nostra presenza.

D - Che tipo di assistenza offrite a queste

cento famiglie?

R - Oltre al fabbisogno alimentare, c’è un tipo

di sostegno, psicologico, che si traduce

nel rispondere a domande sulla vita,

dando risposte che in qualche modo fanno

risollevare la persona.

D - Quindi è vero che a Potenza la povertà non

è solo “economica”, ma anche e soprattutto

sociale? E’ vero che c’è molta solitudine?

R - Esattamente. E col Covid questa realtà si è

accentuata. La paura di avere contatti con

l’altro, porta alla diffidenza, che a sua volta

rende il clima sociale a rischio. Ognuno,

dunque, pensa di avere di fronte a sé un

avversario”, il che rende molto difficile

collaborare, creare magari un’associazione,

un’attività culturale e quant’altro.

D - Alcuni suoi colleghi del sociale

lamentavano l’assenza di comunicazione

che in primis si registrerebbe proprio fra

voi operatori del settore (associazioni, enti

benefici e quant’altro).

R - Ed è così. Riallacciandomi anche alla

mia attuale esperienza nella Uil in ambito

disabilità, tempo fa ho scritto una lettera

a disagio, onde dar vita a un Osservatorio

comune, e abbattere questi muri di diffidenza,

di pregiudizio, questi “isolotti” che si sono

venuti a creare. Da solo nessuno può farcela.

D - Ma perché ci sono questi “orticelli” anche

nel volontariato? E’ un atteggiamento

tipicamente potentino?

R - No, io ritengo che ci sia proprio la paura

di mettersi insieme, la paura che qualcuno

possa invadere il campo dell’altro.

D - Associazionismo e volontariato possono

rivelarsi una “vetrina” per altri scopi?

R - Sicuramente. Purtroppo, l’esperienza

ci insegna che su certe vicende c’è chi

ha strumentalizzato e si è costruito una

postazione di potere. Tuttavia, io ancora

sostengo che se questa esperienza di amore

riesce a scavalcare certi ostacoli, insieme si

può ancora costruire e bene. L’uomo non è

fatto per vivere da solo; basta ritrovare il

senso genuino della solidarietà nei confronti

dell’altro.

D - Come Cds ricevete fondi pubblici? Come

vi sostenete?

R - Con il 5 x mille, tra l’altro siamo stati la

prima esperienza in Basilicata (parliamo

di fi ne 1991), e quindi -nonostante i fondi

non bastino mai- diciamo che una certa

tranquillità” ormai ce l’abbiamo.

D - Si può tracciare una sorta di “identikit”

del povero dei giorni nostri, qui a Potenza?

R - Come dicevo, non mi fermerei alla questione

del fabbisogno alimentare: vedo delle

persone smarrite, sfiduciate, senza un senso

della vita, ingabbiate in una sensazione

da cui non riescono più a uscire. Il nostro

compito diventa quindi quello di sganciarli

da quella dimensione, esaltare la persona,

rimetterli in gioco riguadagnandoli al gusto

per la vita.

D - E come si fa a riguadagnare alla vita una

persona che è priva di speranze?

R - Standogli affianco, e non giocando sulla

dimensione umana (cosa che spesso accade).

D - “Non giocando sulla dimensione umana”:

sarebbe?

R - Se uno vive e si cimenta in un'esperienza

d’amore, è difficile che possa approfittarsi

di quella situazione stessa. Diversamente

accade se la vera intenzione è quella di

diventare un qualcuno o un qualcosa.

D - Chiarissimo. Cambiamo argomento:

Potenza è una città a misura di disabile?

R - No, per carità.

D - Perché?

R - Barriere architettoniche, mancanza

d’attenzione...questa è una città piena di

difficoltà, per i bambini, per i disabili, un

po’ per tutti. E’ una città che ha perso la sua

identità. E’ una città che avrebbe bisogno di

essere ricostruita.

D - Siamo a poche ore dalle elezioni comunali.

Il prossimo sindaco su cosa si deve mettere,

immediatamente, a lavorare?

R - Per cominciare, dovrebbe valorizzare tutto

l’ambito del Terzo settore. Perché? Perché

è quella dimensione che dà una risposta

immediata a un bisogno: disabilità, banco

alimentare, infanzia, terza età etc. E parliamo

sempre di volontariato, quindi non ci sono

per lo mezzo chissà quali interessi. Bisogna

lavorare insieme su una progettualità, per

avere una città più armonica.

D - Potenza si riprende se...?

R - Se si riparte dall’uomo, dalla persona

umana, dal cuore delle esigenze dell’uomo.

D - Veniamo alla questione Grancia che, dopo

qualche difficoltà, da un po’ di tempo

è ripartita. Come sta, oggi, la sua co-creazione?

R - E qui mi apre una ferita. Oltre a esserne stato

co-fondatore, sono stato anche presidente

dell’Associazione dei Volontari del parco

della Grancia. Partimmo da zero, quando di

associazioni e realtà dedicate a quel periodo

storico praticamente non ce n’erano. Col

tempo, anche alcuni volontari sono diventati

professionisti, nonché presidenti di varie

associazioni, dando vita a un indotto di

attività culturali e storiche molto importante.

D - Però?

R - Però, come sempre accade, qualcuno a un

certo punto ritiene di essere diventato la

massima autorità in materia, con tanto di

Vangelo in tasca. E così le cose diventano

complicate. Il Parco di difficoltà ne ha avute,

ne ha, e ne avrà sempre, il problema vero è

rimettere nella giusta proporzione il rapporto

tra politica e privati. Quella della Grancia

stata proprio la prima, seria, esperienza

di rapporto tra politica e privati, ma a un

certo punto la politica ha cominciato a

sconfinare in ambiti non di sua competenza,

imponendo veti, ingerenze e prevaricazioni,

anche sulla parte “sociale”. E’ così, dopo

dieci anni di queste vicissitudini, ho preso

e me ne sono andato. E tenga conto che

io, come gli altri, ho sempre operato da

volontario, e cioè senza mai percepire

alcunché.

D - Rimaniamo in tema. Da Presidente

dell’Associazione “Carlo Alianello”, qual

è, secondo lei, il libro che tutti i lucani

dovrebbero leggere?

R - Beh, sono tre: “L’eredità della Priora”,

‘”L’inghippo” e “La Conquista del Sud”.

Alianello ha raccontato la storia dei

perdenti, dei vinti, delle persone al di fuori

di quel tipo di maggioranza che non fa

respirare la minoranza. Un tempo, la Cultura

o era di parte o non era. Invece la verità va

raccontata. E Alianello ha raccontato la

storia dei pov’r omm, di gente che ha fatto

la fame e ha pagato, anche, con la morte.

E ancora oggi nel Cinespettacolo della

Grancia ci sono cose di Carlo Alianello. La

nostra associazione nacque con l’esigenza,

che ci fu manifestata dai parenti dello

scrittore, di preservare alcuni suoi documenti

(testi, manoscritti, disegni etc.). Col Comune

di Tito facemmo dunque nascere un Fondo

Carlo Alianello, che ancora oggi, nei suoi

locali, ospita tutto questo materiale. Adesso

sarebbe necessario digitalizzarlo, metterlo in

rete: spero che con la nuova amministrazione

tutto questo si possa fare.

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