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In un giorno del 1943, a Rione Francioso (nel capoluogo di regione), a un tratto si ritrovò coperto di terra. Tonino Potenza allora era solo un bambino di otto anni, salvatosi per un caso fortuito: aveva appena lasciato la mano della signora che lo accompagnava, colpita a morte dalle bombe. Questo episodio della sua infanzia, finora -ci dice- non lo ha mai raccontato a nessuno, perché -sempre parole sue- non gli è mai piaciuto fare del pietismo, soprattutto in campagna elettorale. Allo stesso modo, però, il fresco novantenne (il 22 marzo scorso), storico esponente locale della Democrazia Cristiana (tra le altre cose, deputato con “La Margherita”, dal 2001 al 2006), ritiene che anche il suo ingresso in politica sia dovuto a una combinazione. «Allora la sede del partito era a San Giovanni e un mio amico, Gerardo Arcieri, mi chiese di accompagnarlo lì, poiché doveva consegnare dei documenti. Allora ero solo un ragazzo che aveva voglia di fare la sua parte per aiutare il prossimo». All’epoca Antonio Potenza abitava non troppo distante, in via Caporella, uno dei vicoli del centro storico. E’ praticamente alle spalle del Gran Caffè, dove ormai da anni, l’ex presidente del consiglio regionale (dal 1990 al 1995), seduto al suo tavolino, ha quasi allestito un suo “ufficio”, arredato di aranciata e giornali. «La primissima volta che sono stato eletto, è stato al consiglio comunale di Potenza, nel 1964. Pur avendo seguito un mio percorso politico fatto non certo di sudditanza, devo riconoscere che Emilio Colombo, per una ventina d’anni, ha dato il senso di uno che aveva le idee chiare e che andava avanti; che poi si fosse d’accordo o meno, è un altro discorso. In ogni caso, non riconoscere oggi la figura di Colombo, specie nel contesto attuale, è un errore, perché non ci restituisce il senso di cosa fosse la Basilicata allora, e di cosa invece è oggi. Quando sta per maturare qualche cosa, questa regione “scoppia” sempre: scopia Matera, scoppia tutto».

Il discorso, a questo punto, si sposta sulle questioni più attuali.

«Il bonus gas? Io non ne ho usufruito. E’ un modo come un altro per dare qualche cosa al popolino. Ogni tanto si elargisce qualcosa. E questo, dopo le grandi battaglie combattute, e grandi risultati. Tante volte, infatti, si dice “guardiamo agli inizi”, se si vuole dare il giusto valore alle conquiste che vengono fatte. Alla fine, però, i passaggi che potevano essere consumati come un fatto naturale, diventano un favore, un piacere. E tutto questo accade perché deve essere venduto come una “conquista” di questo popolo, che aspetta da anni un qualcosa che non arriva mai. E’ questa l’immagine “esterna”, che molti non capiscono e non percepiscono».

Sul giornale, poggiato sul tavolo, ci sono i titoli riguardanti la crisi di maggioranza apertasi in Regione, e dovuta ai bisticci sulle elezioni materane. «Il problema è che qui in Basilicata forse siamo troppo abituati a essere guidati da altri. Se c’è qualcuno che ci risolve i problemi, tanto di guadagnato, ma per il resto, non c’è credibilità. Ma questo è tipico delle realtà povere, ove la gente ha necessità di una guida che formuli degli obiettivi da raggiungere; è fortunato chi riesc

e a realizzarli, mentre chi non riesce, non ne paga lui le conseguenze, bensì la povera gente».

Walter De Stradis

 

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di Walter De Stradis

 

 

 

 

 

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Castel Lagopesole, in Basilicata, tra il sacro Monte del Carmelo e un magnifico castello federiciano; su un’area parassiale di vetta (m 800-900-1230) immersa nella Bellezza, in un giardino di rose bianche -il Giardino della Vergine- e in adiacenza ad un Eremo preesistente (1985), nell’Anno del Signore 2000, Anno Giubilare, è stato edificato un venerabile Tempio, un sacello -nell’architettura cristiana con il termine sacellum si indica una chiesa, un santuario, una cappella di piccole dimensioni- un nidulo in Ciel d’Oro: il Santuario Divin Crocifisso». (Cristina di Lagopesole “Santuario Divin Crocifisso” - Editrice Velar, 2012)

Mentre all’interno l’intervista procede, due splendidi cani randagi (ma di casa) scrutano curiosi da dietro la porta-finestra, e un gatto particolarmente audace si arrampica e tenta di entrare. Nell’eremo prospiciente al Santuario Divin Crocifisso (dall’evocativa cupola rosa), sito nella frazione di Castel Lagopesole (Avigliano, Potenza), circondato com’è da piante e fiori, tutto sembra vivere in armonia. A fare gli onori di casa, ricevendoci in uno studio straboccante di volumi, è ovviamente colei che ha dato vita a tutto ciò, la rinomata poetessa, scrittrice (giunta al cinquantacinquesimo libro) studiosa e religiosa Crstina di Legopesole, anche nota come Cristina di Gesù Crocifisso, che in quel luogo di pace vive e lavora.

D - Come nasce l’eremo di Lagopesole e perché, lei che è originaria di Rionero, ha scelto questo luogo in particolare?

R - Nel mezzo del cammin della mia vita -per citare Dante- io mi inoltrai non in una selva oscura, bensì in una “dolce valle” (come la chiama Giustino Fortunato), ovvero la Valle di Vitalba. La via intrapresa mi portava al monte, cioè in un luogo alto, andando alla ricerca del Padre. Giunsi dunque, salendo, a Lagopesole, luogo “trinitario”: nel Castello federiciano c’è infatti una chiesa dedicata alla SS Trinità “in alto” (come viene chiamata, stante il dislivello di cento metri col borgo sottostante); la chiesa parrocchiale del centro abitato, invece, fu dedicata sempre alla SS Trinità, ma “in piano”. Il culto trinitario che è qui presente risale all’antichità (per molti anni vi sono state le suore trinitarie, appunto). Giungendo dunque a Lagopesole, io vi trovai il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ma diressi i miei passi ancora più in alto, alla volta del Santuario della Beata Vergine Maria del monte Carmelo. Pertanto, in questo modo, ricevevo la Trinità e la Madre Santissima. Decisi allora di fermarmi in questo piccolo borgo. Acquistai questo terreno di mille metri quadri ed elevai, già quarantacinque anni fa, l’eremo. In quanto tale, questo non confina con alcuna abitazione, trovandosi in mezzo a un giardino. Dopo averlo costruito, e reso il luogo del silenzio, dell’elevazione, dello studio e della scrittura, alcuni anni dopo accadde un fatto straordinario: ebbi una visione, in cui mi apparve Gesù che mi indicò col dito il santuario, così come poi l’ho costruito. Ed è un’opera d’arte.

D - Come l’avete costruito? Chi vi aiutato?

R - Il santuario è stato progettato da due architetti (tra cui mia figlia) e due ingegneri; ed è stato costruito da una importante ditta di Venosa, che ha operato anche il restauro del castello di Lagopesole. Trattandosi di un’opera particolare, erano presenti anche sovraintendenti ed è stata seguita da tutte le autorità. Dopo un anno per costruirlo, il santuario è stato benedetto e inaugurato il 14 settembre del 2000, che era anno giubilare. Pertanto il santuario festeggia il venticinquennale con il Giubileo.

D - Cosa comporta per Lagopesole la presenza di un santuario come questo?

R - Il santuario è aperto a tutti. E’ stato benedetto e inaugurato dall’arcivescovo di Pompei, il venerabile Toppi, attualmente in odor di santità. Come da regola, l’arcivescovo ungeva con le sue mani le pareti con l’olio sacro, e con lui c’era anche l’allora vescovo di Potenza monsignor Superbo (che offrì la reliquia, antichissima, di san Mauro Abate, qui conservata), insieme a tutte le autorità.

D - La comunità di Lagopesole e quelle limitrofe, fanno tesoro di questa risorsa locale? E’ soddisfatta?

R - Sì, certo. Secondo ciò che ha stabilito il vescovo sin dal primo giorno, qui si celebra il primo sabato del mese (alle 10 di mattina); tuttavia, nel santuario lo si può fare regolarmente tutti i giorni, come in qualsiasi altra chiesa. Molti, infatti, vengono a celebrare il venticinquesimo del matrimonio, le messe per i defunti e così via. Nel tabernacolo mi è stata lasciata l’eucarestia dal primo giorno, per cui io sono responsabile e d’altronde io stessa mi sono consacrata in questo santuario.

D - Lei è carmelitana, se non erro.

R - Carmelitana “di vita attiva e contemplativa”. Se fossi solo “di vita”, sarei di clausura, mentre invece io posso uscire ed essendo anche una scrittrice, vado in giro per portare la parola di Dio, ma anche la parola “colta”, riferendomi alla storia dell’Umanità, e alle mie stesse poesie.

D - In lei è nato prima l’afflato religioso o prima quello poetico?

R - Poeti si nasce. Col passare degli anni, invece, si acquisisce l’attitudine religiosa. Nella mia vita ho girato l’Europa. Un po’ prima del 2000, in occasione del Bimillenario Oraziano, fui scelta dalla Regione Basilicata per rappresentare questa terra e mi mandarono all’Università di Berlino, ove declamai gli inni di Orazio.

D - Da poco è uscito il suo nuovo libro...

R - Sì, “Bagliori di Eternità”. In oltre cinquecento pagine, sull’arco di trecento componimenti, tutti in terzine, io canto le vicende umane, da Omero al primo uomo sulla Luna. Tremila anni di storia, di poesia, musica, letteratura.

D - Nelle religioni orientali si dice che gli eremiti, pur vivendo in solitaria, comunque svolgono un compito fondamentale per l’umanità, poiché pregano per tutto il mondo.

R - La preghiera è sempre universale, e mai solo personale o per amici e familiari. Specie in questo momento tragico, che stiamo vivendo. Tanto per cominciare, infatti, viviamo -qui in Basilicata, ma anche nelle regioni limitrofe- nell’epoca dello spopolamento (e di questo se ne sta occupando in maniera molto seria, tramite varie conferenze nel Mezzogiorno, l’Arcivescovo di Benevento, S.E. Monsignor Felice Accrocca). C’è poi un momento internazionale caratterizzato da guerre e orrori, anche in Terra Santa. Ogni giorno muoiono, anche, centinaia, migliaia di bambini, orrendamente uccisi. Confidiamo nella pace, visti anche i colloqui tra Putin e Trump.

D - Stavo per chiederle cosa la preoccupa di più, qui in Basilicata.

R - Lo spopolamento. I giovani che se ne vanno fuori e studiare (al Nord o all’estero) e qui più non tornano, perché non trovano lavoro. Anche il poeta risente di questa situazione, per cui è diventata una poesia “del punto interrogativo”, ovvero della domanda e della sofferenza. Il poeta è quello che ha una sensibilità tale da farlo compenetrare in certi problemi e spingerlo a esprimersi. E in Italia abbiamo tanti bravi poeti che lo fanno.

D - Come ha visto cambiare, in quarantacinque anni, gente e paesaggio attorno al suo eremo?

R - Dal punto di vista urbanistico, è migliorato enormemente, di pari passo col progresso economico delle famiglie, per cui qui adesso c’è un bel “paese”, ridente e accogliente, con abitazioni ben curate e ben tenute. C’è anche un’attività culturale molto intensa, e anche il Castello ha riaperto, seppur solo in alcuni giorni della settimana. Mi piacerebbe, come già fatto in passato, presentarvi il mio nuovo libro.

D - Facciamo un passaggio sul Papa, sulle cui reali condizioni di salute ci sono anche tante speculazioni.

R - Io mi auguro che torni presto in buona salute. E’ un Papa che amo tanto, perché adora i bambini ed è il Papa della Fraternità, in un mondo in guerra e diviso. Non si tratta solo del “compito” di un Pontefice: quell’indole paterna è proprio dentro di lui.

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 video: https://youtu.be/UXrrsslJlnw

 

 

di Walter De Stradis

 

 

La prima “squadra” che gli regalò suo padre era quella della nazionale italiana, custodita in una scatoletta giallo-verde. Fu una scelta “salomonica”, perché lui era milanista, ma il genitore teneva per la Juve. “Così non litighiamo”, gli disse.

Oggi, a distanza di una cinquantina d’anni, Tommaso Mazzoni, docente di scienze motorie all’Istituto Alberghiero di Potenza, è il presidente dell’Associazione Sportiva Dilettantistica “Subbuteo Club Potenza”. Prima organizzazione del genere mai nata in regione, regolarmente iscritta al Coni (registro nazionale associazioni e società sportive), ha da poco inaugurato la sua sede al mercato coperto di via Vespucci a Potenza. E quella scatoletta giallo-verde adesso si trova lì, tra le altre cose.

«Il Subbuteo è nato come gioco prettamente domestico, da praticare con parenti e amici, ma col tempo è diventato un vero e proprio sport. Pertanto, negli anni Ottanta, in Inghilterra si iniziarono a svolgere campionati “over”, “under”, etc».

d - Da allora, quali sono state le evoluzioni principali in questo sport?

r - La prima ha riguardato proprio la miniatura in sé (il “soldatino” raffigurante il giocatore di calcio – ndr), che inizialmente aveva una base tondeggiante e basculante, mentre oggi -che il Calcio da Tavolo gode di una vera e propria Federazione- è diventata piatta, e anche i “portieri” sono cambiati rispetto al passato. Oggi ci sono giocatori professionisti, come quando si gioca a biliardo: c’è un panno verde e con quelle miniature si simulano vere e proprie partite di calcio.

d - Se non erro, finora la Basilicata era l’unica regione, insieme al Molise, a non disporre di una delegazione ufficiale di Calcio da Tavolo.

r - Esatto. Da vecchi appassionati, io e mio fratello ogni tanto rispolveravamo il vecchio Subbuteo che tenevamo in soffitta e ci facevamo una partitella; però vedevo sui social molti filmati di tornei. Ho indagato, dunque, e ho scoperto che in Italia esistono una vera e propria Federazione e tante società che svolgono tornei e veri campionati di Serie A, B, C e così via; non contando la Champions League e le varie nazionali (under 12, 16 e 20). Insomma, tutto questo panorama mi ha entusiasmato e con mio fratello ci siamo detti: perché non creare qualcosa per tornare un po’ “bambini” e praticare uno sport pulito, visto che c’è tutto questo supporto anche a livello nazionale? Dopo aver verificato che in Basilicata non esisteva ancora nulla, ho coinvolto degli amici di Calabria, Puglia e Campania, che mi hanno dato dei consigli, e a gennaio 2024 -insieme ad alcuni altri appassionati- abbiamo messo su questa associazione. Si tratta di stare insieme e -ripeto- di tornare bambini, riassaporando il gusto di condividere qualcosa di genuino e sano, magari giocandoci qualcosa di simbolico…

d -...in effetti, il vostro motto, “giochiamoci una gassosa”, è stato “adottato” da una nota ditta di bibite gassate, che ha addirittura posto una sua caricatura sull’etichetta di alcune bottiglie.

r - Sì, perché la gassosa è una bevanda che non ha età, proprio come il Subbuteo: si tratta di allestire un tappeto, magari in un garage, e il nipotino può giocare col nonno o con la mamma (perché c’è anche il settore femminile).

d - In associazione ci sono solamente persone mature o anche ragazzi?

r - Il grosso è composto da uomini attorno ai quaranta/cinquantanni, ma si stanno avvicinando anche bambini e adolescenti, più tre o quattro ventenni. Come dicevo, questo sport, tramite varie categorie, abbraccia diversi settori evolutivi.

d - In questi mesi avete organizzato già un torneo molto importante, qui a Potenza.

r - Lo scorso ottobre, presso la palestra Caizzo, abbiamo tenuto il primo “challenger”, con la partecipazione di varie regioni del Centro-Sud. Infatti, tra chi pratica questo sport, esiste una vera e propria fratellanza, amicizia e tanta voglia di contribuire nell’organizzare le cose. Qualcuno è venuto persino dal Centro-Nord. E’ stato un vero successo, con una nutrita partecipazione di pubblico e di atleti.

d - La sede dell’associazione è vostra? Pagate l’affitto?

r - Ha toccato un punto dolente. Abbiamo girato tutta Potenza (e dintorni) per trovare dei locali idonei a praticare questo sport (le attrezzature sono delicate e i tappeti non possono subire l’umidità). Infine abbiamo trovato e preso questa sede e ci autotassiamo per pagare il fitto.

d - Al Comune non avete fatto domanda per una sede associativa?

r - Sì, l’abbiamo fatta, ma siamo in attesa di risposta.

d - Ho visto, nelle foto pubblicate sui social, che il sindaco è venuto all’inaugurazione.

r - Sì, ci è stato molto vicino, anche in occasione del “challenger” è venuto due volte e ha anche provato a giocare. Anche lui, da ragazzo, faceva delle partitine.

d - Mi risulta che ci sia un politico locale appassionatissimo di Subbuteo.

r - Sì, è venuto anche Alessandro Galella, che è un vero collezionista, disponendo di più di cento squadre. Anche Fernando Picerno ci viene a trovare spesso e ci supporta molto. A prescindere dai colori politici, lo sport accomuna e non ha bandiere. Siamo aperti a tutti e accogliamo tutti.

d - Facciamo allora una metafora al contrario, visto che spesso si legge che i cittadini sono le “pedine” della politica. Se potessimo mettere un qualche politico come “miniatura”, qui, sul tavolo da gioco, chi NON metterebbe come centravanti?

r - Beh, non ci metterei l’attuale sindaco, perché non ce lo vedo come “centravanti di sfondamento”: è una persona molto attenta, con la testa sulle spalle, pertanto lo immagino nel ruolo fondamentale di centrocampista, di uno che sa tenere le redini del campo.

d - In porta?

r - In porta metterei Fernando Picerno, uno che “vola” molto bene!

d - La domanda cattiva: in panchina chi mettiamo...?

r - Alessandro Galella, a cui voglio bene. In panchina spesso si mettono quelli che possono subentrare e farti vincere la partita.

d - Vabè, io ci ho provato, ma dopotutto si sta giocando. Tuttavia, se si potessero risolvere alcuni conflitti e problemi su un tavolo da gioco, lei quale sceglierebbe?

r - Per rimanere in argomento, c’è un mio cruccio: vorrei che Potenza disponesse di strutture sportive all’altezza. Quelle che abbiamo sono super-affollate e a volte, mi spiace dirlo, anche fatiscenti. Si sta sempre a rattoppare e a rappezzare, ma io credo che lo sport sia anche un’attrattiva. Una mia idea, forse anche sbagliata, sarebbe quella di creare -in questa città di montagna- un palazzetto con la neve, col ghiaccio, ove poter organizzare sport invernali (come il Curling, che in certe movenze è anche simile al Subbuteo). Un tratto del Basento stesso lo si potrebbe rendere navigabile per praticarvi un po’ di canottaggio… Però bisogna crederci ed essere anche un po’ lungimiranti.

d - C’è un messaggio che la vostra associazione vuole lanciare alla città?

r - Sì, vorremmo invitare i giovani a lasciare il telefonino, spegnere le video-chiamate e a socializzare, fare sport (a prescindere dal nostro), andare in giro e riscoprire la voglia di incontrare gli amici. Sono queste le cose che ci possono far stare bene.

 

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Si è svolto oggi, presso il Palazzo del Consiglio regionale, l'incontro sulle “disparità di genere: dati e indicatori per una lettura multidimensionale”. Un'importante occasione di approfondimento sulle differenze di genere in vari ambiti economici e sociali, con un focus specifico sulla realtà della Basilicata, attraverso la presentazione di un rapporto dettagliato. L'evento ha visto la partecipazione di autorevoli esponenti delle istituzioni e del mondo economico, offrendo una riflessione articolata su dati e indicatori che misurano le disuguaglianze di genere e le loro implicazioni.

Hanno partecipato all'evento: Matteo Mazziotta, Direttore Centrale Sistan e Territorio dell'ISTAT (in collegamento da remoto), Antonella Bianchino, Dirigente dell'Ufficio Territoriale Area Sud dell'ISTAT, Benedetta Dito, Direttrice Regionale dell'INPS, Maria Carmela Zaccagnino, Coordinatrice del Nucleo per le Attività di Vigilanza della Banca d'Italia - Filiale di Potenza, Ivana Enrica Pipponzi, Consigliera regionale di parità della Basilicata, Michele Somma, Presidente della Camera di Commercio della Basilicata, e Gabriella Megale, Amministratore unico di Sviluppo Basilicata. A moderare l'incontro, Margherita Perretti, Presidente della Piccola Industria Confindustria Basilicata.

I lavori si sono aperti con i saluti istituzionali di Nicola Coluzzi, Direttore Generale del Consiglio regionale, che ha sottolineato l'importanza dei dati forniti dall'ISTAT per una comprensione oggettiva del fenomeno: "L'ISTAT ci fornisce oggi una base empirica essenziale per comprendere la situazione e affrontare il tema delle disparità di genere con interventi mirati. Le variabili in gioco sono molteplici e riguardano diversi aspetti della vita quotidiana. Come Consiglio regionale, stiamo lavorando per favorire politiche di conciliazione tra vita privata e professionale, attraverso strumenti concreti come lo smart working, che permette a chi ha figli di bilanciare al meglio le esigenze familiari con quelle lavorative. Oltre a queste misure, è necessaria una maggiore sensibilità verso il ruolo delle donne nell'organizzazione sociale e amministrativa".

Antonella Bianchino ha illustrato un quadro dettagliato sulle disparità di genere in Italia e Basilicata, evidenziando le principali criticità e le dinamiche di miglioramento: "Nonostante i progressi a livello europeo e nazionale, la parità di genere non è ancora stata raggiunta. Esiste un divario significativo tra Nord e Sud, e la Basilicata si posiziona in maniera disomogenea nei vari indicatori. Se da un lato il livello di istruzione femminile è positivo, con un'alta incidenza di laureate, dall'altro permane un gap nelle discipline STEM, cruciali per un ingresso stabile e veloce nel mercato del lavoro. Il tasso di partecipazione femminile al lavoro è in linea con la media nazionale ma superiore rispetto ad altre regioni del Sud, sebbene vi sia ancora un'alta incidenza di impieghi part-time, spesso non volontari. Preoccupa, inoltre, il divario retributivo tra uomini e donne, che in Basilicata risulta più marcato rispetto alla media nazionale".

Benedetta Dito ha approfondito il tema delle disuguaglianze di genere nel sistema previdenziale, mettendo in luce le differenze nei trattamenti pensionistici e nelle condizioni di accesso alla previdenza: "Le donne continuano a sostenere il peso maggiore del lavoro di cura familiare, e questo si riflette nei dati su retribuzioni e pensioni. In Basilicata, il divario pensionistico è significativo, con una differenza di circa il 30% nell'importo medio delle pensioni tra uomini e donne. Tuttavia, nel settore pubblico questa differenza è meno accentuata".

Maria Carmela Zaccagnino ha evidenziato come la scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro abbia un impatto negativo sull’economia regionale e nazionale: "Un basso tasso di occupazione femminile significa meno produzione di ricchezza per tutti. La disparità di genere ha molte sfaccettature, una delle quali riguarda la distribuzione delle responsabilità familiari. Politiche mirate devono supportare le donne e gli uomini che desiderano conciliare lavoro e famiglia, senza dover rinunciare a una delle due dimensioni".

Margherita Perretti ha posto l'accento sulla necessità di una strategia strutturata per la parità di genere: "In Basilicata manca ancora una politica strategica efficace che promuova l'accesso delle donne al mercato del lavoro e garantisca strumenti di conciliazione tra vita privata e professionale. L'analisi dei dati è fondamentale per orientare le decisioni e valutare l'efficacia delle misure adottate. La Regione dovrebbe dotarsi di un bilancio di genere per monitorare i risultati e affinare le politiche".

Ivana Enrica Pipponzi ha sottolineato l’importanza di dati precisi per la definizione di politiche di intervento: "Il divario di genere rimane una problematica persistente, soprattutto in ambito lavorativo e previdenziale. La certificazione della parità di genere rappresenta uno strumento chiave per incentivare le imprese ad adottare misure concrete a favore della parità. Proprio la Consigliera regionale di parità è deputata istituzionalmente ad elaborare questi dati ma anche a comprendere quali sono le attività da porre in essere. A livello ministeriale e come Dipartimento pari opportunità ci stiamo focalizzando molto su tale certificazione che riteniamo assolutamente centrale in questa battaglia per superare il divario di genere.”

Michele Somma ha messo in risalto la dimensione culturale della disparità di genere: "Molto è stato fatto a livello normativo, ma il vero ostacolo rimane culturale. Le differenze nelle retribuzioni e nelle pensioni sono il risultato di fenomeni radicati nel tempo, e serve un cambio di mentalità per invertire la tendenza".

Gabriella Megale ha infine analizzato il ruolo dell'imprenditoria femminile: "In Basilicata, la percentuale di imprese a conduzione femminile è superiore alla media nazionale (27,8% contro il 22,6%), ma molte di queste operano nel settore agricolo con una struttura minima. È fondamentale sviluppare politiche che incentivino l'ampliamento delle imprese femminili e ne rafforzino la competitività".

La discussione ha segnalato la necessità di interventi strutturati in Basilicata per ridurre il divario di genere e favorire una maggiore equità in ambito economico e sociale con strategie orientate al superamento dei gap ancora persistenti, con l’affinamento di tutti gli strumenti necessari ad ottenere gli obiettivi indicati.

 

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di Walter De Stradis

 

 

 

 

Giunto da poco a Potenza come studente universitario, chiese in un bar una gassosa al caffè, come era solito fare nella sua Cassano allo Ionio (Cosenza), ma gli porsero la bibita con la tazzina a parte. Le differenze (vantaggi compresi) nel vivere nel capoluogo della Basilicata, l'ingegnere "calabro-lucano" (originario di Terranova di Pollino) Antonio Candela racconta di averle apprese subito, e di avere avuto la “fame” giusta per fondare un’associazione di studenti fuori sede, laurearsi (più di una volta), diventare imprenditore e -fra le altre cose- coordinatore della candidatura nonché presidente del Comitato tecnico di “Potenza Città dei Giovani” (prestigiosa nomina istituzionale ottenuta dal Capoluogo lucano).

d- Un mese fa, il 9 febbraio, si è chiusa l’esperienza di “Potenza Città dei Giovani”; facciamo un bilancio, partendo, però, proprio dalle polemiche che seguirono l’annuncio dell’investitura ottenuta, e che facevano riferimento al titolo acquisito da un capoluogo di regione martoriato proprio dallo spopolamento giovanile e dall’intermittenza dei servizi essenziali.

r - Questi riconoscimenti (come anche quello di Capitale Europea della Cultura) non sono dei concorsi di bellezza, ovvero non li vincono città che sono già “a misura di”. Sono invece delle competizioni che stimolano le comunità a sviluppare progetti per rispondere a un determinato quesito. Potenza Città dei Giovani è nata esattamente così. L’Associazione degli ex studenti dell’Università (di cui faccio parte e che ho contribuito a fondare), dopo l’ennesima velina sullo spopolamento e sui giovani “impoltroniti”, reagì con la proposta di partecipare proprio a quella candidatura. Queste competizioni, infatti, sono degli “acceleratori”, mettono le città in competizione, “sotto pressione”, affinché rispondano a problemi come spopolamento, politiche del lavoro, neeting (il fenomeno che riguarda ragazzi che non studiano e non lavorano) e così via. Quella candidatura, insomma, è nata perché “Città dei giovani” non lo siamo.

d- Una sorta di reagente chimico, insomma. E la città come ha reagito? La città di Potenza cosa ne ha guadagnato?

r - I giovani hanno reagito straordinariamente bene, più di centocinquanta di loro hanno lavorato, in un anno e mezzo, per scrivere quel dossier. Voglio ricordare, inoltre, che finalmente c’è stata una generazione che ha fatto pace con la città sul tema Elisa Claps. Sempre in quel periodo, abbiamo aperto il Forum regionale dei giovani che era fermo; abbiamo rimesso al centro il tema della legge sulle politiche giovanili; abbiamo raccolto quasi 400mila euro di budget (in gran parte privato) che ha sostenuto i progetti del dossier, con una ricaduta sulla città di oltre un milione e mezzo di euro; è nata l’Orchestra Maldestra, un collettivo di giovani che -con un direttore di diciotto anni- per la prima volta allestiva una cosa del genere; abbiamo sperimentato due nuovi indici di valutazione dell’impatto giovanile (uno dei quali la Commissione Europea ha chiesto più volte di avviare, e Potenza è stata tra le prime città italiane); abbiamo sperimentato anche l’Indice di Felicità (un misuratore di empowerment per le persone che svolgono determinate attività). Tutte queste cose sono diventate patrimonio del capoluogo. E’ chiaro che in un anno non si risolve il tema dello spopolamento, ma certamente, oggi più di prima, a Potenza si parla di politiche giovanili.

d- Quindi nessun “però”?

r - Ce ne sono tanti, invece. Il primo: il piano economico che aveva reso sostenibile questa candidatura era fatto anche di un contributo della Regione Basilicata di centomila euro, che non è stato mai dato. Pertanto, abbiamo finito “Città dei Giovani” senza il 40% del budget. La città, di suo, non era pronta per affrontare un titolo così straordinario. Abbiamo perso un sacco di tempo, amministrativamente, per sbrigare attività che con un modello più organizzato avremmo fatto prima. Se a marzo vinci, e il Comitato tecnico si insedia il 30 aprile, vuol dire che abbiamo perso due mesi a fare una roba che andava fatta in dieci giorni.

d- “La città non era pronta”, ha detto. Da che punto di vista? Strutture? Personale? O magari mentalità?

r - Direi dal punto di vista della mentalità. Si è visto: a un pezzo della città, questo titolo è passato quasi inosservato. Come sempre, si è trattato di un approccio “sistemico” a un tema così straordinario.

d- I potentini non ci hanno creduto?

r - All’inizio non credevano nella candidatura; a vittoria ottenuta, non hanno creduto in loro stessi. In questa città, è un tema più trasversale: quando si raggiunge un risultato, si ha paura di tenere il pezzo su quel risultato stesso.

d- Quindi, come definirla: occasione mancata o colta parzialmente?

r - Io, per natura, sono sempre per il bicchiere mezzo pieno. Ribadisco: se oggi la Regione parla di giovani (forum, legge, riattivazione di fondi di investimento) è tutto figlio del faro acceso dal Comitato (fatto di tante persone) e del fatto che per la prima volta una città italiana, sotto il milione di abitanti, diventava Città dei Giovani.

d- Tocchiamo un tema peloso e antipatico: sui social ci furono polemiche anche sul suo essere calabrese, ma -anche se è stucchevole doversi “giustificare”- lei è di origini lucane.

r - Sì, infatti, di Terranova di Pollino. Mio padre è nato qui a Potenza nel 1950, nell’ospedale che un tempo si trovava nell’attuale parco della Torre Guevara. Sì, il tema è stucchevole, anche perché io sono di quella generazione di studenti universitari che ha scelto e scelgono di studiare in Basilicata, e poi di rimanere qui (e mettere su famiglia). E’ stucchevole, perché noi ormai dobbiamo guardare al Mediterraneo come riferimento, e invece la nostra provincialità, direi quasi “paesanità” (che non è un termine dispregiativo) ci identifica. Abbiamo timore di mettere al centro il ruolo che Potenza DEVE avere. E’ quasi un’”ansia da prestazione”.

d- E’ meno faticoso lamentarsi?

r - Assolutamente sì. E’ più facile ed è più comodo pensare che sia sempre colpa dell’altro, o che ci sia “qualcosa dietro”, quando qualcuno ha successo. E chi ha successo non lo si guarda per emularlo, ma per abbatterlo.

d- Lei si ritiene una persona di successo?

r - Io mi ritengo una persona fortunata. E ovviamente la fortuna te la costruisci, anche. Per me la fortuna non è quella del “gratta e vinci”, è una cosa su cui si deve lavorare. E oggi a quarantacinque anni sto bene, vivo in una città bellissima, in una regione che ha un enorme potenziale. Ma sa una cosa? Basta col dire che “abbiamo potenziale”! Dobbiamo esprimerlo.

d- Lei, a microfoni spenti, mi ha detto che provenendo da un paese della Calabria, Cassano, qui ha trovato una realtà molto diversa, in senso positivo…

r - A Potenza ho trovato Las Vegas, l’ho sempre detto. Vengo da una realtà in cui, a una certa ora, c’era il coprifuoco. Nella piana di Sibari ci sono problemi realmente sistemici. Arrivato qui, mi meravigliavo del fatto che potessi uscire alle tre di notte, senza dovermi guardare alle spalle di continuo. Sono cresciuto in una dinamica in cui devi far crescere le unghie un po’ prima, devi avere fame di raggiungere un obiettivo. La mia è una generazione competitiva, a differenza dei ventenni di oggi, i cosiddetti nativi del digitale, che non hanno vissuto il bar del paese, quando la sera ci si riuniva con le sedie e si parlava di ciò che accadeva. Io queste cose le ho vissute, anche se sembrano di un’era fa. I ragazzi di oggi sono più fragili, perché cercano una comunità che non hanno avuto, e la devono costruire.

d- Una quindicina di anni fa lei si candidò al consiglio regionale con una lista che faceva riferimento alla sua associazione di studenti fuorisede, “Sui Generis”. Oggi la politica l’ha solo messa in parcheggio?

r - La politica la faccio tutti i giorni. Dare risposte alla comunità, attraverso il proprio lavoro e il proprio impegno, significa fare politica. Credo di non essere tagliato, invece, per l’impegno attivo in un partito. Credo che certe contrapposizioni siano saltate e che oggi ci sia bisogno di fare comunità, ma purtroppo siamo in un paese di Guelfi e Ghibellini.

d- Lei è amministratore del consorzio ConUnibas, che si occupa anche di accoglienza agli studenti non lucani. Potenza è una città a misura di fuorisede?

r - Assolutamente no. Uno dei temi della Città dei Giovani era proprio questo: è follia che a Potenza non si sia posti la questione dell’Università come “driver” sistemico. E’ vero, l’università dovrebbe essere maggiormente “dentro” le dinamiche, ma è vero anche il contrario: noi abbiamo due città universitarie, Potenza e Matera, che non sono affatto a misura di studenti.

d- Cosa vuol dire, secondo lei, essere davvero una città “universitaria”?

r - Significa mettere al centro delle scelte di sistema la presenza degli universitari; immaginare contratti-tipo per l’accoglienza (dormire, mangiare, residenzialità); favorire l’ingresso degli studenti nell’ambito culturale; accogliere le famiglie che scelgono di investire nel capoluogo: tenga conto che la presenza dell’Università, tra Potenza e Matera, comporta una ricaduta economica di circa 350/400mila euro annui (e cioè dieci volte tanto, rispetto a ciò che diamo all’Ateneo come finanziamento). Tuttavia, non si è mai ragionato su un modello di sistema. Ricordo bene “Unitown” (ci lavorai insieme all’assessore Percoco), uno strumento tecnico di aiuto alla politica, ma non ha prodotto il risultato sperato.

d- Se potesse prendere Bardi sotto braccio, anche in tono confidenziale, cosa gli direbbe?

r - Che è arrivato il momento di mettere al centro i giovani e le politiche del lavoro. Da lì passa tutto: il tema dell’emigrazione, dello spopolamento, delle aree interne. Pertanto a Bardi direi: «Presidè, metti tutto quello che hai nelle politiche giovanili».

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E’ online dal 5 marzo sul sito Internet dell’Inps la circolare n. 54, che fornisce chiarimenti  sul “Fondo per il reddito di libertà per le donne vittime di violenza” e indica le modalità di presentazione delle domande. La misura, approvata con decreto del ministro per la Famiglia di concerto con il ministro del Lavoro e con il ministro dell’Economia, è pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 4 marzo 2025.

Il “Reddito di libertà” è riconosciuto alle donne vittime di violenza, con o senza figli, che, spiega la Consigliera regionale di parità, Ivana Pipponzi, si trovano in condizioni di povertà e sono seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali.  Si tratta di un intervento di particolare importanza, perché sostiene l’autonomia finanziaria delle donne che intendono uscire da situazioni di abuso.

Il Reddito di libertà concede un contributo economico di 500 euro mensili, per un massimo di 12 mensilità, e non è incompatibile con altre forme di sostegno, come l’assegno di inclusione. La misura è finanziata con dieci milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026. A questi si aggiungerà un ulteriore milione, strutturale, stanziato dall’ultima legge di bilancio.

La domanda di aiuto deve essere presentata all’Inps attraverso i Comuni di riferimento. Il “Reddito di libertà” prevede un regime transitorio fino al 18 aprile. Fino a quella data concede alle donne la possibilità di ripresentare le domande non accolte per “insufficienza di budget”, con priorità rispetto alle nuove pratiche. Il tramite è sempre quello dei Comuni, i quali verificano la sussistenza dei requisiti per l’accesso alla misura.

Per la presentazione delle domande i Comuni dovranno accedere al servizio on line raggiungibile sul sito www.inps.it, digitando nel motore di ricerca “Prestazioni sociali dei comuni”, selezionando tra i risultati il servizio “Prestazioni sociali: trasmissione domande, istruzioni e software”.

fonte: https://agr.regione.basilicata.it/post/pipponzi-operativo-il-reddito-di-liberta/

 

 

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di Antonella Sabia

 

 

 

 

Fa parte del Comitato Nazionale per gli 80 anni della Democrazia Cristiana, di cui a livello locale è stato l’ultimo Segretario, e ci ha preannunciato che a giugno verrà portata la mostra della DC a Potenza, mentre per ottobre si sta organizzando un grande convegno sul ruolo che la DC ha avuto per il Mezzogiorno. Con l'on. Peppino Molinari, abbiamo ripreso e commentato alcune parti dell’intervista a pranzo del Direttore Walter De Stradis con lo storico Donato Verrastro.

d - Quanto del fenomeno del clientelismo di allora, si riflette ancora oggi?

r - Questo del clientelismo è un male atavico del Mezzogiorno, qualcuno pensava fosse un fatto che riguardava solo la Prima Repubblica, ma dopo il suo crollo, si è ulteriormente accentuato. Parliamo di chiedere un favore, una corsia preferenziale, un fenomeno che nasce dalla necessità e da uno stato di bisogno di gente che non aveva una paga, viveva in grandi difficoltà. Ricordo una volta, quando stavo ancora nel movimento giovanile ed eravamo anche un po’ impertinenti, dissi a Colombo: ”Presidente vi accusano e accusano la DC di clientelismo in questa regione…” e lui mi rispose: “Figlio mio, quando esco da casa incontro delle persone indigenti che non hanno nulla da mangiare e che vivono in condizioni di povertà, ho fatto solo delle segnalazioni, per accrescere l’ascensore sociale, per far studiare i loro figli, ho dato posti di lavoro non posti da dirigente!”. Successivamente ci fu l’epoca dei concorsi, non nego che arrivavano tante segnalazioni, ma si diceva sempre che bisognava premiare chi era bravo, poi c’era una graduatoria di idonei che nel corso dell’anno scorreva.

d - In cosa differisce oggi?

r - All’epoca comunque era un fenomeno sicuramente più contenuto rispetto ad oggi che ricoprire un ruolo da dirigente, significa anche superare un certo reddito. In alcuni casi, oggi, si possono fare delle convenzioni, tanti servizi sono stati esternalizzati, sono state create delle società ad hoc e diventa forse più facile fare le assunzioni.

d - Ma oggi l’ambizione è un posto di lavoro o un posto da dirigente?

r - C’è ancora una forte domanda di lavoro, specialmente in questa regione, ma possiamo dirlo che chi entra oggi nella pubblica amministrazione aspira già a posti da dirigente perché si è creato un forte dislivello economico tra chi ricopre ruoli dirigenziali e i semplici impiegati. Ai miei tempi il dirigente che veniva chiamato coordinatore, prendeva senz’altro qualcosa in più, ma si trattava di 3-400 mila lire in più rispetto all’usciere del piano.

d - Verrastro ha accennato al fatto che i più ricordano “Colombo che fece le strade in Basilicata”, ma la maggior parte dei progetti rientravano comunque in una logica più ampia, quella del Mezzogiorno.

r - Colombo ha sempre avuto una visione globale, ogni cosa che proponevamo, lui la collocava nell’ambito nazionale e del Mezzogiorno. Colombo è stata l’espressione massima della Democrazia Cristiana, un partito composto e complesso, ricco di personalità. Per emergere, dovevi avere delle qualità. In questa regione la DC è stato il vero partito rivoluzionario, abbiamo sostenuto la Riforma Agraria anche se le sinistre erano contro, abbiamo sostenuto l’Industrializzazione nonostante qualcuno diceva che fossero tutte cattedrali nel deserto, ma accanto a queste sorgevano parrocchie, piazze, scuole e quindi nascevano delle comunità. Si credeva fortemente in uno sviluppo integrato tra agricoltura e industrie in Basilicata.Con il senno di poi, si può discutere sul fatto che Colombo e la DC poteva fare di più e meglio, ma ora è semplice, sono le intuizioni a fare la differenza. Pensiamo poi alla costruzione delle famose dighe di cui si parla tanto oggi, fu un accordo nazionale tra Colombo e Moro, in particolare sul vendere l’acqua alla Puglia, che aveva una grossa carenza. È stata fatta una scelta e un accordo politico che vide coinvolto anche il professor Scardaccione che era l’allora direttore dell’Ente Irrigazione. Creammo inoltre sul territorio una rete ospedaliera, perché avere un presidio nei piccoli paesi, significava salvare tante vite. Tenga presente che si partoriva ancora nelle case, quasi nessuno si controllava e faceva esami… si “moriva di subito”.Queste reti ospedaliere alla lunga sono diventate anche strutture di eccellenza, perché avevamo tanti bravi medici, oggi il più delle volte per visite specialistiche o interventi particolari, ci si muove verso il Nord.

d - Ha fatto cenno ai partiti, qual è la situazione oggi?

r - Oggi tutti i partiti sono liquidi, non c’è più l’organizzazione dei partiti che significava avere le sezioni sui territori, avere organismi eletti nei congressi, fare le tessere. Io, per esempio, ero Segretario provinciale di un organismo composto da 36 persone di cui 9 facevano parte della direzione provinciale, oggi assistiamo a partiti con assemblee di oltre 2-300 persone che si ritrovano fuori dalle loro sedi. Noi avevamo i comitati regionali, le sezioni servivano per discutere del territorio e dei problemi di ogni zona.

d - Come si è arrivati a questo?

r - Quando è crollata la Prima Repubblica, una delle pagine più scure del nostro Paese, c’è stato proprio un disegno che vedeva la distruzione dei partiti. Da lì sono nati i nuovi partiti liquidi, quelli unipersonali, basti vedere i simboli: la maggior parte contengono i nomi delle persone, questo non significa più partecipazione, ma scegliere con chi stare, o altrimenti vieni estromesso. Prima all’interno dei partiti c’era dialogo e confronto, la gente partecipava. Personalmente, almeno quattro volte a settimana giravo e andavo nei paesi a discutere dei problemi con la gente e con le amministrazioni che governavano i Comuni. Oggi è facile utilizzare i social per fare delle denunce, per esporre un pensiero, si può dire tutto il contrario di tutto. Poi credo che non si sia mai voluto attuare quegli articoli della Costituzione che parlano dell’organizzazione dei partiti, che devono avere delle strutture e anche un controllo dello Stato per quanto riguarda i finanziamenti. Prima i partiti erano anche una grande scuola di formazione, si organizzavano dei veri e propri corsi che avviavano ad una carriera all’interno delle amministrazioni. Oggi si parla tanto di trasformismo quando si cambia partito. All’interno della DC noi avevamo delle correnti, ma mettemmo la regola che chiunque cambiasse corrente, per due anni non poteva avere alcun tipo di incarico di partito, benché meno nelle istituzioni…così si governava in maniera democratica!!!

d - E quindi pensa che un altro “Colombo”, non sia possibile?

r - Onestamente no, è improponibile un nuovo Colombo,o pensare ai partiti così come erano organizzati nella Prima Repubblica, parlo della DC, ma anche del Partito Comunista o il Partito Socialista. Prima si cresceva attraverso il confronto interno, si maturava per portare avanti idee. Oggi uno viene “unto dal signore” e diventa capo di un partito, non a caso oggi abbiamo leader di partiti che sono anche imprenditori, ai tempi nostri era inimmaginabile. E questo la dice lunga.

d - Venendo all’attualità, questi bonus erogati dalla politica regionale sono da “Prima Repubblica”?

r - Nella Prima Repubblica non si davano bonus, piuttosto si approvavano delle leggi per consentire l’ascensore sociale, per consentire a tutti di poter accedere alle scuole dell’obbligo, poi all’università…grazie ai presalari anche i figli delle famiglie non abbienti si poterono iscrivere all’università. Diventarono grandi ingegneri, medici, figli di contadini e pastori, Tutti venivano quindi messi nelle condizioni di poter avanzare socialmente, fu una scelta precisa che fece diventare in quel momento l’Italia, la quinta potenza. Non abbiamo mai fatto la politica dei bonus, c’era l’ECA (Enti Comunali di Assistenza, che fornivano pasti caldi, dormitori pubblici, indumenti smessi, buoni per l’acquisto di materie di prima necessità, sussidi mensili, ndr) che assisteva i poveri, ma era una cosa diversa, perché c’era un Consiglio di Amministrazione che stabiliva quali fossero le famiglie più povere. Così come le case popolari, ci fu la “Legge Fanfani” con la quale vennero costruiti tantissimi edifici in pochi anni, è stata costruita l’Autostrada del Sole, gli aeroporti…piuttosto che dare soldi a pioggia! Quando nacquero le Regioni nel 1970, la DC con Vincenzo Verrastro diede stabilità governando per 13 anni, creando un modello efficiente di Regione Basilicata tanto è vero che si parlava di “Modello lucano nel Mezzogiorno” ed eravamo la prima regione nella spesa dei fondi europei. Disse una volta Colombo, che Verrastro andò a Roma a fare lezioni di regionalismo… un uomo piccolo (di statura) e di una piccolissima regione, che però allora contava tanto. Oggi,sotto questo punto di vista viviamo il momento peggiore. C’è questa metastasi dello spopolamento che personalmente denuncio già nel 2001, per non parlare poi dei giovani che vanno via. Forse era questo il momento di fare una Legge Regionale che riguardasse diplomati e laureati lucani, sfruttando i fondi delle Royalties e i soldi dei bonus per dare loro una risposta lavorativa, coinvolgendo tutti i comuni, anche i più piccoli, almeno io come Presidente della Regione avrei fatto così. Invece assistiamo piuttosto a questa colonizzazione di gente che viene da fuori, a ricoprire incarichi da dirigente…con tutto il rispetto, volendo fare un paragone calcistico, la cosa regge se arriva un Maradona, Messi o Pelé, altrimenti abbiamo tanta gente competente anche in regione.

 

 

 

 

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di Walter De Stradis

 

 

 

Il nostro viaggio nel mondo dell’associazionismo lucano questa settimana fa tappa (virtualmente) a Savoia di Lucania (Pz), consentendoci di parlare di un personaggio storico ancora oggi “divisivo”, Giovanni Passannante, e domandarci se la sua vicenda possa incarnare, ancora oggi, alcune “ambivalenze” della nostra regione, spesso stretta in un drammatico stallo alla messicana, tra ribellione e prostrazione.

Ne abbiamo parlato con la professoressa Lina Argia Passannante, non certo a caso presidente dell’ “Associazione Pro-Salvia Giovanni Passannante”.

d - Quella di Giovanni Passannante è una “colpa” che un intero paese, Savoia di Lucania -un tempo Salvia- secondo voi sconta ancora oggi.

r - Giovanni Passannante è il figlio di Salvia che, il 17 novembre del 1878, attentò a re Umberto I di Savoia, un atto condannato per oltre 150 anni, ma che -in realtà- non era teso ad ammazzare: si trattò di una forma di protesta contro un Sud che pagava le spese di un’Italia che non era ancora unita, con tanto di analfabetismo, miseria, scarsa scolarizzazione che dilagavano, in particolare nella nostra Basilicata.

d - Riassumendo al massimo: per risarcire la casata del Re, il paese cambiò nome, da “Salvia” a “Savoia”.

r - Sì, in segno di sottomissione, si scelse di omaggiare il Re. Ancora una volta, insomma, ci siamo genuflessi al cospetto del potere.

d - Pertanto, lo scopo principale della vostra associazione è quello di ripristinare la denominazione originale.

r - Certamente, ci preme ripristinare il vecchio toponimo, e in più, rivalutare e far conoscere la figura di Giovanni Passannante. L’associazione, ex comitato “Pro Salvia”, esiste dal 1988, io ne faccio parte dal 2008, e dal 2022 ne sono presidente.

d - Lei è in qualche modo parente di Giovanni Passannante, visto che porta lo stesso cognome?

r - E’ una cosa che si perde nella notte dei tempi, e io non ho mai fatto una vera ricerca. Sicuramente, i Passannante stavano tutti a Salvia, un tempo, e adesso non ce ne sono più, né al cimitero, né viventi. Tutti i Passannante li troviamo nei paesi limitrofi (Vietri, Vallo della Lucania, Melfi, Venosa), tranne che a Savoia.

d - Lei è infatti è di Vietri.

r - Sì, ma sicuramente qualche ascendenza con Giovanni Passannante ci sarà, perché mio nonno era del 1856, praticamente coetaneo di Giovanni, che era del 1849. Me lo raccontava mia madre, che aveva sentito questa storia da mio padre (che ho perso in giovanissima età).

d - Scusi, ma perché a Savoia di Lucania di Passannante non ce ne sarebbero più?

r - Perché, secondo me, hanno pagato duramente quest’ “onta” che dura da 150 anni, una “macchia” che non si ripristinerà mai, finché non si tornerà all’identità del paese. Ma non c’è mai stata neanche la volontà, di farlo.

d - Negli anni si sono lette diverse cose, ma le risulta che le amministrazioni comunali che si sono succedute, abbiano mosso un qualche passaggio ufficiale per tornare al vecchio nome del paese?

r - Che io sappia, mai. Ogniqualvolta abbiamo fatto emergere questo problema, non è mai stato preso in considerazione. Anzi, Ci siamo sempre ritrovati con le porte sbattute in faccia.

d - Che spiegazione si è data, dal momento che i Savoia in Italia non regnano più da un pezzo?

r - Eh, non saprei. C’è stato un tempo in cui qualcuno, in paese, ha anche invitato i Savoia (e cioè Emanuele Filiberto): c’era di mezzo pure un pranzo in un ristorante, poi andato a monte. Una storia un pochettino triste, a mio avviso.

d - Cosa può raccontarci della Basilicata, magari anche odierna, la vicenda di Passannante?

r - Ehh. Ci racconta la forza del potere dell’epoca, che ha cercato di far morire un uomo, facendolo scomparire letteralmente dalla faccia della Terra, dal consorzio umano; non si sapeva che fine avesse fatto, in quanto era rinchiuso in una torre, sotto il livello del mare, all’Isola d’Elba. Ma Passannante non ha mai chiesto la grazia.

d - Qualche anno fa vidi un film molto interessante, con Ulderico Pesce e Andrea Satta (“Passannante”, di Andrea Cerabona, con Fabio Troiano nella parte del protagonista – ndr)... ma non so che fine abbia fatto.

r - Ulderico Pesce ha promesso che metterà a nostra disposizione il suo film, per questo nostro progetto, “Passannante in itinere”, col quale andremo a toccare tutti i paesi, limitrofi (e non) a Savoia di Lucania, per far conoscere Passannante e per capire anche cosa le persone sanno di lui. Sarà un viaggio a ritroso nella memoria, che si concluderà a giugno in piazza Plebiscito, a Savoia di Lucania.

d - I Lucani che vedranno e sentiranno, secondo lei, cosa dovranno apprendere e cosa potrà essere utile ancora oggi?

r - Il concetto che prima di essere uomini bisogna essere umani. Giovanni è stato trattato in una maniera davvero disumana, laddove lui professava proprio ideali di fratellanza e giustizia. Chi ascolta dovrà imparare davvero -al di là di ciò che si dice e che si ostenta- il valore della sua forza di volontà, la sua resilienza e il suo coraggio.

d - La Basilicata, il Sud...siamo ancora “sudditi” di qualcosa?

r - Beh, alla fine siamo sempre succubi di qualcosa, anche solo di una maldicenza, di qualcosa che viene “sparato” sui social.

d - Siamo asserviti ancora al potere, in qualche modo?

r - Beh, io non mi occupo di politica, me penso di sì, poiché ciascuno vuole un posto in prima fila, le luci della ribalta.

d - Da cittadina e presidente di un’associazione culturale, qual ritiene sia la principale mancanza in questa regione?

r - C’è ancora chi denuncia delle cose, fortunatamente, ma viene subito additato. E non fa mai una buona fine.

d - Cos’ha prodotto, la vostra associazione, negli anni?

r - Tantissimo: incontri, simposi, c’è chi ha fatto delle tesi di laurea. Abbiamo fatto eventi a Matera (quando era capitale della Cultura), e a Vietri. Abbiamo invitato attori, scrittori; il professor Fernando Dello Iacono -molto vicino a noi- ha scritto un “Canto” per Giovannino. Tra i nostri progetti c’era anche un centro studi su Passannante, ove raccogliere tutta la produzione realizzata dal 1988 a oggi.

d - Ho desunto che con le amministrazioni comunali non c’è stato granché dialogo, e con quelle regionali?

r - Le amministrazioni regionali sono sempre più aperte al discorso. Dal canto nostro, dopo un momento di stasi, ci siamo riattivati. Io stessa presenterò un progetto scolastico per il prossimo anno; a livello personale già da tempo mi attivo per far conoscere Passannante ai ragazzi delle scuole dell’obbligo. Purtroppo la sua storia è completamente sconosciuta; ma quando mi capita di spiegarla ai ragazzi, noto che sono sempre molto affascinati. Per loro è una storia assolutamente impossibile.

d - Lei ha raccontato e anche denunciato delle cose, da parte nostra siamo disponibili a raccogliere repliche o aggiunte al dibattito... ma, a Savoia, sono contenti della vostra proposta di tornare al vecchio nome? Cosa ne pensa il cittadino medio, secondo lei?

r - Lo dicono solo con la bocca, ma secondo me non ne sono molto convinti, fondamentalmente. Tanto più che io stessa ho subito ostracismo nei confronti della mia persona – e questo me lo deve lasciare dire- perché non sono di Savoia. Un “campanilismo” abbastanza pesante, consumatosi sui social. Ma io non mi sono certo tirata indietro.

 

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di Walter De Stradis

 

 

 

 

La loro ultima creazione, in ordine di tempo, è stata un simulatore di “slittovia” -attrazione che verrà effettivamente inaugurata a Castelmezzano il 25 aprile prossimo- portato alla BIT di Milano per illustrare l’iniziativa. I tricaricesi Giuseppe e Paolo Fedele, di professione “creativi”, ormai da anni si muovono tra progetti multi-mediali che hanno a che fare tanto con la tradizione quanto con l’innovazione. Fra questi, vanno citati almeno: il documentario sul “Canto Popolare di Tricarico”; un altro realizzato per i cento anni della Congregazione delle Suore Discepole di Gesù Eucaristico; tour immersivi per la valorizzazione del patrimonio religioso della loro Diocesi; eventi per gli anniversari di Rocco Scotellaro (nell’ambito di “Matera 2019”). I due fratelli, inoltre, gestiscono da anni la comunicazione e la promozione di eventi per la Pro Loco Tricarico, tra cui il famoso Carnevale.

d - Partiamo dal lavoro sul “Canto di Tricarico”, che ha visto il coinvolgimento, tra gli altri, del cantore Antonio Guastamacchia. In Basilicata si registra musica “sul campo” dagli anni Cinquanta, perchè quest’altro, ulteriore, documento?

GIUSEPPE(G) - Il canto popolare, in sè, non ha un autore singolo, ma è un lavoro di comunità. Ancora oggi, tuttavia, quello nostrano è molto “inquinato” da pizzica salentina, canti calabresi e pugliesi; pertanto volevamo mettere un punto fermo su ciò che fosse autenticamente e sicuramente di Tricarico (non a caso molti canti sono “a cappella”). E da lì ripartire, magari seguendo l’esempio di Major Lazer che, muovendosi dal campionamento di brani indiani, ha poi fatto altro.

PAOLO (P) - A proposito di “tradizione”, noi siamo sempre più innamorati del concetto di “continuo tradimento”, cercando di non fossilizzare il “com’era”. Anche nel Carnevale e in altri nostri progetti, ci preme sempre inserire il discorso “innovazione”. In quel caso specifico, però, ci interessava fissare un “punto zero” per poi capire in quale direzione può andare la nostra tradizione.

d - Ma tutto questo lavoro, me lo chiedo da tempo, ha poi un reale valore in Basilicata? Matera 2019, ad esempio, è stato un grande calderone di eventi e di progetti, ma alla fine la nostra regione ne esce più arricchita, in qualche modo, o torniamo sempre al punto di partenza?

G - Mah, dal canto nostro riteniamo ci sia sempre bisogno di uno sguardo “esterno”, al di fuori della nostra “bolla” comunicativa. A volte, cioè, arriva qualcuno esterno che ci fa innamorare delle nostre cose o che, magari, ci dice anche ciò che non funziona.

d - Cioè noi Lucani non siamo buoni giudici di noi stessi?

G - Ma no, è una cosa insita all’uomo. Di solito uno cambia atteggiamento - e molto spesso capita anche gli artisti- quando arriva una “spinta dall’esterno”, che riconosce il tuo valore.

d - Ma tutta questa recente attenzione sulla Basilicata (mi riferisco anche alle serie tv e ai film girati in regione, persino a Potenza) ha portato lavoro a professionisti “creators” come voi?

G - No, in generale, non ci arriva “l’indotto”. Tuttavia, noi che con Matera 2019 ci abbiamo lavorato, siamo in grado di dire che non è vero che sul territorio non ha lasciato nulla. La stessa Tricarico, in quel contesto, ha avuto cinque eventi.

P - Il punto, però, qual è: è vero, manca un indotto che ti possa connettere con gli altri creativi e con gli organizzatori, però molto dipende anche dai lucani stessi. Si tratta di saper “intercettare” o meno. Noi, a Tricarico, abbiamo portato, tra l’altro, “Il buon compleanno di Scotellaro” (in occasione del 95esimo); essendo presenti nel web team di Matera 2019, abbiamo saputo intercettare, accorgendoci che gli eventi non stavano andando granché bene. Così proponemmo a Palo Verri di portarli in provincia, e lui colse l’opportunità. Da quella riflessione, nacque anche il progetto “Capitale per un giorno”, che coinvolse, a turno, i comuni.

G - Tuttavia, il coinvolgimento esclusivo dei comuni, e non anche delle associazioni, fu un primo limite. Le amministrazioni, oberate come sono di urgenze quotidiane, anche spicciole, non hanno la lucidità per capire certe proposte. In quel contesto, cioè, non è facile capire quale messaggio un paese di 500 abitanti può lanciare all’Europa intera. Si poteva coinvolgere, insomma, tutto un mondo intellettuale, che in Basilicata certo non manca.

d - Proprio Tricarico, con Scotellaro, Infantino, Delle Nocche ...beh, è uno dei riconosciuti centri nevralgici di questo mondo di storia e cultura. Tutto ciò crea anche un po’ di responsabilità?

G - Dovrebbe (sorride). Non sempre, però.

P - L’ambiente di Tricarico, come ben sa, è “pepato”, e a volte pratica l’auto-sabotaggio.

G - E’ lo “zero a zero”. Una cosa molto lucana, in realtà. Se tu fai goal, io devo provvedere ad annullartelo, piuttosto che segnare anch’io.

P - E’ una cosa che non fa crescere i creativi lucani. L’abbiamo visto con Matera 2019, la scena creativa e culturale si era riunita, ma c’è sempre voluta una spinta “esterna”. “Basilicata creativa” adesso è un altro cluster che comunque funziona, ma ci manca sempre un progetto per metterci insieme.

G - A proposito dello “zero a zero”, ho fatto una riflessione osservando il manifesto del “Carnevale Potentino” e mi sono chiesto: perché non investire quei soldi e mandare la gente nei paesi dove fanno il Carnevale, piuttosto che crearne un altro? Oltretutto, uscire e conoscere il territorio è sempre una cosa positiva.

d - Ma questa è forse una riflessione che andrebbe fatta a livello regionale, non di comuni, perché ognuno cerca di fare il proprio lavoro.

G - No. Ma perché mai ogni comune deve credere di essere autosufficiente in tutto? Non c’entra la Regione, bisogna comportarsi come tra fratelli.

d - Cioè Potenza dovrebbe rinunciare al suo Carnevale per favorire quello di Tricarico?

G - Sì, ma anche a beneficio di quello di Satriano etc. Ma, ripeto, deve essere una logica “tra fratelli”. Non c’è bisogno di una Regione che ti dica di farlo, devi capirlo da solo. Visto che le risorse di questa “famiglia” sono poche, andrebbero distribuite secondo una logica: a te i servizi, a te quest’altro...

d - Lei dice: Potenza ha già i servizi, a noi lasciateci il Carnevale...

G - Per i comuni ci sono solo quattro occasioni all’anno per far venire i turisti e agevolare i negozi locali, se gli leviamo anche quello...

d - E quindi alla Regione, per la promozione di eventi culturali e turistici, non chiedereste nulla? Va tutto bene?

P - No, non va tutto bene, ma alla Regione spetta proiettarci su un altro livello, al di fuori del territorio.

d - E viene fatta questa cosa?

G - No, anche se con Matera 2019 c’è stata l’esperienza di internazionalizzare e di convogliare nel territorio intellettuali e creativi esteri, che magari qui si arricchiscono culturalmente, e poi tornano. So di musicisti che ci sono tornati a spese proprie, in Basilicata. La Regione, ecco, dovrebbe capire che quella è una “best practice”, intercettare i creativi e dire loro: “sparpagliatevi”.

d - Se un domani vi assegnassero un incarico politico o amministrativo (non si sa mai), quale sarebbe la prima pratica sulla vostra scrivania?

G - Io lavorerei sull’accessibilità, in senso totale. Non solo sulle strade, ma anche sui vicoli, su tutte queste “chianche” che non sono accessibili nemmeno a un passeggino. Guardi, la “provincia”, in generale, ci porta a capire che la competitività tra le città non ci appartiene. L’unico aspetto “competitivo” deve essere la vivibilità, quella deve essere garantita.

P - Io creerei delle borse di studio “sola andata”, per tutti coloro che qui si sentono stretti, per consentire loro di andare via.

d - Nella Basilicata dello spopolamento? Ma poi ci vorrebbe una borsa di studio per farli tornare!

P - No, no, no. Se ne dovrebbero andare e basta. E’ un esperimento.

d - Sì, ma quale vantaggio ne trarrebbe la Basilicata?

P - Che quelli che rimangono non vengono più infastiditi e resi tristi dagli scocciatori.

d - E chi sarebbero gli scocciatori?

P - Tutti quelli che si lamentano, che stanno scomodi, che non si trovano bene nei paesini o a Potenza e Matera. Bisognerebbe dar loro quei soldi, per farli stare fuori, almeno sei mesi. Mi rendo conto che è un rischio: all’inizio si potrebbe pensare di perdere anche 200mila abitanti.

G - E’ stato fatto un esperimento del genere in Islanda, e ha dato i suoi frutti.

P - Si crea l’ambiente giusto, uno spazio in cui risiedono soltanto gli ottimisti, coloro che hanno accettato le regole dello stare in Basilicata, ovvero strade e servizi un po’ così. Ma lo accettano. Noi l’abbiamo fatto, e tenga conto che spesso, a Roma o altrove, ci è stato proposto di trasferirci. A Roma, se ti trovi in un bar e racconti di aver inventato un algoritmo, magari alle tue spalle c’è un investitore che subito ti assume, a Potenza, invece, ti rispondono di trovarti un lavoro serio.

d - Da tempo siete tra gli organizzatori del Carnevale di Tricarico, che ha preso il via il 17 gennaio scorso, con la festa di Sant’Antonio Abate.

G - Evento che ci piace definire “a dismisura” di turista. Lo facciamo sempre in quella data, in qualsiasi condizione atmosferica, e sempre alle cinque del mattino. Ma da buoni “integralisti” riconvertiti, non lo vogliamo spostare in date più “favorevoli”. Ci sono dei tempi morti? Non ce ne frega nulla. Così è, se vi piace. E’ un evento soprattutto per noi.

d - Scusi, ma prima non diceva che a Tricarico voleva i turisti?

G- I turisti li vogliamo all’ultimo giorno del Carnevale e al raduno delle maschere antropologiche, che si fa a giugno. Se vogliono venire a gennaio, sono i benvenuti, ma non ci devono scocciare.

P - Anzi, da alcuni anni noi proponiamo di vestirsi, di essere parte della mandria. E siccome i costumi costano, si potrebbe creare un “indotto”. Invece di spendere i soldi per la settimana bianca, vieni a Tricarico e ti vesti da toro, o da vacca.

d - Facciamo un passaggio su Antonio Infantino (col quale avete collaborato): da quando è scomparso, il “patrimonio” che rappresenta, è adeguatamente valorizzato a Tricarico?

G - C’è un circolo Arci a lui intitolato, che ha avviato alcune attività. Ma tenga conto che per molti Infantino è ancora presente, così come lo è per noi. Pertanto è ancora presto, e noi non abbiamo fretta. Perché, tra l’altro, dare ordine e priorità a tutto ciò che ci ha lasciato, non è facile.

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di Walter De Stradis

 

 

 

 

 

L’aviglianese Donato Verrastro, cinquantaseienne a cui daresti almeno dieci primavere di meno, è un accademico e intellettuale lucano di razza: docente di storia contemporanea all’Unibas (ove, da qualche settimana, è anche pro-rettore al “public engagement”), è anche direttore del Centro Studi Internazionali “Emilio Colombo”e presidente della fondazione “Emanuele Gianturco” di Avigliano (Pz).

Il centro studi “Emilio Colombo”, in particolare, è una delle tre direzioni interne al Centro di Geomorfologia integrata dell’area del Mediterraneo di Potenza; un centro che lo stesso Colombo contribuì a far nascere, a margine del terremoto del 1980.

d- Colombo, in Basilicata, è un po’ sinonimo di “Prima Repubblica”, con tutte le luci e le ombre che questo può comportare. Con quale scopo è sorto il centro studi a lui dedicato?

r - Il centro studi nacque quasi un decennio fa, ormai, con lo scopo di mettere insieme una serie di documentazioni, archivi e testimonianze legati alla sua attività; il tutto, a valle di un progetto pensato una prima volta quando lui era ancora in vita, e poi bloccatosi dopo la sua morte: un lungo documentario sulla sua carriera politico-istituzionale, divenuto poi un documento, disponibile online, intitolato “Emilio Colombo, memorie di un Presidente”. Tutto questo materiale è poi confluito in un volume, edito da Laterza (“Emilio Colombo, l’ultimo dei costituenti”), in cui la sua testimonianza diventa una fonte storica, ovviamente filtrata dalla sua personale prospettiva. Oggi il Centro studi custodisce le fonti della sua attività istituzionale, e anche il relativo patrimonio fotografico donato dalla famiglia (tutto digitalizzato e disponibile online).

d- In un momento storico come questo, in cui c’è un grande scollamento fra cittadino e istituzioni (nell’ottica della partecipazione al voto), in che modo Colombo può rappresentare “un’altra epoca” per la Basilicata?

r - Rappresenta “un’altra epoca” sicuramente. La percezione collettiva ha posto uno “stigma negativo” sulla Prima Repubblica, letta come logica del consociativismo, del compromesso, del clientelismo. Ormai l’interpretazione storiografica, però, è cambiata, anche in virtù della distanza temporale che ci ha consentito di maturare un pensiero critico. E’ quella una stagione con diverse ombre, ma sicuramente con tantissime luci. Intanto, è la storia e l’esperienza di una classe dirigente e di una politica (cui Colombo è sicuramente ascrivibile) che guarda alla realtà del territorio, di cui ne è anche espressione. E’ dunque una prassi politica, che è anche di tipo clientelare (fenomeno esistente ancora oggi), ma mossa da una classe dirigente che ha comunque ricostruito il Paese dopo la Seconda guerra mondiale. Un Paese in macerie, ma ancora tutto da fondare, dopo la caduta del fascismo (non avendo noi tradizione repubblicana). E così, nel giro di dieci/quindici anni, l’Italia passa da Paese sconfitto e distrutto dai bombardamenti, a protagonista del boom economico degli anni Cinquanta, diventando una delle Potenze più industrializzate del mondo.

d- Però quello è lo stesso periodo in cui si acuisce la Questione Meridionale.

r - In realtà si parlava di “Questione Meridionale” già alla fine dell’Ottocento.

d- Con l’industrializzazione, il “gap” Nord-Sud comincia a farsi marcato.

r - Sì, se facciamo, ad oggi, un bilancio di ciò che è accaduto; ma da storici dobbiamo contestualizzare i processi. E qual è la progettualità politica che osserviamo negli anni Cinquanta/Sessanta? Al di là degli esiti, registriamo una classe politica che GUARDA al Mezzogiorno, nell’ottica della risoluzione della “Questione Meridionale” di cui si parlava da troppo tempo, ma che il fascismo aveva completamente cancellato dall’agenda politica. Di Colombo e degli altri protagonisti di quella storia si dice sempre che realizzavano le opere “per dare soddisfazione all’elettorato”...

d-...ancora oggi, nei paesi, si ricorda che “Colombo fece le strade”...

r -...sì, ma la lettura equivoca che si dà di quella storia, consiste nel considerarla strettamente circoscritta al locale (penso alla Valbasento, alla Basentana, alle aree industriali, tra alterne fortune). Con gli studi effettuati, ci rendiamo conto, invece, che quei protagonisti non miravano mai esclusivamente allo sviluppo locale (che indubbiamente portava voti), e che tutti quei progetti rientravano sempre in una logica più ampia, ovvero quella del Mezzogiorno.

d- Oggi questa visione è rimasta in qualche modo?

r - Purtroppo no, non c’è una strategia di stampo meridionalista. Ci sono logiche di piccolo cabotaggio, anche se è chiaro che il Paese nel frattempo è completamente cambiato. All’epoca non c’erano le Regioni, non c’era una istituzione intermedia, che ha grande potere.

d- C’è oggi chi suggerisce addirittura di abolirle, le Regioni.

r - Diciamo che gli enti-Regione non hanno portato i risultati sperati. Le Province, invece, funzionano molto meglio, davvero incarnavano l’istituzione intermedia tra lo Stato e le comunità.

d- Il problema delle Regioni qual è? Troppe risorse? Troppo potere? Troppo poco?

r - No, il potere c’è. Il limite è la connessione di quel potere, nel bene e nel male (si pensi al vanto che ne fanno al Nord) con una grande autonomia in determinate materie, che molto spesso sono ostaggio delle politiche eccessivamente locali e che quindi si sganciano da una visione di carattere nazionale

d- Intanto lo Svimez ci dice che le Regioni, qui al Sud, sono un passo indietro, rispetto ai comuni, nella spesa e “cantierizzazione” dei fondi Pnrr.

r - C’è infatti anche un problema di performance e di efficienza. La Basilicata, fino a quindici/vent’anni fa, si distingueva positivamente in tema di fondi europei, per capacità di intercettazione, drenaggio e investimento E’ un problema di classe dirigente. Un ultimo passaggio: a mancare è la mediazione dei partiti, a partire dagli anni Novanta...

d-...oggi ci sono solo gruppi di potere?

r - La dinamica dei partiti è prevista dalla Costituzione, non dimentichiamolo. Erano quelli i contesti in cui si allenavano i futuri membri della classe dirigente, si alimentava il dibattito. Venendo meno questi corpi di mediazione (oggi i partiti sono tutt’altra cosa), si è aperto il varco a logiche un po’ più compromesse con le dinamiche eccessivamente locali.

d- Lei prima diceva che il clientelismo c’è ancora oggi. Tempo fa lessi un libro in cui si riportava che alcuni neo-assunti nelle industrie della Valbasento, avevano ricevuto una lettera, a firma di Emilio Colombo, in cui questi sottolineava “l’intercessione” fatta. In che modo il clientelismo di oggi è diverso, se lo è, da quello di allora?

r - Torno ancora alla “transizione” degli anni Novanta (Tangentopoli), che ha aperto una diversa prospettiva interpretativa sulla gestione della politica: noi oggi troviamo questi biglietti nelle carte di archivio, le segnalazioni che arrivavano agli enti (che non erano solo di Colombo), e ci scandalizziamo. Tuttavia “la segnalazione” all’epoca era all’interno di un sistema di “attenzionamento” delle esigenze (e non parlo della questione etica, perché è evidente che la meritocrazia non sempre veniva rispettata). Ma per certi versi era un sistema “trasparente”: il politico di oggi non ci penserebbe neppure a inviare un biglietto del genere. Ma ciò che noi ritroviamo oggi tra le carte è comunque il segno di una “politica di prossimità” che guardava comunque alle necessità. E molto spesso si interveniva a supporto di emergenze vere. Gli aneddoti raccontano che su dieci assunzioni, probabilmente, tre potevano anche essere mediocri, ma sette dovevano essere necessariamente di qualità (cioè reclutando i migliori, anche attraverso un sistema rigoroso di selezione, e mettendoci la faccia).

d- Oggi non siamo sicuri che quella “percentuale” venga rispettata.

r - Esatto.

d- Un ultima domanda: perchè Colombo, pur partendo da una regione come la Basilicata (all’epoca ancora più “minuscola”), è riuscito a diventare Colombo? C’è, secondo lei, un suo possibile “erede” politico in circolazione?

r - E’ impensabile che la Storia possa ripetersi allo stesso modo e riproporre modelli politici del passato. Colombo arriva alla politica attraverso la filiera cattolica (e tra l’altro inizialmente pensa a una carriera universitaria). E, tra i “reclutati” di quelle giovani risorse, neanche ventiseienne, viene gettato nella campagna elettorale dell’Assemblea Costituente. Parliamo di un contesto e di una storia che non ha eguali con quelli di oggi, ma c’è un passaggio importante: nel suo ultimo intervento alla commissioni riunite Camera-Senato per gli esteri, si prefigurò la Brexit (che ancora non era neanche ventilata), aprendo anche uno squarcio sulla questione Mediorientale. Questo per dire che dobbiamo astrarre quelle esperienze, anche dal pregiudizio locale, perché nessun politico esce vincente dall’analisi dell’impegno locale, ove ci sono commistioni troppo forti. Certe cose vanno lette anche in una prospettiva nazionale. E’ ciò che fa la differenza tra uno statista e un politico: la capacità di visione, di lettura, ma anche la solitudine -molta- nella responsabilità delle scelte. C’è infatti un Colombo privato che ci parla del peso dell’assunzione della responsabilità e della solitudine delle scelte. E tenga conto che quella forza di decidere è una qualità che non sempre i politici hanno.Indpov

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