- Scritto da Redazione
- Sabato, 29 Marzo 2025 07:53
Cari Contro-Lettori,
l’analisi del fresco novantenne on. Antonio Potenza (di cui leggete l’intervista a pagina 6) è lucida: «Quando sta per maturare qualche cosa, questa regione “scoppia” sempre, scoppia Matera, scoppia tutto». Difficile non leggere in questa frase un riferimento a quanto successo in settimana, alla Regione, a seguito degli scazzi vari dovuti alle imminenti elezioni materane. In ogni caso, la chiave di lettura sembra legata alla conclamata “autoimmunità” della politica lucana, una macchina abnorme capace cioè di divorare persino se stessa, e di paralizzare un sistema, magari anche solo per qualche giorno, se le dinamiche partitiche e di bottega lo richiedono. D’altronde, chi ha il vezzo di frequentare i consigli regionali (quando non sono rinviati per l’assenza, più o meno giustificata, di qualcuno), sa bene che -per esempio nel caso delle frequenti “nomine”- ci vuole poco a far saltare banco e seduta. Ma così è, se vi pare, viviamo in un mondo che non abbiamo inventato noi, dice il saggio, ed è così, ma è pur vero che, da qualche anno a questa parte, il Lucano si è poco impegnato per cambiare il suo “Mondo piccolo”, per citare le opere di Giovannino Guareschi. E, certo, oggi fa più che mai tenerezza, una tenerezza dolorosa, rivedere in tv quei film con Don Camillo e Peppone, che se le davano per questioni attinenti al Campanile o alla Casa del Popolo, ma soprattutto alla “fede” di entrambi. Altri tempi, per non dire altre ere geologiche.
E chissà, ancora, se in un suo film, il Nanni Moretti di oggi, fattosi un giro dalle nostre parti, prenderebbe ancora per il collo l’avventore del bar che lamenta che “ormai sono tutti uguali”. “Non siamo in un film di Alberto Sordi!” gli urlava il baffuto regista/attore, nell’episodio citato, mentre prendeva per il collo il cliente “qualunquista”.
Il fatto è che qui in Basilicata siamo andati ben oltre Sordi, e da un pezzo: siamo in un film di Stanlio e Ollio.
“Il Grande Botto”. Ma ovviamente è solo rumore (per nulla).
Walter De Stradis
- Scritto da Redazione
- Sabato, 22 Marzo 2025 07:06
Cari Contro-Lettori,
quella del terremotato è una scossa che ti rimane dentro. Un malessere decennale che meriterebbe uno studio e una classificazione specifici, al pari degli aspetti tellurici del discorso. Che in quel 23 novembre del 1980 tu fossi un bambino, come chi scrive, o un adulto, non fa molta differenza. E’ da quel preciso momento che in questa regione ci si sente tutti ancora un po' più in credito col destino. Ricordo che a scuola, alla minima vibrazione non prevista, si finiva in un attimo tutti con la testa sotto il banco, e che sollievo quando subito dopo si scopriva che i finestroni di vetro avevano solo assorbito e ritrasmesso la piccola e innocua “onda d’urto” di un qualche grosso camion che si era avviato dabbasso. Ma quella maledetta parola che veniva sempre urlata da qualcuno in certe occasioni, in un attimo era capace di proiettare dentro le teste di tutti, insegnanti e bidelli compresi, un intero e lungo “disaster movie” all’americana, ma molto italiano: gente che fugge, edifici distrutti, roulotte, campeggi di fortuna, militari, tende e quant’altro. Poi, alcuni anno dopo, nel 1990, i vetri delle nostre scuole furono nuovamente scossi, ma il terremoto questa volta era vero. Passano i decenni, ma non servono a lenire un disagio fattosi ormai ancestrale, addirittura in qualche modo ereditario, se è vero che quella bambina al tg -in occasione della scossa di qualche giorno fa- dice candidamente all’inviato che ci siamo cacati sotto. E così, le parole “epicentro”, “magnitudo”, “indicazioni delle autorità” e quant’altro ri-entrano di prepotenza nel nostro vocabolario minuto, colloquiale e istituzionale, e ci sentiamo nuovamente tutti un po’ più lucani, sfortunati e soli, se non accomunati dall’evento infausto ai cugini della Campania. Quel senso di precarietà, tuttavia, “a bocce ferme”, si attenuerà come al solito (senza mai dileguarsi), lasciandoci però in balìa di ben altri terremoti, ambientali, culturali, politici e sociali, che – a ben vedere- non riescono ancora a trasmetterci però quell' “onda d’urto” utile a reagire come sarebbe necessario. Ma questa è un’altra storia. Torneremo a parlarne, come sempre, dalla prossima settimana.
Oggi, più che mai, tenetevi forti (e forte).
Walter De Stradis
- Scritto da Redazione
- Sabato, 15 Marzo 2025 07:05
Cari Contro-Lettori,
il corpo è steso lì, riverso sulle basole di una piazza di paese (ma potrebbe trattarsi anche di una città). Il viso è esangue, negli occhi, un’espressione di rassegnazione: la vittima conosceva il suo assassino.
Poirot, non senza sforzo (considerata la pancia prominente), si piega per osservare meglio. Rimugina qualcosa, mentre si liscia i baffi impomatati. A un tratto si raddrizza, con un dito si gratta nella scriminatura dei capelli (impomatati anch’essi), mentre dietro di lui il tenente Colombo scrive qualcosa sul suo minuscolo blocchetto di appunti (che contiene anche la lista della spesa, stilatagli dalla moglie). Il poliziotto rimette in tasca il notes e si accende il suo consueto sigaro verde puzzolente, si guarda intorno, cerca con lo sguardo obliquo qualcuno a cui chiedere qualcosa, ma la piazza è vuota. Un Tricolore sventola su un qualche edificio istituzionale poco distante, mentre il collega tenente Sheridan, in una pausa tra un Carosello e l’altro, invita gli altri due a girare il cadavere del lucano morto. I tre detective si rendono conto, in questo modo, che il giovane è stato pugnalato alla schiena, poco sopra lo zaino robusto che -evidentemente- era stato preparato per un lungo viaggio (della speranza?). A quel punto, Poirot, piccato un tantino dal suggerimento ricevuto, indica le tasche gonfie dei jeans della vittima, e con garbo prega i due tenenti di spremere meglio le loro “celluline grigie”. Colombo, alza la mano col sigaro tra le dita, come per chiedere scusa e abbozza un sorriso, si sposta il ciuffo dei capelli scarmigliati e raccoglie dalle tasche del giovane deceduto alcuni strani foglietti rettangolari. Lui, che è di origini italiane, li riconosce subito. Sono “santini” elettorali, spiega. Eh, sì, conferma Sheridan, che di “pubblicità” ne ha fatta tanta. E' la “firma” dell’assassino, sentenzia Poirot, sbagliando gli accenti, da buon belga in trasferta.
Allora è vero, il lucano conosceva il suo carnefice. Lo sguardo dei tre detective si volge, quasi in sincrono, verso quel palazzo istituzionale. La politica ha colpito ancora, sanciscono in coro.
Ma, naturalmente, questa è solo l’ennesima fiction “gialla” girata dalle nostre parti.
Oppure no?
Walter De Stradis
- Scritto da Redazione
- Sabato, 22 Febbraio 2025 07:45
Cari Contro-Lettori,
a Festival concluso, possiamo -anche quest’anno- affermare con certezza pressoché matematica che Sanremo è lo specchio impietoso di ciò che accade, anche a livelli “più alti”, nella nostra bella e cara Italia: vincitori annunciati; uomini (e donne) potenti che muovono le manopole; plagi (più o meno mascherati) del lavoro altrui; spruzzate di pietismo e di sentimentalismo tanto al chilo; incidenti diplomatici (addirittura col Papa); dichiarazioni e risposte di comodo; conferenze stampa surreali; “comici” di Stato; “volemose bene” generale e tutto il resto. In più, da qualche anno, sembra farla da padrone quel filtro elettronico vocale che va sotto il nome di “auto-tune”, ovvero quello strumento che consente anche ai “cantanti” (o “rapper”) più stonati e improvvisati (e quanti ce ne sono) di imbroccare note e tonalità dei loro ritornelli acchiappa-like (e soldi), senza fare la figura di personaggi di cartapesta quali sono. Sta di fatto, però, che qualche volta questo filtro digitale fa il dispettoso, e smette di funzionare all’improvviso, lasciando l’“artista” di turno in braghe di tela, costretto cioè a ragliare impietosamente davanti al pubblico incredulo (ma credulone fino a un attimo prima), o addirittura a interrompere il concerto (è successo a più di qualche nuovo “big” di casa nostra: la Rete è piena di video del genere). E se è vero, come si diceva, che Sanremo è lo specchio dell’Italia, anche politica, ecco che ci accorgiamo che i nostri rappresentanti istituzionali –da decenni- fanno anche loro uso dell’auto-tune. Questo effettino elettronico, evidentemente, riesce a far suonare gradevoli –poco prima o durante la campagna elettorale- anche evidenti stonature, se è vero, come afferma Carmine Vaccaro della UIL pensionati, che «Oggi a elezioni passate, i cittadini si ritrovano con conguagli di centinaia e centinaia di euro da pagare per il gas (…) sono stati bravi a gettare fumo negli occhi dei lucani, soprattutto dei redditi bassi. Come sindacati avevamo chiesto di erogare il beneficio (il famoso “bonus gas” – ndr) solo alle fasce Isee sotto i 30mila euro e invece si è voluto allargare il benefit anche ai ricchi. Ora scontiamo un provvedimento fatto male e iniquo, utile solo ad alimentare il caro-vita dei ceti meno abbienti, con una pesante riduzione della capacità d’acquisto. Pensate alle famiglie monoreddito sotto la soglia dei 20mila euro annui, ai 33mila pensionati lucani costretti a campare con 500 euro al mese. Come faranno a pagare una bolletta dai 300 euro in su?».Come dire, è tempo che i cittadini si rendano conto che certi “effetti speciali” della politica nostrana, sul più bello, vengono meno. Ma, questa volta, a rimanere in “braghe di tela” non sono i rapper (o i politici che li imitano), ma i cittadini stessi. E vai col Rap.
Walter De Stradis
- Scritto da Redazione
- Sabato, 15 Febbraio 2025 07:17
Cari Contro-Lettori,
«…Intanto sono Lucani, e già per questo sono persone perbene».
Era l’11 novembre del 2003, quando il mai troppo compianto Pino Mango, intervistato dall’inviato di TGR Ambiente Italia, presentava con queste parole i suoi “colleghi” manifestanti a Scanzano Jonico.
Erano i giorni in cui la Basilicata diceva “No” al deposito unico di scorie nucleari, e il famoso cantante di Lagonegro era lì a protestare, insieme ai “comuni” cittadini, contro gli indirizzi del Governo, dicendo chiaramente, a favor di telecamere, «No, qui il deposito non lo fanno», e impipandosene altamente di eventuali “ricadute” sulla sua carriera di artista (che chissà, magari ci saranno pure state, ma noi non lo sappiamo). Ma soprattutto, in questo segmento ripreso dai ragazzi di Radio Galilei e inserito nel loro documentario “Tra note e sogni” (visibile su youtube), il nostro Pino ci introduceva come persone perbene a prescindere, in quanto Lucani.
Sono passati più di vent’anni, da allora, Mango se n’è andato ormai da tempo, dopo aver salutato il suo pubblico e chiesto scusa per il malore che l’ha colto sul palco, straziando il cuore di tutti, per la perdita di un personaggio così rappresentativo e pulito; ma, nel frattempo, cosa ne è stato del nostro orgoglio di Lucani? Se si dovesse giudicare da come ci facciamo trattare -ormi da anni- dalla politica, allora verrebbe da concludere che quell’orgoglio (o una sua sostanziosa fetta) se n’è andato via col vento.
Decimata la pattuglia dei “nostri” rappresentanti istituzionali in Parlamento (la Basilicata è ormai diventata terra di conquista anche per i candidati da fuori), con un consiglio regionale costretto a lavorare a singhiozzo (sovente a causa delle assenze illustri), con i soliti noti che giocano al valzer delle poltrone, e le classifiche e report nazionali che ci vedono quasi sempre piazzati nelle posizioni basse (molto illuminanti certe analisi dello Svimez), viene da sospettare che il nostro orgoglio di lucani sia ormai desaparecido. Intanto, i costi della politica aumentano (bocciata la proposta della minoranza di cancellare l‘incremento dei fondi per i gruppi consiliari in Regione), si vogliono moltiplicare le postazioni di potere (istituzione dei sottosegretari alla Regione), la situazione di Stellantis ci inietta abbondanti dosi di ansia e …
dài, per oggi basta così.
Walter De Stradis
- Scritto da Redazione
- Lunedì, 20 Gennaio 2025 11:36
Dopo l’intitolazione del reparto di Endoscopia Digestiva tenutosi nelle settimane scorse al Crob Rionero, un altro grande evento, questa volta nel capoluogo, celebrerà la figura, la memoria e il messaggio di un medico come il dottor Orazio Ignomirelli, noto gastroenterologo lucano, scomparso nell’ottobre scorso, dopo aver dedicato tutto se stesso alla cura dei pazienti oncologici. L’evento si terrà, il 25 gennaio prossimo, presso il Due Torri di Potenza e vedrà la partecipazione dell’Orchestra della Magna Grecia e del cantautore Francesco Sarcina (Le Vibrazioni).
Il concerto, nelle intenzioni degli organizzatori (patrocinato, tra gli altri, da Croce Rossa e Ant), servirà a sensibilizzare gli Enti preposti e l’opinione pubblica sulla necessità di migliorare le condizioni di cura e supporto ai malati oncologici in difficoltà. I fondi raccolti durante il concerto saranno destinati a fornire supporto economico per le spese farmaceutiche non coperte da rimborsi per pazienti oncologici e cronici in difficoltà.
Per saperne di più, abbiamo incontrato la signora Antonella Altomonte, insegnante, moglie del compianto Orazio Ignomirelli, e Pasquale Di Tolla, ideatore dell’evento, nonché segretario SILP – CGIL (Sindacato Italiano Lavoratori di Polizia ).
- Scritto da Redazione
- Sabato, 11 Gennaio 2025 07:02
Cari Contro-Lettori,
non si scandalizzerà nessuno se affermiamo che una non indifferente parte della vita di ognuno di noi, si svolge seduti sulla tazza del water. E’ un fatto fisiologico.
Per questo motivo, quella piccolissima (ma anche in questo caso, non indifferente), parte di tutti noi esseri umani, che risiede in abitazioni servite dalla diga della Camastra (si tratta di ventinove comuni lucani), nel corso delle appena trascorse festività natalizie ha potuto riassaporare un antico piacere, che in realtà si era già perso da un po’ di tempo: potersi alzare di notte, andare in bagno e poter tirare lo sciacquone, senza dover ricorrere a bottiglie, bottiglioni, damigiane e ampolle di riserva.
Purtroppo, a festività concluse, in quei comuni citati si è tornati alla “sparizione” serotina dell’acqua in casa, ma le ultime news tranquillizzano sul fatto che, stante la generosità di Giove Pluvio, si potrà beneficiare del servizio idrico completo anche nel weekend.
In ogni caso, in quella manciata di sere natalizie seduti a riflettere (sul water) al termine delle libagioni di rito, in alcuni di noi è scattata una riflessione: in fin dei conti, a tutti coloro (a livello nazionale e locale) che si sono trovati impreparati all’esame di riparazione imposto dalla siccità estiva, beh, dobbiamo dire grazie, piuttosto che lamentarci della situazione in cui ci troviamo. E’ (anche) grazie a loro infatti, se -tramite le privazioni descritte e le successive, pur fugaci, concessioni festive- siamo tornati ad apprezzare quei piccoli piaceri della vita, che davamo per scontati e che in altre parti del Mondo (tipo il Terzo), sono tutt’altro che garantite: una doccia calda serale, una seduta, ehm, sulla poltrona di ceramica.
La riflessione è faceta, certo, ma a pensarci bene, fino a un certo punto, perché è innegabile che l’acquisizione della consapevolezza passa anche attraverso la sofferenza.
Come anticipato, però, i segnali di ripresa ci sono, ma il cammino –più in generale, e su tutti i fronti- è ancora lungo: bisogna dare un deciso giro di vite agli strumenti di contrasto alle povertà, all’ingranaggio delle competenze e della meritocrazia, senza mai dimenticare ulteriori questioni cruciali come la trasparenza e la dialettica franca e costruttiva col cittadino e le associazioni.
E’ ora, insomma, di tirare lo sciacquone sulle negatività, e di pensare (e soprattutto, agire) positivo.
Walter De Stradis
- Scritto da Redazione
- Sabato, 21 Dicembre 2024 06:59
Cari Contro-Lettori,
sotto l’albero di Natale, la Basilicata vorrebbe ritrovare un po’ di serenità.
L’anno che si avvia a conclusione, è stato infatti piuttosto sferzante, come e più dei venti a raffica che negli ultimi giorni hanno attraversato il Capoluogo.
Come se non bastassero le ansie indotte dalla situazione di Stellantis, e da altre vertenze, gli effetti della siccità estiva si sono ripercossi soprattutto sull’inverno, negando a molti lucani (quelli dei comuni serviti dalla diga della Camastra) persino l’elementare diritto di ritornare a casa la sera, dopo una giornata faticosa (una delle tante) e godersi un po’ d’acqua calda, onde poter scaricare le tensioni nel salvifico gorgo del piatto della doccia. Nossignori: ci si deve organizzare con bottiglioni, taniche e buste varie. C’è chi condivide sui social le immagini delle bottiglie d’acqua messe e riscaldare sui termosifoni. C’è anche chi, con malcelato orgoglio, posta i video delle proprie, fruttuose, sortite in campagna e per boschi, alla cerca di vecchie fontane sconosciute ai più, alle quali attingere per la “conserva”, sempre più indispensabile, di H20.
E così accade che non ormai ci siano più solo i bambini a invocare un “bianco” Natale, ma anche gli adulti, a cui –dopo le proverbiali “pezze” alla cui apposizione hanno provveduto gli uomini di potere- non resta che sperare nella bontà d’animo del Meteo, affinché si possa tornare tutti al presente, ovvero al secolo Ventunesimo, dopo il balzo all’indietro, all’incirca di sei/sette decenni, che siamo stati costretti a subire. E visto e considerato, allora, che in molti comuni lucani siamo tornati agli anni Cinquanta, non ci resta che augurarci perlomeno di trascorrere delle festività “alla vecchia maniera”, riscoprendo e valorizzando gli affetti, le cose semplici, i piccoli momenti, stringendoci tutti, noi Lucani eterni compagni di sventura, in uno di quei calorosi abbracci atti a restituire un minimo di tepore. Almeno quello.
Buon Natale a tutti
Walter De Stradis
- Scritto da Redazione
- Sabato, 07 Dicembre 2024 07:09
Cari Contro-Lettori,
nel libro di Donato M. Mazzeo, “Cristo è nato a Barile”, incentrato sulle primissime riprese del capolavoro di Pasolini (“Il Vangelo Secondo Matteo”) che furono girate nel paesino arbereshe nel 1964, ci sono due-tre righe che fanno letteralmente cadere il volume dalle mani. Mazzeo infatti riporta che l’interprete di Gesù, il non-attore spagnolo Enrique Izaroqui (trovandosi nelle fasi iniziali della produzione) in realtà si trattene per pochissimo tempo nel piccolo comune in provincia di Potenza, senza girarvi alcuna scena (per poi spostarsi, com’è noto, a Matera e in altre locations), ma tanto bastò che le donne anziane di Barile, "avvolte in scialli neri", si mettessero tutte in fila per chiedergli comunque “il miracolo”.
Inutile dire che, via via negli anni, il piccolo centro lucano –assieme a tutti gli altri- è stato vittima di un vero e proprio esodo biblico, come testimoniano –ancora una volta- i dati Svimez: tutte le regioni del Mezzogiorno hanno perso popolazione su base annua; la prima regione meridionale per calo demografico è però la Basilicata (-7,4%); in rapporto alla popolazione, la Basilicata è la regione meridionale con il più elevato tasso migratorio (-5,4%); le migrazioni intellettuali da Sud a Nord sono alimentate anche dalla mobilità studentesca: in Basilicata l’83% degli studenti magistrali lascia la regione; per quanto riguarda le proiezioni demografiche al 2050, la decrescita sarà più intensa in Sardegna e Basilicata, rispettivamente -22% e -22,5%.
Fermiamoci qui.
Ne consegue, insomma, che oggi un regista come Pasolini avrebbe serie difficoltà a trovare, qui da noi, “facce autentiche”, specie tra i giovani. Dovrebbe trattarsi di un vero e proprio miracolo.
Curiosamente, proprio dopo aver incontrato –per la nostra rubrica “a pranzo”- il prof. Mazzeo, autore del libro citato, ci è giunta notizia del nuovo presepe realizzato da un noto pediatra potentino, appassionato dell’antica arte partenopea, che ogni anno ama conferire un pizzico di “attualità” al suo evocativo assemblaggio: e se nel 2019 i suoi “pupazzetti” indossavano le mascherine, adesso trascinano secchi d’acqua.
Insomma, per dirla alla Mike Bongiorno, “Sempre più in Alto!”
Walter De Stradis
- Scritto da Redazione
- Sabato, 30 Novembre 2024 07:42
Cari Contro-Lettori,
«Beh, il caso di Enzo Tortora era un evidente scambio di persona, nel mio caso io ERO la persona, perché avevo “osato” andare ad indagare in luoghi in cui nessuno c’era mai andato (…) Si è scatenata la caccia all’uomo (...) e fu proprio la classe politica a dire che bisognava utilizzare il pugno di ferro contro quelli che “procuravano allarme”, considerando che allora erano in tanti a sostenere che era stata acclarata la sostenibilità delle estrazioni petrolifere in Basilicata».
Era un “giorno buono”, quello, per Giuseppe Di Bello: i tipi del Teatro Minimo di Basilicata gli avevano consegnato una medaglia d’oro, su input spontaneo di alcuni cittadini. Si era nel dicembre del 2017 e quello che tutti chiamavano “il tenente Di Bello”– a prescindere dalle sue progressioni o regressioni, indotte, di carriera (per un periodo eta stato “trasferito” alla guardiola del Museo)- aveva voluto riassumere ai nostri taccuini, con quelle parole, parte della sua esperienza (poi conclusasi per il meglio, dopo lungo iter).
Ma l’ufficiale della Polizia Provinciale, di “giorni brutti”, ne aveva vissuti sin troppi fino a quel momento, e solo per averci voluto vedere chiaro sulla situazione ambientale della sua Terra.
La sua storia la conoscono tutti, ma in pochissimi, o forse nessuno, può immaginare quanto i dispiaceri accumulati e le ingiustizie patite possano aver -gradualmente- minato il suo stato di salute. E’ la prima domanda che ci siamo posti, quando qui al giornale abbiamo appreso della sua improvvisa scomparsa, a sessantun anni, a quanto pare per infarto.
Così come è apparso a tutti chiaro e cocente, come uno schiaffone ricevuto in pieno viso, che la morte di un così strenuo attivista ambientale avvenuta proprio a ridosso del “giorno zero” della diga della Camastra, sia un presagio tristissimo dal valore simbolico tremendo.
Questa Terra ha bisogno di persone che, come lui, sono disposte anche a pagare sulla propria pelle, purché certe tematiche giungano all’attenzione di tutti. C’è bisogno di chi, con onestà intellettuale e senza secondi fin (poiché i furbacchioni aleggiano anche nell’attivismo) di tanto in tanto scuotano questa Terra in cui la politica da sempre sonnecchia, vivacchia, tira a campare andreottianamente, sorvolando su dighe e dighe di problemi assortiti, alla stregua di un qualche ignobile drone che fotografa tutto e se ne fotte; e in cui -la storia recente, per altre faccende, lo ha dimostrato- ci si desta dal torpore atavico solo se si finisce sui canali nazionali e trasmissioni tipo Report o Propaganda live. Ma a qual punto, ovviamente, nelle stanze del potere, anche quello occulto (perché in Basilicata c’è eccome) non ci si imbarazza per il conclamato danno procurato ai cittadini, ma soltanto per la figura escrementizia (e cioè di cacca) rimediata a livello mediatico nazional-popolare.
Ancora, una volta, dunque, “minchia, signor Tenente”.
Walter De Stradis