- Scritto da Generoso Galina
- Martedì, 25 Marzo 2025 10:24
Nel panorama musicale italiano, pochi artisti possono vantare una carriera così longeva e sfaccettata come quella di Valerio Liboni. Cantante, batterista, produttore e autore, il torinese -di casa al “Festival di Potenza”- ha lasciato un segno indelebile nella musica del nostro Paese, contribuendo alla diffusione di brani iconici e collaborando con alcuni dei nomi più importanti della scena musicale. Oggi, Liboni si presenta al pubblico in una veste diversa (ma in realtà lo fa già da molto tempo), quella di scrittore, con un libro ("Storie") che racconta la sua straordinaria carriera e il dietro le quinte di un'epoca d'oro della musica italiana.
Il volume, frutto di un’esperienza decennale, offre uno spaccato autentico e sincero del mondo dello spettacolo, con aneddoti, ricordi e riflessioni che dipingono un quadro vivido del passato e del presente della musica italiana. Il suo talento narrativo è evidente: Liboni non si limita a raccontare la propria storia, ma riesce a trasportare il lettore in un viaggio affascinante attraverso le trasformazioni dell’industria musicale, dai tempi de "La Strana Società" e "I Nuovi Angeli" fino alle più recenti tendenze.
Uno degli aspetti più interessanti del libro è la capacità dell’autore di evidenziare il contrasto tra la musica di ieri e quella di oggi. Liboni non nasconde la sua nostalgia per un’epoca in cui i talenti si costruivano con fatica, dedizione e sudore, anziché con strategie di marketing e talent show. Il suo sguardo critico verso l’attuale panorama musicale, dominato da fenomeni effimeri e sonorità omologate, trova eco nelle parole di molti suoi colleghi, ma è bilanciato dalla consapevolezza che il pubblico e i gusti si sono inevitabilmente evoluti.
La narrazione di Liboni è avvincente e coinvolgente, un perfetto equilibrio tra ironia, passione e un pizzico di malinconia. Il libro non è solo una celebrazione della sua carriera, ma anche un tributo a un modo di fare musica che, per molti versi, sembra appartenere a un’epoca lontana. Eppure, grazie a figure come lui, il ricordo di quei tempi continua a vivere e a ispirare nuove generazioni di artisti.
Con questo libro, Valerio Liboni dimostra di essere non solo un grande musicista, ma anche un narratore brillante, capace di raccontare con maestria la storia di una vita dedicata alla musica. Un’opera imperdibile per chiunque voglia comprendere meglio il dietro le quinte della musica italiana e il percorso di un artista che ha saputo reinventarsi, rimanendo sempre fedele alla propria arte.
- Scritto da Redazione
- Giovedì, 02 Gennaio 2025 09:57
Spizzichi e bocconi: il più delle volte, le compilation postume che collezionano avanzi, scarti o recuperi di magazzino questo sono, spizzichi e bocconi. Ma il caso di questo doppio cd edito da Squilibri, e dedicato a Piero Ciampi, è quello di un succulento tesoro nascosto e riportato alla luce, una prelibatezza per i palati fini della musica e della poesia.
"Siamo in cattive acque", raccolta curata dal massimo esperto ciampiano, Enrico De Angelis, ci restituisce, infatti, l'artista livornese senza filtri: quello delle prove non destinate al pubblico, dei scrivi-e-canta, della sincerità compositiva, della voce come polaroid istantanea, dell'atto creativo colto al momento del parto.
Ben trentadue canzoni di cui undici (e scusate se è poco), del tutto inedite, e altre ventuno, anch'esse mai ascoltate prima, qui presenti come varianti di canzoni già note, anche se con significative differenze rispetto alle versioni pubblicate. Si tratta, insomma, a volte di registrazioni definite negli arrangiamenti e nell’orchestrazione, altre volte di provini, ma sempre e comunque interpretate da un Ciampi immortalato via via nei suoi vari "mood" espressivi, e relative evoluzioni, o anche involuzioni, se vogliamo. Perché Ciampi, scomparso premautramente a quatantacinque anni dopo una vita difficile che ha fatto la gioia degli esegeti alla continua cerca di "artisti maledetti", era anche e soprattutto questo: un artista da prendere o lasciare, ma che difficilmente poteva cogliere nell'indifferenza l'ascoltatore, seppur in un Paese di fruitori "distratti" e facilmente “distraibili”, qual è notoriamente il nostro.
Questa indispensabile e insperata raccolta di canzoni inedite, in qualche modo ha anche a che fare col ritrovamento di una vecchia agendina di Ciampi (in cui aveva appuntato una possibile tracklist di un album a venire, intitolandolo per l’appunto "Siamo in cattive acque"), come se fossimo in un giallo di Simenon, ambientato in quella Parigi, nei cui locali il Nostro si era esibito come 'l’Italiano".
Il doppio cd che emerge da questo porto delle nebbie, spiegano i tipi della SquiLibri, riguarda essenzialmente due fasi della vita artistica del cantautore livornese: il breve periodo, pressoché sconosciuto, in cui nel 1967 lavorò col musicista genovese Elvio Monti e la più assidua collaborazione negli anni Settanta con Gianni Marchetti. A quest’ultimo periodo risalgono anche gli studi preparatori per l’album di Nada del 1973, "Ho scoperto che esisto anch’io", con brani che sono i palesi progenitori delle canzoni poi pubblicate. ma anche due completamente inediti, e interpretati tutti da Piero Ciampi al femminile, come se a cantare fosse per l’appunto Nada (già di per sé, un dettaglio del genere rende inestimabile questo misterioso pezzo del corpus ciampiano).
Più in generale, ce n’è più che a sufficienza per poter parlare, a pieno titolo, di una pubblicazione imprescindibile per un qualsivoglia racconto veramente completo dell'uomo/cantautore/poeta Ciampi e, più in generale, della storia della musica d'autore nel nostro Paese.
Walter De Stradis
- Scritto da Redazione
- Mercoledì, 27 Novembre 2024 08:53
Configurato come un viaggio nel cuore delle tradizioni musicali della Basilicata, il concorso “Adotta un canto, scopri una tradizione” mira a sensibilizzare le giovani generazioni sull’importanza di canti e suoni dotati di una loro peculiare identità, irriducibile ad altre espressioni musicali, e intrecciate alla storia delle comunità di appartenenza al punto da costituire un veicolo privilegiato per un recupero consapevole del proprio passato culturale. In questa direzione l’adozione di un canto –vale a dire l’acquisita familiarità con un determinato repertorio o strumento musicale- può condurre davvero alla scoperta di un’intera tradizione, oltre che attivare salutari processi di salvaguardia e promozione in un’ottica di biodiversità culturale.
Tre i volumi proposti, tutti con uno o più CD audio allegati, che coprono un arco temporale che, dal 1952, giunge fino ai giorni nostri:
3) Lule sheshi/Fiori di prato, a cura di Alexandra Nikolskaya e Nicola Scaldaferri, con CD allegato.
In questo modo si avrà una panoramica sulle tradizioni musicali regionali che, dalle pionieristiche ricerche dei fondatori della moderna etnomusicologia, giunge fino ai nostri giorni, con uno sguardo gettato anche sulle espressioni musicali delle minoranze arbëresh presenti in Basilicata attraverso l’opera poetica di Enza Scutari.
Ogni istituto, che avrà aderito all’iniziativa, riceverà un numero di copie del volume prescelto pari al numero di studenti interessati, chiamati a realizzare una recensione, individuale o collettiva, o anche una personale rielaborazione di un canto o di un repertorio, entro il 28 aprile 2025. Ai tre elaborati più significativi, nel corso della cerimonia finale che si terrà nel mese di maggio, sarà assegnato un premio, rispettivamente, di 1.500, 1.000 e 500 euro.
Guidati da un tutor, interno all’istituto, gli studenti potranno così misurarsi, nella lettura e nell’ascolto, con le tradizioni musicali regionali e, su richiesta, si potranno attivare, in alcuni istituti, anche seminari introduttivi all’uso di uno strumento o alle modalità esecutive di un repertorio, incontri con cantori popolari e anche lezioni-concerto.
Il concorso è parte di un più articolato e ambizioso progetto, Il Borgo dei suoni, che, finanziato dalla Regione Basilicata, è promosso dal comune di San Costantino Albanese in collaborazione con partner di grande rilievo, come il Club Tenco, l’editore Squilibri, Altipiani eventi e turismo e l'associazione culturale Altrosud che insieme daranno vita a un ambizioso programma di iniziative che prevede, tra l’altro, una Scuola internazionale di etnografia audiovisuale realizzata con l’Università di Milano, la realizzazione di un Archivio Sonoro Arbëresh, un ciclo di incontri con autori di grande prestigio sul piano culturale, nonché un festival, Suoni di minoranza, sulle espressioni musicali delle minoranze linguistiche italiane, del quale si è già tenuta la prima edizione. Per info e iscrizioni: www.squilibri.it, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
'La “provvisorietà” delle cose che si fanno a Potenza' - INDOVINA CHI VIENE A PRANZO? Nino TRICARICO
- Scritto da Redazione
- Sabato, 28 Settembre 2024 07:00
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di Walter De Stradis
S’ |
intitola “La Spiritualità dell’Arte”, la sua ultima mostra pittorica (visitabile fino al 31 ottobre) allestita presso il Museo Provinciale di Potenza. Il potentino Nino Tricarico, ottantasei anni, è però anche scultore, poeta e scrittore, insomma un “Uomo del Rinascimento”, come dicono gli anglosassoni, che al pari di un fisico quantistico, ultimamente si interroga particolarmente sulla dimensione “Tempo”.
d - Come giustifica la sua esistenza?
r - In funzione della voglia di volare. A quattro anni ebbi infatti la fortuna di capire il mito del vento. E questo mi ha consentito di mettere in rapporto la mia vita, non solo con la natura, bensì anche con la leggerezza. Quest’ultima, proviene dalla cultura di Napoli, ove ho studiato. Il Napoletano ha infatti la capacità di trasferire tutto, anche le tragedie, in forma di leggerezza. Le racconto un aneddoto: da ventenne ero solito mangiare in un ristorante partenopeo, perché il pasto costava venti centesimi in meno rispetto alla mensa universitaria; e io ordinavo sempre una porzione di spaghetti, chiedendo al ristoratore che fosse abbondante. Puntualmente, invece, gli spaghetti erano pochi, e alle mie rimostranze, quello rispondeva: "Dotto’, non si sono ancora gonfiati!".
d - (risate) Anche il Potentino ha la capacità di trasferire tutto in leggerezza?
r - Sì. Non a caso nella mia mostra c’è un dipinto intitolato “La Città verticale”. Uno storico dell’arte mi disse che l’immagine risultante della città, con tutte quelle “scatole” messe una sull’altra, fosse troppo bella, per Potenza stessa. Ma io la amo, questa città, nonostante tante piccole cose che non vanno.
d - Ci arriveremo. Quando, nella sua vita, ha capito che sarebbe stato un pittore?
r - Beh, sono figlio d’arte: mio padre era decoratore e a suo modo anche poeta (aveva il compito di intrattenere sette figli, di cui io sono il sesto!). A suo tempo aveva lavorato a Stresa, e quando chiedevo a mia madre come mai si fosse innamorata di lui, lei rispondeva: "Perchè aveva i baffetti da spadaccino senza spada, ma soprattutto perché parlava 'di lassù'". Era stata affascinata, insomma, da un tipo di linguaggio che non le apparteneva.
d - E l’arte oggi riesce a parlare il linguaggio del fruitore, del cittadino?
r - Io credo che un pittore non può fare esattamente quello che vuole il cittadino, ma deve essere soggetto al Tempo in cui lavora. Il nostro compito è quello di rappresentare l’estetica e il senso dell’essere a questo mondo, con un’etica molto forte.
d - E com’è cambiata, nel tempo, la sua pittura?
r - Per molti anni ho fatto l’acquerello, perché ti dà la possibilità di dipingere in breve tempo. L’acquerello non vuole il ritorno, è superstizioso: insomma, o lo fai bene alla prima, o è da buttare. In una giornata ho fatto anche acquerelli di due metri per due, perché li avevo davvero dentro. In questa mostra ce n’è uno, “La bolla”, al cui interno c’è il volto di un animale preistorico e il segno di un libro, a coniugare l’ancestrale con l’esigenza di acculturarsi per ogni cosa.
d - Perché questa sua nuova mostra si intitola “La spiritualità dell’arte?”.
r - Quando cammino per Potenza e osservo, non è la percezione che debbo rappresentare, ma la coscienza di ciò che io guardo. C’è dunque una farfalla che transita per discesa San Gerardo, e quando la osservo mi chiedo se il suo tempo sia limitato soltanto al momento in cui vola a destra o a sinistra, o se esso comprenda anche qualche momento precedente, quando era larva e prima ancora bruco. Insomma, ciò che guardiamo e rappresentiamo è la sommatoria di tutti i tempi che lo riguardano. Pertanto, se vogliamo parlare di spiritualità, dobbiamo partire da una nostra presenza specifica nel Tempo che abitiamo.
d - Le faccio dunque una domanda che è rappresentativa del modo di percepire la cultura a Potenza: quante volte le hanno chiesto “Ma tu fai SOLO il pittore?”. A me spesso chiedono se nella vita faccio “solo” il giornalista.
r - Certo. La mostra, è tutto quello che sto facendo, è dedicata a mia moglie, che non c’è più. Ricordo che una sua amica le chiedeva spesso ove trovassi il tempo per dipingere, scrivere poesie e romanzi, andare in tv a fare esperienze da giornalista.... Mia moglie rispondeva: "Va a dormire all’una di notte e si alza alle sei del mattino". Per trovare il tempo di fare tutto ciò che vuoi, devi sottrarre tempo al sonno.
d - Torniamo allora a quelle “tante piccole cose che non vanno” nella città di Potenza.
r - Parlo di una cosa che mi tocca molto da vicino: la provvisorietà delle cose che fanno a Potenza. Non hanno sempre tutti quella professionalità necessaria per fare il lavoro al meglio del proprio ruolo. Ricordo di un libro, e anche di un film, in cui c’è un uomo che pulisce i cessi, ma lo fa con una grande sacralità, perché felice di farlo: questo non accade spesso nelle strutture che sono i nostri luoghi della cultura. Spesso ci sono persone collocate politicamente, nei luoghi sbagliati.
d - C’è dunque la vexata quaestio delle amicizie, delle appartenenze, dell’esterofilia (Tufano sul nostro giornale lamenta spesso la ricerca spasmodica di nomi “da fuori”).
r - Farò ora qualche esempio di quella cultura potentina che è stata messa all’indice e costretta ad andare via dalla città. Il poeta Giandomenico Giagni, di cui è uscita -finalmente- una monografia, per aver detto su un settimanale nazionale cosa mancasse a Potenza (luce, acqua, che si andava ancora a prendere coi secchi), fu costretto ad allontanarsi dal capoluogo (anche a seguito del chiacchiericcio insensato che qualcuno fece circolare su di lui). Qualcosa di simile accadde anche a Vito Riviello, che su richiesta di “Crimen”, adeguandosi allo stile della rivista, aveva scritto di incappucciati potentini che facevano autoerotismo al telefono con le amanti. Ma, d’altronde, se leggiamo le poesie dello stesso Orazio, scopriamo che questi fu incoronato poeta a Roma, una volta andato via da Venosa...
d - “Nemo propheta in patria”.
r - Sempre così è. Vorrei poi fare una riflessione più ampia. Io continuo a interrogarmi sull’essenza del Tempo. In realtà è un battito di ciglia. E la mia mostra è lì a testimoniarlo. Per dimostrare cos’è il Tempo ho riempito una vasca di piccoli pezzi colorati con un motorino per dare movimento all’acqua: all’insegna del “panta rei”, “tutto scorre”: se io spengo il motorino, ottengo sempre un’immagine di quel tempo, che è colorato. Il pittore, se vuole guardare qualche cosa, gli deve dare il colore del Tempo.
- Scritto da Redazione
- Sabato, 07 Settembre 2024 09:25
di Walter De Stradis
Quando, ogni
notte, negli
studi romani
di Via Teulada,
un ospite di
“Sottovoce” sceglie il “suo”
brano, è Dina Lopez ad
eseguirlo al piano e a cantarlo.
Ebolitana di nascita,
«orgogliosamente venosina»
d’adozione, residente a
Potenza da sempre, la cantante
e maestra di canto, da un paio
d’anni, nel celeberrimo salotto
televisivo di Gigi Marzullo su
Rai Uno, sta probabilmente
vivendo il momento più felice
della sua già lunga carriera,
ma senza perdere mai di
vista i “valori” che la musica
può infondere alla vita. E
viceversa.
d- Come giustifica la sua
esistenza?
r- Lo scopo della mia vita è
fare del bene e credere in
Dio. Tutto ciò che faccio è in
funzione di Gesù.
d- E si può far del bene
cantando?
r- Assolutamente sì.
d- Sant’Agostino diceva “chi
canta prega due volte”. Più
in generale, invece?
r- Più in generale, la musica è
aggregazione, un momento
sicuro per voler del bene a
qualcuno. Pertanto credo che
essa stessa sia un dono di Dio.
d- Tuttavia, di recente, al
Premio “Brassens” di
Marsico Nuovo (lei era in
giuria), dal palco è stato più
volte detto che la musica pop
italiana di oggi ha preso una
deriva preoccupante, per
quanto attiene al contenuto
dei testi. Esiste dunque
anche la musica negativa?
r- Assolutamente sì.
d- E qual è?
r- La musica che non viene
guidata, curata, quella che
cresce magari in contesti...
in una società diversa da
quella in cui, fortunatamente,
abbiamo vissuto noi. I
contenuti pertanto spesso
sono sterili, e penso sia una
situazione irrimediabile.
d- Indietro non si torna?
r- Io credo di no. E ci ho
provato, anche, con i ragazzi
della nostra scuola di canto.
Molti non sono assolutamente
disposti a tornare indietro. Ho
trovato, con alcuni di loro,
una vera barriera; con molti
altri, per fortuna, si riesce a
trasmettere il concetto che la
musica è un’altra.
d- Certi ragazzi, insomma,
sembrano attratti da quella
“Trap” (chiamiamola così)
con contenuti a volte anche
sessisti.
r- ...sessisti e pieni di parole
sconce. Non mi ci rivedo
affatto. La musica è anche
comunicazione, e comunicare
certi concetti sterili, e a volte
anche aberranti, per me non è
certo una cosa positiva.
d- Magari certi giovani
pensano che quello sia un
modo per avere successo
subito.
r- Purtroppo sì, e a volte
utilizzano persino un
linguaggio che io non capisco.
Ma noi siamo lì apposta, per
poterli ridimensionare, anche
e soprattutto dal punto di vista
tecnico.
d- Una volta perlomeno si
cantava.
r- (sorride) Infatti. La musica
di una volta prevedeva
le cosiddette “fioriture”:
“melismi”, “acciaccature”,
“mordenti”. Oggi sembra
quasi il contrario: se lei ci fa
caso, in un “Talent show”,
se un concorrente fa cose
del genere, viene subito fatto
fuori. Whitney Houston?
“Sorpassata”. Christina
Aguilera? “Troppo blues”. E
così si privilegiano melodie
più “lineari”, con dei testi
a volte privi di significato,
con arrangiamenti sempre
uguali. Sono queste le cose
che piacciono nei “Talent”.
Ma anche le voci stanno
diventando tutte uguali, e
a volte è davvero difficile
distinguere un brano da un
altro.
d- Facciamo un passo indietro:
lei quando ha capito che
nella sua vita avrebbe fatto
la musicista di professione?
r- Devo tutto a mio padre,
il primo ad accorgersi di
questo mio, chiamiamolo
così, talento. A due anni e
mezzo già cantavo bene e a
tre anni e mezzo mi ritrovai
allo “Zecchino D’Oro” col
Mago Zurlì. Vinsi due volte
le selezioni regionali e poi fu
chiamata a far parte del Coro
dell’Antoniano di Bologna.
Ero già stata presa, mancava
solo la firma, ma purtroppo
questa cosa avrebbe stravolto
la vita della mia
famiglia e per
i miei genitori
non fu possibile
acconsentire.
d- La mette nel
c u r r i c u l u m
questa cosa
dello Zecchino
d’Oro?
r- Sa che spesso
mi dimentico
di farlo? Però
di recente
credo di averlo
scritto. Poi sa,
in verità, è mio
marito Stefano
che si occupa
di tutte queste
cose, perché io
spesso faccio
c o n f u s i o n e !
(ride)
d- Molti anni
dopo quella
d e l u s i o n e ,
però, si è presa una
“rivincita”, approdando alla
trasmissione “Sottovoce” di
e con Gigi Marzullo.
r- Sì. E’ successo che ho mandato
un provino, ma devo dire
che nel corso degli anni ho
conosciuto diverse persone che
si sono rivelate fondamentali
per il mio percorso musicale.
Ringrazierò per sempre
Enzo Campagnoli (maestro
d’eccezione a Sanremo, dal
curriculum impressionante);
e poi ho avuto contatti con
Mario Rosini, con gente di
grande valore, insomma.
Tutto ciò mi ha convinto che
potevo andare avanti, e quindi
ho fatto il provino, e sono
piaciuta. Marzullo ha deciso
di farmi lavorare con lui.
d- Marzullo le ha detto
qualcosa in particolare?
r- Assolutamente no. E’ successo
che sono andata a fare questo
provino, e c’era il presentatore
di “Agorà”, Roberto Inciocchi
-che io stimo moltissimo- e
ho eseguito un brano di Pino
Daniele (“Vivo come te”). In
realtà quello doveva essere
solo un provino, appunto,
una “puntata zero”, e invece
è andato in onda! Per me
è stata una vera e propria
apoteosi, mi sono commossa,
sulle prime non capivo
cosa stesse succedendo. Poi
finalmente ho realizzato... e
grazie a Dio sono ancora lì.
d- Fa la pendolare Potenza-
Roma?
r- Sì, e non so se mi trasferirò
mai. Vivere Roma è molto
difficile, ho notato. E poi
non vorrei lasciare la nostra
scuola di canto (“Pianeta
Voce”), che esiste da dieci
anni. Se me ne andassi,
lascerei i miei ragazzi in balia
delle onde.
d- In balia della Trap.
r- Eh sì! (risate). Ma non
generalizziamo, perché ci
sono artisti che comunque
valgono.
d- Lavorare in Rai con
Marzullo l’ha in qualche
modo cambiata?
r- Direi di no, perché io
vivo e continuo a vivere
nell’umiltà. Certo, è un lavoro
impegnativo, che non tutti
possono fare, in cui non ci si
può permettere di sbagliare.
d- A chi le piacerebbe
rivolgere una domanda
“marzulliana”?
r- Non ci ho mai pensato.
Marzullo è introspettivo, e le
sue domande non sono mai un
caso. L’ho notato nel corso
delle puntate, quando gli
ospiti si fermano a riflettere,
perché vogliono rispondere
bene.
d- Le suggerisco allora la
domanda che sottopongo a
tutti: “Se potesse prendere
il presidente della Regione
sottobraccio, cosa gli
direbbe?”.
r- Eh. Purtroppo, credo che
qui da noi la musica debba
ancora crescere. Spesso
abbiamo umilmente chiesto
degli interventi, degli aiuti,
ma è difficile essere ascoltati.
Credo che ci voglia un po’ di
varietà nello scegliere anche
gli aspetti musicali e artistici.
Pertanto direi al Presidente:
“Per piacere, ci vuole aiutare
a crescere? E magari aiutare
anche persone che non
possono permettersi di pagare
un corso di canto?”.
d- Lei ha fatto anche studi
di etnomusicologia. Se
non ricordo male, una sua
registrazione effettuata “sul
campo” ha portato anche a
una piccola scoperta.
r- Già. Francesco Foschino,
della redazione del giornale
“MATHERA”, mi contattò
perché voleva delucidazioni
sul ritrovamento di un canto di
tradizione orale, che si diceva
fosse pugliese. Invece, grazie
ai miei studi -del 2000- sulla
tradizione orale acheruntina,
si è scoperto che quel canto,
presente nella mia raccolta,
potrebbe essere anche lucano.
Il condizionale in questi casi
è d’obbligo, ma l’articolo che
poi pubblicò“MATHERA”
aveva per titolo: «Un caso
risolto».
d- La mia domanda
tormentone: sarà mai
possibile creare qui in
Basilicata, così ricca di
tradizioni musicali, un
evento della portata de “La
Notte della Taranta”?
r- Penso di sì, ma, come dicevo
prima, ci dev’essere la
collaborazione della Regione
e dei comuni. Penso che il
problema sia quello: di natura
economica.
- Scritto da Redazione
- Sabato, 17 Febbraio 2024 08:40
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di Walter De Stradis
Il poeta, scrittore, cantautore e anche pittore rionerese Vito “Vitus” Viglioglia, è -a pelle- una persona spirituale, un individuo, cioè, connesso con le “antenne” sempre accese (per chi sa a ascoltare) dell’universo umano e non.
Libri, dischi (in solitaria o con la sua band attuale, i Meteopanik), “sono-poesie” e un’infinità di altre produzioni, lo rendono -e non è un mistero per nessuno- uno degli artisti più vividi e originali della nostra Terra... Con tanto di “beneplacito”, a suo tempo, di Antonio Infantino. E chi si intende di musica sa che non è certo cosa da poco.
d - Come giustifica la sua esistenza?
r- Io non giustifico la mia esistenza. E’ esattamente il contrario. E dubito anche dell’esistenza stessa. Nella vita ho provato delle emozioni e delle esperienze tali, che a volte mi fanno dubitare persino del fatto che possiamo esistere.
d - La vita è illusione?
r- Mi viene in mente una bella frase di Pessoa: “Lontano da me, in me esisto”.
d - In questa (non)esistenza, è l’arte ad aver scelto lei o viceversa?
r- Quando parliamo di esistenzialismo -no?- è come se mettessimo una prerogativa alla vita, alla libertà, all’amore, ai sentimenti. E’ un po’ come se la categorizzassimo. Prima, scherzando a microfoni spenti, lei mi ha detto: chi fa troppe cose, è capace che non ne faccia bene una. (Risate).
d - Scrittore, poeta, cantante, pittore...
r- Banalmente le rispondo che è un’esigenza, la mia, quella di suonare, di dovermi esprimere, perché credo che ogni essere umano, al di fuori della quotidianità, ha bisogno di elementi che gli consentano di esprimere completamente se stesso. Allora questo può avvenire attraverso una ricerca sperimentale della propria esistenza, e nella forma pratica dell’arte: pittura, musica, scrittura.
d - C’è forse un grido esistenziale che Vitus cerca di far arrivare al prossimo?
r- Può essere un grido, così come un canto, può essere un piano o un forte. La voglia è però quella di comunicare ciò che di vero e importante c’è nella mia vita: le relazioni, ciò che provo e che sento. E questo è abbastanza per farmi sentire vivo.
d - Non sarò così ingenuo da chiederle se è nato prima il cantante o il poeta.
r- Il primo brano che ho cantato in pubblico è stato “Starway to Heaven”, al centro sociale “Pasquale Sacco” di Rionero. C’era una manifestazione ed ero coi miei amici Antonio Sernia, Michele Consiglio, Pina Cammarota. Ero emozionatissimo.
d - C’è stato poi un fatto, o una persona, che l’ha convinta a continuare su questa strada?
r- E’ stato molto semplice, perché frequentavo tutte persone che suonavano e c’era un bel fermento. Maurizio Di Lucchio, per esempio, mi fece conoscere “Dylan Dog”, il fumetto: Antonio e altri amici mi fecero vedere la prima Fender Squier nera. Mi innamorai subito. Devo anche ringraziare molto Antonio Savella, un caro amico del mio babbo, che mi addentrò nel mondo del jazz e della musica classica. Nella mia infanzia, dunque, vedevo questi universi nuovi che si aprivano.
d - Lei infatti, oltre che tra varie forme artistiche, spazia anche fra vari generi musicali: rock, jazz, le “sono-poesie”...anche se c’è chi dice che le poesie non vanno musicate.
r- Anche, sì, beh, ognuno la pensa come vuole, non sono uno di quelli che emette veti su certe cose. Non mi piace nemmeno la competizione nell’arte. Mi piace vivere il mio mistero nella maniera più libera. “A ciascuno il suo” diceva Sciascia.
d - Per queste poesie in musica lei collabora, anche, con Graziano Accinni, storico chitarrista di Mango. Qual è il suo pensiero su Angelina, fresca vincitrice del Festival?
r- Credo sia una bellissima persona e una bravissima ragazza. Mi dà l’impressione di una persona limpida, che sa vivere i sentimenti. Al di là del talento, del successo e dell’essere figlia d’arte, il lo vedo nei suoi occhi. Quando ha cantato “La rondine” io mi sono emozionato tantissimo. E solo chi porta dentro di sé l’amore, la verità, la bellezza, può comunicare queste cose.
d - La domanda che rivolgo a tutti gli artisti lucani: quali sono le difficoltà nel proporre un proprio percorso qui in Basilicata?
r- Se penso alla carriera artistica come obiettivo per arrivare da qualche parte, dal punto di vista del marketing, ritengo che qui da noi ci siano dei limiti, perché l’industria discografica è completamente assente. Però, attenzione, l’arte, nelle sue fondamenta, si nutre anche di ciò che ci circonda, e la Basilicata, paesaggisticamente, umanamente, è bellissima. Quindi io mi nutro della mia terra, dono alla mia terra e questa a sua volta mi dà, perché parliamo di arte, che come tale, è pura. La mia terra è la MIA ispirazione.
d - Quindi tutto bene?
r- Per me ogni luogo che sa regalare ispirazione, anche con le sue contraddizioni -che ci sono- è bene.
d - Col gruppo di cui lei fa parte, i Meteopanik (in cui militano anche Vito Di Lorenzo, Peppe Di Tolla e Gianluigi Santoro e Antonio Verbicaro), è stato anche lei a Sanremo.
r- Sì a “Sanremo Rock” che appunto è la declinazione “rock” di Sanremo. E noi, con i riff di Vito Di Lorenzo, non possiamo non definirci una “rock band”. “Kinapoetem”, il contrario di “Meteopanik” è invece il nostro progetto acustico. Sì, siamo stati a Sanremo e -che glielo dico a fare- è un luogo magico.
d - Sì, ma so che vi siete dovuti confrontare con una realtà che ha le sue regole, diciamo così.
r- Sì, più che le sue regole, a volte sembra avere le sue ingiustizie. Tocca parlare dell’ovvio, in un Paese come questo. Noi vi partecipammo da indipendenti, ma vinse un artista, Nevruz, sostenuto da Elio e Le Storie Tese. Noi non eravamo sostenuti da nulla, se non da noi stessi...e dal Creatore. Per noi dunque è stato un po’ più difficile, però ci siamo tolti lo stesso delle grandi soddisfazioni: alla fine della nostra esibizione, Matt Backer, chitarrista di fama mondiale (Elton John), che era in giuria, mi disse questa cosa, col suo accento anglosassone: «Questo ragazzo è il figlio di Chris Cornell e Yoko Ono». In quel posto si era creata un’energia incredibile, un trasporto straordinario, quel Teatro ha una sua anima!
d - Come artista e uomo, cos’è che in Basilicata la fa indignare?
r- A volte la miseria umana è un’indignazione per me stesso e per gli altri. E’ un sentimento universale, è la radice del male che può nascondersi ovunque. Ma non è un problema della Basilicata, bensì dell’essere umano. A mio avviso, in questa vita, noi siamo tenuti a sperimentare continuamente i nostri limiti e a migliorarci continuamente in ogni momento. C’è sempre la possibilità di migliorarsi, di fare esperienza e di redimersi, dai peccati e dalle brutture che a volte circondano la nostra vita. Vorrei dunque una Basilicata, e un mondo intero, più solidale, più fraterno. Una Basilicata, più allegra, più positivamente orgogliosa di quello che ha.
d - I suoi progetti imminenti?
r- Con i Metepoanik siamo in fase di composizione del nuovo disco. Poi c’è un progetto con Graziano Accinni, col quale musicheremo delle preghiere. Inizialmente mi propose di cantare i testi che mi aveva mandato, in dialetto moliternese (“‘U Bambinieddu”), ma poiché ho avuto qualche difficoltà, ho scritto delle preghiere in Italiano e le sto musicando. E’ un percorso spirituale, oltre che artistico.
- Scritto da Walter De Stradis
- Sabato, 20 Gennaio 2024 08:52
L’IA e i moderni software grafici possono essere certamente d’aiuto nel lavoro di un aspirante fumettista professionista, ma sempre ammesso che l’interessato abbia “la mano” (e cioè un talento naturale), da legare a doppio filo a studio, costanza e anche a un pochino di caparbietà.
Parola di Giulio Giordano: originario del Capoluogo, è uno dei disegnatori lucani più importanti nel panorama nazionale (membro di primo piano della scuderia Bonelli), nonchè docente di fumetto, fondatore della prima e più prestigiosa scuola di “comics” in Basilicata, la “Redhouse Lab” di Potenza.
d - È stato difficile partire dalla Basilicata per intraprendere la professione del fumettista, iniziando da una “semplice”, grande passione?
r - Dico la verità. Nel mio caso non era necessario partire proprio dalla Basilicata. Questo è un tipo di lavoro che può essere fatto anche a distanza,. I capi della Bonelli in dieci anni li avrò visti sì e no due volte. Benedetto il web e chi lo ha inventato, poiché è grazie ad esso che si è riusciti a consegnare delle tavole digitali e non più cartacee. Uscire dalla Basilicata non era in realtà necessario per me, il mio trasferimento a Bologna è dipeso più che altro da ragioni personali.
d - La sua è stata una gavetta piuttosto lunga. Sono sì dieci anni che lavora in Bonelli, ma ha fatto anche tante altre cose qui in Basilicata...
r - Certamente. Il mio mondo non parte direttamente dal fumetto. È una grande passione, ma la mia carriera parte come “graffittaro”, con i murales sul cemento potentino.
d -...a tal proposito è noto in città il murale di San Gerardo realizzato a rione Gallitello
r - Sicuramente, grazie anche all’aiuto di Francesco Romagnano e della sua associazione. Mediante la collaborazione con il Comune di Potenza poi sono nati anche altri progetti come il murale sui “Turchi” all’interno delle scale mobili della città, in viale Dante, e l’altro al campo scuola. Insomma, posso dire che abbiamo in un certo senso istituzionalizzato i murales, poiché un tempo venivano visti un po’ come un gesto selvaggio.
d - Prima dei murales “istituzionali” in città, lei ha mai avuto qualche problema con i vigili?
r - All’inizio non badavamo tanto ad avere permessi e ovviamente c’erano dei muri vincolati. Chiaramente non abbiamo mai imbrattato gli angoli del centro storico. C’erano però dei risvolti alquanto simpatici, come l’obbligatorietà nella scelta di alcuni colori in relazione al contesto. Ricordo ancora i suggerimenti dell’architetto Grano che mi consigliava di evitare di usare il rosso, poiché distraeva gli automobilisti alla guida.
d - Non è necessario fare il fumettista spostandosi, ha detto. Quali sono dunque le tecniche che impiega? Che ruolo ha la digitalizzazione nel suo lavoro?
r - È brutto a dirsi, ma non tocco un foglio e una matita da circa cinque anni. Ormai buona parte del lavoro è frutto della tavoletta grafica e di tanti programmi, che sono talmente potenti, da garantire una perfetta aderenza e sensibilità delle proprie mani al lavoro che si va a realizzare, e che rendono, altresì, molto più semplice il tutto. Chiariamo un concetto, però: se non sai disegnare con un foglio e una matita, questi stessi programmi non fanno certo miracoli...
d -...viviamo in una società delle “scorciatoie". È un discorso che vale anche per la musica e per lo spettacolo, ove si ritiene -erroneamente- che il talento possa e debba rivestire un ruolo di secondo piano.
r - Assolutamente no, infatti. Bisogna aver studiato tanto, aver fatto scuole di fumetto, aver imparato l’anatomia, la prospettiva e tutt’una serie di cose e di aspetti che se non si approfondiscono adeguatamente, rendono impossibile a chiunque l’arte del fumetto. Certo, ci sono degli escamotage come l’intelligenza artificiale ma che sta creando in realtà una serie di problemi, poiché attinge da un bacino di cose già realizzate: dunque non vi è proprio nulla di originale, certo non si può intravedere un’impronta artistica.
d - Lei è anche un docente di fumetto all’interno della prima scuola nata a Potenza...
r - Certamente. È la “Redhouse Lab” che ho fondato insieme a Gianfranco Giardina e Gianluca Lagrotta, con l’aiuto anche di Giuseppe Palumbo, che è stato un po’ il nostro Guru nel campo del fumetto. È stato bello avere tanti allievi. All’epoca noi per disegnare fumetto dovevamo per forza raggiungere altre città, come Napoli -per indicare la più vicina- dunque abbiamo voluto offrire una opportunità a tutti i ragazzi che non hanno le possibilità di spostarsi. Abbiamo fatto tante docenze, tanto che la scuola esiste ormai da tredici anni. Ne siamo orgogliosi.
d - Qual è l’età media e quali sono le aspettative dei vostri alunni?
r - Be’, l’età è variegata. Noi cerchiamo di partire dai sei anni in su, anche perché spieghiamo delle cose abbastanza tecniche. Non c’è un limite all’età. I nostri corsi sono triennali, cerchiamo di trasferire un po’ di tutto. È chiaro che al termine dei tre anni le prospettive diventano individuali e ognuno è artefice delle proprie. Una cosa è certa: bisogna applicarsi e sudare. Una delle platee per farsi conoscere è la manifestazione Lucca Comics, all’interno della quale ci sono le cosiddette “aree pro”, ove gli editori solitamente gravitano alla scoperta di nuove proposte.
Io dico sempre ai ragazzi di andare di persona a presentarsi e di non avere paura dei no. Io al quinto anno ero arrivato alla disperazione, pensavo non mi prendessero più e, invece, la sesta volta mi hanno reputato pronto. Bisogna avere il coraggio. Capisco che le nuove generazioni vogliono tutto e subito, ma non è certo questo l’ambito giusto.
d - Immagino che il primo aspetto da trasferire ai futuri disegnatori è che il lavoro del fumettista è fatto di tanta fatica...
r - Le tavole, sia per Astorina -con “Diabolik”- sia per Bonelli, sono frutto di sceneggiature dettagliate. Ci sono degli elementi che DEVONO essere disegnati, ad esempio in prospettiva, con il chiaro-scuro... insomma c’è tanto studio.
d - A cosa sta lavorando adesso?
r - Abbiamo appena concluso una trilogia di “Martin Mystère” disegnata da me e da Salvatore Cuffari, insieme ad Alex Dante che ne ha scritto la sceneggiatura. Insieme ad Adriano Barone, un altro sceneggiatore Bonelli, stiamo realizzando inoltre un crossover: cioè “Martin Mystère” contro “Nathan Never”, che uscirà l'anno prossimo, il terzo in ordine di tempo. Verrà pubblicata una parte sulla testata di “Martin Mystère” e le altre due su “Nathan Never”, sarà pieno di azione e misteri. Ci stiamo divertendo tantissimo a disegnarlo.
d - Lei è stato uno degli autori del “graphic novel” ispirato al primo dei film della serie “Diabolik”, diretta dai Manetti Bros. Come sa, ci sono state delle polemiche a riguardo (a non tutti il taglio “Anni 60” è piaciuto) e probabilmente anche gli incassi non sono stati quelli che ci si aspettava. Lei come giudica -da spettatore- questa trilogia?
r - Doveva essere un po’ meno legata al fumetto, a mio avviso. Si percepisce che c’era una limitazione riguardo al fatto di voler realizzare qualcosa di realmente nuovo. Ci si è un po’ mantenuti nel mezzo. Qualcosa, segnatamente nel secondo e nel terzo film, non ha funzionato, specialmente il cambio dell’attore protagonista. Su Miriam Leone come Eva Kant, invece, non ho nulla da dire.
d - Concludendo: il Diabolik di Mario Bava o quello dei Manetti Bros?
r - Quello di Bava, poiché si è potuto allontanare da certi schemi.. e poi diciamolo: tecnicamente non ha paragoni. Io Bava lo adoro.
(Testo tratto dall’intervista realizzata da Walter De Stradis per il programma “I Viaggi di Gulliver”, andato in onda su Radio Tour Basilicata il 08/01/2024)
- Scritto da Redazione
- Lunedì, 04 Dicembre 2023 12:02
L’armonia e la melodia Italiana, con l’arrangiamento in stile americano Swing-Pop, del “Natale Magico” di Davide De Marinis; il medley di alcuni dei grandi successi di Gianni Donzelli, la voce storica degli Audio 2; la riproposizione dall’«Autore che Canta» Tullio Pizzorno di un brano del Live in onore di Alberto Radius (che si è svolto a Milano il 10 novembre scorso): sono stati i “pezzi forti” della 22esima edizione del Festival di Potenza in una serata di spettacolo innovativo. Anche questa volta il direttore artistico Mario Bellitti - che ha selezionato una ventina di artisti e giovani esordienti per il palco di un Centro Teatrale Polivalente di rione Malvaccaro trasformato in mega-scenografia per quella che diventerà una nuova produzione che sarà trasmessa attraverso varie tv (riprese con la regia di Carlo Campolongo) – ha sorpreso ed entusiasmato il pubblico. Come sempre da Bellitti (che ha interpretato con la sua impronta istrionica “Il mondo”, accompagnato da I Migliori Anni Band, “Quanto è bella lei” e “Buio e Luna Piena” ) nulla di scontato per la scelta di canzoni inserita nella scaletta di una “miscellanea” di generi musicali che spaziano dal cantautorato, al pop, passando per il folk e persino la lirica. La serata di gala, presentata da Paola Delli Colli, ha alternato voci più note a voci giovanili o comunque emergenti. Gianni Donzelli, “cuore” della serata, ha interpretato alcuni dei meravigliosi brani di Lucio Battisti, strutturati con un arrangiamento molto vicino alle versioni originali. E’ stata la seconda tappa del tour iniziato l’8 ottobre a Roma. “A questo punto della mia carriera – racconta Donzelli - sentivo il bisogno di tornare a contatto con il mio pubblico e affrontare una nuova sfida. Durante questo fantastico percorso che attraverserà un po’ tutta l’Italia, troverò in ogni tappa un mio collega che a sorpresa improvviserà con me sul palco perché la musica è da sempre condivisione. Un grandissimo omaggio al grande Lucio Battisti che da sempre ha fatto parte della mia vita e magari sarà l’occasione per raccontare alcuni aneddoti”.
Tullio Pizzorno, artista casertano, è stato l’ultimo autore del grande chitarrista Alberto Radius, scomparso lo scorso febbraio, all’età di 80 anni; ha raccontato in un video il suo legame speciale con Radius e ha proposto un brano dal vivo. Poi ha consegnato la “staffetta” al figlio giovanissimo, Dario, che chitarra-voce ha interpretato una difficilissima canzone di un cantautore brasiliano (Djavan), dando prova di essere già a buon punto sulle orme del padre. Due ore e trenta minuti che hanno tenuto il pubblico inchiodato alle sedie con le esibizioni de I Migliori Anni Band, Pino Persico (accompagnato dal figlio Enrico), Ella, Raffaele De Luca e Marzano Raffaele, Caterina Verdoscia, Savio Varone, Tony Nevoso, Antonietta Letizia soprano, Angelo Mecca, Dario, Giovanni Russo, Sonia Muselli, Giuseppe Di Sette, Anna Morelli, Segreto, Paola Petillo. La magia di Cripton The Mentalist ha preceduto l’assegnazione del riconoscimento per il secondo Memorial Michele Di Potenza a Chiara D’auria (giovane e già artisticamente matura cantautrice folk lucana), sul palco con il chitarrista Alessandro Di Bello, evento promosso in collaborazione col giornalista Walter De Stradis, direttore di Controsenso.
A chiudere la serata tutti gli artisti sul palco a cantare ”Natale magico” un brano dedicato a tutti i bambini del mondo, un inno di speranza, in questo momento storico dove c’è tanto bisogno di pace, serenità e magia. La canzone scritta da Davide de Marinis, nata due anni fa viene realizzata durante le festività con il suo produttore Paolo Agosta che la ha arrangiata e mixata al Bunker Home Studio di Milano, ha anticipato il clima delle festività.
Per il direttore artistico Bellitti ancora una bella prova di spettacolo di qualità, una nuova tappa nella storia del Festival di spettacolo più longevo in Basilicata (e non solo).
- Scritto da Redazione
- Sabato, 25 Novembre 2023 08:41
di Walter De Stradis
Sarà il cantautore milanese Davide De Marinis il testimonial della ventiduesima edizione de “Il festival di Potenza”, che si terrà nuovamente nel capoluogo (dopo una parentesi a Sasso di Castalda), il due dicembre prossimo, presso il Centro Teatrale Polifuzionale, nel quartiere di Malvaccaro. Noto per il tormentone estivo “Troppo bella”, ma anche per essere un autore particolarmente originale e sensibile (non a caso è anche pittore), De Marinis avrà l’occasione, nel corso della prestigiosa kermesse canora allestita dal patron Mario Bellitti, di cantare per la prima volta in pubblico il suo nuovo brano, realizzato insieme alla talentuosa Marta Brando, “Natale magico”.
D - Perché una nuova canzone sul Natale non è mai una canzone di troppo?
R - Bella domanda. Intanto, premetto, oggi più che mai c’è bisogno di un “Natale magico”, con quello che succede nel mondo. Io questa canzone l’ho dedicata ai bambini, perché ciascuno di loro dovrebbe vivere un Natale di quel genere, così come tutti noi dovremmo poter vivere una realtà magica. Iniziamo dunque dal Natale. Pertanto ritengo che ogni canzone che esprime un sentimento di amore, di solidarietà, di pace e di serenità, dovrebbe essere amplificata nel mondo. Ben vengano le canzoni di Natale.
D - L’augurio più grande che si sente di fare in questo momento?
R - La pace. Sono legato particolarmente a due gruppi di persone, i bambini e gli anziani. Dovrebbero essere coccolati, tutelati, amati, protetti. E tutti loro, come e più degli altri, dovrebbero poter vivere in pace.
D - Quanto è difficile comporre una canzone sul Natale senza incappare nei cliché?
R - In effetti un pochino difficile lo è, ma anche in “Natale magico” ci sono dei cliché, sa, gli auguri etc. Nel nostro caso, tuttavia, abbiamo optato per un arrangiamento molto fresco e ritmato e poi anche la melodia aiuta. Ci sono immagini che forse sono classiche, altre no, come il bambino che canta e la nonna che gli balla davanti, una cosa che mi piaceva molto, avendola vista di persona, due anni fa (quando ho scritto questo pezzo), nel periodo di Natale. Direi che mischiare le cose va bene: un po’ di cliché e un po’ di originalità.
D - Lei è anche pittore. E’ possibile dipingere con una canzone? Qual è il brano più pittorico che ha fatto?
R - Sì, è bellissimo “dipingere con le parole”. Per farlo bisogna usare le immagini, e un grande maestro è senz’altro Mogol, che insieme a Battisti ha scritto canzoni che ti fanno sognare. Dico solo questo: “Come può uno scoglio arginare il mare”, oppure “Le bionde trecce gli occhi azzurri e poi”. Capisce? Sono tutte immagini che portano l’ascoltatore a immaginare davvero. La mia canzone alla quale sono più legato? Direi “Troppo bella”, nella quale racconto di un primo incontro e in cui appunto faccio raccontare le immagini…in quel locale, con quel “cameriere tra di noi”.
D - Lei ha partecipato anche a “Tale e quale show”. Se dovesse essere lei imitato da qualcun altro, quale consiglio gli darebbe?
R - (Ride) Non saprei, di essere scanzonato, io sorrido sempre. Mi piace sorridere alla vita e alle persone, anche adesso, mentre parlo con lei, perché lei mi sta regalando dieci minuti della sua vita ed è una cosa davvero preziosa per me. Il tempo è la cosa più preziosa che ognuno di noi ha. E il tempo non torna più. Pertanto, con chi me ne dedica un pezzetto, non posso che essere sorridente e gentile, regalandogli delle emozioni belle. Mi piace lasciare un bel ricordo e uno scambio di energia positiva, bella. Quindi sì, suggerirei di essere positivi e allegri.
D - E in questa fase della musica italiana, c’è di che essere allegri e positivi? Sa, con tutta la polemica sui talent, la qualità generale dei testi che si starebbe abbassando…
R - Personalmente cerco sempre di guardare il bicchiere mezzo pieno. In questo momento diatribe e difficoltà ce ne sono sicuramente, ma preferisco guardare alle cose che mi piacciono, lasciando agli altri i commenti e le zuffe. Dal canto mio, ritengo che le canzoni vincano quando ti fanno venire la pelle d’oca, ma dovrebbero infondere anche una sensazione di serenità, di ottimismo, di “dài che ce la facciamo”, di conseguenza non mi piacciono quelle canzoni con l’elenco delle disgrazie personali, del tipo “io vengo dal quartiere tal dei tali” etc.. Capisco che fanno anche terapia, ma preferisco un altro tipo di comunicazione.
D - Il due dicembre lei parteciperà al Festival di Potenza, è la prima volta qui nel capoluogo?
R - Son già venuto, avendo fatto già serate in zona. Sono molto contento di essere ospite al Festival, anche perché ogni volta è la prima volta, come si suol dire. Oltretutto sarà la prima volta che canterò live, in pubblico, “Natale magico”, e sarà un vero battesimo. E poi ci sarà il mio amico Mario Bellitti, e quindi sarò ancora più contento.
- Scritto da Redazione
- Venerdì, 10 Novembre 2023 15:52
Domani Sabato 11 novembre, con inizio alle ore 17:00, il Polo bibliotecario di Potenza ospiterà un incontro con Graziano Accinni e Rocco Stella, autori di un concept album intitolato Viaggio dell’uva e del vino da Oriente a Occidente.
L’intento di questo progetto culturale, realizzato con le musiche originali del chitarrista, autore, arrangiatore e produttore lucano, noto anche per la sua lunghissima collaborazione con Pino Mango, e con i testi e gli adattamenti poetici di Rocco Stella, è la valorizzazione della grande cultura dell’uva del vino, unitamente al riconoscimento implicito dell’importanza dei paesaggi vitivinicoli.
Partendo idealmente dall’Oriente, dove la vite ha avuto origine, si attraversa il Mar Mediterraneo e si arriva in Occidente e quindi anche in Basilicata, dove Graziano Accinni e Rocco Stella sono partiti per dar vita a questa suggestiva avventura intellettuale, che prende ispirazione dal Cantico dei cantici e dai versi di Alceo, Orazio, Shakespeare, del poeta persiano Hafez e del poeta cinese Li Po.
Nel corso dell’incontro, presentato da Yvette Marie Marchand, interverranno Walter De Stradis, Arturo Giglio, Mimmo Mastrangelo, Alberto Barra, Nicola Masini, Vito Viglioglia e Gianmarco Natalina.
Nell’occasione sarà allestita anche una piccola mostra pittorica e bibliografica sul tema.
Sarà inoltre possibile usufruire dei consueti servizi al pubblico dalle ore 15:30 alle ore 19:30.