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di Walter De Stradis

S’

intitola “La Spiritualità dell’Arte”, la sua ultima mostra pittorica (visitabile fino al 31 ottobre) allestita presso il Museo Provinciale di Potenza. Il potentino Nino Tricarico, ottantasei anni, è però anche scultore, poeta e scrittore, insomma un “Uomo del Rinascimento”, come dicono gli anglosassoni, che al pari di un fisico quantistico, ultimamente si interroga particolarmente sulla dimensione “Tempo”.

d - Come giustifica la sua esistenza?

r - In funzione della voglia di volare. A quattro anni ebbi infatti la fortuna di capire il mito del vento. E questo mi ha consentito di mettere in rapporto la mia vita, non solo con la natura, bensì anche con la leggerezza. Quest’ultima, proviene dalla cultura di Napoli, ove ho studiato. Il Napoletano ha infatti la capacità di trasferire tutto, anche le tragedie, in forma di leggerezza. Le racconto un aneddoto: da ventenne ero solito mangiare in un ristorante partenopeo, perché il pasto costava venti centesimi in meno rispetto alla mensa universitaria; e io ordinavo sempre una porzione di spaghetti, chiedendo al ristoratore che fosse abbondante. Puntualmente, invece, gli spaghetti erano pochi, e alle mie rimostranze, quello rispondeva: "Dotto’, non si sono ancora gonfiati!".

d - (risate) Anche il Potentino ha la capacità di trasferire tutto in leggerezza?

r - Sì. Non a caso nella mia mostra c’è un dipinto intitolato “La Città verticale”. Uno storico dell’arte mi disse che l’immagine risultante della città, con tutte quelle “scatole” messe una sull’altra, fosse troppo bella, per Potenza stessa. Ma io la amo, questa città, nonostante tante piccole cose che non vanno.

d - Ci arriveremo. Quando, nella sua vita, ha capito che sarebbe stato un pittore?

r - Beh, sono figlio d’arte: mio padre era decoratore e a suo modo anche poeta (aveva il compito di intrattenere sette figli, di cui io sono il sesto!). A suo tempo aveva lavorato a Stresa, e quando chiedevo a mia madre come mai si fosse innamorata di lui, lei rispondeva: "Perchè aveva i baffetti da spadaccino senza spada, ma soprattutto perché parlava 'di lassù'". Era stata affascinata, insomma, da un tipo di linguaggio che non le apparteneva.

d - E l’arte oggi riesce a parlare il linguaggio del fruitore, del cittadino?

r - Io credo che un pittore non può fare esattamente quello che vuole il cittadino, ma deve essere soggetto al Tempo in cui lavora. Il nostro compito è quello di rappresentare l’estetica e il senso dell’essere a questo mondo, con un’etica molto forte.

d - E com’è cambiata, nel tempo, la sua pittura?

r - Per molti anni ho fatto l’acquerello, perché ti dà la possibilità di dipingere in breve tempo. L’acquerello non vuole il ritorno, è superstizioso: insomma, o lo fai bene alla prima, o è da buttare. In una giornata ho fatto anche acquerelli di due metri per due, perché li avevo davvero dentro. In questa mostra ce n’è uno, “La bolla”, al cui interno c’è il volto di un animale preistorico e il segno di un libro, a coniugare l’ancestrale con l’esigenza di acculturarsi per ogni cosa.

d - Perché questa sua nuova mostra si intitola “La spiritualità dell’arte?”.

r - Quando cammino per Potenza e osservo, non è la percezione che debbo rappresentare, ma la coscienza di ciò che io guardo. C’è dunque una farfalla che transita per discesa San Gerardo, e quando la osservo mi chiedo se il suo tempo sia limitato soltanto al momento in cui vola a destra o a sinistra, o se esso comprenda anche qualche momento precedente, quando era larva e prima ancora bruco. Insomma, ciò che guardiamo e rappresentiamo è la sommatoria di tutti i tempi che lo riguardano. Pertanto, se vogliamo parlare di spiritualità, dobbiamo partire da una nostra presenza specifica nel Tempo che abitiamo.

d - Le faccio dunque una domanda che è rappresentativa del modo di percepire la cultura a Potenza: quante volte le hanno chiesto “Ma tu fai SOLO il pittore?”. A me spesso chiedono se nella vita faccio “solo” il giornalista.

r - Certo. La mostra, è tutto quello che sto facendo, è dedicata a mia moglie, che non c’è più. Ricordo che una sua amica le chiedeva spesso ove trovassi il tempo per dipingere, scrivere poesie e romanzi, andare in tv a fare esperienze da giornalista.... Mia moglie rispondeva: "Va a dormire all’una di notte e si alza alle sei del mattino". Per trovare il tempo di fare tutto ciò che vuoi, devi sottrarre tempo al sonno.

d - Torniamo allora a quelle “tante piccole cose che non vanno” nella città di Potenza.

r - Parlo di una cosa che mi tocca molto da vicino: la provvisorietà delle cose che fanno a Potenza. Non hanno sempre tutti quella professionalità necessaria per fare il lavoro al meglio del proprio ruolo. Ricordo di un libro, e anche di un film, in cui c’è un uomo che pulisce i cessi, ma lo fa con una grande sacralità, perché felice di farlo: questo non accade spesso nelle strutture che sono i nostri luoghi della cultura. Spesso ci sono persone collocate politicamente, nei luoghi sbagliati.

d - C’è dunque la vexata quaestio delle amicizie, delle appartenenze, dell’esterofilia (Tufano sul nostro giornale lamenta spesso la ricerca spasmodica di nomi “da fuori”).

r - Farò ora qualche esempio di quella cultura potentina che è stata messa all’indice e costretta ad andare via dalla città. Il poeta Giandomenico Giagni, di cui è uscita -finalmente- una monografia, per aver detto su un settimanale nazionale cosa mancasse a Potenza (luce, acqua, che si andava ancora a prendere coi secchi), fu costretto ad allontanarsi dal capoluogo (anche a seguito del chiacchiericcio insensato che qualcuno fece circolare su di lui). Qualcosa di simile accadde anche a Vito Riviello, che su richiesta di “Crimen”, adeguandosi allo stile della rivista, aveva scritto di incappucciati potentini che facevano autoerotismo al telefono con le amanti. Ma, d’altronde, se leggiamo le poesie dello stesso Orazio, scopriamo che questi fu incoronato poeta a Roma, una volta andato via da Venosa...

d - “Nemo propheta in patria”.

r - Sempre così è. Vorrei poi fare una riflessione più ampia. Io continuo a interrogarmi sull’essenza del Tempo. In realtà è un battito di ciglia. E la mia mostra è lì a testimoniarlo. Per dimostrare cos’è il Tempo ho riempito una vasca di piccoli pezzi colorati con un motorino per dare movimento all’acqua: all’insegna del “panta rei”, “tutto scorre”: se io spengo il motorino, ottengo sempre un’immagine di quel tempo, che è colorato. Il pittore, se vuole guardare qualche cosa, gli deve dare il colore del Tempo.

 

 

 

 

 

lopez_e_de_stradis.jpgdi Walter De Stradis

 

 

Quando, ogni

notte, negli

studi romani

di Via Teulada,

un ospite di

Sottovoce” sceglie il “suo”

brano, è Dina Lopez ad

eseguirlo al piano e a cantarlo.

Ebolitana di nascita,

«orgogliosamente venosina»

d’adozione, residente a

Potenza da sempre, la cantante

e maestra di canto, da un paio

d’anni, nel celeberrimo salotto

televisivo di Gigi Marzullo su

Rai Uno, sta probabilmente

vivendo il momento più felice

della sua già lunga carriera,

ma senza perdere mai di

vista i “valori” che la musica

può infondere alla vita. E

viceversa.

d- Come giustifica la sua

esistenza?

r- Lo scopo della mia vita è

fare del bene e credere in

Dio. Tutto ciò che faccio è in

funzione di Gesù.

d- E si può far del bene

cantando?

r- Assolutamente sì.

d- Sant’Agostino diceva “chi

canta prega due volte”. Più

in generale, invece?

r- Più in generale, la musica è

aggregazione, un momento

sicuro per voler del bene a

qualcuno. Pertanto credo che

essa stessa sia un dono di Dio.

d- Tuttavia, di recente, al

Premio “Brassens” di

Marsico Nuovo (lei era in

giuria), dal palco è stato più

volte detto che la musica pop

italiana di oggi ha preso una

deriva preoccupante, per

quanto attiene al contenuto

dei testi. Esiste dunque

anche la musica negativa?

r- Assolutamente sì.

d- E qual è?

r- La musica che non viene

guidata, curata, quella che

cresce magari in contesti...

in una società diversa da

quella in cui, fortunatamente,

abbiamo vissuto noi. I

contenuti pertanto spesso

sono sterili, e penso sia una

situazione irrimediabile.

d- Indietro non si torna?

r- Io credo di no. E ci ho

provato, anche, con i ragazzi

della nostra scuola di canto.

Molti non sono assolutamente

disposti a tornare indietro. Ho

trovato, con alcuni di loro,

una vera barriera; con molti

altri, per fortuna, si riesce a

trasmettere il concetto che la

musica è un’altra.

d- Certi ragazzi, insomma,

sembrano attratti da quella

Trap” (chiamiamola così)

con contenuti a volte anche

sessisti.

r- ...sessisti e pieni di parole

sconce. Non mi ci rivedo

affatto. La musica è anche

comunicazione, e comunicare

certi concetti sterili, e a volte

anche aberranti, per me non è

certo una cosa positiva.

d- Magari certi giovani

pensano che quello sia un

modo per avere successo

subito.

r- Purtroppo sì, e a volte

utilizzano persino un

linguaggio che io non capisco.

Ma noi siamo lì apposta, per

poterli ridimensionare, anche

e soprattutto dal punto di vista

tecnico.

d- Una volta perlomeno si

cantava.

r- (sorride) Infatti. La musica

di una volta prevedeva

le cosiddette “fioriture”:

melismi”, “acciaccature”,

mordenti”. Oggi sembra

quasi il contrario: se lei ci fa

caso, in un “Talent show”,

se un concorrente fa cose

del genere, viene subito fatto

fuori. Whitney Houston?

Sorpassata”. Christina

Aguilera? “Troppo blues”. E

così si privilegiano melodie

più “lineari”, con dei testi

a volte privi di significato,

con arrangiamenti sempre

uguali. Sono queste le cose

che piacciono nei “Talent”.

Ma anche le voci stanno

diventando tutte uguali, e

a volte è davvero difficile

distinguere un brano da un

altro.

d- Facciamo un passo indietro:

lei quando ha capito che

nella sua vita avrebbe fatto

la musicista di professione?

r- Devo tutto a mio padre,

il primo ad accorgersi di

questo mio, chiamiamolo

così, talento. A due anni e

mezzo già cantavo bene e a

tre anni e mezzo mi ritrovai

allo “Zecchino D’Oro” col

Mago Zurlì. Vinsi due volte

le selezioni regionali e poi fu

chiamata a far parte del Coro

dell’Antoniano di Bologna.

Ero già stata presa, mancava

solo la firma, ma purtroppo

questa cosa avrebbe stravolto

la vita della mia

famiglia e per

i miei genitori

non fu possibile

acconsentire.

d- La mette nel

c u r r i c u l u m

questa cosa

dello Zecchino

d’Oro?

r- Sa che spesso

mi dimentico

di farlo? Però

di recente

credo di averlo

scritto. Poi sa,

in verità, è mio

marito Stefano

che si occupa

di tutte queste

cose, perché io

spesso faccio

c o n f u s i o n e !

(ride)

d- Molti anni

dopo quella

d e l u s i o n e ,

però, si è presa una

rivincita”, approdando alla

trasmissione “Sottovoce” di

e con Gigi Marzullo.

r- Sì. E’ successo che ho mandato

un provino, ma devo dire

che nel corso degli anni ho

conosciuto diverse persone che

si sono rivelate fondamentali

per il mio percorso musicale.

Ringrazierò per sempre

Enzo Campagnoli (maestro

d’eccezione a Sanremo, dal

curriculum impressionante);

e poi ho avuto contatti con

Mario Rosini, con gente di

grande valore, insomma.

Tutto ciò mi ha convinto che

potevo andare avanti, e quindi

ho fatto il provino, e sono

piaciuta. Marzullo ha deciso

di farmi lavorare con lui.

d- Marzullo le ha detto

qualcosa in particolare?

r- Assolutamente no. E’ successo

che sono andata a fare questo

provino, e c’era il presentatore

di “Agorà”, Roberto Inciocchi

-che io stimo moltissimo- e

ho eseguito un brano di Pino

Daniele (“Vivo come te”). In

realtà quello doveva essere

solo un provino, appunto,

una “puntata zero”, e invece

è andato in onda!  Per me

è stata una vera e propria

apoteosi, mi sono commossa,

sulle prime non capivo

cosa stesse succedendo. Poi

finalmente ho realizzato... e

grazie a Dio sono ancora lì.

d- Fa la pendolare Potenza-

Roma?

r- Sì, e non so se mi trasferirò

mai. Vivere Roma è molto

difficile, ho notato. E poi

non vorrei lasciare la nostra

scuola di canto (“Pianeta

Voce”), che esiste da dieci

anni. Se me ne andassi,

lascerei i miei ragazzi in balia

delle onde.

d- In balia della Trap.

r- Eh sì! (risate). Ma non

generalizziamo, perché ci

sono artisti che comunque

valgono.

d- Lavorare in Rai con

Marzullo l’ha in qualche

modo cambiata?

r- Direi di no, perché io

vivo e continuo a vivere

nell’umiltà. Certo, è un lavoro

impegnativo, che non tutti

possono fare, in cui non ci si

può permettere di sbagliare.

d- A chi le piacerebbe

rivolgere una domanda

marzulliana”?

r- Non ci ho mai pensato.

Marzullo è introspettivo, e le

sue domande non sono mai un

caso. L’ho notato nel corso

delle puntate, quando gli

ospiti si fermano a riflettere,

perché vogliono rispondere

bene.

d- Le suggerisco allora la

domanda che sottopongo a

tutti: “Se potesse prendere

il presidente della Regione

sottobraccio, cosa gli

direbbe?”.

r- Eh. Purtroppo, credo che

qui da noi la musica debba

ancora crescere. Spesso

abbiamo umilmente chiesto

degli interventi, degli aiuti,

ma è difficile essere ascoltati.

Credo che ci voglia un po’ di

varietà nello scegliere anche

gli aspetti musicali e artistici.

Pertanto direi al Presidente:

Per piacere, ci vuole aiutare

a crescere? E magari aiutare

anche persone che non

possono permettersi di pagare

un corso di canto?”.

d- Lei ha fatto anche studi

di etnomusicologia. Se

non ricordo male, una sua

registrazione effettuata “sul

campo” ha portato anche a

una piccola scoperta.

r- Già. Francesco Foschino,

della redazione del giornale

MATHERA”, mi contattò

perché voleva delucidazioni

sul ritrovamento di un canto di

tradizione orale, che si diceva

fosse pugliese. Invece, grazie

ai miei studi -del 2000- sulla

tradizione orale acheruntina,

si è scoperto che quel canto,

presente nella mia raccolta,

potrebbe essere anche lucano.

Il condizionale in questi casi

è d’obbligo, ma l’articolo che

poi pubblicò“MATHERA”

aveva per titolo: «Un caso

risolto».

d- La mia domanda

tormentone: sarà mai

possibile creare qui in

Basilicata, così ricca di

tradizioni musicali, un

evento della portata de “La

Notte della Taranta”?

r- Penso di sì, ma, come dicevo

prima, ci dev’essere la

collaborazione della Regione

e dei comuni. Penso che il

problema sia quello: di natura

economica.

 

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di Walter De Stradis

 

 

 

Il poeta, scrittore, cantautore e anche pittore rionerese Vito “Vitus” Viglioglia, è -a pelle- una persona spirituale, un individuo, cioè, connesso con le “antenne” sempre accese (per chi sa a ascoltare) dell’universo umano e non.

Libri, dischi (in solitaria o con la sua band attuale, i Meteopanik), “sono-poesie” e un’infinità di altre produzioni, lo rendono -e non è un mistero per nessuno- uno degli artisti più vividi e originali della nostra Terra... Con tanto di “beneplacito”, a suo tempo, di Antonio Infantino. E chi si intende di musica sa che non è certo cosa da poco.

d - Come giustifica la sua esistenza?

r- Io non giustifico la mia esistenza. E’ esattamente il contrario. E dubito anche dell’esistenza stessa. Nella vita ho provato delle emozioni e delle esperienze tali, che a volte mi fanno dubitare persino del fatto che possiamo esistere.

d - La vita è illusione?

r- Mi viene in mente una bella frase di Pessoa: “Lontano da me, in me esisto”.

d - In questa (non)esistenza, è l’arte ad aver scelto lei o viceversa?

r- Quando parliamo di esistenzialismo -no?- è come se mettessimo una prerogativa alla vita, alla libertà, all’amore, ai sentimenti. E’ un po’ come se la categorizzassimo. Prima, scherzando a microfoni spenti, lei mi ha detto: chi fa troppe cose, è capace che non ne faccia bene una. (Risate).

d - Scrittore, poeta, cantante, pittore...

r- Banalmente le rispondo che è un’esigenza, la mia, quella di suonare, di dovermi esprimere, perché credo che ogni essere umano, al di fuori della quotidianità, ha bisogno di elementi che gli consentano di esprimere completamente se stesso. Allora questo può avvenire attraverso una ricerca sperimentale della propria esistenza, e nella forma pratica dell’arte: pittura, musica, scrittura.

d - C’è forse un grido esistenziale che Vitus cerca di far arrivare al prossimo?

r- Può essere un grido, così come un canto, può essere un piano o un forte. La voglia è però quella di comunicare ciò che di vero e importante c’è nella mia vita: le relazioni, ciò che provo e che sento. E questo è abbastanza per farmi sentire vivo.

d - Non sarò così ingenuo da chiederle se è nato prima il cantante o il poeta.

r- Il primo brano che ho cantato in pubblico è stato “Starway to Heaven”, al centro sociale “Pasquale Sacco” di Rionero. C’era una manifestazione ed ero coi miei amici Antonio Sernia, Michele Consiglio, Pina Cammarota. Ero emozionatissimo.

d - C’è stato poi un fatto, o una persona, che l’ha convinta a continuare su questa strada?

r- E’ stato molto semplice, perché frequentavo tutte persone che suonavano e c’era un bel fermento. Maurizio Di Lucchio, per esempio, mi fece conoscere “Dylan Dog”, il fumetto: Antonio e altri amici mi fecero vedere la prima Fender Squier nera. Mi innamorai subito. Devo anche ringraziare molto Antonio Savella, un caro amico del mio babbo, che mi addentrò nel mondo del jazz e della musica classica. Nella mia infanzia, dunque, vedevo questi universi nuovi che si aprivano.

d - Lei infatti, oltre che tra varie forme artistiche, spazia anche fra vari generi musicali: rock, jazz, le “sono-poesie”...anche se c’è chi dice che le poesie non vanno musicate.

r- Anche, sì, beh, ognuno la pensa come vuole, non sono uno di quelli che emette veti su certe cose. Non mi piace nemmeno la competizione nell’arte. Mi piace vivere il mio mistero nella maniera più libera. “A ciascuno il suo” diceva Sciascia.

d - Per queste poesie in musica lei collabora, anche, con Graziano Accinni, storico chitarrista di Mango. Qual è il suo pensiero su Angelina, fresca vincitrice del Festival?

r- Credo sia una bellissima persona e una bravissima ragazza. Mi dà l’impressione di una persona limpida, che sa vivere i sentimenti. Al di là del talento, del successo e dell’essere figlia d’arte, il lo vedo nei suoi occhi. Quando ha cantato “La rondine” io mi sono emozionato tantissimo. E solo chi porta dentro di sé l’amore, la verità, la bellezza, può comunicare queste cose.

d - La domanda che rivolgo a tutti gli artisti lucani: quali sono le difficoltà nel proporre un proprio percorso qui in Basilicata?

r- Se penso alla carriera artistica come obiettivo per arrivare da qualche parte, dal punto di vista del marketing, ritengo che qui da noi ci siano dei limiti, perché l’industria discografica è completamente assente. Però, attenzione, l’arte, nelle sue fondamenta, si nutre anche di ciò che ci circonda, e la Basilicata, paesaggisticamente, umanamente, è bellissima. Quindi io mi nutro della mia terra, dono alla mia terra e questa a sua volta mi dà, perché parliamo di arte, che come tale, è pura. La mia terra è la MIA ispirazione.

d - Quindi tutto bene?

r- Per me ogni luogo che sa regalare ispirazione, anche con le sue contraddizioni -che ci sono- è bene.

d - Col gruppo di cui lei fa parte, i Meteopanik (in cui militano anche Vito Di Lorenzo, Peppe Di Tolla e Gianluigi Santoro e Antonio Verbicaro), è stato anche lei a Sanremo.

r- Sì a “Sanremo Rock” che appunto è la declinazione “rock” di Sanremo. E noi, con i riff di Vito Di Lorenzo, non possiamo non definirci una “rock band”. “Kinapoetem”, il contrario di “Meteopanik” è invece il nostro progetto acustico. Sì, siamo stati a Sanremo e -che glielo dico a fare- è un luogo magico.

d - Sì, ma so che vi siete dovuti confrontare con una realtà che ha le sue regole, diciamo così.

r- Sì, più che le sue regole, a volte sembra avere le sue ingiustizie. Tocca parlare dell’ovvio, in un Paese come questo. Noi vi partecipammo da indipendenti, ma vinse un artista, Nevruz, sostenuto da Elio e Le Storie Tese. Noi non eravamo sostenuti da nulla, se non da noi stessi...e dal Creatore. Per noi dunque è stato un po’ più difficile, però ci siamo tolti lo stesso delle grandi soddisfazioni: alla fine della nostra esibizione, Matt Backer, chitarrista di fama mondiale (Elton John), che era in giuria, mi disse questa cosa, col suo accento anglosassone: «Questo ragazzo è il figlio di Chris Cornell e Yoko Ono». In quel posto si era creata un’energia incredibile, un trasporto straordinario, quel Teatro ha una sua anima!

d - Come artista e uomo, cos’è che in Basilicata la fa indignare?

r- A volte la miseria umana è un’indignazione per me stesso e per gli altri. E’ un sentimento universale, è la radice del male che può nascondersi ovunque. Ma non è un problema della Basilicata, bensì dell’essere umano. A mio avviso, in questa vita, noi siamo tenuti a sperimentare continuamente i nostri limiti e a migliorarci continuamente in ogni momento. C’è sempre la possibilità di migliorarsi, di fare esperienza e di redimersi, dai peccati e dalle brutture che a volte circondano la nostra vita. Vorrei dunque una Basilicata, e un mondo intero, più solidale, più fraterno. Una Basilicata, più allegra, più positivamente orgogliosa di quello che ha.

d - I suoi progetti imminenti?

r- Con i Metepoanik siamo in fase di composizione del nuovo disco. Poi c’è un progetto con Graziano Accinni, col quale musicheremo delle preghiere. Inizialmente mi propose di cantare i testi che mi aveva mandato, in dialetto moliternese (“‘U Bambinieddu”), ma poiché ho avuto qualche difficoltà, ho scritto delle preghiere in Italiano e le sto musicando. E’ un percorso spirituale, oltre che artistico.

 

 

 

 

 

giulio_giordano_controsenso.jpgL’IA e i moderni software grafici possono essere certamente d’aiuto nel lavoro di un aspirante fumettista professionista, ma sempre ammesso che l’interessato abbia “la mano” (e cioè un talento naturale), da legare a doppio filo a studio, costanza e anche a un pochino di caparbietà.

Parola di Giulio Giordano: originario del Capoluogo, è uno dei disegnatori lucani più importanti nel panorama nazionale (membro di primo piano della scuderia Bonelli), nonchè docente di fumetto, fondatore della prima e più prestigiosa scuola di “comics” in Basilicata, la “Redhouse Lab” di Potenza.

d - È stato difficile partire dalla Basilicata per intraprendere la professione del fumettista, iniziando da una “semplice”, grande passione?

r - Dico la verità. Nel mio caso non era necessario partire proprio dalla Basilicata. Questo è un tipo di lavoro che può essere fatto anche a distanza,. I capi della Bonelli in dieci anni li avrò visti sì e no due volte. Benedetto il web e chi lo ha inventato, poiché è grazie ad esso che si è riusciti a consegnare delle tavole digitali e non più cartacee. Uscire dalla Basilicata non era in realtà necessario per me, il mio trasferimento a Bologna è dipeso più che altro da ragioni personali.

d - La sua è stata una gavetta piuttosto lunga. Sono sì dieci anni che lavora in Bonelli, ma ha fatto anche tante altre cose qui in Basilicata...

r - Certamente. Il mio mondo non parte direttamente dal fumetto. È una grande passione, ma la mia carriera parte come “graffittaro”, con i murales sul cemento potentino.

d -...a tal proposito è noto in città il murale di San Gerardo realizzato a rione Gallitello

r - Sicuramente, grazie anche all’aiuto di Francesco Romagnano e della sua associazione. Mediante la collaborazione con il Comune di Potenza poi sono nati anche altri progetti come il murale sui “Turchi” all’interno delle scale mobili della città, in viale Dante, e l’altro al campo scuola. Insomma, posso dire che abbiamo in un certo senso istituzionalizzato i murales, poiché un tempo venivano visti un po’ come un gesto selvaggio.

d - Prima dei murales “istituzionali” in città, lei ha mai avuto qualche problema con i vigili?

r - All’inizio non badavamo tanto ad avere permessi e ovviamente c’erano dei muri vincolati. Chiaramente non abbiamo mai imbrattato gli angoli del centro storico. C’erano però dei risvolti alquanto simpatici, come l’obbligatorietà nella scelta di alcuni colori in relazione al contesto. Ricordo ancora i suggerimenti dell’architetto Grano che mi consigliava di evitare di usare il rosso, poiché distraeva gli automobilisti alla guida.

d - Non è necessario fare il fumettista spostandosi, ha detto. Quali sono dunque le tecniche che impiega? Che ruolo ha la digitalizzazione nel suo lavoro?

r - È brutto a dirsi, ma non tocco un foglio e una matita da circa cinque anni. Ormai buona parte del lavoro è frutto della tavoletta grafica e di tanti programmi, che sono talmente potenti, da garantire una perfetta aderenza e sensibilità delle proprie mani al lavoro che si va a realizzare, e che rendono, altresì, molto più semplice il tutto. Chiariamo un concetto, però: se non sai disegnare con un foglio e una matita, questi stessi programmi non fanno certo miracoli...

d -...viviamo in una società delle “scorciatoie". È un discorso che vale anche per la musica e per lo spettacolo, ove si ritiene -erroneamente- che il talento possa e debba rivestire un ruolo di secondo piano.

r - Assolutamente no, infatti. Bisogna aver studiato tanto, aver fatto scuole di fumetto, aver imparato l’anatomia, la prospettiva e tutt’una serie di cose e di aspetti che se non si approfondiscono adeguatamente, rendono impossibile a chiunque l’arte del fumetto. Certo, ci sono degli escamotage come l’intelligenza artificiale ma che sta creando in realtà una serie di problemi, poiché attinge da un bacino di cose già realizzate: dunque non vi è proprio nulla di originale, certo non si può intravedere un’impronta artistica.

d - Lei è anche un docente di fumetto all’interno della prima scuola nata a Potenza...

r - Certamente. È la “Redhouse Lab” che ho fondato insieme a Gianfranco Giardina e Gianluca Lagrotta, con l’aiuto anche di Giuseppe Palumbo, che è stato un po’ il nostro Guru nel campo del fumetto. È stato bello avere tanti allievi. All’epoca noi per disegnare fumetto dovevamo per forza raggiungere altre città, come Napoli -per indicare la più vicina- dunque abbiamo voluto offrire una opportunità a tutti i ragazzi che non hanno le possibilità di spostarsi. Abbiamo fatto tante docenze, tanto che la scuola esiste ormai da tredici anni. Ne siamo orgogliosi.

d - Qual è l’età media e quali sono le aspettative dei vostri alunni?

r - Be’, l’età è variegata. Noi cerchiamo di partire dai sei anni in su, anche perché spieghiamo delle cose abbastanza tecniche. Non c’è un limite all’età. I nostri corsi sono triennali, cerchiamo di trasferire un po’ di tutto. È chiaro che al termine dei tre anni le prospettive diventano individuali e ognuno è artefice delle proprie. Una cosa è certa: bisogna applicarsi e sudare. Una delle platee per farsi conoscere è la manifestazione Lucca Comics, all’interno della quale ci sono le cosiddette “aree pro”, ove gli editori solitamente gravitano alla scoperta di nuove proposte.

Io dico sempre ai ragazzi di andare di persona a presentarsi e di non avere paura dei no. Io al quinto anno ero arrivato alla disperazione, pensavo non mi prendessero più e, invece, la sesta volta mi hanno reputato pronto. Bisogna avere il coraggio. Capisco che le nuove generazioni vogliono tutto e subito, ma non è certo questo l’ambito giusto.

d - Immagino che il primo aspetto da trasferire ai futuri disegnatori è che il lavoro del fumettista è fatto di tanta fatica...

r - Le tavole, sia per Astorina -con “Diabolik”- sia per Bonelli, sono frutto di sceneggiature dettagliate. Ci sono degli elementi che DEVONO essere disegnati, ad esempio in prospettiva, con il chiaro-scuro... insomma c’è tanto studio.

d - A cosa sta lavorando adesso?

r - Abbiamo appena concluso una trilogia di “Martin Mystère” disegnata da me e da Salvatore Cuffari, insieme ad Alex Dante che ne ha scritto la sceneggiatura. Insieme ad Adriano Barone, un altro sceneggiatore Bonelli, stiamo realizzando inoltre un crossover: cioè “Martin Mystère” contro “Nathan Never”, che uscirà l'anno prossimo, il terzo in ordine di tempo. Verrà pubblicata una parte sulla testata di “Martin Mystère” e le altre due su “Nathan Never”, sarà pieno di azione e misteri. Ci stiamo divertendo tantissimo a disegnarlo.

d - Lei è stato uno degli autori del “graphic novel” ispirato al primo dei film della serie “Diabolik”, diretta dai Manetti Bros. Come sa, ci sono state delle polemiche a riguardo (a non tutti il taglio “Anni 60” è piaciuto) e probabilmente anche gli incassi non sono stati quelli che ci si aspettava. Lei come giudica -da spettatore- questa trilogia?

r - Doveva essere un po’ meno legata al fumetto, a mio avviso. Si percepisce che c’era una limitazione riguardo al fatto di voler realizzare qualcosa di realmente nuovo. Ci si è un po’ mantenuti nel mezzo. Qualcosa, segnatamente nel secondo e nel terzo film, non ha funzionato, specialmente il cambio dell’attore protagonista. Su Miriam Leone come Eva Kant, invece, non ho nulla da dire.

d - Concludendo: il Diabolik di Mario Bava o quello dei Manetti Bros?

r - Quello di Bava, poiché si è potuto allontanare da certi schemi.. e poi diciamolo: tecnicamente non ha paragoni. Io Bava lo adoro.

(Testo tratto dall’intervista realizzata da Walter De Stradis per il programma “I Viaggi di Gulliver”, andato in onda su Radio Tour Basilicata il 08/01/2024)

 

 

 

 

 

festival_5.jpegL’armonia e la melodia Italiana, con l’arrangiamento in stile americano Swing-Pop, del “Natale Magico” di Davide De Marinis; il medley di alcuni dei grandi successi di Gianni Donzelli,   la voce storica degli Audio 2; la riproposizione dall’«Autore che Canta» Tullio Pizzorno di un brano del Live in onore di Alberto Radius (che si è svolto a Milano il 10 novembre scorso): sono stati i “pezzi forti” della 22esima edizione del Festival di Potenza in una serata di spettacolo innovativo. Anche questa volta il direttore artistico Mario Bellitti - che ha selezionato una ventina di artisti e giovani esordienti per il palco di un Centro Teatrale Polivalente di rione Malvaccaro trasformato in mega-scenografia per quella che diventerà una nuova produzione che sarà trasmessa attraverso varie tv (riprese con la regia di Carlo Campolongo) – ha sorpreso ed entusiasmato il pubblico. Come sempre da Bellitti (che ha interpretato con la sua impronta istrionica “Il mondo”, accompagnato da I Migliori Anni Band, “Quanto è bella lei” e “Buio e Luna Piena” ) nulla di scontato per la scelta di canzoni inserita nella scaletta di una “miscellanea” di generi musicali che spaziano dal cantautorato, al pop, passando per il folk e persino la lirica. La serata di gala, presentata da Paola Delli Colli, ha alternato voci più note a voci giovanili o comunque emergenti. Gianni Donzelli, “cuore” della serata, ha interpretato alcuni dei meravigliosi brani di Lucio Battisti, strutturati con un arrangiamento molto vicino alle versioni originali. E’ stata la seconda tappa del tour iniziato l’8 ottobre a Roma. “A questo punto della mia carriera – racconta Donzelli - sentivo il bisogno di tornare a contatto con il mio pubblico e affrontare una nuova sfida. Durante questo fantastico percorso che attraverserà un po’ tutta l’Italia, troverò in ogni tappa un mio collega che a sorpresa improvviserà con me sul palco perché la musica è da sempre condivisione. Un grandissimo omaggio al grande Lucio Battisti che da sempre ha fatto parte della mia vita e magari sarà l’occasione per raccontare alcuni aneddoti”.

Tullio Pizzorno, artista casertano, è stato l’ultimo autore del grande chitarrista Alberto Radius, scomparso lo scorso febbraio, all’età di 80 anni; ha raccontato in un video il suo legame speciale con Radius e ha proposto un brano dal vivo. Poi ha consegnato la “staffetta” al figlio giovanissimo, Dario, che chitarra-voce ha interpretato una difficilissima canzone di un cantautore brasiliano (Djavan), dando prova di essere già a  buon punto sulle orme del padre. Due ore e trenta minuti che hanno tenuto il pubblico inchiodato alle sedie con le esibizioni de I Migliori Anni Band, Pino Persico (accompagnato dal figlio Enrico), Ella,  Raffaele De Luca e Marzano Raffaele, Caterina Verdoscia, Savio Varone, Tony Nevoso,  Antonietta Letizia soprano, Angelo Mecca, Dario, Giovanni Russo, Sonia Muselli, Giuseppe Di Sette, Anna Morelli, Segreto, Paola Petillo. La magia di Cripton The Mentalist ha preceduto l’assegnazione del riconoscimento per il secondo Memorial Michele Di Potenza  a Chiara D’auria (giovane e già artisticamente matura cantautrice folk lucana), sul palco con il chitarrista Alessandro Di Bello, evento promosso in collaborazione col giornalista Walter De Stradis, direttore di Controsenso.

 

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A chiudere la serata tutti gli artisti sul palco a cantare ”Natale magico” un brano dedicato a tutti i bambini del mondo, un inno di speranza, in questo momento storico dove c’è tanto bisogno di pace, serenità e magia. La canzone scritta da Davide de Marinis, nata due anni fa viene realizzata durante le festività con il suo produttore Paolo Agosta che la ha arrangiata e mixata al Bunker Home Studio di Milano, ha anticipato il clima delle festività.

Per il direttore artistico Bellitti ancora una bella prova di spettacolo di qualità, una nuova tappa nella storia del Festival di spettacolo più longevo in Basilicata (e non solo).

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di Walter De Stradis

 

 

 

 

Sarà il cantautore milanese Davide De Marinis il testimonial della ventiduesima edizione de “Il festival di Potenza”, che si terrà nuovamente nel capoluogo (dopo una parentesi a Sasso di Castalda), il due dicembre prossimo, presso il Centro Teatrale Polifuzionale, nel quartiere di Malvaccaro. Noto per il tormentone estivo “Troppo bella”, ma anche per essere un autore particolarmente originale e sensibile (non a caso è anche pittore), De Marinis avrà l’occasione, nel corso della prestigiosa kermesse canora allestita dal patron Mario Bellitti, di cantare per la prima volta in pubblico il suo nuovo brano, realizzato insieme alla talentuosa Marta Brando, “Natale magico”.

D - Perché una nuova canzone sul Natale non è mai una canzone di troppo?

R - Bella domanda. Intanto, premetto, oggi più che mai c’è bisogno di un “Natale magico”, con quello che succede nel mondo. Io questa canzone l’ho dedicata ai bambini, perché ciascuno di loro dovrebbe vivere un Natale di quel genere, così come tutti noi dovremmo poter vivere una realtà magica. Iniziamo dunque dal Natale. Pertanto ritengo che ogni canzone che esprime un sentimento di amore, di solidarietà, di pace e di serenità, dovrebbe essere amplificata nel mondo. Ben vengano le canzoni di Natale.

D - L’augurio più grande che si sente di fare in questo momento?

R - La pace. Sono legato particolarmente a due gruppi di persone, i bambini e gli anziani. Dovrebbero essere coccolati, tutelati, amati, protetti. E tutti loro, come e più degli altri, dovrebbero poter vivere in pace.

D - Quanto è difficile comporre una canzone sul Natale senza incappare nei cliché?

R - In effetti un pochino difficile lo è, ma anche in “Natale magico” ci sono dei cliché, sa, gli auguri etc. Nel nostro caso, tuttavia, abbiamo optato per un arrangiamento molto fresco e ritmato e poi anche la melodia aiuta. Ci sono immagini che forse sono classiche, altre no, come il bambino che canta e la nonna che gli balla davanti, una cosa che mi piaceva molto, avendola vista di persona, due anni fa (quando ho scritto questo pezzo), nel periodo di Natale. Direi che mischiare le cose va bene: un po’ di cliché e un po’ di originalità.

D - Lei è anche pittore. E’ possibile dipingere con una canzone? Qual è il brano più pittorico che ha fatto?

R - Sì, è bellissimo “dipingere con le parole”. Per farlo bisogna usare le immagini, e un grande maestro è senz’altro Mogol, che insieme a Battisti ha scritto canzoni che ti fanno sognare. Dico solo questo: “Come può uno scoglio arginare il mare”, oppure “Le bionde trecce gli occhi azzurri e poi”. Capisce? Sono tutte immagini che portano l’ascoltatore a immaginare davvero. La mia canzone alla quale sono più legato? Direi “Troppo bella”, nella quale racconto di un primo incontro e in cui appunto faccio raccontare le immagini…in quel locale, con quel “cameriere tra di noi”.

D - Lei ha partecipato anche a “Tale e quale show”. Se dovesse essere lei imitato da qualcun altro, quale consiglio gli darebbe?

R - (Ride) Non saprei, di essere scanzonato, io sorrido sempre. Mi piace sorridere alla vita e alle persone, anche adesso, mentre parlo con lei, perché lei mi sta regalando dieci minuti della sua vita ed è una cosa davvero preziosa per me. Il tempo è la cosa più preziosa che ognuno di noi ha. E il tempo non torna più. Pertanto, con chi me ne dedica un pezzetto, non posso che essere sorridente e gentile, regalandogli delle emozioni belle. Mi piace lasciare un bel ricordo e uno scambio di energia positiva, bella. Quindi sì, suggerirei di essere positivi e allegri.

D - E in questa fase della musica italiana, c’è di che essere allegri e positivi? Sa, con tutta la polemica sui talent, la qualità generale dei testi che si starebbe abbassando…

R - Personalmente cerco sempre di guardare il bicchiere mezzo pieno. In questo momento diatribe e difficoltà ce ne sono sicuramente, ma preferisco guardare alle cose che mi piacciono, lasciando agli altri i commenti e le zuffe. Dal canto mio, ritengo che le canzoni vincano quando ti fanno venire la pelle d’oca, ma dovrebbero infondere anche una sensazione di serenità, di ottimismo, di “dài che ce la facciamo”, di conseguenza non mi piacciono quelle canzoni con l’elenco delle disgrazie personali, del tipo “io vengo dal quartiere tal dei tali” etc.. Capisco che fanno anche terapia, ma preferisco un altro tipo di comunicazione.

D - Il due dicembre lei parteciperà al Festival di Potenza, è la prima volta qui nel capoluogo?

R - Son già venuto, avendo fatto già serate in zona. Sono molto contento di essere ospite al Festival, anche perché ogni volta è la prima volta, come si suol dire. Oltretutto sarà la prima volta che canterò live, in pubblico, “Natale magico”, e sarà un vero battesimo. E poi ci sarà il mio amico Mario Bellitti, e quindi sarò ancora più contento.

 

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Domani Sabato 11 novembre, con inizio alle ore 17:00, il Polo bibliotecario di Potenza ospiterà un incontro con Graziano Accinni e Rocco Stella, autori di un concept album intitolato Viaggio dell’uva e del vino da Oriente a Occidente.

L’intento di questo progetto culturale, realizzato con le musiche originali del chitarrista, autore, arrangiatore e produttore lucano, noto anche per la sua lunghissima collaborazione con Pino Mango, e con i testi e gli adattamenti poetici di Rocco Stella, è la valorizzazione della grande cultura dell’uva del vino, unitamente al riconoscimento implicito dell’importanza dei paesaggi vitivinicoli.

Partendo idealmente dall’Oriente, dove la vite ha avuto origine, si attraversa il Mar Mediterraneo e si arriva in Occidente e quindi anche in Basilicata, dove Graziano Accinni e Rocco Stella sono partiti per dar vita a questa suggestiva avventura intellettuale, che prende ispirazione dal Cantico dei cantici e dai versi di Alceo, Orazio, Shakespeare, del poeta persiano Hafez e del poeta cinese Li Po.

Nel corso dell’incontro, presentato da Yvette Marie Marchand, interverranno Walter De Stradis, Arturo Giglio, Mimmo Mastrangelo, Alberto Barra, Nicola Masini, Vito Viglioglia e Gianmarco Natalina.

Nell’occasione sarà allestita anche una piccola mostra pittorica e bibliografica sul tema.

Sarà inoltre possibile usufruire dei consueti servizi al pubblico dalle ore 15:30 alle ore 19:30.

 

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L’associazione Vulcanica promuove la lettura e l’approfondimento culturale con la terza edizione della rassegna Visioni d’Autore, ospitata da Zendé Food Drink Cafè a Rionero in Vulture (PZ). Quattro appuntamenti per parlare di letteratura, musica, attualità, cronaca.

Tutti gli appuntamenti sono realizzati in collaborazione con l’ArcheoClub del Vulture “Giuseppe Catenacci”, la Scuola di Musica “G. Orsomando” e il patrocinio del Comune di Rionero in Vulture.

“Vulcanica è una realtà culturale a tutto tondo, abbiamo a cuore tutte le sfaccettature di quello che viene chiamato mondo della cultura: amiamo sì portare in Basilicata concerti e sostenere le attività musicali di Rionero in Vulture ma in realtà pensiamo che tutte le arti e le espressioni siano importanti per far crescere la nostra realtà e il nostro territorio” spiega Vincenzo Paolino, direttore artistico “Visioni d'Autore è una rassegna dedicata alla scoperta degli autori e della loro poetica e al confronto dialettico con i pubblici per poter interpretare meglio il presente, imparare dal passato e vivere con consapevolezza il futuro”.

Si comincia domenica 12 novembre alle ore 19:00 allo Zendè Food Drink Cafè nel piazzale della stazione a Rionero in Vulture con Michelangelo Iossa, giornalista, scrittore e docente universitario, e con la sua biografia Rino Gaetano. Sotto un cielo sempre più blu (Hoepli Editore).

Il libro, arricchito dalla prefazione di Sergio Cammariere e da una testimonianza di Renzo Arbore, racconta la storia del musicista partendo dal "suo sud" fino all'incredibile culto sviluppatosi negli ultimi decenni; Salvatore Antonio Gaetano, per tutti Rino, è il protagonista di un lungo racconto biografico in cui si fondono la Magna Grecia, la scuola cantautorale romana, gli anni Settanta, lo sberleo, il reggae e le donne di tante canzoni. Una serie di esperienze che permettono al giovane cantautore calabrese di trovare una sua personalissima strada espressiva che illumina i tardi anni Settanta con hit irregolari e amatissime dal grande pubblico. Rino Gaetano non è, però, soltanto il cantautore sanremese con il cilindro e a dimostrarlo è la sua discografia, spesso complessa e frutto dell'incontro con grandi musicisti e session-man italiani che hanno contribuito a creare un lento e inesorabile culto fatto di canzoni che viaggiano di bocca in bocca, fiction televisive e citazioni cinematografiche. Durante l’incontro Pierangelo Lapadula al pianoforte e Lucia Costantino alla voce eseguiranno alcuni brani del cantante crotonese.

Gli eventi presso lo Zendè Food Drink Cafè sono gratuiti, i biglietti per lo spettacolo di Ulderico Pesce sono disponibili in prevendita presso la tabaccheria Tabacchi dal 1937 in corso Umberto I a Rionero in Vulture e al botteghino la sera dello spettacolo.

MICHELANGELO IOSSA

Giornalista, scrittore e docente universitario, Michelangelo Iossa collabora da trent’anni con alcune delle più importanti testate italiane: attualmente è contributor del Corriere della Sera, del Corriere del Mezzogiorno e di altre testate del gruppo-RCS (gli Speciali del Corriere e L’Economia del Corriere, tra gli altri). Dal 1999 è docente presso l’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. Tra i più autorevoli biografi italiani dei Beatles, a cui ha dedicato sette dierenti volumi pubblicati tra il 2003 e il 2022, Iossa ha firmato biografie di icone della musica come Michael Jackson, Pino Daniele e Rino Gaetano e ha dedicato una specifica attenzione all’universo delle colonne sonore della saga cinematografica di James Bond. Nel corso della sua attività di giornalista, Iossa ha incontrato e intervistato centinaia di leggende della musica internazionale e italiana degli ultimi decenni. Nel 2004 ha ricevuto il Premio per l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri e, nel 2016, il Premio Giornalismo Musicale

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Con la Direzione Artistica di Renato Marengo e Lello Savonardo, in collaborazione con il MEI, Meeting delle Etichette Indipendenti, il 14 ottobre prossimo ad aprire la stagione teatrale del Teatro Trianon Viviani di Napoli sarà un grande Concerto per raccogliere fondi per gli alluvionati di Faenza. L’appuntamento, che sarà dedicato al musicista napoletano Giovanbattista Cutolo, vedrà salire sul palco i grandi nomi del Napule’s Power: Eugenio Bennato -Taranta Power, Giovanni Block, Maurizio Capone, Tony Cercola, Roberto Colella (La Maschera), Enzo De Caro, Tony Esposito, Enzo Gragnaniello, Jovine, Lucariello, Ciccio Merolla, Pietra Montecorvino, Antonio Onorato, Jenny Sorrenti, Patrizio Trampetti, Marco Zurzolo.

Un appuntamento, come si diceva, a sostegno della musica e dei musicisti ai quali l’alluvione ha spesso stroncato le gambe, a fianco al MEI, Meeting delle Etichette Indipendenti di Faenza che da mesi sta portando avanti un lavoro per tutta la musica emergente gravemente danneggiata dal cataclisma ambientale che lo scorso giugno ha sconvolto l’Emilia Romagna. A Faenza da 25 anni il direttore artistico del MEI, Giordano Sangiorgi ospita e promuove la nuova musica emergente in Italia e ogni anno, tra gli artisti che si esibiscono sui tanti palchi allestiti nella città invita sempre numerosi big ed esordienti dei nuovi scenari musicali di quella città.

La direttrice del TeatroTrianon Viviani,Marisa Laurito, ha aderito con grande partecipazione al progetto di Renato Marengo e Lello Savonardo, mettendo a disposizione il Teatro e riservando alla manifestazione proprio la serata inaugurale della Stagione.

L’intero incasso della serata, tolte le spese tecniche, andrà ai musicisti faentini e alle realtà musicali alluvionate attraverso Audiocoop e il Comune di Faenza che hanno già raccolto decine di migliaia di euro ripartite tra oltre trenta realtà del territorio.

La serata sarà ripresa integralmente da Canale 21.

Per contribuire alla raccolta fondi, oltre all’acquisto del biglietto per assistere al Concerto, è possibile inviare un contributo a piacere al Comune di Faenza- Conto Pro Alluvionati IT20V0627013199T20990000808.

Hanno generosamente contribuito alle spese tecniche per amplificazione e luci Alfredo Tisocco e Donella Del Monaco degli Opus Avantra, particolarmente vicini ai problemi dell’Emilia Romagna e legati al Napule’s Power e al MEI di Faenza dove sono stati più volte ospiti, per ricevere il Premio alla Carriera e per numerose performance e presentazioni dei loro lavori discografici. Fondamentale il contributo di Mavv (Museo Arte Vite e Vino). Così come la partecipazione dell’Osservatorio Giovani dell’Università Federico II di Napoli.

Anche se impediti a partecipare per concomitanza con impegni precedentemente presi, hanno voluto dare la loro adesione tanti altri artisti del Napule’s Power come James Senese e Napoli Centrale, Enzo Avitabile, Raiz, Lino Vairetti e Osanna, Fausta Vetere e NCCP, A67 e Dario Sansone dei Foja.

Fra i media partner Canale 21, Cinecorriere, Classic Rock On Air.

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ROMA - Sono Federica Nannetti, Lara Martino e Giuseppe Facchini, i giornalisti che hanno vinto la settima
edizione del Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia, rispettivamente nelle sezioni “Articoli su agenzie di
stampa, quotidiani e periodici”, “Servizi radio-televisivi”, “Servizi, articoli, podcast e multimediali sul web”.
Per quanto riguarda i primi classificati, Federica Nannetti, premiata dal noto giornalista e conduttore,
nonché socio fondatore della Fondazione Alessandra Bisceglia, Roberto Giacobbo ha vinto con l’articolo
“Luisa Rizzo, la campionessa di droni con atrofia muscolare spinale: così posso volare e sogno il cinema”
(edizione di Bologna del Corriere della Sera); Lara Martino, premiata dal direttore di TV2000, Vincenzo
Morgante, si è distinta con il servizio dal titolo “Il nonno di Genny” (Rai Tgr Campania); Giuseppe Facchini,
premiato dal caporedattore della TGR Campania, Oreste Lo Pomo, ha vinto con “Ramini, argento ai
mondiali di Paraclimbing: dopo il coma, provo un senso atomico di libertà” (Fanpage).
Ecco i secondi classificati, premiati dal giornalista Fabio Zavattaro, componente della Giuria del Premio: per
la sezione “Articoli su agenzie di stampa, quotidiani e periodici” abbiamo Giacomo Puletti con “La luce
dell’arte illumina il nero di Burri anche per i non vedenti” (Il dubbio); per “Servizi radio-televisivi” c’è Marco
Di Vincenzo con “La campionessa di para pole dance” (RSI News); per la sezione “Servizi, articoli, podcast e
multimediali sul web”, Alessandra Lanza con “Senza barriere: la storia di Mohammed” (VD news).
Terzi classificati, premiati sempre da Zavattaro: per la sezione “Articoli su agenzie di stampa, quotidiani e
periodici”, Dario Vito con “Intervista a Simone Mantero, ragazzo cardiopatico e trapiantato di cuore”
(Inchiostro); per “Servizi radio-televisivi”, Andrea Caruso con “La vendemmia dei divinamente abili” (Rai Tgr
Campania); per la sezione “Servizi, articoli, podcast e multimediali sul web”, il lavoro a quattro mani di
Davide Giuliani e Giulia Paltrinieri con “Il suono del silenzio” - Q Code Magazine.
Come in ogni edizione, sono stati assegnati riconoscimenti speciali, consegnati da Roberto Giacobbo ad
Adriano Biondi per Fanpage, Gabriella Facondo per il programma di TV2000 “Siamo noi” e a Vera
Martinella per la sezione di Corriere.it “Sportello Cancro”.

I premi del concorso - dedicato alla memoria dedicato alla memoria di Alessandra Bisceglia, giornalista
lucana scomparsa prematuramente il 3 settembre 2008, all’età di 27 anni, in seguito ad una malformazione
vascolare rarissima - sono stati consegnati nel corso dell’evento conclusivo che si è tenuto ieri 26 settembre
nell’Aula Magna dell’Università Lumsa di Roma. A fare gli onori di casa, Raffaella Restaino, referente per i
rapporti istituzionali della Fondazione e mamma di Alessandra e il papà di Ale, Antonio Bisceglia.
La premiazione è stata preceduta da un corso-convegno dal tema “Il giornalismo e le grandi paure. I media
tra allarmismo e corretta informazione” - promosso dall’Ordine dei Giornalisti del Lazio, dalla Fondazione
Alessandra Bisceglia e dall’Università Lumsa - che ha garantito ai partecipanti (cinquanta circa in presenza e
70 da remoto), cinque crediti formativi. Numerosi gli ospiti e i relatori. Per i saluti istituzionali sono
intervenuti: Donatella Pacelli, docente Lumsa e vicepresidente della Fondazione Alessandra Bisceglia;
Francesco Bonini, rettore della Lumsa; Marcello Cattani, presidente di Farmindustria; Paola Spadari,
consigliera segretaria dell’Ordine nazionale dei Giornalisti; Guido D’Ubaldo, presidente dell’Ordine dei
Giornalisti del Lazio. Ecco i relatori del convegno, moderato da Andrea Garibaldi, giornalista e presidente di
giuria del Premio Giornalistico Alessandra Bisceglia: Mario Morcellini, professore emerito di Sociologia dei

Processi culturali e comunicativi, Università Sapienza di Roma; Lucia Goracci, inviata Rai; Carlo Chianura,

direttore del Master di Giornalismo dell’Università Lumsa; Mirella Taranto, capo Ufficio stampa dell’Istituto
Superiore di Sanità; Oreste Lo Pomo, caporedattore TgR Campania; Roberta Serdoz, caporedattrice TgR
Lazio; Giorgio Saracino, giornalista e collaboratore Rai; Ilaria Beretta, giornalista e collaboratrice di
Avvenire. Al termine del convegno, la fase delle premiazioni, condotta da Roberto Natale, direttore di Rai
per la Sostenibilità Esg.
Come in ogni edizione sono stati assegnati riconoscimenti speciali, consegnati da Roberto Giacobbo ad
Adriano Biondi per Fanpage.it, Gabriella Facondo per il programma di Tv2000 “Siamo noi” e a Vera
Martinelli per la sezione di corriere.it "Sportello Cancro”.
A concludere l';evento, la presidente della Fondazione e sorella di Ale, Serena Bisceglia - che ha ringraziato
tutti coloro che hanno consentito la perfetta riuscita dell’evento - e la vicepresidente, Donatella Pacelli.

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