- Redazione
- Sabato, 17 Febbraio 2024 08:40
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di Walter De Stradis
Il poeta, scrittore, cantautore e anche pittore rionerese Vito “Vitus” Viglioglia, è -a pelle- una persona spirituale, un individuo, cioè, connesso con le “antenne” sempre accese (per chi sa a ascoltare) dell’universo umano e non.
Libri, dischi (in solitaria o con la sua band attuale, i Meteopanik), “sono-poesie” e un’infinità di altre produzioni, lo rendono -e non è un mistero per nessuno- uno degli artisti più vividi e originali della nostra Terra... Con tanto di “beneplacito”, a suo tempo, di Antonio Infantino. E chi si intende di musica sa che non è certo cosa da poco.
d - Come giustifica la sua esistenza?
r- Io non giustifico la mia esistenza. E’ esattamente il contrario. E dubito anche dell’esistenza stessa. Nella vita ho provato delle emozioni e delle esperienze tali, che a volte mi fanno dubitare persino del fatto che possiamo esistere.
d - La vita è illusione?
r- Mi viene in mente una bella frase di Pessoa: “Lontano da me, in me esisto”.
d - In questa (non)esistenza, è l’arte ad aver scelto lei o viceversa?
r- Quando parliamo di esistenzialismo -no?- è come se mettessimo una prerogativa alla vita, alla libertà, all’amore, ai sentimenti. E’ un po’ come se la categorizzassimo. Prima, scherzando a microfoni spenti, lei mi ha detto: chi fa troppe cose, è capace che non ne faccia bene una. (Risate).
d - Scrittore, poeta, cantante, pittore...
r- Banalmente le rispondo che è un’esigenza, la mia, quella di suonare, di dovermi esprimere, perché credo che ogni essere umano, al di fuori della quotidianità, ha bisogno di elementi che gli consentano di esprimere completamente se stesso. Allora questo può avvenire attraverso una ricerca sperimentale della propria esistenza, e nella forma pratica dell’arte: pittura, musica, scrittura.
d - C’è forse un grido esistenziale che Vitus cerca di far arrivare al prossimo?
r- Può essere un grido, così come un canto, può essere un piano o un forte. La voglia è però quella di comunicare ciò che di vero e importante c’è nella mia vita: le relazioni, ciò che provo e che sento. E questo è abbastanza per farmi sentire vivo.
d - Non sarò così ingenuo da chiederle se è nato prima il cantante o il poeta.
r- Il primo brano che ho cantato in pubblico è stato “Starway to Heaven”, al centro sociale “Pasquale Sacco” di Rionero. C’era una manifestazione ed ero coi miei amici Antonio Sernia, Michele Consiglio, Pina Cammarota. Ero emozionatissimo.
d - C’è stato poi un fatto, o una persona, che l’ha convinta a continuare su questa strada?
r- E’ stato molto semplice, perché frequentavo tutte persone che suonavano e c’era un bel fermento. Maurizio Di Lucchio, per esempio, mi fece conoscere “Dylan Dog”, il fumetto: Antonio e altri amici mi fecero vedere la prima Fender Squier nera. Mi innamorai subito. Devo anche ringraziare molto Antonio Savella, un caro amico del mio babbo, che mi addentrò nel mondo del jazz e della musica classica. Nella mia infanzia, dunque, vedevo questi universi nuovi che si aprivano.
d - Lei infatti, oltre che tra varie forme artistiche, spazia anche fra vari generi musicali: rock, jazz, le “sono-poesie”...anche se c’è chi dice che le poesie non vanno musicate.
r- Anche, sì, beh, ognuno la pensa come vuole, non sono uno di quelli che emette veti su certe cose. Non mi piace nemmeno la competizione nell’arte. Mi piace vivere il mio mistero nella maniera più libera. “A ciascuno il suo” diceva Sciascia.
d - Per queste poesie in musica lei collabora, anche, con Graziano Accinni, storico chitarrista di Mango. Qual è il suo pensiero su Angelina, fresca vincitrice del Festival?
r- Credo sia una bellissima persona e una bravissima ragazza. Mi dà l’impressione di una persona limpida, che sa vivere i sentimenti. Al di là del talento, del successo e dell’essere figlia d’arte, il lo vedo nei suoi occhi. Quando ha cantato “La rondine” io mi sono emozionato tantissimo. E solo chi porta dentro di sé l’amore, la verità, la bellezza, può comunicare queste cose.
d - La domanda che rivolgo a tutti gli artisti lucani: quali sono le difficoltà nel proporre un proprio percorso qui in Basilicata?
r- Se penso alla carriera artistica come obiettivo per arrivare da qualche parte, dal punto di vista del marketing, ritengo che qui da noi ci siano dei limiti, perché l’industria discografica è completamente assente. Però, attenzione, l’arte, nelle sue fondamenta, si nutre anche di ciò che ci circonda, e la Basilicata, paesaggisticamente, umanamente, è bellissima. Quindi io mi nutro della mia terra, dono alla mia terra e questa a sua volta mi dà, perché parliamo di arte, che come tale, è pura. La mia terra è la MIA ispirazione.
d - Quindi tutto bene?
r- Per me ogni luogo che sa regalare ispirazione, anche con le sue contraddizioni -che ci sono- è bene.
d - Col gruppo di cui lei fa parte, i Meteopanik (in cui militano anche Vito Di Lorenzo, Peppe Di Tolla e Gianluigi Santoro e Antonio Verbicaro), è stato anche lei a Sanremo.
r- Sì a “Sanremo Rock” che appunto è la declinazione “rock” di Sanremo. E noi, con i riff di Vito Di Lorenzo, non possiamo non definirci una “rock band”. “Kinapoetem”, il contrario di “Meteopanik” è invece il nostro progetto acustico. Sì, siamo stati a Sanremo e -che glielo dico a fare- è un luogo magico.
d - Sì, ma so che vi siete dovuti confrontare con una realtà che ha le sue regole, diciamo così.
r- Sì, più che le sue regole, a volte sembra avere le sue ingiustizie. Tocca parlare dell’ovvio, in un Paese come questo. Noi vi partecipammo da indipendenti, ma vinse un artista, Nevruz, sostenuto da Elio e Le Storie Tese. Noi non eravamo sostenuti da nulla, se non da noi stessi...e dal Creatore. Per noi dunque è stato un po’ più difficile, però ci siamo tolti lo stesso delle grandi soddisfazioni: alla fine della nostra esibizione, Matt Backer, chitarrista di fama mondiale (Elton John), che era in giuria, mi disse questa cosa, col suo accento anglosassone: «Questo ragazzo è il figlio di Chris Cornell e Yoko Ono». In quel posto si era creata un’energia incredibile, un trasporto straordinario, quel Teatro ha una sua anima!
d - Come artista e uomo, cos’è che in Basilicata la fa indignare?
r- A volte la miseria umana è un’indignazione per me stesso e per gli altri. E’ un sentimento universale, è la radice del male che può nascondersi ovunque. Ma non è un problema della Basilicata, bensì dell’essere umano. A mio avviso, in questa vita, noi siamo tenuti a sperimentare continuamente i nostri limiti e a migliorarci continuamente in ogni momento. C’è sempre la possibilità di migliorarsi, di fare esperienza e di redimersi, dai peccati e dalle brutture che a volte circondano la nostra vita. Vorrei dunque una Basilicata, e un mondo intero, più solidale, più fraterno. Una Basilicata, più allegra, più positivamente orgogliosa di quello che ha.
d - I suoi progetti imminenti?
r- Con i Metepoanik siamo in fase di composizione del nuovo disco. Poi c’è un progetto con Graziano Accinni, col quale musicheremo delle preghiere. Inizialmente mi propose di cantare i testi che mi aveva mandato, in dialetto moliternese (“‘U Bambinieddu”), ma poiché ho avuto qualche difficoltà, ho scritto delle preghiere in Italiano e le sto musicando. E’ un percorso spirituale, oltre che artistico.