de_angelis_e_de_stradis.jpg

 

clikka sulla foto per guardare il video dell'intervista

 

di Walter De Stradis

 

 

 

 

«Sono diventato scrittore, fra molte virgolette, il 17 marzo 2010. All’epoca avevo un’agenzia di viaggi in Centro, e un amico entrò e disse: “Hanno trovato il cadavere di Elisa alla Trinità. Adesso dobbiamo fare qualcosa”. Nel giro di pochissime settimane uscì dunque un mio libro-denuncia, intitolato “Senza occhi”, che feci supervisionare –prima di tutto- al fratello Gildo. In quel testo denunciavo la micidiale omertà locale».

Dino De Angelis, pizzetto da moschettiere e inconfondibile ciuffo d’argento, un tempo volto noto del basket locale (è stato il coach di Potenza 84 e dell’Olimpia Matera), da alcuni anni è un “narrautore” (la definizione è di suo conio) di professione. Il suo ultimo spettacolo di “storytelling” (ovvero "racconto di storie") s’intitola “De Angelis e Demoni”.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Assecondando i miei istinti, le mie tendenze, come fanno tutti. Io ho girovagato varie attività lavorative, prima di dedicarmi alla scrittura e alla narrazione, e non credo che mi fermerò qui.

d: Infatti se io le avessi fatto quest’intervista dieci/quindici anni fa, probabilmente avremmo parlato di Basket…

r: In effetti sì. Lo sport per me è un amore passato, di cui c’è nostalgia, ma senza “mancanze”. Sono stato per trentacinque anni coi piedi in quel mondo, bellissimo, che a -differenza di altre cose che accadono nella società- riconosce il MERITO. A fine gara c’è un tabellone, col punteggio, che sancisce se sei stato bravo o meno, a prescindere da valutazioni…personali.

d: Tocchiamo subito un nervo scoperto. A Potenza –magari cominciando proprio dall’ambito letterario- il “merito” è riconosciuto?

r: No, non lo è. La mia famiglia è di Portasalza, il che fa di me un potentino vero (e non siamo rimasti in molti) e dunque posso dirlo. Sì, noi siamo legati molto alle nostre radici, ma viene allora da chiedersi perché tanta gente - non solo i giovani- lascia questa terra. Proprio stamattina leggevo che le statistiche del 2021 ci dicono che altri 8mila lucani sono andati via e molti di loro sono potentini. Perché accade, allora, nonostante tutto questo amore? C’è l’assenza di lavoro, ok, ma forse c’è una mancanza nella riconoscenza, non solo dei meriti, ma anche delle PARI possibilità.

d: Eppure –per rimanere in ambito letterario- di eventi e occasioni sembra ce ne siano tanti. Girano però sempre gli stessi nomi?

r: Ed è un aspetto bello di Potenza, l’associazionismo, cioè il “basso” propulsivo che vuole fare e comunicare. No, non è questione di nomi. Ciò che manca è proprio un coordinamento, che pur da qualche anno qualcuno prova affannosamente a mettere in piedi. Le cose che ci sono allora proviamo a programmarle, a calendarizzarle!

d: Manca anche il fare rete comune.

r: Sì, forse manca anche un po’ una “rete”, cosa che invece noto in ambito musicale, che bazzico da qualche tempo, ove c’è un grande spirito collaborativo.

d: Dicevamo che Potenza è una città poco meritocratica. Da cosa dipende: cerchi magici, il familismo, la politica che dorme…

r: Ripeto, ciò che fa cadere le braccia è la mancanza di pari opportunità, e non è una questione di genere. Vuol dire invece che il figlio di una famiglia umile, o povera, in questo posto ha OBIETTIVAMENTE minori possibilità rispetto a chi vive in un ambito più agiato. E’ un dato di fatto. E non è solo questione di politica (che di sicuro ha le sue belle responsabilità): come dicevamo, fra noi stessi spesso non ci facciamo amare, non collaboriamo, non facciamo rete.

d: Come “narrare” al lettore quanto è successo sia alla giunta regionale sia alla giunta comunale di Potenza, con questo odioso “balletto” delle deleghe?

r: I vari assessori, essendo la nostra una realtà provinciale, li conosciamo tutti. Dal mio piccolo osservatorio, noto però che fino a quando non avevano incarichi politici, li vedevi girare in mezzo a noi, li incontravi al ristorante, e osservavano i problemi dalla NOSTRA angolazione: una volta ottenuti ruoli politici, il loro contatto con la realtà si è completamente AZZERATO. Il paradosso è che ora si trovano dunque a gestire cose e fatti che, da un certo momento della loro vita in poi, hanno IGNORATO. I problemi della Città sono numerosissimi: non credo che la nostra classe politica ne sia veramente al corrente.

d: Proviamo a ricordargliene qualcuno. Se potesse prendere Guarente sottobraccio, cosa gli direbbe?

r: Comincerei a parlargli della mobilità. Un problema complesso, che riguarda lo spostamento dei cittadini, e in cui già i semplici pedoni sembrano del tutti ignorati. Questi ultimi, insieme agli autisti di mezzi pubblici e agli automobilisti, costituiscono una massa che si muove in maniera sconsiderata, non c’è un progetto, non c’è un piano, nonostante noi si abbia il sistema di scale mobili che è il secondo al mondo (!). Uno sproposito, se ci pensa, calato fuori dal reale. All’epoca il buon Santarsiero ipotizzò 18mila passaggi al giorno (cifra che in effetti avrebbe giustificato la struttura), ma i numeri si rivelarono dal primo momento molto meno della metà. Ergo, erano state fatte delle valutazioni sbagliate: un progetto così mastodontico, per una città del tutto svuotata! Per pura passione, ho poi studiato a lungo il sistema di trasporto pubblico urbano (avvalendomi anche della collaborazione di tecnici), rilevando una miniera di incongruenze. Se racconti al forestiero che qui ci sono le scale mobili più lunghe d’Europa, o che qui per un periodo sugli autobus si viaggiava gratis, beh, quello non ci crede. Noi potentini ci siamo un po’ addormentati sui problemi, ma l’occhio del visitatore a volte ti dà la misura del reale.

d: E invece al presidente della Regione, sempre sottobraccio, cosa direbbe?

r: Che a parte il petrolio, la Basilicata ha una marea di altre risorse, che io vedo un po’ dimenticate: il turismo (che non è solo enogastronomia, ma penso anche allo splendore delle “ghost town”, i paesi “fantasma”, su cui ho scritto anche un libro), e i parchi naturali (non credo ci siano politiche specifiche per connetterli).

d: La copertina del suo libro “Con rabbia e con amore” reca uno splendido scorcio di Potenza, in chiaro-scuro. Cominciamo dallo scuro…

r: Le periferie: Serpentone e Bucaletto gridano SOS lancinanti tutti i giorni. Sono situazioni in cui ho messo le mani. Tra le altre cose, faccio parte da anni della Caritas Diocesana della Cittadella e a Cocuzzo ho molti amici che da tempo lamentano il problema della casa e dell’abusivismo. Questioni che andrebbero affrontate in maniera diversa.

d: La povertà sempre più, oltre che materiale, è anche sociale.

r: Il problema è questo. Le zone d’ombra sono sicuramente le periferie. Più in generale, noto una mancanza di “connessione” tra i quartieri. Potenza ha una marea di contrade, che fanno vita a sé, non sono minimamente coinvolte nel discorso urbano. Per un periodo proposi –inutilmente- di fare la sfilata dei Turchi a turno nei quartieri, era solo un’idea per far sentire coinvolti quei tanti, moltissimi, cittadini che non si sentono parte attiva.

d: Il suo ultimo spettacolo s’intitola “De Angelis e Demoni”. Il “demone”, il “mistero” al cuore di Potenza qual è?

r: Il caso di Elisa. Il punto più cupo della nostra storia degli ultimi anni, con quello stato omertoso che ha interessato cittadini a diversi livelli (e che –suppongo- ha visto anche responsabilità a diversi livelli). Ricordo a me stesso, solo a mero titolo di cronaca, che solo grazie a un’attenta giustizia anglosassone è stato riconosciuto il vero colpevole, che forse altrimenti non sarebbe mai venuto fuori.

d: Mi racconti anche di qualche luce, però.

r: Come dicevo, l’associazionismo. E poi il nostro centro storico è una perla. E ancora una volta ce lo dicono i forestieri, perché noi ormai è come se fossimo assuefatti. Io il Centro lo vedo davvero come un teatro di scena, che cambia abito e velocità di utilizzo a seconda dei momenti della giornata: la mattina le mamme portano i figli a scuola, il primo pomeriggio è momento di pranzi e di visite, e la sera –con i soli lampioni rimasti accesi- diventa luogo di passeggiate.

d: La canzone che la rappresenta?

r: Due canzoni “letterarie”: “Year of the cat” di Al Stewart, per le canzoni straniere, e “Atlantide” di De Gregori per quelle italiane.

d: Il film?

r: “C’era una volta in America” (lo vidi appena uscito), e “Il Padrino” (per le origini lucane del regista Coppola).

d: Il libro?

r: Il primo che mi viene in mente è uno dei meno noti di Baricco, “Questa storia”.

d: Ne approfitto: il libro che invece NON la rappresenta?

r: Guardi, non è che non mi rappresenta, ma un libro come “Il Pendolo di Focault” di Umberto Eco, beh… ho avuto un po’ di difficoltà a leggerlo.

d: Un mattonazzo?

r: Leggere dev’essere sempre un piacere, e sin dalle prime pagine.

d: La vedremo mai assessore alla Cultura?

r: (Ride). Su invito a “metterci la faccia”, una vola ci provai, perché era giusto, ma i cittadini non mi hanno votato. Quindi la vedo difficile senza un consenso.

d: Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?

r: «Per vivere non ha mai leccato il culo a nessuno».

palazzetto_coni.jpg

 

 

di Antonella Sabia

 

 

Il secondo capitolo della nostra inchiesta fra gli operatori sportivi del capoluogo: è il turno di Sandrino Caffaro – presidente regionale Asc (Attività sportive confederate)

d: Le vostre associazioni cosa lamentano? Le attività vengono svolte presso centri convenzionati dal Comune o in strutture private?

r: Le nostre ASD (associazioni sportive dilettantistiche – ndr), nella stragrande maggioranza, hanno le proprie palestre e garantisco che questa situazione ha agevolato la pratica sportiva, nel senso che non si è più stati schiavi nella struttura pubblica. Anche nella nostra città si è iniziato a capire che organizzarsi in privato, significava spendere più o meno le stesse cifre, con l’agevolazione di poter gestire tutto in autonomia, in particolare gli orari. In passato, inoltre, avevamo a disposizione anche molte più strutture pubbliche, tipo le palestre scolastiche, che gestivamo direttamente noi come ASD, finché qualcuno, mi riferisco a qualche amministratore sia della Provincia sia del Comune, ha capito che si poteva fare politica anche e soprattutto attraverso lo sport, così hanno cominciato a monopolizzare non solo gli impianti comunali, ma anche le strutture scolastiche, cambiando i regolamenti, soprattutto senza distinzione tra attività sportive, spazi necessari, arrivando così a farci fare la “guerra tra poveri”. Parlo per esperienza personale, occupandomi di karate, avevamo necessità di un luogo pulito poiché svolgiamo attività scalzi, ed è capitato spesso che avendo due ore a disposizione in una palestra, riuscivamo a fare al massimo un’ora di lezione poiché la prima mezz’ora era dedicata alla pulizia. Molti, come noi, si sono scocciati di questa situazione e hanno preferito crearsi uno spazio proprio. Oggi ho una palestra tutta mia, dove anche nel periodo di Covid ci siamo potuti allenare, e dove possiamo autogestire le nostre attività. Le strutture in città ci sono, ma bisognerebbe mettere da parte il protagonismo di alcuni amministratori, e stando a quanto dice la norma, devono essere le ASD direttamente ad avere contatti con gli istituti scolastici o altri spazi pubblici.

d: Le strutture pubbliche cittadine le ritiene adeguate?

r: Mi piacerebbe sottolineare la situazione del Palazzetto CONI di Montereale, sulla bocca di tutte le amministrazioni che si sono susseguite negli anni, ma alla fine non è mai cambiato nulla. Ogni volta che passo di lì mi piange il cuore, perché in quella struttura sono cresciuti la maggior parte degli atleti, oggi maestri, dalla pallavolo alla pallacanestro, boxe ecc. Era una struttura polivalente, aveva tanti spazi, ognuno dedicato ad una disciplina; nonostante non fosse grandissimo, era un modello da prendere come prototipo, ma purtroppo poi quando entra la politica in questo tipo di questioni, succede quel che succede ciò che è sotto gli occhi di tutti…Oggi il mondo dello sport, grazie anche all’azione privatistica delle ASD, è accessibile a tutti. La struttura privata ti offre un ambiente più salubre, il posto è più curato, ma soprattutto puoi organizzare al meglio le attività, puoi programmarle, senza dover ogni anno stabilire un calendario con altre Federazioni o Enti. Purtroppo gli amministratori non conoscono tutte le avversità che versano nel mondo dello sport, la programmazione sportiva non deve essere fatta per un solo anno, ma deve essere a medio lungo termine anche nell’ottica di eventi da organizzare nel tempo. Mi dispiace sottolineare poi, che noi cosiddetti sport minori (anche se poi andando a spulciare i dati, i numeri li abbiamo noi), quando dobbiamo organizzare un evento anche di un certo rilievo, con la necessità di maggiori spazi, siamo sempre in coda rispetto alle federazioni maggiori, negli impianti come il Pala Rossellino o la Vito Lepore. Pertanto, ritengo che bisogna cambiare mentalità e far capire a questi signori che ci sono alcune strutture che devono essere al servizio della città.

d: Per quanto riguarda la nomina di Potenza a Capitale Europea dello Sport, come Enti di Promozione Sportiva siete stati coinvolti in qualche incontro al Comune?

r: No, nella maniera più assoluta. E questa è una grande lacuna da parte dell’amministrazione comunale, una cosa che mi fa molto arrabbiare, perché oggi in Italia la legge sullo sport riconosce tre organizzazioni: Federazioni Sportive Nazionali, Enti di Promozione Sportiva e Discipline Associate. La differenza è che le FSN e le DA rappresentano singole discipline, mentre gli EPS abbracciano un po’ tutte le attività, ma a livello istituzionale come riconoscimento legale siamo sulla stessa barca, le ASD possono iscriversi ad una delle tre per poi essere inserite nel Registro del CONI. Oggi esiste anche un altro organismo sportivo, Sport e Salute spa, si occupa dei progetti scolastici, di inclusione, promuovendo lo sport per tutti, mentre al CONI è rimasta l’attività agonistica di altro profilo. Gli amministratori devono capire che devono coinvolgere tutti coloro che sono in grado di fare attività sportiva, a prescindere se agonistica o meno. Non ci hanno quindi invitato perché c’è ancora questo retaggio culturale per cui la normativa vigente non è conosciuta. Personalmente rispetto tutti, ma bisogna prendere in considerazione anche gli EPS che promuovono l’attività sportiva di base, includono diverse discipline e soprattutto coinvolgono diverse fasce di età. Non facciamo concorrenza alle Federazioni, ma dobbiamo e vogliamo essere riconosciuti.

rospin_e_de_stradis.jpg

 

 clikka sulla foto per guardare il video dell'intervista

 

di Walter De Stradis

 

 

 

Quarantatreenne dai tratti ancora giovanili, l’occhialuto ingegnere (è stato presidente dell’Ordine a Matera) Gianluca Rospi, deputato dal 2018, ha trovato la collocazione congeniale in Forza Italia dal novembre scorso. Eletto -da indipendente- nei Cinque Stelle, era poi passato al Gruppo misto, all’interno del quale aveva dunque fondato la componente “Popolo Protagonista” (di area popolare); insieme ad altri deputati, ha successivamente dato vita al gruppo “Coraggio Italia”, un progetto che tuttavia -parole sue- si è “perso per strada”, portandolo quindi al suo definitivo passaggio al partito di Berlusconi. Un approdo che Rospi ha definito “naturale”, vista la cultura politica personale. I Cinque Stelle? «Per loro coniai “oligarchia” -termine che oggi torna sulla stampa a proposito di questioni internazionali legate a Putin- perché lì comandano e gestiscono quattro/cinque persone».  

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Devo innanzitutto ringraziare i miei, perché mi hanno consentito di arrivare fin qui; a cominciare dalla professione di ingegnere, che ha nel suo Dna la ricerca di soluzioni per migliorare la vita dei cittadini. E proprio questo spirito mi porta alla mia attuale esperienza in politica.

d: A proposito di “soluzioni”, una delle sue preoccupazioni attuali sembra essere la riforma del Catasto che –al di là della necessità di far emergere il “sommerso”- a suo dire comporterà un aumento di tasse, ai danni delle tasche del comune cittadino.

r: Certo, ma non lo dico solo io, è scritto nella relazione allegata alla legge delega presentata dal Governo, prevedendosi di spostare la tassazione dal lavoro alla casa. Un assurdo, perché la casa è un bene primario per tutti gli Italiani, anzi, l’unico bene per il ceto medio e per i poveri, che saranno gli unici a rimetterci (non certo i ricchi); aumentando anche l’Isee (come conseguenza), parecchie famiglie, che pagano meno sull’Università e asili nido, perderanno tutta questa serie di aiuti.

d: Lei è di Matera e fa parte della Commissione Trasporti: proprio poco fa (è giovedì – ndr), l’ex (?) assessore regionale Merra ha annunciato che, tramite la pubblicazione del decreto, il progetto della linea ferroviaria Ferrandina-Matera La Martella diventa “ufficiale”.

r: E’ stato approvato il progetto definitivo: ci sarà dunque la fase del progetto esecutivo e poi quella delle opere. Certo, dopo vent’anni, è un passo in avanti, e si spera –visto che l’opera è anche commissariata- che nei prossimi anni noi si riesca finalmente ad avere la Ferrovia a Matera. Ma ci sono anche altre opere di cui Governo, Anas e Ferrovie stanno valutando l’ampliamento e/o lo sviluppo: ad esempio la Taranto/Potenza/Battipaglia, un’opera (commissariata anche questa) che rientra nel Pnrr, che però erroneamente viene intesa come “Alta velocità”…

d: …appunto…

r: …NON SARA’ “Alta velocità”, ma sarà solo implementata e ammodernata in alcuni tratti.

d: Quindi conferma che la Basilicata NON sarà beneficiata dall’Alta velocità.

r: Sicuramente, ed è un errore, perché quella direttrice, Taranto/Potenza/Salerno poteva essere un ottimo collegamento ad Alta velocità col porto di Taranto e quello di Salerno.

d: Se questa cosa non si è fatta, qualcuno ha dormito. Magari dalle parti della Regione?

r: Queste dinamiche non dipendono solo dalle Regioni, ma anche da questioni europee e cose pregresse. Passare all’Alta velocità comporta infatti anni e anni di politiche che vanno in quella direzione. E comunque trasformare oggi quel tratto Taranto/Salerno in Alta velocità sarebbe difficoltoso perché significa creare un doppio binario, separato; ergo non colpevolizzerei la politica regionale attuale, ma forse più quella degli anni passati.

d: La Merra –prima dell’azzeramento della giunta- aveva annunciato novità anche sulla Potenza-Foggia.

r: Anche lì si è in fase progettuale, non esecutiva, e c’è lo studio di fattibilità. Mi auguro che si faccia presto, perché quella è un’altra direttrice fondamentale. Come dico spesso, noi dobbiamo cercare di collegare la Basilicata ai porti pugliesi (Bari e Taranto) e non già a quelli del Tirreno, perché verremmo sicuramente schiacciati e considerati come “periferie” (in questo caso di Napoli). Se ragioniamo di “macroarea” o di “macroregione”, discorsi che mi vedono favorevole, quella nostra d’elezione dovrebbe essere col Salento, l’aera di Bari e la Calabria: in questo modo noi Lucani diventeremmo “centrali”, confermandoci come il retro-porto naturale di Taranto, e potendone sfruttare appieno le potenzialità.  

d: A proposito di “potenzialità”, oggi dobbiamo giocarci al meglio la partita del Pnrr. Già alcuni sindaci lucani lamentavano carenze di personale (fra pensionamenti e impossibilità/difficoltà nel fare nuove assunzioni), specie in riferimento a chi dovrebbe occuparsi dei vari bandi. Al Nord, come al solito, sarebbero meglio attrezzati.

r: A mio avviso il Pnrr PUO’ funzionare. Noi avremo una quantità enorme di miliardi in arrivo dall’Europa, dieci volte più di prima. E già prima avevamo difficoltà a spendere quei soldi, figuriamoci ora! Come si fa? L’assunzione del personale all’interno dei Comuni da sola non è la soluzione per tutto: qui bisogna lavorare sul partenariato pubblico-privato, coinvolgendo i professionisti e gli imprenditori della società civile per farci fare i progetti e aiutarci a svilupparli. Oggi infatti il problema non è fare i progetti, ma saperli gestire.

d: Lei propone di “coinvolgere la società civile”, ma se guardiano ad altri esempi, come Matera 2019 (e anche lì sono arrivati tanti soldi), ritiene che ciò sia avvenuto? A sentire gli intellettuali locali, non proprio. Cosa ci ha insegnato, e cosa ci ha lasciato, quella esperienza?

r: Ci ha insegnato che quando la società civile ci crede, un progetto va avanti. Sappiamo tutti che Matera 2019 inizialmente non nasce dalla politica, bensì da una serie di associazioni culturali, riferibili a tutta la Basilicata. Dal punto di vista politico, Matera 2019 è stata sì un successo, ma avrebbe potuto essere ancora più efficace. Non è stato così perché la politica stessa si è messa d’intralcio.

d: La politica locale?

r: Sì, l’ha bloccata, se pensiamo che a Matera non si è creato un teatro, che potesse anche “dialogare” con lo “Stabile” di Potenza, l’unico che c’è al momento. Un assurdo per una Capitale della Cultura. C’è stata mancanza di visione. Matera dovrebbe diventare il volano per il quale il turista viene in città, per poi girare attraverso TUTTA la Regione (il Pollino, Maratea, Melfi, Pietrapertosa, Castelmezzano, la Costa Jonica...). La politica è riuscita bene nel creare il turismo e il “brand” relativo, ma non ha creato sinergie col resto del territorio. La Basilicata è TUTTA bella, e tempo fa io lanciai la sfida di “Città Basilicata”, ma l’hanno colta in pochi. Ciò che mi è dispiaciuto, inoltre, è che molte di quelle associazioni non sono state coinvolte nella programmazione del “dopo 2019”.  

d: Uno degli argomenti più ricorrenti è quello dei rincari energetici. La Basilicata è terra di petrolio, che prima o poi finirà. Come vede il futuro energetico di questa regione?

r: Dobbiamo essere bravi a sfruttare le risorse energetiche a disposizione, senza far danno all’ambiente. Anche perché oltre al petrolio e all’acqua, l’ambiente è la nostra vera risorsa. Potremmo puntare, inoltre, sull’energia rinnovabile, a creare ad esempio un centro di sperimentazione per l’idrogeno. Le rinnovabili pongono però un problema sul loro accumulo, e quindi dobbiamo utilizzare anche il gas; e poi è necessario sfatare anche un altro mito: è opportuno oggi più che mai tornare a fare ricerca sul nucleare di NUOVA generazione. Esisterebbero delle valide tecnologie capaci di bypassare definitivamente il problema delle scorie.

d: Quando si parla di scorie viene sempre in mente il pericolo di una nuova Scanzano...

r: Credo che ormai si sia chiarito. Seguii personalmente la questione in qualità di presidente dell’Ordine degli ingegneri, anzi, in quella stessa occasione stilammo un documento nel quale si ribadiva che la Basilicata per le sue caratteristiche geo-morfologiche NON era adatta ad ospitare scorie. Scanzano, in qualità di territorio sismico e soggetto a frana NON E’ certo il sito più idoneo. Certo, può non sembrare carino dire che le scorie devono andare altrove (chessò, a Torino), ma tant’è (una soluzione deve pur essere trovata) e comunque, chi si prende l’onere delle scorie deve necessariamente ottenere dei ristori.

d: E la Basilicata secondo lei, parlando di ristori scaturenti dal petrolio, ha avuto tutto quello che si aspettava e/o meritava?

r: Noi abbiamo avuto tante risorse, forse ne avremmo potute avere di più (gli accordi stipulati a livello centrale forse ci hanno un po’ penalizzato) e da impiegare certamente meglio di così. Pensi ai tanti borghi lucani che alle volte di tutti questi soldi non sanno nemmeno cosa farsene. Sarebbe stato meglio impiegare quei fondi per la creazione delle infrastrutture che mancano. Distribuire le royalties a TUTTI i comuni? Non sono per la distribuzione a “pioggia” dei soldi, quanto per il loro impiego.

d: Veniamo alla scelta di Bardi di nominare -in ruoli apicali- professionalità provenienti dal di fuori della Regione …

r: Non è tanto una questione di provenienza geografica, ma di modo di lavorare. Le capacità in Basilicata ci sono senz’altro, ma la scelta iniziale di Bardi forse è legata alla volontà di introdurre persone “scollegate” dal territorio, in questa regione ove per molti anni c’è stata solo una forza politica. Oggi, con l’azzeramento della Giunta (l’intervista si è svolta di Giovedì –ndr), bisogna ripartire con uno slancio in più.

d: Sì, ma da COSA ripartire? Questi due/tre anni di governo sono sembrati più che altro “interlocutori”.

r: Premesso che ha fatto bene ad azzerare la giunta con la volontà di mettere TUTTE persone nuove, direi che qualcosa di buono in questi anni è stato fatto. Si è cercato comunque di fare pulizia (anche se è brutto dirlo così), di rinnovare alcuni uffici e alcune situazioni incancrenite, anche se forse è stato fatto poco (e in questo lei ha ragione). Oggi c’è bisogno di un cambio di passo. Di persone nuove. Forza Italia ha dato alcuni nomi e speriamo che gli altri partiti facciano altrettanto.

d: Insisto, al di là dei nomi: da COSA bisogna ripartire?

r: Dal dialogo con il territorio e con tutte le fasce sociali, con coloro che io definisco la “parte operativa”, gli imprenditori, gli artigiani, quelli che si scontrano giorno dopo giorno con la durezza della realtà locale.

d: Se potesse prendere sotto braccio Bardi, confidenzialmente, cosa gli direbbe?

r: Di prendersi una settimana per girare con me tutti i borghi della regione e parlare non con i sindaci, ma con la gente che in quelle zone vive.

d: La canzone che la rappresenta?

r: “Così celeste” di Zucchero.

d: Il film?

r: “C’era una volta il West” di Sergio Leone.

d: Il libro?

r: “Ventimila leghe sotto i mari”

d: Tra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?

r: “Era un uomo del popolo”.

pipponziegidadiritto.jpg

 

 

 

di Antonella Sabia

 

 

 

 

Nell’ambito delle iniziative legate alla Giornata Internazionale della Donna,la Consigliera Regionale di Parità, avv. Ivana Pipponzi, unitamente all’Ordine degli Avvocati di Potenza e al Comitato Pari Opportunità dell’Ordine degli Avvocati, ha organizzato il convegno “Donne e discriminazioni dell’egida del diritto”, che si è tenuto questo pomeriggio presso il Palazzo della Cultura di Potenza.

Tema centrale dell’incontro, il macrosistema delle discriminazioni di genere in cui possono incorrere le donne, da quelle sul posto di lavoro, alle violenze in ambito domestico, discriminazioni verso donne disabili, -con la testimonianza di due donne non vedenti, Giovanna Ruggieri e Anna Varriale- oltre a quelle che subiscono le persone LGBT, entrando poi nel dettaglio di quali sono tutte le tutele connesse.

La Consigliera Regionale Pipponzi, ha focalizzato il suo intervento sulle discriminazioni sul posto di lavoro, constatando che si tratta di un fenomeno assolutamente attuale e stringente, ed è quindi inaccettabile che ancora oggi si debba parlare di discriminazioni al lavoro e si debbano continuamente registrare simili azioni, poiché queste condotte si riverberano poi negativamente sull’intera società. Quando si parla di discriminazioni di genere, corre immediatamente l’idea a una cultura ancora sessista e patriarcale. È evidente come anche l’assenza di welfare e di misure di sostegno adeguato, troppo spesso costringano le lavoratrici a scegliere di abbandonare il posto di lavoro, per dedicarsi alla maternità, o addirittura rinunciarci. A questo si aggiungono ulteriori discriminazioni derivanti dal divario retributivo, maggior accesso a part-time e quindi meno ore di lavoro, che si traducono in minori scatti retributivi e minori contributi versati, di conseguenza anche una pensione più bassa.

La sottovalutazione di questi fenomeni fa sì che essi vengano considerati soltanto come fatti privati della lavoratrice o del lavoratore discriminato e non come una piaga che riguarda l’intera società. Da tutto questo, deriva il fenomeno della denatalità con evidente impatto sull’intero sistema sociale, che deve spingerci a chiedere chi pagherà domani le nostre future pensioni, chi provvederà all’assistenza degli anziani, se non ci sono bambini”, ha affermato l’avv. Pipponzi.

È evidente quindi che si tratta di argomenti collegati tra loro, imprescindibili l’uno dall’altro.

Si è discusso molto anche di un altro fenomeno ampiamente sottovalutato nel passato, le molestie sul posto di lavoro, su cui è intervenuta la ratifica della Convenzione con la Legge n. 4 del 2021, che ha ridato la giusta importanza e forte valorizzazione ai fenomeni di molestie sessuali e violenze sui luoghi di lavoro, considerate vere e proprie discriminazioni.“È fondamentale dunque introdurre azioni forti e incisive di contrasto, naturalmente le istituzioni hanno il dovere di attuare tutte le normative vigenti, quindi sostenere sempre di più e meglio le azioni dei soggetti deputati al contrasto di ogni forma di discriminazione sui luoghi di lavoro. La stessa Consigliera di parità agisce in qualità di pubblico ufficiale nel contrasto alle discriminazioni ai sensi del codice sulle pari opportunità, ed è un’autorità garante nell’attuazione della normativa sulle parità e sulle pari opportunità”, ha concluso l’avv. Pipponzi.

 

 

 

 

 

 

 

pipponzi.jpg

L’intervento di Ivana Pipponzi, Consigliera regionale di parità:

“Il mio pensiero corre oggi alle tante donne ed ai loro bambini che in questi giorni soffrono per via della guerra in Ucraina, per questo voglio dedicare loro questa importante giornata.

La giornata internazionale della donna potrà dirsi effettivamente celebrata quanto sarà finalmente sfondato il tetto di cristallo.

Ad oggi, purtroppo, nessuno Stato membro dell’UE ha raggiunto la parità di genere, specie nel contesto lavorativo come sottolineato dalla Commissione Europea quanto alla strategia per la parità 2020-2025. Il nostro Paese sconta un importante divario di genere (meno del 48% delle donne lavora; in Basilicata solo il 36,7%) aggravato dalla pandemia che ha colpito fortemente l’occupazione femminile maggiormente interessata da contratti precari.

Sono ancora stringenti i casi di discriminazioni di genere sul posto di lavoro che vedono il divario di genere quale loro causa efficiente, come verifichiamo noi Consigliere di parità nello svolgimento dei nostri compiti quali pubblici ufficiali nel loro contrasto. Così la ratifica della Convenzione ILO da parte dell’Italia non sarà sufficiente fintanto che le aziende non adotteranno idonee azioni per contrastare molestie e violenze sui luoghi di lavoro, anche inserendo dette condotte nell’ambio del proprio D.V.R. (documento sulla valutazione del rischio).

Così, la mancanza di welfare e di misure strutturali a sostegno della maternità e/o della conciliazione vita-lavoro (che deve diventare sempre di più condivisione in famiglia dei carichi di cura), porta per oltre l’85% le lavoratrici - anche lucane - a dimettersi, così uscendo definitivamente dal mondo del lavoro che, difficilmente, le riaccoglierà alle stesse condizioni, con nocumento per l’intera società.

Il divario di genere si ribalta con la stessa astringenza anche in ambito politico – istituzionale in Basilicata, dove la presenza femminile è bassa e spesso ha imposto l’intervento del mio Ufficio per ripristinare il riequilibrio di genere, come normativamente previsto.

L’Italia è da tempo impegnata in iniziative che mirano a colmare il gender gap nel mercato del lavoro; iniziative - quelle del passato prossimo - che evidentemente non hanno sortito l’effetto sperato in quanto non adeguatamente strutturali. Questo obiettivo è diventato sempre più cogente come ribadito anche nell’ambito del PNRR che ha recepito la proposta della Commissione Europea di dedicare un’attenzione particolare alle donne e promuovere l’occupazione femminile come priorità trasversale di tutte le Missioni del Piano (oltre all’apposita Missione V - incentrata proprio sulla coesione e l’inclusione sociale) da attuarsi nel quinquennio 2021-2026. Il Piano infatti prevede di raggiungere, entro il 2026, un incremento del 5% nella classifica dell’Indice sull’uguaglianza di genere.

Al fine, perciò, di colmare il gender gap, la mobilitazione delle energie femminili è quindi da considerarsi uno dei pilastri per la ripresa del nostro Paese. Ed in questo senso si è mossa la legge di Bilancio 2022, il decreto legge n.77/2022 e la legge n. 162/2021 che hanno introdotto precise azioni ed obblighi, tra cui: 1) il rapporto sulla situazione del personale e 2) la certificazione sulla parità di genere.

1) Il rapporto sulla situazione del personale per le aziende è diventato obbligatorio, a far data dal 11.02.2022, anche per le aziende con oltre 50 dipendenti; la mancata elaborazione dello stesso è causa di esclusione per i bandi pubblici a valere sul pnrr e pnc e va inviato per la sua verifica alle Consigliere regionali di parità;

2) la certificazione sulla parità di genere potrà essere rilasciata, a decorrere dal 1° gennaio 2022, a tutte le aziende che dimostreranno l’effettività e l’efficacia delle proprie politiche in tema di parità di genere tra uomo e donna, anche con riferimento alla redazione del detto rapporto. Non dovranno essere esaminati solo progetti o documenti programmatici, ma valutate tutte le misure adottate in concreto dai datori di lavoro per ridurre i divari su opportunità di crescita, parità salariale, gestione delle differenze di genere, tutela della maternità e verificata la mancanza di procedimenti per discriminazioni di genere sul lavoro.

In attesa che vengano emanati i necessari decreti attuativi e che vengano determinate le modalità di accesso ai Fondi, è bene sottolineare il ruolo e la responsabilità che è demandata a noi Consigliere regionali di parità nella certificazione di genere come nella validazione delle azioni poste in essere dalle aziende per attuare la parità di genere dei dipendenti, anche stante il ruolo di Autorità garanti della normativa sulla parità in ambito lavorativo, ai sensi del Codice sulle pari opportunità.

Gli obblighi sopra esposti devono essere visti come opportunità economiche; infatti, ad esempio, il rilascio della certificazione di genere comporterà diversi vantaggi sia per le aziende private che per i lavoratori. Le prime, infatti, avranno accesso, tra gli altri, a un miglior punteggio nelle graduatorie degli appalti e a un esonero parziale del versamento dei contributi previdenziali dei lavoratori (nel limite dell’1% e di 50.000 euro annui). I lavoratori, oltre a veder parificati i propri diritti, si troverebbero a lavorare in contesti sempre meno discriminatori e più inclusivi, contribuendo così alla creazione di un “social climate” virtuoso, anche nell’ambito delle sempre crescenti politiche aziendali “ESG-oriented”. Trattasi di un approccio innovativo alle politiche di programmazione, orientato al genere, con l’obiettivo di sviluppare una nuova responsabilità sociale sulla parità; una leva per favorire la partecipazione delle donne ai processi di sviluppo sostenibile e all’innovazione e promuovendo la partecipazione al mercato del lavoro, sia nei settori produttivi ad alta concentrazione femminile che in quelli innovativi ed emergenti.

Siamo, dunque, di fronte ad una svolta importante: solo attuando pienamente le nuove misure proposte dal Governo centrale potremmo favorire la parità di genere e quindi celebrare in modo coerente la Giornata internazionale della Donna”.

LA_VITO_LEPROE.jpg

 

 

 

 

di Antonella Sabia

 

 

 

 

Con due nuovi innesti e cinque conferme, la scorsa settimana il Sindaco di Potenza, Mario Guarente, ha servito il rimpasto della Giunta. Fuori Fratelli d’Italia (Alessandro Galella), dentro Massimiliano Di Noia (Noi con l’Italia), mentre l’assessorato allo Sport è passato dalle mani di Patrizia Guma a quelle di Gianmarco Blasi, entrambi Lega Salvini. Ed è proprio sullo sport cittadino che abbiamo posto nuovamente l’attenzione questa settimana, confrontandoci con chi di sport vive tutti i giorni; Federazioni Sportive Nazionali, Enti di Promozione Sportiva e Discipline Associate.

GIOVANNI LAMORTE – PRESIDENTE FIP (FEDERAZIONE ITALIANA PALLACANESTRO)

d: Com’è la situazione dell’impiantistica sportiva per il basket a Potenza?

r: L’impiantistica è tutta di proprietà comunale, abbiamo il PalaPergola di Contrada Rossellino, che allo stato attuale è il più grande e ospita i Campionati Senior e i Campionati Giovanili di Eccellenza che facciamo con la regione Campania, e poi altre tre palestre, la “Vito Lepore”, la “Caizzo” e la palestra di Via Roma, che in base al regolamento comunale vengono suddivise tra noi e la pallavolo in base alle caratteristiche. A queste potremmo aggiungere anche la palestra della piscina di Montereale, anche se lì non si possono disputare gare ma solo allenamento per il minibasket.

d: Quante squadre insistono su questi quattro impianti?

r: Circa una decina che fanno attività variegata: Minibasket, Campionati Giovanili o Senior, due squadre in C maschile e una in B femminile usano esclusivamente il PalaPergola diRossellino, poiché il regolamento impone le misure 28x15.Per l’attività attuale, tutto sommato l’impiantistica è sufficiente, ma in prospettiva, e questo è un tema su cui abbiamo discusso anche con l’amministrazione: a livello regolamentare andremo sempre di più, per tutti i campionati, a giocare su parquet con dimensione 28x15. Al momento non è stato stabilito quando avverrà questo passaggio, ma nel giro di qualche anno tutte le altre palestre non saranno più adatte per le gare ufficiali. Per esempio, anche la “Vito Lepore”, nonostante abbia il parquet, non andrebbe bene perché la dimensione attuale è 26x14.

d: Già vi siete confrontati con l’amministrazione quindi?

r: All’insediamento della Giunta Guarente ne abbiamo discusso in linea generale con Antonio Vigilante, assessore alle Opere Pubbliche, mentre con l’assessore Guma abbiamo più volte interloquito su questo, perché seppur non è stato stabilito ancora quando, come Presidenti Regionali, ci troviamo tutti di fronte allo stesso problema e stiamo cercando più possibile di rallentare questo passaggio, ma dobbiamo cercare di non farci trovare impreparati. Le esigenze di allenamento sono comunque tante e se ci fosse qualche altro impianto male non sarebbe. Avevamo dato anche delle soluzioni, per esempio il palazzetto di Lavangone, che oramai da più di qualche anno rimane inutilizzato, ma c’è in itinere il passaggio dalla Comunità Montana tramite la regione, al Comune. Se fosse disponibile anche quel palazzetto, risolverebbe un bel po’ di problemi, poiché oltre a rispettare le dimensioni, consentirebbe anche di organizzare degli eventi di portata nazionale, vista la sua capienza, come del resto abbiamo fatto quando organizzammo i due tornei internazionali giovanili. L’altra idea su cui però il Comune non ci ha mai dato prospettiva è la possibilità di effettuare lavori alla “Vito Lepore” considerando che è una costruzione prefabbricata, si sarebbe potuto facilmente adeguare il campo alle nuove dimensioni.

d: Al nuovo Assessore esporrà nuovamente queste idee?

r: Appena avremo l’occasione di parlarci sicuramente faremo presente la necessità di prepararci al passaggio alle nuove regole e sottoporremo nuovamente queste idee di cui abbiamo discusso in precedenza. È un tema che va affrontato con un certo anticipo, perché lo stesso palazzetto di Lavangone, presentava diverse problematiche a livello di riscaldamento, e anche in quel caso andrebbero fatti dei lavori.

d: Potenza Città Europea dello Sport: siamo a marzo e al momento pare non esserci alcun tipo di cartellone degli eventi, siete mai stati convocati per organizzare qualcosa?

r: Insieme ad altri presidenti regionali di Federazioni, abbiamo partecipato a una riunione tra fine novembre e inizio dicembre con l’assessore Guma in cui ci era stata illustrata un’idea di massima, un programma della manifestazione.Può sembrare un discorso semplicistico, ma quando ti accingi ad organizzare qualche manifestazione è essenziale capire quali sono le risorse economiche a disposizione in particolare se vuoi programmare un evento di portata nazionale che prevede ospiti da fuori regione ai quali devi comunque assicurare vitto, alloggio e spostamenti. Pertanto, l’obiezione che abbiamo mosso riguardava la necessità di un budget sicuro, poiché molto spesso si sottoscrive un vero e proprio contratto e non puoi farti cogliere di sorpresa, soprattutto perché le federazioni non hanno soldi propri da poter investire. Non abbiamo certezza ci sia un finanziamento, e anche di questo sicuramente ne discuteremo con il nuovo assessore non appena ci sarà la possibilità. Da parte delle Federazioni sicuramente la massima disponibilità per organizzare manifestazioni, poiché riteniamo che possano diventare anche un attrattore turistico, in modo che ci sia un ritorno economico per il commercio locale, ma bisogna sempre partire dall’investimentodi un budget importante. Se non si concretizza un programma, rischia di diventare troppo tardi, stiamo parlando del 2022 e ormai siamo già a marzo.

 

reginaldo_e_de_stradis.jpg

 

 CLIKKA SULL'IMMAGINE PER GUARDARE IL VIDEO

 

di Walter De Stradis

 

 

 

Nel “magic moment” dell’AZ Picerno (calcio, serie C), un ruolo fondamentale lo sta svolgendo lui, Reginaldo Ferreira da Silva.

Trentottenne attaccante dal pedigree addirittura nobiliare (ha giocato diversi anni in serie A, con Treviso, Fiorentina, Parma), noto anche alle cronache “rosa” (il vecchio flirt con la Canalis), ha da tempo anche la nazionalità italiana («Sono Paulista, nato a 40 minuti dal Centro, ma se oggi voglio girare per San Paulo, ho quasi bisogno di una guida»), e per venire a giocare qui in Basilicata si è stabilito a Potenza (e fra una decina di giorni ci sarà pure il derby). Porta, da sempre, i capelli rapati a zero, «e non è per imitare Ronaldo».

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Credo di esserci nato, per il calcio. Ho dato molto al Campionato italiano, e oggi mi trovo qui in Basilicata, chiamato dal Picerno che mi ha voluto fortemente, più di tutti.

d: Quale fattore l’ha convinta ad accettare la loro proposta?

r: Proprio la grande voglia che avevano di portarmi all’Az Picerno. In quel periodo avevo altre due o tre proposte, ma loro mi chiamavano più volte al giorno e il loro entusiasmo mi ha convinto.

d: Cosa crede che cercasse la società in uno come lei?

r: Credo che a 38 anni, io abbia dimostrato di essere una garanzia di professionalità e serietà. E penso di poter essere anche di esempio ai giovani: dimostrando coi fatti che questo è un mestiere bellissimo, che molti sognano di fare, ma che va portato avanti con impegno e dedizione.

d: Questo è un concetto importante: cercare di far capire ai giovani che fare il calciatore può portare successo e ricchezza, ma che la cosa va affrontata con grande serietà. A microfoni spenti abbiamo parlato di altri calciatori famosi, proprio brasiliani, che non hanno saputo gestire questa fortuna e si sono “bruciati”. Lei ha giocato in serie A, ed è stato anche protagonista delle cronache rosa: come si fa a gestire la fama, e i soldi, senza perdere la testa?

r: Io credo che nella vita ci sia un momento per tutto; voglio dire, la domenica, dopo la partita, la “seratina” e la cena con gli amici ci sta pure –io da giovane, quando potevo, mi divertivo- ma bisogna sempre sapersi gestire, perché noi siamo calciatori e siamo sempre nell’occhio del ciclone. Per questo penso a quei circa 1200 giocatori professionisti disoccupati (perché magari alcune società sono fallite e la C2 non esiste più) che vorrebbero essere al nostro posto, e per questo dico che è sempre nostro dovere dare il massimo. I soldi? Beh, anche quelli bisogna saperli gestire, perché la carriera di un giocatore è breve, e ci sono alcuni di noi che non arrivano a dodici, tredici anni di professionismo. In tutto questo, è importante il ruolo dei procuratori e/o delle famiglie, è importante dare i consigli giusti, altrimenti poi possono insorgere difficoltà. Vede, noi calciatori sappiamo fare solo questo, sono pochi quelli che hanno finito la scuola o che sanno fare altre cose, quindi, torno a dire, bisogna sapersi gestire.

d: Un brevissimo passaggio sul mondo del Gossip, considerata la sua relazione, di alcuni anni fa, con la showgirl Elisabetta Canalis (cosa che ancora oggi campeggia fra i primi risultati, se si inserisce il suo nome su Google). Ho letto da qualche parte che lei ritiene che la sovraesposizione extra-calcistica le abbia in qualche modo creato problemi, inficiando la sua carriera.

r: “Problemi” direi di no, visto che all’epoca ero giovane, ero single, e trovo normale che uno decida per la propria vita. Con la Canalis sono stato benissimo, poi è finita, ma in quel periodo non era mai venuto meno il mio impegno sul campo, perché per conquistare la Canalis avevo prima dovuto “conquistare” parecchi campi di calcio, così come importati società (Treviso, Fiorentina e Parma). Pertanto, in quelle interviste mi ero limitato a dire che mi piacerebbe che si parlasse di me per ciò che ho fatto nel calcio, non ho certo detto che sono stato “rovinato” da quella relazione, come invece è stato scritto.

d: Parliamo allora di calcio. Il momento che porterà sempre con sé?

r: Avevo sedici anni quando entrai nel Treviso, e quindi l’averlo poi portato in serie A, dopo un’assenza di trent’anni, mi rimarrà sempre nel cuore. Dal “cucchiaio” alla “forchetta”, al Treviso mi hanno insegnato tutto.

d: Questo è curioso, perché di solito si è portati a pensare che i calciatori brasiliani arrivino in Italia già “giocolieri”.

r: In Italia ero già venuto prima per alcuni brevi tornei giovanili (e mi ero segnalato fra i migliori talenti), ma fu il Treviso a decidere di scommettere su di me. Già all’epoca però, ragionavo e avevo il pensiero di dare più di tutti gli altri che erano qui, perché volevo essere di sostegno alla mia famiglia, che era rimasta in Brasile.

d: Facciamo ancora un passo indietro: qual è stato il momento della sua vita in cui ha capito che il calcio sarebbe stato il suo lavoro?

r: C’è in effetti un episodio a cui penso spesso. Da bambino, da quando avevo otto anni, passavo la mattinate a giocare per strada, scalzo. Ricordo sempre questa scena: mio padre era al bar di fronte a giocare a carte, e mi teneva d’occhio, quando a un tratto un camionista gli disse: “Ma non vedi come gioca tua figlio? Se non ti svegli e non lo porti a fare un provino da qualche parte, lo faccio io al tuo posto, ma poi non mi chiedere soldi, eh!?”. Quelle parole mi colpirono molto, e da quel momento io stesso mi misi a cercare le società e a giocare con quelli più grandi. Pensi che a Rio de Janeiro una volta mi ruppi la clavicola, perché io, tredicenne, giocavo contro calciatori di trenta e quarant’anni, e quelli non riuscivano a beccarmi! Quando poi iniziai a giocare per la squadra della mia città, presero a chiamarmi “Pelezinho”, “piccolo Pelè”.

d: Questa storia ricorda un po’ quella vista ne “L’allenatore nel pallone”, il film con Lino Banfi: scommetto che è una delle prime cose che le hanno fatto vedere qui in Italia!

r: Sì sì, avevo sempre visto degli spezzoni, ma l’ho guardato integralmente una decina di anni fa. Nel mondo del calcio è popolarissimo, e ogni tanto c’è pure qualcuno che scherza e mi chiama “Aristoteles” (il calciatore brasiliano del film – ndr), e allora io mi giro e dico “Mister, fammi giocà!” (imitando la voce del personaggio – ndr). In effetti, se uno ci pensa, quella storia è la pura verità.

d: Col Picerno la salvezza è ormai quasi acquista…

r: Ancora matematicamente no…

d: Ma l’obiettivo è “solo” quello?

r: E’ l’obiettivo principale, e vogliamo fare punti velocemente per raggiungere la certezza matematica. Una volta acquisita la salvezza, cercheremo di fare qualcosina in più…

d: Lei però vive a Potenza, non a Picerno.

r: Sì, fino a mercoledì scorso c’era anche la mia famiglia, da poco tornata in Brasile.

d: Immagino che, a parte Cava dei Tirreni (dove viveva quando giocava a Pagani - ndr), questa sia la città più “piccola” con la quale si è confrontato qui in Italia.

r: Beh, sì, Cava è più o meno così.

d: E com’è la sua vita qui a Potenza?

r: La maggior parte del tempo sto a casa, a guardare Netflix, ma se occorre vado in Centro.

d: Che impressione le fa la città?

r: Sì sta bene, per questo ho scelto di vivere qui. Pure a Picerno si sta bene, ma qui ho trovato una situazione un po’ più comoda, coi negozi proprio sotto casa etc.

d: Un difetto di Potenza?

r: Forse c’è un po’ troppo traffico, per essere così piccolina! (sorride). Quando vengo da Picerno, per arrivare in Centro…c’è un sacco di casino!

d: Cosa le dicono i Picernesi, a parte “fai gol!”, quando l’incontrano?

r: La gente mi dice che rimane impressionata dall’impegno che ci metto, nonostante la carriera che ho fatto e l’età che ci ho. Penso che finché potrò dare qualcosa, sul campo e fuori, continuerò a esserci.

d: Lei col Picerno però ha un contratto di un anno.

r: Sì. Volendo, potrei firmare anche adesso per altre squadre, ma non è quello il mio pensiero, perché sono concentrato a finire bene il campionato col Picerno (se facciamo i play off sarebbe un sogno!) e poi si vedrà.

d: Ma quando smetterà, farà l’allenatore o…

r: No, vorrei fare il talent scout. Ma prima mi dedicherò per tre o quattro anni esclusivamente alla mia famiglia.

d: Il film che la rappresenta?

r: “Il miglio verde”, con quel gigante buono che vuol fare del bene.

d: La canzone?

r: Adoro la samba, e mi piace un interprete molto classico, Thiaguinho.

d: Il libro?

r: Quello di Ibra, mi ha dato la carica (anche se mi piace il suo modo di ragionare, non di offendere alcune persone).

d: Fra cent’anni scoprono una targa a suo nome al campo di Picerno, cosa le piacerebbe ci fosse scritto?

r: «Un grandissimo professionista».

carbone_coldiretti_e_de_stradis.jpg

 

 

 

di Walter De Stradis

 

 

 

 

Sessantun anni, originario di Brienza (Pz), Francesco “Franco” Carbone, prima dell’incarico di Direttore Provinciale della Coldiretti della provincia Potenza aveva diretto Coldiretti Enna dal 1999 al 2001, l’interprovinciale Coldiretti Ragusa e Siracusa fino al 2007 e l’interprovinciale Taranto e Brindisi.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Con lo sperare che mi venga riconosciuta la passione e l’onestà che infondo in un’attività che esercito quotidianamente. Ho sempre lavorato in Coldiretti, facendo tutti i “passaggi”, frequentando anche altre regioni (Sicilia, Puglia): dal ruolo di responsabile della singola sezione comunale, alla “zona organizzativa”, fino alla direzione, provinciale e inter-provinciale.

d: A proposito delle altre regioni in cui ha lavorato, conferma che la situazione lucana è sempre comunque “peculiare”? E se sì, perché?

r: Credo che forse l’orografia peculiare della Basilicata –regione non semplice, ma bellissima- condizioni giudizi, comportamenti e anche le nostre reazioni. Dal punto di vista agricolo ritengo tuttavia che la Basilicata abbia grandi potenzialità: tutte le agricolture che l’Italia può rappresentare, in piccolo, da noi ci sono. Il “mosaico” agricolo della nostra regione incarna tutto ciò che la produzione di cibo può garantire. Ci sono margini di crescita e sviluppo importanti.

d: C’è un qualche aspetto dell’agricoltura nostrana di cui non si parla a dovere secondo lei?

r: Forse abbiamo delle eccellenze e non ne siamo orgogliosi Probabile. Ritengo che a causa di ragionamenti che nulla hanno a che fare col settore, alcune produzioni siano trascurate o del tutto abbandonate.

d: Qualche esempio?

r: Prenda il pecorino di Filiano, o altre produzioni tipiche: sono sempre considerate “di nicchia”, e come tali restano. Eppure hanno delle potenzialità enormi. Col pecorino poi sta accadendo qualcosa di assurdo: le richieste sono tante, ma gli allevamenti stanno diminuendo sensibilmente.

d: Eppure il presidente Bardi, faccio una battuta, è proprio di Filiano.

r: Sì, ma non dipende da lui o dagli ultimi due/tre anni. E’ storia vecchia. Credo che si siano trascurati dei settori, a volte, anche per non “toccare” quei concetti che governano alcuni momenti. Prenda i disciplinari di produzione che stanno dietro ai prodotti a denominazione o identificazione, nati decenni fa: non sarebbe sbagliato fermarsi ogni tanto e pensare a una loro “manutenzione”. Il mondo cambia, cambia il territorio, cambiano le persone sul territorio e riflettere non è mai sbagliato. …Insomma, se la nostra terra è a rischio spopolamento vuol dire che un problema c’è. Probabilmente la Basilicata è stata condizionata nel momento in cui l’agricoltura era soprattutto “quantità” e non “qualità”; oggi il settore è spostato di più sulla “qualità” e dietro il cibo c’è cultura. Di conseguenza il cibo stesso oggi potrebbe diventare veicolo di conoscenza, di diversi aspetti della nostra regione.

d: Ma se un prodotto buono e sano come il pecorino di Filiano, o altri, sono in calo nella loro stessa regione…dov’è che si è rotto il meccanismo?

r: Sono in calo le produzioni, di latte, non di formaggi (anche se è una conseguenza). Dobbiamo metterci in testa che sviluppo vuol dire fare sistema, invece noi oggi viviamo ciò che accade lungo le varie filiere (vedi latte), ove la catena del valore spesso non è distribuita in modo corretto. Prima si sono fatti chiudere gli allevamenti, e oggi “inseguiamo” il latte, che non c’è più come una volta. Se il latte è sottopagato, l’allevatore può resistere fino a un certo punto, dopodiché sarà costretto a fare una scelta.

d: Non a caso voi avevate chiesto un tavolo di filiera alla presenza dell’assessore Fanelli.

r: Si è fatto, ma si è rivelato un po’ inutile, perché non tutte le parti convocate si sono presentate: con eccezione delle parti agricole e di Confesercenti, non c’erano Confindustria, Confcommercio… i rappresentanti della distribuzione organizzata (forse non si sentivano chiamati in causa, ma trovo comunque sbagliato non accettare un invito).

d: Oggi è martedì e ancora non si sa chi sarà il nuovo assessore regionale al ramo, ma che giudizio dà del giovane Fanelli?

r: Questi quindici giorni di “attesa”, me lo lasci dire, sono un peccato per la Basilicata: la crisi in giunta c’era da tempo, e forse –anche per il momento di difficoltà che attraversiamo- andava ricomposta prima. Venendo a Fanelli, che si è trovato a gestire la delega forse più importante (sono 20mila le imprese agricole iscritte alla Camera di Commercio) –dopo una prima fase di “apprendistato”- ha avuto la capacità di ascoltare. Tuttavia, la condivisione di un progetto o di un’idea, al momento di essere messa in pratica…beh, c’era qualcosa che la bloccava; non per colpa dell’assessore, ma forse anche degli uffici, di chi ci lavora, nel Dipartimento. Forse, chissà, abbiamo pure pressato poco noi. Sui Piani di Sviluppo Rurale, che governano un po’ la finanza alle imprese agricole, Fanelli è stato molto attento (con l’ausilio nostro e degli uffici); su altre questioni, invece, legate appunto a norme o leggi (che non bisognava toccare o ammodernare), purtroppo non è stato altrettanto. Ci sono troppe situazioni rimaste ferme: una su tutte, gli usi civici. Siamo spesso arrivati al 99% del percorso di revisione, ma sull’ultimo miglio si blocca sempre tutto. Senza contare la fauna selvaggia, il problema cinghiali…

d: …e la famosa idea di creare un’industria di carne di cinghiale?

r: Tutto si può fare, ma poi bisogna strutturare un mercato, una linea commerciale.

d: Abbiamo fatto cenno prima al fatto che anche questa “impasse” in Regione non aiuta.

r: Pensi a quei cinque giorni di fermo per l’elezione del Presidente della Repubblica, e immaginiamo cosa possono essere per la Basilicata quindici giorni, o addirittura un mese, di blocco amministrativo. In questo momento noi stiamo vivendo la crisi della zootecnia, della produzione di latte: abbiamo coinvolto il Prefetto, ma con la Regione non abbiamo un interlocutore. Oggi stesso scriveremo a Bardi e alla sua giunta per capire cosa possiamo fare. A una crisi di questo tipo non si risponde col solo assessore al ramo, ma con un’azione di sistema.

d: Al cuore del problema oggi ci sono i costi dell’energia. Con la conseguenza che i compensi riconosciuti agli agricoltori e agli allevatori non riescono neanche a coprire i costi di produzione, e le imprese agricole si ritrovano costrette a vendere sottocosto.

r: Lavorano a perdere. Circa il comparto zootecnico da latte, oggi sotto i riflettori, noi abbiamo fatto diverse proposte. A livello nazionale, credo che i primi segnali comincino a intravvedersi: Patuanelli proprio oggi ha annunciato di aver “sbloccato” tutto ciò che riguarda le bio-energie, con la proroga del bio-gas per il 2022. Il costo della bolletta così si ridimensiona e c’è anche una buona riposta sull’ambiente. Ci sono inoltre delle risorse stanziate sulla crisi-Covid, che però da almeno un annetto giacciono nell’alveo della burocrazia e che dovrebbero andare quanto prima agli agricoltori. E’ utile riconvocare il tavolo di filiera (che a settembre aveva stanziato quei famosi 4 centesimi, che però oggi non sono più attuali). C’è inoltre, fortunatamente, la legge sulle pratiche sleali che potrebbe darci una mano, che però ha bisogno di sei mesi (che scadono a maggio/giugno) per essere operativa. L’Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare - ndr) ha fornito un dato ufficiale: al di sotto dei 46 centesimi, il latte bovino, significa produrlo al di sotto dei costi di produzioni; consideri che oggi il prezzo medio del latte in Basilicata è di 40/42. Ergo, da sei mesi si sta producendo sottocosto, per non parlare del latte di pecora, eh, che oggi è mediamente al 20% al di sotto del prezzo nazionale! Pertanto, ciò che abbiamo chiesto alla Regione è anche un contributo ai trasporti: oggi raccogliere il latte di pecora, o bovino che sia, comporta dei costi elevati, dovuti sempre all’orografia della nostra regione. E sul prezzo del latte di pecora i trasporti incidono anche del 15%. Se vogliamo conservare sul territorio gli allevamenti, bisogna rendersi conto di “dove” viviamo.

d: Vogliamo dare un breve giudizio politico sugli assessori all’agricoltura che si sono succeduti negli ultimi anni?

r: Ognuno di loro ha provato a dare il proprio contributo, sempre nell’interesse di chi rappresentava. Braia, appena insediatosi, chiese A NOI “responsabilità”, nelle scelte e nelle proposte; noi non ci siamo mai tirati indietro, ma poi vi fu un momento di incomprensione. Il giudizio sulla persona e sul politico rimane ottimo, anche se, certo, non approviamo alcune scelte fatte. Nessuno di noi agisce per partito preso o per ragionamenti politici. E ritengo che forse il momento peggiore sia stato quando abbiamo gestito la fase di allestimento del Piano di Sviluppo Rurale…

d: Con Ottati…

r: …quando c’era un assessore le cui competenze, anche europee, hanno un po’ condizionato il dialogo. Spesso cioè si è vestito di autorità al punto tale di non accettare considerazioni diverse dai suoi pareri, che nei fatti erano comunque quelli di uno che aveva vissuto trent’anni a Bruxelles, e non in Basilicata.

d: E Benedetto, imprenditore e assessore?

r: Aveva semplicemente voglia di fare. Da imprenditore ha provato a fare anche l’assessore, ma la politica è cosa diversa dall’impresa. In realtà è stato troppo poco, per poter esprimere in giudizio politico vero. Come imprenditore è rimasto uno molto importante per la regione, col quale collaboriamo tuttora, perché ha idee e voglia di fare sviluppo.

d: Se potesse prendere Bardi sottobraccio cosa gli direbbe?

r: Che non c’è più tempo da perdere. Noi siamo prossimi alla nuova programmazione e se non si migliora lo scenario (fatto di imprese, ma anche di regole e di burocrazia che DEVE funzionare), ci troveremo di nuovo in difficoltà. Noi abbiamo fatto due manifestazioni per sbloccare le pratiche di pagamento ferme presso UECA (l’Ufficio Erogazioni Comunitarie in Agricoltura, struttura regionale – ndr), e parliamo di ventimila pagamenti bloccati, da anni. Siamo di fronte a un cambio epocale, e non si può non tenere conto di fattori quali clima, ambiente, infrastrutture, collegamenti telematici (che sono una necessità impellente)…

d: Ma Bardi ha detto che adesso arriva la Fibra.

r: Speriamo.

palumbo_e_de_stradis.jpg

 

 

di Walter De Stradis  

 

 

 

A chi gli fa notare che la sua breve apparizione-cameo nella recente riduzione cinematografica di “Diabolik” (regia dei Manetti Bros.) ricordi un po’ quelle del sorridente Stan Lee nei film sui supereroi Marvel, Giuseppe Palumbo risponde che è più una cosa “alla Hitchcock”. Ma ormai non è più un “mistero” per nessuno che il disegnatore materano (sabato scorso di ritorno nella città dei Sassi per presentare proprio il numero 900 del celeberrimo ladro in calzamaglia) sia uno dei massimi esponenti del fumetto nel Belpaese.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Ah, beh, è stato chiaramente un errore! Probabilmente dovuto ad avverse condizioni climatiche (risate), e quindi i miei genitori…

d: Qual è stato (se c’è stato) il momento in cui ha capito che nella vita, per lavoro, avrebbe disegnato fumetti?

r: Come quelli della mia generazione, sono cresciuto leggendo fumetti, perché in realtà non c’era molto altro (sempre per la serie “Avverse condizioni climatiche”). Ho sempre disegnato fumetti, con i miei amici e con mio fratello. Una volta studente di Lettere classiche (e appassionato anche di archeologia e storia antica) ho perseguito anche la strada del fumetto, e -di conseguenza- il giorno della laurea avevo già alle spalle diverse pubblicazioni a mio nome. Per cui, ancora oggi, la domanda “ma come fai a leggere i fumetti”, per me non ha alcun senso, visto che io ci ho imparato a leggere!

d: Ma ancora oggi, persino uno come il professor Dorfles dice che leggere i fumetti non è la stessa cosa che leggere i libri…

r: Vabè, lui voleva essere provocatorio, secondo me, e io -che sono sempre dalla parte dei provocatori- ne capisco il senso. Forse intendeva dire che oggi in libreria tra i maggiori bestseller ci sono sicuramente i fumetti; ma non puoi pensare, avendo magari letto solo Zerocalcare (o Diabolik, per citare due modi opposti di fare fumetto), di aver completato un’idea culturale di lettura (che invece comprende poesia, filosofia, romanzi…).

d: Ricordiamo la sua militanza con “Frigidaire”, e il suo “Ramarro” (nato negli anni 80), il primo supereroe masochista della storia dei comics …ecco, di questa esplosione dei supereroi (in libreria e soprattutto al cinema), cosa direbbe il suo sarcastico personaggio?

r: Ci ho fatto anche una vignetta, in cui Ramarro dice «Deadpool? Ah, sì, è stato il mio stagista!».

d: In effetti, quel personaggio della Marvel (che spopola sia nei fumetti sia al cinema), è un supereroe dissacrante al pari del suo Ramarro.

r: …e ha la stessa capacità di rigenerarsi.

d: Quindi può sempre fare causa alla Marvel!

r:No, no, per carità, le idee sono di tutti. (risate)

d: Da diversi anni ormai nella sua vita c’è Diabolik: qualcuno le avrà fatto sicuramente “notare” il passaggio da un personaggio “underground” come Ramarro, a un “big” come il supercriminale delle Sorelle Giussani. Qualcuno le avrà anche sicuramente fatto la battuta, “Ma come, dopo Frigidaire, adesso anche tu con i ‘poteri mainstream’ del fumetto!?».

r: Si badi che, sì, Diabolik o Tex hanno una diversità di approccio rispetto a Ramarro, ma a quel tipo di critiche ho sempre risposto che Frigidaire comunque NON ERA underground, avendo un ENORME bacino di lettori (circa centomila, cioè dieci volte tanto le vendite effettive). Stessa cosa oggi con “Zerocalcare”: non credo lo si possa definire “underground”, ma vero “mainstream”!

d: Lei è un “Lucano che ce l’ha fatta”, ma che vive fuori (Bologna). Questo particolare le ha giovato nell’affermarsi?

r: No, perché io ho studiato a Matera e all’università di Bari. La mia formazione è stata qui e qui sono cresciuto con tanti autori locali, coi quali, sì, giravamo per Roma, Bologna, etc. (perché non c’era ancora Internet), ma vivendo qui, nelle nostre città.

d: Eppure, ancora oggi, serpeggia la percezione che per un Lucano –che vive in Lucania- tutto sia più difficile.

r: Il luogo comune che “dalla Basilicata è difficile farcela”, corrispondeva al vero una volta, ma oggi questa idea troppo “regionalistica” va anche un po’ sfatata: io stavo a Matera, ma non mi sentivo fuori dal mondo. Prendevo il treno e andavo a Roma! Poi tornavo a casa, disegnavo le mie storie, e poi chiamavo il corriere che le riportava a Roma…

d: Lei ha disegnato Scotellaro, poi Pasolini, manca all’appello Carlo Levi. Col sindaco di Aliano, qualche settimana fa, abbiamo anche parlato del “levismo”, ovvero del lascito –inteso in senso negativo- che secondo alcuni ancora pesa sull’immagine della nostra regione.

r: Storicamente, ritengo che l’azione di Levi sia stata fondante per il rinnovamento della nostra regione (certe questioni le ha denunciate lui). A volte accade però che –magari anche a fin di bene- la cultura e la politica trasformino tutto in retorica. E’ dunque la RETORICA su Levi a essere dannosa, non la sua azione.

d: Assolutamente d'accordo.

r: La visione che lui aveva della Basilicata, infatti, ritengo che sia tuttora la più interessante. In particolare la sua idea di un luogo in cui il tempo ha una sua dimensione diversa, rispetto a quella esterna (in un mondo che all'epoca, con l'industrializzazione, si avviava verso una sorta di capitalismo). La sospensione del tempo che Levi aveva trovato qui non era solo quella dell’esilio, bensì qualcosa di metafisico, magico, surreale…Questa sua concezione è stata un po’ dimenticata, fraintesa, addirittura considerata pericolosa negli ambienti più a sinistra (per via di questa deriva spiritualista, quasi “religiosa”).

d: Tutte cose rilanciate alla grande anche da Antonio Infantino.

r: Di cui sono un grande fan!

d: Che tipo di fumetto farebbe dunque su Levi?

r: Glielo dico subito perché c’è un progetto in atto, che fa seguito a quello che ho dedicato a “Uno si distrae al bivio” di Rocco Scotellaro. Ho scoperto infatti che l’ultima opera di Levi, “Quaderno a cancelli” (ristampato da pochissimo) era dedicata proprio a Scotellaro, tramite una nota (anche se c’è un dibattito sul tema), in cui lo definiva “maestro e fratello”. Poiché la scrittura e l’approccio delle due opere (fra il randomico, il surreale e lo spirituale) sono molto simili, mi piacerebbe rieditare il mio “Uno si distrae al bivio”, inserendovi anche “Quaderno a cancelli”.

d: Qui a Matera è stato girato in parte l’ultimo 007. Tuttavia, nelle scene ambientate nei Sassi, si vedono le “solite” cose, trite e anacronistiche: in particolare c'è quella scena con le pecore in mezzo alla strada. Insomma, la consueta approssimazione, un po’ come quando nei film americani si sentono i gondolieri parlare in napoletano.

r: Mah, sa, è questione di immaginario collettivo, ed è inutile andarci contro; anzi, quasi quasi conviene assecondarlo: e quindi viva le pecore nei Sassi! Non ci sono mai state, in realtà, ma noi ce le mettiamo! (risate). Guardi, avere questa idea anche un po’ “libera” di Matera città dell’immaginario (cosa che io vado proponendo da tempo), secondo me potrebbe alleggerire il carico retorico che c’è un po’ intorno.

d: Si spieghi meglio.

r: Mi riferisco proprio alla retorica di derivazione “leviana”, a proposito di una città solamente “contadina” (mentre qui c’erano anche i pastifici, o i fabbri, come mio nonno). Tutto ciò mi fa specie, mi fa sorridere, come i gondolieri che parlano napoletano. Detto questo, credo che comunque tutto sia superabile, e che un film come l’ultimo James Bond farà comunque bene alla città.

d: Mentre “Matera 2019”…

r: Non ne parliamo, per carità, sennò mi rovino la serata!

d: Ho intervistato diversi intellettuali di Matera, e a volte è emerso questo comune sentire, circa il non essere stati coinvolti adeguatamente… ma, al di là di questo aspetto (e del discorso turismo), la Città ha DAVVERO beneficiato di quella opportunità?

r: A mio avviso no, ma lo dico da tempo. Tuttavia, ripeto -come nel caso di 007- certe cose fanno parte della città, quindi perché criticarle e basta? Nel bene e nel male hanno agito, hanno fatto delle cose. Io non sono stato escluso, anzi a un certo punto c’erano in ballo delle idee, ma ho capito che non si potevano fare in un certo modo e mi sono fatto da parte. Ho scelto dunque di NON fare, perché non c’erano le condizioni. Quindi la mia critica precede addirittura gli esiti!

d: L’errore più grande di Matera 2019 qual è stato?

r: …ehm, il non avermi permesso di fare delle cose! (risate) No, scherzo, sicuramente il non aver pensato a strutture sostanziali e concrete come il teatro, il cinema, e a tutte le situazioni inadeguate che ci sono; il non aver pensato alla creazione di festival, strutturandoli, facendoli crescere…Guardi, io vado a Venezia tutti gli anni, ma non per Venezia, ma perché lì ci sono tante cosa da fare!

d: Eppure c’è chi, sempre a proposito di Matera 2019, ha parlato addirittura di “eventificio”, cioè di troppi eventi…

r: Mmm, inizio a sentire dei dolori di stomaco (risate). Perciò lascerei perdere…

d: Se potesse prendere Bardi sottobraccio cosa gli direbbe?

r: Che nel mio settore c’è una filiera, che si può far crescere. E non è detto che in futuro gli esiti non si vedano. Qualcosa si sta già muovendo.

d: Anche da parte della politica?

r: Boh? Quella è sempre una materia sfuggente.

d: La canzone che la rappresenta?

r: “Azzurro”, nella versione di Paolo Conte.

d: Il film?

r: “8 e ½”.

d: Il libro?

r: Le dico l’ultimo che mi è piaciuto: “Quando abbiamo smesso di capire il mondo” di Benjamin Labatut.

d: Fra cent’anni cosa le piacerebbe ci fosse scritto sulla sua lapide?

r: Ho già dato disposizioni in merito: “Io credevo”. Puntini puntini.

 

arleo_impianti.jpg

 

di Antonella Sabia

 

 

 

Potenza è la sua città, che ama, è anche la sua squadra del cuore che è tornato ad allenare a distanza di 13 anni. Potenza è però anche una città che presenta tanti limiti, soprattutto sotto l’aspetto sportivo: abbiamo affrontato l’argomento con Pasquale Arleo, alla guida del Potenza Calcio dal 25 gennaio, chiamato all’impresa salvezza.

d: Secondo lei perché Potenza fatica a crescere sotto il profilo sportivo?

r: Perché c’è una mentalità molto gretta, ho sempre detto che in questa città tutto ti perdonano, tranne il successo.

d: Per quanto riguarda l’impiantistica abbiamo relativamente poche strutture e anche mal ridotte…

r: …E la situazione sta sempre peggiorando, basti pensare a quello che è successo qualche mese fa con il bando “Sport e periferia”, da cui la Città è stata esclusa. Ho dedicato 41 anni alle scienze motorie, conosco in maniera quasi approfondita la tematica dell’impiantistica sportiva ed è stato un lento decadimento: potrei partire dal campo di Macchia Giocoli che doveva essere il campo del Potenza, ma per motivi diversi alla fine non si accettarono offerte di riqualificazione, un campo che non è mai stato completato come da progetto. Potremmo parlare anche di come è stato fatto morire il CONI, un fiore all’occhiello, una struttura al centro della città, diventato deposito di degrado. Ci sono poi le strutture del Principe di Piemonte, e il campo del Seminario, sono stati dei privati ad aver avuto il coraggio di investire, ma i loro alti costi di gestione, alla lunga allontano le società interessate che non riescono a reggere il peso economico. La stessa FIGC, completata dopo tantissimi anni e tantissime promesse, continua ad essere immersa in vecchi ruderi e oltre a non avere una tribuna per ospitare gli spettatori e la stampa, è un campo inadeguato per una città di montagna.

d: Il titolo di Città europea dello sport: covid a parte, dobbiamo pensare ad un’occasione persa?

r: Sicuramente il covid ha inciso, ma sinceramente mi auguro che si faccia ancora in tempo a realizzare qualche impianto sportivo all’altezza di un capoluogo di regione, e soprattutto mi auguro che -se proprio non si riesce a realizzare un nuovo stadio- almeno che il Viviani venga rimodernato come merita, per far sì che chiunque venga, trovi i comfort giusti per vivere al meglio l’evento sportivo; perché ora tra freddo, le strutture sono fatiscenti, nessuna copertura, non è un buon biglietto da visita.

d: Capitolo Potenza Calcio -È stato chiamato a comandare una nave in acque agitate: in una situazione in cui sarebbe stato più facile dire di no, cosa l’ha portata ad accettare l’incarico?

r: Solo il cuore. Molte volte sono stato ferito, anche ingiustamente, da tante persone, più volte è stato detto che sono un traditore della patria, per aver battuto il Potenza nell’anno che vinse il campionato. Ovunque sono andato, credo di aver dimostrato di essere una persona seria, ma comprendo anche il discorso del tifoso. Per me è un lavoro, l’ho sempre fatto con grande onestà e non mi sono mai arricchito, ma dignità ne ho da vendere. Quest’anno, più di tutto, mi ha spinto ad accettare il grandissimo consenso popolare, che assolutamente non mi aspettavo, proprio per come ero stato trattato in passato. Essendo già all’interno del progetto, seppur come responsabile del settore giovanile, oltre alle partite in casa, della prima squadra avevo seguito molte gare in trasferte tra i tifosi: ho proprio sentito quella forza e la voglia di dover provare, perché non è giusto che la mia città, la squadra del mio cuore, debba retrocedere in maniera così inopinata, senza lottare fino alla fine.

d: Al di là della classifica, rispetto alle precedenti esperienze, oggi come si sente?

r: Mi sento orgoglioso di quello che sto facendo e di come lo sto portando avanti, pensavo di essere un po’ retrogrado e indietro rispetto alla nuova generazione di allenatori, ma invece ho scoperto che la mia verve psicologica di motivatore ha ancora il suo fascino e riesce ancora ad attecchire con i calciatori di oggi, che sicuramente hanno una filosofia di calcio un po’ diversa, poiché anche il calcio si è evoluto negli ultimi anni. Ho creato un mixage che sta portando dei risultati, per entrare nel cuore dei calciatori ci ho messo del mio e spero gradatamente di arrivare sempre di più nel profondo. Proprio nella partita di martedì scorso, ho visto una squadra che mi ha inorgoglito per come ha interpretato la gara dal punto di vista mentale, così come nelle precedenti.

d: Cosa si aspetta dalla città, dai tifosi, dalla società fino a fine stagione?

r: Ormai ai tifosi non faccio nemmeno più appelli perché sono talmente maturi e coinvolgenti che già so che saranno sempre al mio fianco. Non sarà Pasquale Arleo, da solo, a salvare il Potenza, ma tutti insieme. Stiamo dimostrando che possiamo ricompattarci vicino a un obiettivo comune, pur di onorare la squadra della nostra città ed è forse la cosa più bella, della quale a missione compiuta, dovremmo andare fieri. Dalla società mi aspetto soltanto che stia al mio fianco, mi supporti in tutte le scelte che sto facendo in questo momento, e devono sapere che una volta concluso questa mission, io sarò sempre a loro disposizione, perché non ho ambizioni di carriera, il mio unico sogno che vorrei realizzare prima di salutare questa terra è vedere nuovamente il Potenza in serie B. Lo si potrà fare soltanto attraverso una programmazione mirata, senza fretta e senza soprattutto svenarsi a livello economico, facendo dei passi giusti, esattamente come si fa a scuola: ai ragazzi si insegna prima a camminare, poi a correre, poi ancora saltare per metterli nella migliore condizione possibile.

d: In quest’ottica di programmazione, se si vuole pensare in grande, deve fare la sua parte anche l’amministrazione comunale, mi riferisco in particolare allo stadio.

r: È una conditio sine qua non, nel senso che la società, gli atleti e i tifosi da soli non ce la possono fare. In questo momento abbiamo fatto tutti quadrato e mi auguro che aldilà del colore politico, tutti insieme possiamo pensare al bene della nostra città in maniera concreta, anche perché nell’amministrazione ci sono madri e padri di famiglia che hanno figli e penso vogliano crescerli in un contesto che dal punto di vista sportivo posso regalare delle soddisfazioni ed essere punto di riferimento per la loro crescita.

SCARICA QUI IL GIORNALE

pg_01_07_09_24.jpg

 

  

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ROSSIELLO Right-Top in posizione n°2

Chi siamo

Publicom Srl, Potenza. Il free-press cartaceo “Controsenso Basilicata” è edito da Publicom S.r.l. - Questo sito non ha periodicità -ControSenso ha sede a Potenza (Basilicata). Si occupa di informazione, cultura, sport, società e satira.


controsensobasilicata@gmail.com