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di Walter De Stradis

 

 

«In Basilicata ci sono stati politici strapagati perché si ritenevano competenti a immaginare il futuro della regione, ma che DELIBERATAMENTE, mentre erano lì, pagati per questo, il futuro dei LORO figli già lo prevedevano FUORI di qua!»

Ottant’anni portati strabene, con i famosi capelli ancora folti (alla Beethoven/ Falcão, anche se una volta a Potland erano convinti fosse Luciano Benetton), Pancrazio Toscano dice ancora la sua. Maestro elementare e dirigente scolastico in pensione, sindaco (socialista) di Tricarico (Mt) negli anni Ottanta e già consigliere provinciale, lo incontriamo mercoledì, poco prima di un importante dibattito sul centenario del compaesano Rocco Scotellaro a cui è chiamato a dare il suo contributo.

d: Oggi (mercoledì 1 marzo), lei è qui a Potenza per partecipare a un incontro al Popolo Bibliotecario, organizzato dal CTAcli, sul centenario di Rocco Scotellaro. Recentemente c’è stata una polemica innescata dal sindaco di Garaguso, Auletta, proprio in merito all’importante ricorrenza: a suo dire, il commissariamento del Comune di Tricarico, a causa dello scioglimento del consiglio comunale, è stato deleterio, tant’è che l’Apt ha presentato il programma degli eventi dell’Anniversario addirittura alla Bit di Milano, non coinvolgendo i territori interessati e le relative amministrazioni.

r: Sono polemiche che lasciano il tempo che trovano. Scotellaro si difende da solo, senza bisogno di crociati. E’ un discorso che parte da lontano: le Regioni hanno tradito la loro missione costituzionale, facendo sì che la vicinanza al territorio si tramutasse in desertificazione. C’è un esodo che generosamente si può definire “biblico”, iniziato nell’immediato Dopoguerra, con apice (temporaneo, perché il fenomeno continua), negli anni Sessanta. Si è spezzata l’identità della Basilicata, e l’intervento delle Regioni ha funzionato solo i primi dieci anni (grazie al trasferimento di funzionari dello Stato). La polemica su Scotellaro appartiene pertanto alla cancellazione della memoria. E fare dunque i “giudici” non ha senso, se non si capisce ciò che è accaduto prima. Ci si ostina a ragionare come se non ci fosse stata una sottrazione di interi blocchi generazionali, con la creazione di un vuoto fra due epoche, riempito dall’idiozia della cancellazione della memoria. Dico spesso, infatti, che la memoria serve per il futuro, non per il passato.

d: E in che misura la memoria di Rocco Scotellaro può essere utile per il futuro della Basilicata?

r: Per tantissime ragioni. L’attualità di Scotellaro è un dato assolutamente vero. Ha fatto cose incredibili, specie se pensiamo che è morto a trent’anni (aspetto che a volte si dimentica, discutendo di lui come se avesse campato fino a tarda età).

d: Qualche intellettuale afferma che Scotellaro è diventato “famoso” proprio perché morto giovane, come i cantanti rock.

r: La morte a volte ha queste funzioni, ma nel suo caso non è così. Bisogna concentrasi su ciò che ha fatto e scritto. Io sono stato in politica per una ventina d’anni (dal 1976 al 1996), cosa che in questa regione è un’ottima maniera per abbassare le prospettive di vita; e posso dire che ciò che in Scotellaro è irripetibile e irripetuto è la capacità di trasformare le decisioni in politica. O meglio, di inserire un approccio colto nelle decisioni. Di questo approccio colto un capitolo rilevante è la cultura del territorio, che a sua volta significa innanzitutto giustizia sociale, equità. Il modello economico, mondiale, di oggi, è invece basato sulla disuguaglianza.

d: E l’Italia (Basilicata inclusa), con tutti questi “bonus”, non si avvicina a quel modello di equità?

r: No. Il rimedio vero (anche per affrontare tragedie come la Pandemia) sarebbe capire cosa fare per almeno ridurre la desertificazione del territorio. Il Pnrr poteva correggere certe cose, ma accadrà il contrario, rischiando di diventare la pietra tombale posta sulla consacrazione delle ineguaglianze, che sono diventate modello economico. E’ un discorso che si basa anche sul disprezzo degli altri (razzismo). Leggasi “biglietto per Torino” di Scotellaro: siamo un Paese razzista, dal condominio al rapporto con le altre nazioni.

d: In Basilicata, in particolare, in cosa si concretizzano le ineguaglianze?

r: La base di tutto è la mediocrità culturale, la totale assenza di futuro. In tutta Italia i capoluoghi di regione hanno svolto ruoli addirittura perniciosi, desertificando di ogni funzione il territorio. Il “capolavoro” assoluto in tutto questo è la sanità. Quando ero maestro elementare, cercavo di spiegare ai bambini l’importanza di vincere quella cultura del sentirsi ombelico dell’universo. La contaminazione infatti ha fatto evolvere il mondo, e la Basilicata, per destino geografico, è il posto più contaminato d’Italia, perché non puoi bypassarlo. Pensi solo ai confini “naturali” dell’area (pur lasciando perdere amenità come “la Grande Lucania” etc.) o alla concentrazione di parchi.

d: Qual è stata dunque la colpa più grande della politica?

r: La mediocrazia. In tutta Italia, non fare il deserto sarebbe costato molto meno che farlo. Ci si è riempiti la bocca con termini quali “medicina del territorio”, ma se lei ricorda c’era quella vecchia battuta che diceva “gli ospedali servono ANCHE ai malati”. Il presupposto era migliorare la qualità del servizio e risparmiare, tutte cose ancora da dimostrare, ma il senso civico non ce ne fa chiedere conto. Ricordo com’era nato il servizio sanitario nazionale, fino a poco prima dell’Ottanta, basato sul principio del diritto alla salute per tutti, con la competenza dei comuni. Ma poi si è arrivati a una cosa come le Asl, la cui creazione trovo addirittura incostituzionale.

d: Perché?

r: Perché è una cosa contraria allo spirito della riforma sanitaria. In origine, come dicevo, si trattava di assemblee di comuni, ma poi c’è stata questa finzione di “rapidità, efficienza ed efficacia” (endiadi purtroppo insegnate nelle università piduiste). La stessa idiozia si è avuta creando le cosiddette scuole “plurimarche”. In un’assemblea sindacale affermai, per provocazione, che sarei morto volentieri se mi avessero dimostrato l’effettivo miglioramento del servizio e soprattutto del risparmio. Ma aggiunsi che ero convinto che avrei rasentato l’immortalità. Ma di queste cose, come dicevo, non chiede conto nessuno. A cominciare dai fenomeni migratori.

d: Eppure tutti i giorni si parla di “fuga dei cervelli”.

r: Nei primi anni del Duemila c’era un assessore, Collazzo, che aveva due grossi difetti per un politico: era colto e onesto. Mi chiese di andare a dirigere l’Ufficio Scuola in Basilicata: lì mi resi conto che il problema reale è capire i meccanismi delle decisioni. Contestualmente capii che non avrei mai più usato i termini “Regione Basilicata”, bensì la circonlocuzione “LE Regioni E LA Regione Basilicata”, perché i problemi erano uguali un po’ dappertutto, ma a cambiare erano “le confezioni” dei problemi stessi. Viene da pensare che agli Italiani forse la democrazia vera non è mai interessata. In una sua poesia Scotellaro dice che è bello essere poveri a Natale perché tutti sono più buoni con noi, ma a Santo Stefano già cambia tutto. Da maestro e poi da direttore (senza contare alcune mie esperienze in Africa) ho scoperto che la “fatica” principale è considerare l’altro come “persona”. E qui arriviamo alle concause che hanno portato alla sottrazione di interi blocchi generazionali.

d: Perché dice che nessuno chiede conto di queste cose? I Lucani spesso vengono descritti come “rassegnati”…

r: Non lo so, ma posso dire che i Lucani, geneticamente, non sono gli stessi che c’erano fino alla fine degli anni Sessanta. Insieme agli emigranti è andata via la DIGNITA’. A chi rimaneva, prevalentemente veniva assegnato un destino di servilismo e di assistenzialismo. All’inizio degli anni Settanta, ci fu una seconda ondata di emigrazione, da parte dei delusi, i cosiddetti “incazzati”. Ma in Basilicata, in realtà non si incazza mai nessuno, perché ciò implica avere una certa consapevolezza. Scotellaro, a soli diciannove anni (!!!) in “Uno si distrae al bivio" afferma: “Vivere è illudersi di non dover mai morire”. Se uno ha questa idea, vuol dire che una strada c’è. Gli “incazzati” che andarono via negli anni Settanta, invece, in non pochi casi sono finiti a fare da manovalanza per la criminalità. Per questo dico, che –fra la Basilicata di oggi e quella di ieri- parliamo di due regioni diverse. La nostra risorsa principale, come dicevo, rimane la nostra posizione, ma per trasformarla in risorsa economica ci vuole testa. Ci vuole l’approccio colto nelle decisioni, che vuol dire innanzitutto conoscere. E non fare disastri.

d: Ho quasi timore a rivolgerle la nostra domanda tormentone: se potesse prendere Bardi sottobraccio, cosa gli direbbe?

r: (sorride). E’ una cosa che vedo molto improbabile, perché non credo che abbia quella concezione della vita di cui parlavo prima, ma è un mio azzardo, una mia cattiveria se vuole. Pertanto, di cosa dovremmo parlare? Gli potrei chiedere, ad esempio, quale sia la sua conoscenza della Basilicata. Le decisioni sembrano parlare di modelli importati. Pensi a lei com’è stato tradotto in periferia, in Italia, il cosiddetto “modello lombardo”, fatto tutto per avvantaggiare i privati. Il punto è che in Basilicata gira quel detto “Quello che per gli altri è raffreddore, per noi è broncopolmonite”. Pensi lei che in una regione come la nostra –in cui l’unico a fare le cose per bene è stato il Padreterno- s’inventa una cosa come Villa D’Agri, distruggendo il paese “padre”, privandosi del paesaggio, e vivendo di un’edilizia che ha messo in campo il peggio del peggio dell’edilizia campana etc. Un politico importante si vantava di aver fatto nel Metapontino la “città lineare”. Pensi lei che Monatalbano Jonico, un paese con una storia rilevantissima, era proprietaria di un pezzo del Metapontino stesso, ma ora non ha nemmeno più un metro lineare di mare! Prima gli hanno “amputato” Policoro, poi Scanzano, in un paese che ha tredici curve da lì alla Jonica, e che sarebbe altrimenti diventato di trentamila abitanti, salvaguardando l’economia. E’ la storia della stupidità umana. Aggiunga che oggi c’è un fenomeno di cui si parla poco: sono i nostri anziani a emigrare, per raggiungere i figli al Nord!

 

 

 

 

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“SiAmo Accettura”, è il nome della prima cooperativa di comunità nata nella provincia di Matera, che ha avuto come promotore il sindaco di Accettura, Alfonso Vespe, che abbiamo raggiunto telefonicamente e si è detto soddisfatto: “Questo mi fa ben sperare di aver imboccato la strada giusta, in particolare perché ho visto un grande entusiasmo impresso sui volti dei protagonisti, sia dei beneficiari che dei soci operatori. Un progetto che potrebbe essere preso a esempio da altri borghi lucani, per poter intraprendere un percorso e implementare un servizio funzionale alla comunità, in particolare nei piccoli comuni”.

d: Di che cosa si tratta e quali sono le finalità?

r: È un modo per provare a tamponare lo spopolamento, cercando di dare opportunità lavorative ai soci che diventano prestatori di servizi, e al tempo stesso di erogare dei servizi ai beneficiari. Questi ultimi possono essere anziani o bambini, nella gestione delle alternative alla scuola durante il pomeriggio o nella stagione estiva, ma anche biblioteche o servizi pubblici. Ci troviamo in una fase di ricambio generazionale, un momento in cui gli enti pubblici perdono i dipendenti storici che vanno in pensione lasciando quindi un vuoto, creando disservizi per quanto riguarda l’espletamento dei servizi essenziali alla comunità.

d: Come nasce questa idea?

r: Risale al 2017 durante il mio primo mandato, facevo parte del Consiglio Direttivo dei Borghi Autentici, in cui si discuteva appunto di queste cooperative di comunità. Da lì, ho coltivato l’idea di poter dare una risposta alle tante richieste che ogni giorno arrivavano nei nostri piccoli centri.

d: A oggi è interessato solamente il Comune di Accettura?

r: Siamo partiti con due servizi: il servizio di assistenza domiciliare (SAD) dedicato agli anziani e un servizio di verde pubblico e manutenzione dell’orto botanico presso il Parco di Gallipoli Cognato. La cooperativa ha partecipato ad un avviso e ha vinto un appalto, quindi è stata mandata una unità presso la struttura a svolgere questo servizio.

d: Sostanzialmente la cooperativa di comunità è un supporto al Comune?

r: Oramai è diventata un’impresa, come Comune abbiamo avuto solamente il ruolo di farla nascere e partire. Chiaramente il Comune li supporterà sempre, proprio perché la cooperativa è della comunità e del territorio, ma devono cercare di incamminarsi da soli.

Ad oggi quante persone coinvolge? Di che età stiamo parlando?

r: Sono 72 soci, di età variabile, ma nessuno supera i cinquant’anni. Sicuramente ci sarà la possibilità per altri cittadini di entrare a far parte della cooperativa successivamente, quando ci saranno nuove opportunità.

Ci sono nuovi progetti per il futuro?

r: Stanno già cercando di mettere su un’idea progettuale da proporre al Comune, per gestire alcuni beni del patrimonio comunale, bisognerà attendere solamente le tempistiche burocratiche.

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di Walter De Stradis

 

 

 

Il libro che meglio lo rappresenta (anche se al momento non gli sovveniva il titolo) è la storia di un amministratore che, nonostante gli sforzi per il suo paese, alla fine tira i remi in barca e cade pure nel dimenticatoio. Lo cita perché lui è convinto del contrario: lavorando bene per la propria comunità, un segno lo si lascia eccome.

Franco Gentilesca, quarantaseienne avvocato che si occupa di infortunistica stradale, con un intenso passato in Italia dei Valori, da giugno scorso è il sindaco di Ruoti (Pz).

d: Negli ultimi anni, per quanto attiene al Comune di Ruoti, si è più che altro parlato del clima “litigioso”, ovvero di denunce, alterchi e quant’altro, senza contare la triste vicenda oggi al vaglio della magistratura (gli atti persecutori ai danni dell’ex sindaca Scalise – ndr). Poco si parla, in effetti, di ciò che SI FA a Ruoti dal punto di vista amministrativo, e del modo in cui vengono magari percepite la politica regionale e la vicinanza al capoluogo di Regione.

Ma iniziamo dal principio: lei come giustifica la sua esistenza?

r: La mia “esistenza”, purtroppo, si giustifica proprio in riferimento a ciò che accennava lei, perché sono stati mesi, anni, molto difficili, per noi come amministratori (mi riferisco in primis alla sindaca Scalise, che mi ha preceduto), ma soprattutto per la comunità. La mia “esistenza” nasce perché a Ruoti c’era una politica che era già vecchia e vetusta quando mi candidai per la prima volta al Consiglio comunale vent’anni fa (prendendo solo trenta voti); pertanto ho deciso di rimanere nel mio paese, e di cambiare delle cose.

d: Lei è avvocato, e si occupa di infortunistica stradale. Ha uno studio qui a Potenza con periti etc. In città è divampata la polemica sull’autovelox di Varco D’Izzo (per come è stato posizionato), che ha visto alcuni automobilisti ricorrere al Giudice e accusare il Comune di “voler fare cassa”. Visto che è il suo settore (da un doppio punto di vista), cosa ne pensa?

r: A mio avviso è discutibile tutta la polemica, così com’è nata. Poi possiamo anche ragionare se l’Autovelox è stato posizionato bene o male, ma se è stato messo lì, sicuramente ci saranno stati dei controlli e delle autorizzazioni di sorta; poi, dall’altra parte, molte volte si trova il cavillo per farsi annullare la multa. Onestamente, ritengo che, in quel punto, a ridosso di un’uscita autostradale, praticamente già nel centro abitato (Varco d’Izzo è una zona abitata), mettere un limite di 70/80 km orari sia corretto. Io ho preso anche la multa.

d: Eh, è stato multato anche lei?

r: Sì, e molto spesso è sintomo di una distrazione (cellulare, radio, la chiacchiera con l’amico a fianco), perché la segnaletica ci sta ed è anche riproposta più volte. La stessa cosa succede con l’altro autovelox sulla Potenza-Melfi, e anche lì ne ho presa più di qualcuna. Però lì siamo su un tratto di strada importante, ove si sono verificati numerosi incidenti, anche mortali, alcuni dei quali mi hanno visto interessato in veste professionale. Insomma, il problema c’è, e non possiamo pensare alle soluzioni solo a incidente (mortale) avvenuto.

d: Lei dunque ha sempre pagato, senza fare opposizione?

r: Per quanto riguarda questi autovelox, sostanzialmente sì.

d: Alcuni cittadini però riflettono su un altro aspetto. In Italia. oltre un certo tasso di interesse, si applica (giustissimamente) il concetto di “usura”; tuttavia, nel caso di una multa che si raddoppia o triplica -se non pagata entro un certo termine, anche breve- va tutto bene. Viepiù che adesso le amministrazioni comunali le notificano via PEC, e ad alcuni cittadini capita di accorgersene troppo tardi, perché magari quella posta elettronica in realtà non la utilizzano. Un nuovo modo di fare cassa?

r: Guardi, di questo mi sono trovato a discutere con alcuni cittadini, anche perché noi abbiamo informatizzato alcuni servizi, dal trasporto locale alla mensa. I cittadini, quando devono usare la tecnologia per cose come social o ricerche online, sono tutti bravi; però se non ci va a genio una notifica sulla PEC, il discorso cambia. Oggi è una prassi quotidiana ed è normale dover controllare la PEC, al pari della scadenza dell’assicurazione. I comuni stanno investendo tanto nella strumentazione informatica, e il cittadino non se ne può sempre uscire affermando “non ho visto”.

d: Però, come accennavo, gli aumenti esponenziali paiono comunque ingiustificati, soprattutto in presenza di “spese zero” per la notifica, che appunto ora avviene via PEC.

r: Beh, questo è un discorso che va fatto a livello nazionale. Personalmente non lo trovo giusto, ma –come dicevo- chi lo critica non sempre si raffronta con la realtà.

d: Veniamo al Comune di Ruoti: qual è la pratica in cima alla “pila” sulla sua scrivania di Sindaco?

r: Una cosa che è il fiore all’occhiello dei due anni e mezzo di percorso condiviso con la Scalise, e di cui questi miei sette mesi da sindaco sono la prosecutio: il Servizio di Segretariato Sociale.

d: Di cosa si tratta?

r: Di inserirsi a gamba tesa nelle politiche che venivano portate avanti da quarant’anni, e rassicurare il clima sociale; non poteva essere un dipendente comunale a sapere i fatti delle famiglie disagiate, o un sindaco a decidere a chi pagare le bollette, o un altro soggetto a decidere chi aiutare o meno (col rischio che diventasse anche scambio elettorale). Abbiamo dunque creato questo Servizio, di cui fanno parte un assistente sociale e uno psicologo, che affronta quelle che sono le problematiche delle famiglie: la casa, i figli piccoli, le donne sole, gli anziani. Noi arriviamo dunque a investire delle somme senza sapere chi sia l’utente finale. E non ci deve interessare, perchè il fatto se magari abbia votato o meno non deve rischiare di diventare merce di scambio.

d: C’è un’emergenza particolare in questo senso a Ruoti? Ci sono molte famiglie disagiate, molti anziani soli…?

r: Di certi aspetti non s’era mai tenuto conto: noi cerchiamo di far capire al cittadino che ha dei diritti, ma che naturalmente ci sono anche dei doveri. Nessuno si deve sentire succube di un’altra persona, né sfruttato, né tantomeno peggiore, o migliore. In merito alla sua domanda, posso dire che prima del nostro intervento c’era assenza totale, noi abbiamo già rinnovato questo Servizio, senza contare altri interventi come il trasporto scolastico…

d: I dati sulla povertà nella provincia di Potenza sono allarmanti.

r: A Ruoti ci sono oltre cento persone che percepiscono il Reddito di Cittadinanza, il che lascia presagire tutta una serie di disagi familiari dal punto di vista economico. Di questi, posso dire che solo una decina riescono a mettere “in circolo” quello che era il senso del Reddito di Cittadinanza, ovvero lavori di pubblica utilità. Il resto sono persone anziane, persone con patologie particolari, persone esentate per difficoltà familiari, e alcuni altri che frequentano corsi di formazione. In ogni caso, solo dieci su cento sono sintomatici di una problematica che c’è. Pertanto la misura va confermata, ma ha certamente bisogno di essere migliorata, proprio nell’ottica di “diritti e doveri” a cui facevo riferimento prima.

d: Quali sono i rapporti col sindaco e l’amministrazione di Potenza?

r: I rapporti con Guarente sono ottimi, più che altro personali, ma in generale c’è un ottimo rapporto con l’amministrazione del Capoluogo. Cerchiamo anche di fare qualcosa insieme: penso a una parte del bosco di Ruoti, su cui adesso si può intervenire grazie alla misura 85. Abbiamo delle problematiche sulla sicurezza urbana per le quali ci interfacciamo con Potenza: stiamo posizionando delle telecamere, partendo da Cerreta in corrispondenza dell’incrocio col Capoluogo, che abbiamo coinvolto il per una piccola parte del progetto.

d: Telecamere per monitorare cosa?

r: Abbandono dei rifiuti e sicurezza dei cittadini. L’importante adesso è creare una base di dieci postazioni, per poi magari implementare l’hardware in base ai fondi disponibili e anche magari alle indicazioni del Prefetto.

d: A Ruoti c’è anche un problema di “mala movida” come qui a Potenza?

r: No, solamente piccoli furti nelle abitazioni, per i quali certe misure possono essere sicuramente un deterrente. E poi c’è il “classico” abbandono dei rifiuti, sempre scocciante, anche perché noi disponiamo di un servizio porta a porta che funziona e dal mese prossimo partiamo con un nuovo strumento che coinvolge quattro comuni, con venti milioni di euro, per cinque anni. E’ infatti sconfortante veder portare in discarica del materiale che invece potrebbe essere conferito normalmente.

d: Il centro storico di Ruoti, come accade in altri paesi lucani, è bello, ma vuoto.

r: Bello, ma vuoto…però abbiamo investito su dei “graphic novel”, ovvero dieci quadri in 3D e illuminati, appesi ai muri degli edifici, che raccontano (tramite lettura QR) di alcuni personaggi storici del paese. Senza contare l’investimento di 50mila euro per sistemare (coinvolgendo i cittadini) tutta una serie immobili fatiscenti che erano diventati pericolosi, nell’ottica anche di riqualificarli come borghi-alberghi o sedi di associazioni.

d: Il papà di Vito Bardi, presidente della Regione, è nativo di Ruoti (tant’è vero che di recente avete omaggiato il Governatore di quel certificato di nascita). Se potesse prendere Bardi sottobraccio (ammesso che non l’abbia fatto già), cosa gli direbbe?

r: Di stare attento, come probabilmente già fa, ai giovani e alle nostre piccole comunità: volenti o nolenti siamo il motore pulsante dell’economia, fatta di piccole botteghe, di piccoli imprenditori, che poi sono quelli che ancora riescono a trattenere i giovani nei nostri territori. Mentre a volte si parla soltanto delle grandi aziende, come la Fiat, che magari interessano personale pugliese etc. Noi sindaci, come magari le hanno già detto altri colleghi, facciamo veramente di tutto, ma non ci possiamo sostituire ad altri enti.

 

 

 

 

 

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ANTONELLA SABIA

 

In queste ultime settimane,

anche grazie alla neve che

è caduta frequentemente

e in maniera abbondante

sulle montagne, la Sellata

è stata uno dei luoghi presi

d’assalto, non solo dagli stessi

lucani, ma anche da turisti

provenienti dalle vicine Puglia

e Campania. Le piste da sci

sono da sempre un’attrattiva

di quelle zone, ma purtroppo

si constata ancora oggi una

certa qual approssimazione

e inadeguatezza nel ricevere

un grande numero di persone

contemporaneamente. È quanto

ci ha riferito anche Donato

Pessolani, dello storico “Parco

Ricevimenti Hotel Pierfaone”

(situato nell’omonima contrada

di Abriola, in provincia di

Potenza), che con le sue

parole vuole invitare le

amministrazioni, comunali,

Provincia e Regione, a cercare di

rendere più accogliente la zona,

onde poter ospitare sempre più

persone, non solo per il tempo di

una sciata, ma -perché no- anche

per weekend lunghi; creando

inoltre attrattori, non solo per il

periodo invernale, ma anche per

la primavera e l’estate, quando

in tanti si spostano dalle città

afose per cercare refrigerio in

montagna.

d: Gli ultimi weekend tanti turisti

hanno affollato le montagne

della Sellata, ma sono stati

riscontrati anche diversi

problemi…

r: La Sellata è un posto conosciuto

e soprattutto ambito da pugliesi

e campani sia nel periodo

invernale sia in quello estivo. In

queste ultime settimane abbiamo

avuto un grande affl usso di

persone, ma purtroppo la

strada provinciale richiede un

po’ di manutenzione, abbiamo

avuto un piccolo contrattempo

con un ponticello, poiché ci

sono voluti sei mesi per poterlo

ristrutturare. La prima richiesta

che mi sentirei di fare agli enti di

competenza è quella di realizzare

infrastrutture e parcheggi, ma

anche piazzole di sosta, da

supporto a una stazione sciistica

che allo stesso tempo deve essere

organizzata. Ad oggi, infatti, la

struttura è sottodimensionata, e

quindi non è possibile ospitare

tanta gente, tanto che gli stessi

parcheggi purtroppo bisogna

ricercarli sulla provinciale. Il

Comune di Abriola, la provincia

di Potenza con il supporto della

Regione, dovrebbe quindi fare

in modo di ampliare questa

stazione sciistica, aumentare sia

servizi necessari. Il mio è solo

un consiglio, perché ci rendiamo

conto che la Sellata è un posto

molto richiesto.

d: …ma ci sono spazi per poter

ampliare sia la stazione

sciistica, sia per creare nuovi

servizi?

Certo, ci sono gli spazi, ma

soprattutto la strada che va

dalla Sellata alle piste sciistiche

di PierFaone ha bisogno di

essere allargata, altrimenti è

congestionante, in particolare

quando c’è un grande affl usso

di macchine in particolare nel

weekend. Servirebbero più bar,

più ristoranti, la zona andrebbe

ampliata sotto tutti i punti di

vista.

d: Ma qui al Sud, in particolare

in Basilicata, secondo lei c’è la

cultura e una forte attrattiva

verso il mondo dello sci tanto

da pensare di poter vivere di

turismo invernale?

r: Se non creiamo dei servizi, non

possiamo nemmeno pensare

di dare delle risposte. Sono

oltre quarant’anni che sono nel

mondo della ristorazione, queste

aree diventano importanti e

funzionali alla stagione, si

parte con il weekend, per poi

riempire le settimane e fi nire

con le stagioni. Bisogna però

cominciare da qualche parte,

la montagna di Pierfaone -non

solo d’inverno- può risultare

attrattiva per via della neve, ma

sarebbe fondamentale pensare

di renderla fruibile anche in

primavera e d’estate, con dei

percorsi naturalistici, sentieri, e

anche per questo, gli enti locali

dovrebbero intervenire sulla

mappatura della montagna per

creare curiosità tra le persone;

sia per chi vuole trascorrere

qualche momento immerso

nella natura, sia per chi invece

lo fa per benessere fi sico. Io

credo ci siano delle grandissime

possibilità potenzialità ed è

possibile lavorarci sopra: è

vero, non saremo Madonna di

Campiglio o Courmayeur, ma

posso garantire che da Matera,

dalla Puglia e dalla Campania,

in estate fuggono per cercare

refrigerio in montagna.

d: Non avete mai pensato di

poter creare un comitato/

associazione di ristoratori,

commercianti della zona

proprio al fi ne di scambiarsi

delle idee, dei consigli per

migliorare la zona e renderla

più turistica?

r: Purtroppo, noi siamo pochi, la

domanda sulla cultura turistica

invernale è intelligente, ma

dobbiamo essere i primi a

crederci, io ci credo. Però,

se come dicono, la scorsa

settimana sono arrivate quasi

3000 persone per sciare, ma

non hanno trovato accoglienza,

servizi a suffi cienza, bagni

e fasciatoi per bambini o

armadietti per conservare gli

sci, come si pensa che queste

persone possano ritornare da

noi? Non dobbiamo essere

disfattisti, si può fare, bisogna

crederci, ma bisogna mettere in

campo una progettualità mirata

allo sviluppo di quella zona, non

attraverso contributi a pioggia.

Servono poi anche camere a

supporto di quanti vogliono

fermarsi anche a dormire e

trattenersi qualche giorno in più.

D: Sempre su queste pagine, la

scorsa settimana, abbiamo

riportato la notizia che negli

scorsi giorni la zona è stata

dotata anche di un punto

medico.

r: Grazie a S.E. il Prefetto è

arrivata un’autoambulanza

con presidio fi sso, almeno nel

weekend, in quelle giornate

in cui si prevede un grande

affl usso. Pertanto, avendo

riscontrato che la sellata è un

luogo appetibile, auspichiamo

di poter avere presto più servizi

e infrastrutture. Noi per primi

siamo rimasti piacevolmente

colpiti e stupefatti da tutta

questa gente che è arrivata

nelle ultime settimane, ma

purtroppo non siamo stati bravi

a ospitarli perché l’area non è

totalmente attrezzata. È chiaro

che nel futuro non potremmo

continuare a dire che tutta

questa gente “non era attesa”,

bisogna invece organizzarsi

per tempo. È ovvio che per

questa stagione invernale, gli

operatori cercheranno

di

fare quello che è nelle

loro possibilità, ma

possiamo sicuramente

iniziare a lavorare per

le

stagioni calde, e non

farci trovare impreparati

per il prossimo inverno.

La

struttura sicuramente

la necessità di

innevamento artifi ciale,

perché non si può

programmare una

stagione turistica non

sapendo effettivamente

quali saranno le condizioni

climatiche a lungo termine.

L’estate però è alle porte e quindi

ci auguriamo che tutti insieme

possiamo lavorare per

creare percorsi dedicati

ai turisti.

 

Il Presidente della

Provincia di Potenza,

Christian Giordano, ha

disposto, la riapertura al

transito del tratto di strada

della SP 146 "Marsico

Nuovo- Lama - Sellata", in

prossimità degli impianti

sciistici di Abriola-

Pierfaone (Potenza).

L'ordinanza è stata

emessa appena terminata

l'installazione delle barriere

di sicurezza in acciaio bordo

ponte ed è stato asfaltato

il tratto di strada cosi da

poter garantire la regolare

transitabilità in sicurezza

del ponte, del quale è stato

sostituito l'impalcato.

Negli scorsi weekend, il

divieto di transito aveva

causato problemi di ordine

e sicurezza pubblica,

dato l'enorme affl usso

di turisti della neve nel

comprensorio sciistico, al

punto da far convocare al

prefetto di Potenza, Michele

Campanaro, l'osservatorio

provinciale per l'ordine e la

sicurezza pubblica.

 

 

 

di Walter De Stradis

 

 

 

 

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di Walter De Stradis

 

«Pasolini aveva la faccia scavata come i nostri contadini, sembrava uno del paese».

Da piccolo è stato una delle comparse del film “Il Vangelo secondo Matteo”, girato in parte anche nel suo paese d’origine, Barile, in provincia di Potenza. Pare che il grande regista friulano, sapendo che era il figlio del sindaco missino, scherzosamente lo “obbligasse” a fare il gesto del pugno chiuso. Poi Pasolini si girava e il bimbo per ripicca gli faceva il saluto romano alle spalle.

Il suo ultimo libro, pur trattando della “transumanza perduta”, non è un testo “nostalgico”, però lo stesso «bisogna ripartire del passato», specie in questa società troppo “tecnologica” e spesso distratta. «I valori della terra non sono cose di cui vergognarsi, ma vanno riscoperti. La nostra classe dirigente si è formata grazie ai sacrifici di contadini, piccoli borghesi, artigiani e pastori».

A parlare è il sessantottenne Emilio D’Andrea, giornalista, poeta e scrittore, con un passato in politica (è stato consigliere regionale e comunale di centrodestra), che –dopo numerosi testi di poesia e saggistica, e un buon numero di riconoscimenti ricevuti- approda alla pubblicazione del suo primo romanzo “Tutti i colori del’arcobaleno – La transumanza perduta” (Effigi).

d: Giornalista, scrittore, poeta e in passato anche politico…o politici si resta tutta la vita?

r: Più che “politico”, diciamo che mi sono sentito “figlio d’arte”, perché -come sa- mio padre ha fatto il sindaco a Barile. E poi, essendo cresciuto appunto in un piccolo borgo, posso dire senza retorica di essermi sempre interessato ai bisogni del cittadino, intendendo la mia attività come “servizio”.

d: Per cosa dovrebbero ricordarla i cittadini di Barile?

Beh, innanzitutto, per la legge sulle minoranze etnico linguistiche (Barile è un paese arbereshe): io ero all’opposizione, ma devo dire che ho trovato colleghi della maggioranza molto sensibili al tema. Questa legge ha fatto da apripista a quella nazionale, la famosa Legge 40.

d: Ma il suo percorso politico è finito del tutto o si è solo interrotto?

r: Da quando avevo vent’anni ho fatto sempre il “portatore d’acqua”, sostenendo via via nei comizi persone come Buccico (un grande oratore) e Filippo Margiotta (l’uomo gentile che si presentava agli elettori con una rosa). Dopo vent’anni mi candidarono, “di prepotenza”, alla Camera, e fu comunque un successo (presi 27mila voti “contro” il compianto, e molto noto, Tuccino Pace). Poi, nel 1995, mi “obbligarono” di nuovo…anche perchè alcuni “amici” potentini volevano solo sfruttare le mie capacità oratorie e aggregative, ma col reale intento di “bruciarmi” e farmi fuori. Ma quella volta tutto il partito (An) fu sconfitto, inteso come “burocrazia”, non certo come idee o programmi. Avevo “accettato” An (pur essendo ideologicamente contro), soprattutto perché Fini aveva detto che non avremmo rotto col passato; ma quando poi invece disse che il fascismo era il male assoluto beh…per carità, con tutti i mali del fascismo (il primo era stato proprio mio padre a parlarmene: le leggi razziali, la guerra)…

d: Mi faccia capire: sta dicendo che Finì sbagliò a dire che il fascismo era il male assoluto?

r: Buttò tutto alle ortiche, senza salvare nulla.

d: Quindi, secondo lei, qualcosa del fascismo andava salvata?

r: Non lo dico io, ma Renzo De Felice e tanti altri storici americani e inglesi. De Felice aveva addirittura una cultura di sinistra, ma certe cose le hanno dette anche Giampaolo Pansa e altri. Per carità, nessuno mette in dubbio che dittatura, olio di ricino, purghe, omicidi, manganellate, leggi razziali, guerra, assolutamente no, non vanno, bisogna essere contro. Tuttavia, bisogna calarsi nel momento storico, in cui il fascismo aveva a che fare con le grandi potenze…

d: Mi dica allora qual è stata una cosa buona, secondo lei.

r: Beh, la legge pensionistica, la riforma degli ospedali, la riforma della scuola…il codice Rocco (anche se con le sue difficoltà), la legge con la quale il Prefetto negò l’intitolazione a mio padre, una legge fascista del 1926.

d: Ecco, spieghiamo a chi legge: qualche anno fa, il prefetto di Potenza (non quello attuale), in vista dell’intitolazione della sala consiliare del Comune di Barile a suo padre (Andrea D'Andrea), aveva chiesto di sospendere la manifestazione, con la motivazione, mi par di capire, che suo padre era stato fascista…?

r: ...beh, era stato iscritto al partito fascista. Il Prefetto comunque bloccò tutto. Ma quella proposta di intitolazione veniva da una giunta di centrosinistra con l’appoggio di tutta l’amministrazione (in cui non c’era nessun rappresentante del centrodestra). Inoltre, erano già passati cinquant’anni da quando mio padre era morto, ma ci furono l’Anpi e qualche detrattore locale che, anziché parlare di “pacificazione” o di riconoscimento delle qualità- si appellarono al Prefetto. All’epoca al Governo c’erano la Lamorgese, Speranza…non voglio dire che i Prefetti dipendono dai ministri, ma certo l’influenza si sente. Non voglio fare comunque dietrologia o complottismo, ma sta di fatto che il Prefetto fermò tutto. Io feci la mia controproposta, segnalando tra l’altro che la legge richiamata era fascista.

d: Cioè, una legge fascista bloccava un’intitolazione…con la motivazione del fascismo?

r: Esatto, un controsenso vero e proprio. Il Prefetto non ci ha mai ricevuti (anche solo parlare sarebbe stato utile) e l’intitolazione è stata revocata. Oggi ho chiesto nuova udienza al Prefetto e al nuovo direttore dell’Archivio di Stato, per poter andare a vedere finalmente questa famosa e fantomatica “carta” (che chi ha fatto la segnalazione non poteva neanche avere, in quanto esclusiva per la magistratura o per i parenti).

d: E questa “carta” cosa diceva?

r: Che papà era stato nelle milizie (“milizia volontaria per la sicurezza nazionale” - ndr), che però erano solo sulla carta, a parte le esercitazioni, un esercito di volontari. E’ questa è quella democrazia in cui è ancora latente il rancore: papà ha fatto del bene, non si è arricchito, al più ha venduto qualche campagna. Ancora oggi alcuni anziani se lo ricordano. Ha lasciato una buona amministrazione, bilanci in regola. Uno storico locale di Rionero, Antonio Cecere, ha fatto una ricerca in tutti gli archivi, a proposito delle opere meritorie, di quello che –tra l’altro- è stato il primo sindaco dell’età repubblicana, e per dieci anni. Anche questa cosa gli è stata riconosciuta.

d: Ma lei non mi ha risposto: carriera politica finita, la sua, o solo interrotta?

r: No, la politica attiva è finita. Come dicevo, con Fini ruppi definitivamente, anche perché strizzò l’occhio alla sinistra (senza contare quel fuori-onda in cui diceva, con un giudice, che Berlusconi avrebbe fatto la fine di Ceausescu). Nel 2005 ho scritto un libro, “Lo Spergiuro”, che parla proprio di lui: mi sono avvalso di tutta una documentazione che comprova le cose che ho scritto, sulla sua vita privata, su tutto il suo cammino politico. Non tutto ciò che luccica è oro, come si suol dire: Fini è stato un “buon prodotto” di Almirante che di suo sperava di campare altri dieci anni, ma così non fu. Speravo che Fini mi denunciasse, ma non è accaduto. In breve, a un certo punto aderii a Forza Italia (ma da uomo di destra sociale mi ci sentivo un po’ stretto), e poi passai con la Meloni e fui candidato al Senato…ma questa legge elettorale è sbagliata.

d: Dopo tanti anni, in Basilicata c’è per la prima volta un governo di centro-destra. Qual è la sua valutazione?

r: E’ stata soprattutto una risposta agli errori del centrosinistra: i litigi per il potere, tutte le magagne nella sanità, enti sub ragionali e quant’altro. Dopo quarant’anni anche loro erano lacerati. I Lucani sono dei pecoroni? Non credo, alla fine, la gente tanto stupida non è. E’ vero, magari è un po’ rassegnata, si adagia, ma poi…Quella del centrodestra era una scommessa. Io stesso sono stato critico con Bardi, anche se all’inizio mi ero entusiasmato, presentandolo anche in un comizio.

d: Quindi poi si è disilluso?

r: Beh, poi c’è stato un lassismo, un distacco tra il governo regionale e i cittadini. Loro dicono, forse anche giustamente, che hanno trovato troppe magagne pregresse, però dopo tre/quattro anni, la gente di cambiamenti non ne ha visti molti. Ultimamente, però, col bonus gas, col buono casa, con la Merra che sta lavorando bene, col buon lavoro fatto da Gianni Rosa in tema ambiente petrolio…stanno riprendendo quota. Oltretutto, come sa, la gente si ricorda soprattutto le ultime cose: tra poco si va a votare e quindi… speriamo bene. Anche se questo Bardi che va sempre a Napoli e che si vuol riproporre…beh, la gente lo vuole vedere più in giro, non soltanto per tagliare nastri. Se lo riconfermeranno, è chiaro che io lo voterò, ma io auspico anche un certo cambiamento. Le gente, dopotutto, chiede piccole cose e risposte immediate.

d: Lei ha parlato della “Merra che sta lavorando bene”; il suo libro parla di “transumanza” (e quindi anche di “tratturi”); e ha detto che i Lucani non sono “pecoroni”. Ma cosa ne dice della situazione delle nostre strade?

r: C’è una situazione atavica, che si porta dietro tante storture. Con lo smembramento delle province è inoltre venuto meno un controllo specifico su questo tema. Però, ripeto, la Merra sta lavorando bene, con quei progetti sui passaggi a livello da togliere etc. Insomma, un progetto generale c’è.

d: Ma cos’è che la fa incazzare, oggi?

r: Mi fa incazzare quando devi raggiungere una città come Venosa e le strada è piena di buche. Mi fa incazzare quando una persona malata deve raggiungere un ospedale ed è bloccato dalle frane. Ma, come dicevo, si tratta di problemi atavici, che hanno anche a che fare con la morfologia particolare del territorio. Mi auguro che si trovino soluzioni in un tempo ragionevole. La Basilicata ne ha bisogno.

 

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Nato ad Acerenza sessantatrè anni fa, da trenta vive e lavora in Romania, ove è presidente di Palazzo Italia, un incubatore di imprese (al momento cinquantacinque), che sostiene il made in Italy (e il made in Basilicata) nell’area balcanica e nel nord della Germania. Il tutto attraverso la promozione dei prodotti Italiani, ma anche il sostegno a quelle attività che puntano alla internazionalizzaizone, offrendo sedi alle imprese in procinto di delocalizzarsi, facendo anche da “sponda” per corsi Erasmus e ospitando persino il “desk dei Comuni” (con cui si interfacciano, ad esempio, tanto Acerenza stessa, quanto Sant’Angelo Le Fratte). Senza contare, inoltre, una Scuola di Formazione Professionale in ambito Ristorazione, curata dall’Associazione Cuochi Italiani, che promuove anche nelle scuole pubbliche, sin dalle elementari, il concetto di “sana alimentazione”, possibilmente Lucana. La sede di Palazzo Italia è ubicata nell’area nord-est di Bucarest, ed è lì che il nostro collaboratore Rocco Esposito ha raggiunto Giovanni Baldantoni, per quella che è la prima “intervista a pranzo” che abbiamo realizzata all’Estero.

«Una delle nostre mission –spiega Baldantoni- è l’educazione alimentare per uno stile di vita salutare, rivolgendoci soprattutto alle nuove generazioni. Insegniamo a utilizzare correttamente i prodotti. Attribuiamo ai ristoranti un “certificato di qualità”, il brand “Origini Italiane”, e sosteniamo il mondo femminile (con “Donna Chef”), ovvero la donna intesa come madre responsabile dell’alimentazione del bimbo, sin dalla nascita. Veniamo inoltre da un’esperienza realizzata il 14 gennaio scorso proprio a Potenza, in occasione dell’evento internazionale di boxe organizzato da Peppe Gruosso (mio figlio, Fabrizio Baldantoni, è il vice presidente vicario della Federazione Pugilistica Italiana). In quei giorni Potenza, per quanto riguarda la boxe, è forse diventata il cuore dell’Europa, se non del mondo. Per noi Palazzo Italia, così come per l’Associazione Cuochi e per Coldiretti, è stata un’occasione per promuovere la sana alimentazione, contro i cibi sintetici. Io stesso, sul ring, a mo’ di ragazza col cartellone, ho presentato la “piramide alimentare”».

d: Lei ha un passato da imprenditore e da sportivo… ma perché proprio la Romania?

r: Perché la Romania è stata scelta trent’anni fa in quanto piazza suscettibile di espansione, non tanto per guadagnare dalla Romania stessa, quanto per vederla come mercato. Noi abbiamo creduto in questo mercato per esportare il Made in Italy (compresi anche i prodotti del settore edilizia etc.). Tuttavia è importante considerare anche che la Romania, nell’area balcanica, rappresentava il momento opportuno, quello di passaggio fra la fine del regime comunista (con la caduta del Muro di Berlino), e l’adesione all’Europa, avvenuta nel 2008. Noi però siamo qui dal 1993, e nel frattempo la Romania è cambiata, si è innovata, ha aderito perfettamente alle regole europee e speriamo che presto adotti come moneta l’Euro. Speriamo inoltre che crescano le retribuzioni salariali in modo tale da far crescere il potere d’acquisto del cittadino, e di conseguenza il commercio.

d: Quanto è stato difficile confrontarsi con un Paese diverso, a cominciare dalla lingua, assai peculiare, e di cui –tutto sommato- in Italia si ha solo una visione parziale, soprattutto del mondo del lavoro (le attività di badante per le donne, e di agricoltore per gli uomini).

r: Noi comunque già lavoravamo sull’Estero, avendo l’obiettivo si esportare prodotti italiani; per cui parlavo già bene il Francese e l’Inglese e pertanto non riscontravo alcuna difficoltà. Pensi che noi abbiamo lavorato molto anche con la Serbia, con la Russia, con tutta l’area balcanica, ma anche con la Francia etc. A un certo punto abbiamo deciso di restare qui, in virtù della vicinanza, ma anche della similitudine, col nostro Popolo (non dimentichiamo infatti Traiano e la strada Traianica). La definirei una vicinanza del Popolo “Romano” al Popolo “Rumeno”. Non dimentichiamo, inoltre, che nel Secondo Dopoguerra il centro della Romania e le aree più interessate dalle cave di marmo erano state destinazione dell’emigrazione di pietrai, marmisti e scalpellisti. E poi in certe aree ove si estrae il petrolio ci sono venuti ingegneri ed architetti del Nord Italia. Di rapporti, insomma, ce ne sono stati tanti.

d: In questo Paese tuttavia forse non sono abituati all’immigrazione da altre nazioni, come lo siamo noi in Italia, e certo un Italiano che viene qui e diventa qualcuno deve aver in qualche modo fatto “sensazione”. Pertanto immagino che qualche difficoltà ci sia stata all’inizio.

r: Come accade a tutti gli emigrati, è normale che quando vai all’Estero sei guardato dall’alto in basso. Chiarito questo, uno deve avere la forza, il coraggio e la costanza per fare qualità, essere esperti in ciò che si fa, dare suggerimenti giusti, fornire le corrette prassi di crescita per tutti, formare il personale e fornire qualcosa di innovativo e di duraturo.

d: Sì, ma da Italiano è stato più difficile o più facile?

r: Nel momento in cui siamo arrivati noi, gli Italiani erano ben visti, come in tutto il mondo. Ancora oggi è così, ma va detto che i Rumeni sono ormai cresciuti tanto da affrontare ogni tipo di attività, ogni tipo di competizione. Per noi è stato particolarmente importante, in un’area geografica in cui registrava un problema di patologie cardio-vascolari, diffondere l’educazione alimentare, che era qualcosa di nuovo.

d: Avete ricevuto aiuti dalle istituzioni italiane? E oggi qual è il vostro rapporto con esse, Ambasciata compresa?

r: Posso dire che l’Ambasciata Italiana, col suo Istituto commerciale estero, è sempre stata in giro per il mondo a promuovere il Made in Italy in maniera istituzionale, tutto qua. Noi non abbiamo un rapporto importante con l’Ambasciata perché ci occupiamo del mercato rumeno; abbiamo dunque rapporti con le istituzioni rumene, con i produttori italiani che vogliono esportare. Sette anni fa, qui in Romania, fummo i primi a organizzare la “Settimana della Cucina Italiana nel Mondo”. Sa bene, inoltre, che i rapporti degli Italiani con le ambasciate dipendono dai diplomatici, e lei dunque ha toccato un tasto ancora dolente per noi che viviamo all’Estero. In tutto il mondo ambasciate e consolati hanno dovuto ricevere tantissime sollecitazioni, ma la Romania era ancora un Paese con pochi emigrati e quindi, probabilmente, era poco interessante rispetto alle altre. Tuttavia, l’Istituto Italiano di Cultura, l’Istituto Commerciale estero, gli stessi ambasciatori e gli stessi consoli hanno cercato di dare quello che hanno potuto.

d: Lei però è venuto qui, in un Paese ancora “fresco” di Ceausescu…

r: Sì, ma c’era la Blefari Melazzi che è stata un’ambasciatrice favolosa. Ma oggi come oggi, in un Paese comunitario, l’Ambasciata diventa sempre meno importante dal nostro punto di vista, mentre per le relazioni diplomatiche rimane alla base di tutto. Se posso dire la mia, andrebbero messe a punto però diverse altre cose, che valevano tanto ieri per gli emigranti in America con la valigia di cartone, quanto oggi per noi che stiamo in un Paese di nuova emigrazione, come l’area Balcanica. Questa è una zona che riceve le persone, dà quello che può, ma poi dobbiamo essere bravi noi a collocarci, perché c’è molta competitività e molta concorrenza.

d: Lei dunque si sente un “emigrante”?

r: Lo sono sempre stato, mi sentivo cittadino del mondo già da quando vivevo in Italia e, con cinquecento dipendenti, esportavo appunto nel mondo. Noi oggi offriamo crescita all’estero, non solo in Romania, ma anche in Bulgaria, Moldavia, Ungheria e nel nord della Germania.

d: Torniamo al discorso dell’Euro: in molti in Italia il cambio della moneta lo hanno considerato alla stregua di una “truffa”. Non teme che, col passaggio all’Euro, anche qui possa riversarsi un rischio speculazione?

r: No. La speculazione continua a esserci proprio perché qui c’è ancora la moneta locale. Di sicuro il passaggio sarà traumatico, come lo è stato in Italia. Ma se si vogliono intercettare i finanziamenti della Comunità Europea bisognerà affrontarlo. Detto questo, la Romania ha dato una possibilità importante all’Italia: circa diecimila studenti italiani hanno avuto QUI la possibilità di studiare Medicina, di fare attività medica e chirurgica; cosa che, invece, i politici italiani –con i “numeri chiusi”- non hanno ancora capito, e cioè che bisogna “aprire” le porte delle Università ai nostri cervelli. Io stesso ho sostenuto tanti Italiani, meritevoli, che hanno coronato il loro sogno e sono diventati medici qui, e ora vivono qui, anche vicino a me.

d: Cosa si sente di consigliare, magari a qualcuno quel vuole fare il suo stesso percorso?

r: Guardare al Mondo: produrre qualcosa nella nostra Lucania ed esportarlo, potrebbe essere la soluzione migliore. Il made in Italy ha ancora un grande valore. Ma è importate dire che io qui sono stato accolto bene perché MI SONO COMPORTATO bene. Al contrario di ciò che, ahimè, a volte si vede in Italia, anche se non bisogna mai generalizzare.

(Intervista raccolta su video da Rocco Esposito, testo di Walter De Stradis)

GIARDINA SAN CARLO

 

 

 

LO SPECIALISTA RISPONDE

Terapia del dolore: le azioni

concrete contro il “vuoto assistenziale"

 

 

 

Sei domande

al dottor

Antonio Giardina,

Responsabile

dell’UOSD

"Terapia del

Dolore" dell'AOR

San Carlo

 

 

 

 

Sabato 11 febbraio ricorre la Giornata

Mondiale del Malato, istituita da

Papa Giovanni Paolo II nel 1992, che

pone l’attenzione non solo al singolo

malato, ma inevitabilmente anche

su coloro che assistono chi, in prima

linea, combatte la malattia. Quale

miglior occasione per fare luce su un

ambito della medicina il cui scopo

principale è senza dubbio migliorare

la qualità di vita di un paziente

affetto da una malattia grave e/o

cronica, non oncologica. A condurci in

questo mondo, il Responsabile della

UOSD “Terapia del Dolore” dell’AOR

San Carlo di Potenza e coordinatore

della Rete Aziendale, Dr. Antonio

Giardina, che ci fa presente sin da

subito che “I pazienti con dolore

cronico rappresentano più del 25%

della popolazione, che il dolore

acuto e cronico rappresenta uno dei

motivi di maggior assenza sul posto di

lavoro, e che interessa molto spesso le

persone più anziane e fragili, quando

si è impossibilitati a intervenire

chirurgicamente per via di gravi

patologie concomitanti”.

1- In che cosa consiste la terapia

del dolore e chi la esegue?

Fondamentalmente si basa su un

insieme di tecniche che vanno dall’uso

dei farmaci a tecniche infi ltrative,

fi no ad arrivare a tecniche di neurostimolazione

e neuro-modulazione per

cercare di alleviare le sofferenze di un

paziente con dolore acuto e cronico,

non oncologico. I terapisti del dolore

sono anestesisti-rianimatori che nel

corso della loro specializzazione

e successiva formazione hanno

approfondito le tematiche sul dolore.

Facciamo subito una distinzione,

perché esiste il dolore oncologico che

viene trattato con cure palliative,

mentre il dolore non oncologico,

acuto e cronico, viene trattato con

la terapia del dolore. All’interno

dell’ospedale San Carlo questi due

percorsi sono ben differenziati, perché

purtroppo le cure oncologiche hanno

un inizio e una fi ne; mentre trattare

il dolore cronico diventa molto più

impegnativo per l’aspettativa di vita

dei pazienti, che è notevolmente

aumentata e, per svariati motivi,

non tutti possono essere sottoposti a

interventi chirurgici, o non sempre gli

stessi diventano risolutivi, anzi, spesso

ci si trova di fronte a complicanze o

a insuccessi. A livello nazionale, la

Legge 38/2010 garantisce l’accesso

alle cure palliative e alla terapia del

dolore a tutti i cittadini, nel rispetto

della dignità e dell’autonomia

della persona umana, dell’equità

nell’accesso all’assistenza e della

qualità delle cure, differenziando,

di fatto, i due percorsi. Nel 2012 la

Regione Basilicata ha recepito questa

legge. Nel corso degli anni questa

sensibilità al dolore è cresciuta, fi no

ad arrivare a riconoscere in termini

tecnici un Codice di Disciplina della

Terapia del Dolore.

2- Quali sono le patologie più

frequenti?

Il dolore cronico si può descrivere

come cortocircuito delle vie

elettriche che conducono in dolore

nel sistema nervoso. Normalmente,

in caso di dolore acuto, vi è quindi

uno stimolo che dai nervi periferici

giunge al sistema nervoso centrale,

che lo codifi ca, e rimanda in periferia

il “sintomo dolore”. Quando questa

causa non si risolve in breve tempo,

queste vie vanno in cortocircuito,

e quindi il dolore si cronicizza e il

sintomo dolore diviene una malattia

vera e propria, qualsiasi ne sia la causa

originaria. Il compito del Terapista del

Dolore è quindi cercare di controllare

il sintomo dolore e rompere il

cortocircuito attraverso l’utilizzo

di farmaci, tecniche infi ltrative e

tecniche interventistiche, che agiscono

sui nervi periferici, fi no ad arrivare al

posizionamento di elettrostimolatori e

“device a permanenza” che cercano di

mantenere duraturo questo controllo

del cortocircuito del sistema nervoso.

La tipologia di pazienti che afferiscono

nei nostri ambulatori , soffre di dolori

acuti e cronici di natura benigna

osteoarticolare polidistrettuale

(ginocchio, anca, spalla etcetc),

lombosciatalgie, dolori lombosacrali

(faccette articolari,dolore sacroiliaco),

o si tratta di pazienti con fallita

chirurgia ortopedica e vertebrale. Ci

sono poi tutte le patologie di origine

neuropatica, che comportano dolori

severi e lancinanti (nevralgia del

trigemino, Herpes Zooster) e poi ci

sono delle sindromi croniche che

abbiamo iniziato a trattare già da

diversi anni, con discreti risultati,

come la fi bromialgia, il dolore pelvico

cronico, la vulvodinia, coccigodinia

e tutte le sindromi che hanno come

dolore il sintomo principale e che

comportano una riduzione sensibile

della qualità di vita.

3 - Al San Carlo c’è un reparto o

solo un ambulatorio? Come arriva il

paziente da voi?

È un’Unità Operativa Semplice

Dipartimentale dal 2015 e con posti

letto di degenza post-operatoria

da novembre 2021, ma è anche

ambulatorio che lavora 12 ore al

giorno. L’AOR San Carlo è organizzata

in maniera molto effi ciente e ci tengo

a sottolineare che tutto questo è stato

possibile grazie al Direttore Generale,

ing. Spera e a tutta la Direzione

Strategica, che ha creduto in questo

progetto e insieme abbiamo aperto un

ambulatorio di Terapia del Dolore in

ogni presidio ospedaliero aziendale,

gestito da colleghi molto competenti,

nel rispetto delle indicazioni regionali

di una rete organizzata nel sistema

Hub and Spoke, vale a dire con un

centro e le sue periferie. Al San Carlo,

che è anche Hub Regionale di Terapia

del Dolore e quindi centro regionale

di riferimento di tutta la Regione

Basilicata, eseguiamo prestazioni

ambulatoriali quotidianamente,

tre sedute chirurgiche a settimana;

mentre negli ambulatori di ogni

presidio c’è un anestesista, da me

formato, una volta a settimana. I vari

presidi si occupano di fare la prima

visita e trattamenti base e se vi fosse

la necessità di applicare tecniche

più specifi che, il paziente verrebbe

centralizzato sul presidio di Potenza.

Per accedere all’ambulatorio serve

una ricetta del medico curante con

dicitura“visita di terapia del dolore”,

e successiva prenotazione presso il

CUP in ogni presidio aziendale.

4 - Che tipo di farmaci vengono

utilizzati? Devono essere

somministrati necessariamente dal

personale o si possono utilizzare in

autonomia?

Il dolore cronico si tratta

principalmente con i farmaci

oppiacei, su questo è intervenuta la

Legge 38 eliminando tanti cavilli del

passato, e gli stessi possono essere

acquistati tramite ricetta rossa. Mi

preme sottolineare che non bisogna

pensare che tutti i pazienti diventino

“tossico-dipendenti”, e questo proprio

perché sono nelle mani di specialisti.

Inoltre, si utilizzano tutti quei farmaci

in grado di ingannare in sistema

nervoso centrale in virtù del discorso

fatto in precedenza. Da diversi anni,

inoltre, utilizziamo anche la cannabis

terapeutica, che -ormai è acclaratonel

dolore cronico riesce a migliorare

notevolmente la qualità di vita.

5 - Al San Carlo quali tecniche

chirurgiche possono essere

effettuate?

Al momento si svolgono tutte le

tecniche chirurgiche di neurostimolazione

e neuro-modulazione dei

nervi periferici di tutte le articolazioni;

si effettuano procedure sulla colonna

vertebrale di diversa importanza e

complessità, a seconda dei casi clinici.

Le procedure avvengono in Day Surgery

o in regime di ricovero ordinario. Si

tratta di tecniche mininvasive che

danno risposte concrete al paziente

con dolore cronico. Torno a ribadire

l’importanza dell’intuizione del

Direttore Spera, che dall’inizio

del suo insediamento, anche come

Commissario, ha creduto nel progetto,

poi rinviato a causa della Pandemia e di

altre contingenze. A settembre 2021,

poi, sono stati aperti gli ambulatori

periferici, mentre da novembre 2021

abbiamo iniziato l’attività chirurgica

e a oggi ne contiamo oltre 500,

numeri importanti per una regione

come la nostra, considerando che in

precedenza i pazienti erano costretti

ad andare fuori regione. La mia équipe

è formata oltre che da me, da altri

quattro anestesisti presso il presidio

di Potenza, che dedicano parte del

loro orario di servizio settimanale

alla Terapie del dolore, ma sono nel

servizio di Anestesia e Rianimazione

gestito dal Dott. L. Mileti; da due

infermieri dedicati all’attività

ambulatoriale e da due per l’attività

chirurgica; poi dagli anestesisti nei

presidi ospedalieri aziendali. Siamo

un gruppo molto affi atato e i risultati

ottenuti ci spingono a fare sempre di

più.

6 - Per concludere, come cambia con

queste terapie la quotidianità di un

paziente?

Sicuramente cerchiamo di migliorare

la qualità di vita del paziente, e

questo ci viene attestato anche dalle

continue richieste che ci pervengono.

Ritengo fondamentale però la presa

in carico del paziente, poiché chi ha

un dolore cronico solitamente ha un

“vuoto assistenziale”, ed è proprio per

questo che ho voluto la presenza fi ssa

di una infermiera, che ogni giorno si

occupa esclusivamente di rispondere

al telefono per raccogliere le esigenze

cliniche del paziente. Un paziente, in

particolare quando è sotto oppiacei,

non può essere abbandonato, proprio

perché ci può essere un effetto

collaterale, un effetto avverso o anche

la necessità di un aggiustamento

terapeutico tempestivo. La difficoltà

di reclutamento del personale a

livello nazionale non interferisce sulle

scelte che sento di dover sostenere

con forza per essere sempre più vicino

al paziente, e penso che il nostro

successo sia dettato anche da questi

‘piccoli’ particolari.

Ant. Sab.

 

 

ospedalesancarlo.it

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di Walter De Stradis

 

 

 

 

Le Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) costituiscono un movimento educativo e sociale, con una storia che risale agli anni Cinquanta, organizzato sul territorio nazionale con sedi periferiche, circoli e servizi. Le Acli fanno tante cose: patronato, assistenza, formazione professionale, sport e turismo.

Filippo Pugliese, ex funzionario della Regione Basilicata, è appunto il presidente del CTA (Centro Turistico Acli) di Potenza, nonché esponente della presidenza nazionale: «Facciamo una sorta di educazione degli adulti, in una formazione ricorrente. Il viaggio consente di aggiornare e ampliare ciò che magari si è appreso a scuola».

A lungo ubicato nel centro storico, il CTA non si occupa soltanto di organizzare viaggi in giro per il mondo, ma promuove anche moltissime attività culturali in loco: presentazioni di libri, dibattiti, incontri, proiezioni e quant’altro.

d: Di recente a Potenza c’è stata una polemica circa la delibera con la quale il Comune ha assegnato dei locali ad alcune, e solo alcune, associazioni senza scopo di lucro. In sostanza, alcuni hanno criticato le modalità: “Nessun bando, bensì una decisione unilaterale, della quale non si conoscono i criteri”. Mi risulta che anche voi non siate stati tra i beneficiari.

r: Evidentemente, queste sedi sono state assegnate con criteri silenti. Oggi, ancora più di ieri, le cose si fanno in modo silenzioso. Dico “probabilmente”, perché noi associazione non ne abbiamo avuto contezza, non abbiamo saputo di alcun bando, e non avendo “Santi in Paradiso” (il “Paradiso” del Comune), e cioè qualcuno che possa avvisarti delle occasioni, noi la richiesta non l’abbiamo nemmeno fatta. Ma non è questo il modo di comportarsi per un’Amministrazione che vuole promuovere lo sviluppo della rete associativa nel suo territorio. Assolutamente no! Le cose devono essere trasparenti, democraticamente condivise, tramite gli strumenti adeguati. E una delibera di cui nessuno sa nulla non lo è. La Cultura costa? Il Covid ci ha messo tutti in ginocchio, ma quando inviti un esperto per un’iniziativa, devi comunque pagargli viaggio, albergo, ristoranti o –alle volte, anche se cerchiamo di evitarlo- il gettone di presenza. E servono gli spazi. E dove le fai, le iniziative? Allo Stabile? Lo Stabile costa. Il Comune ti impone di pagare un costo.

d: Voi non avete aiuti/contributi economici dalle istituzioni?

r: Noi Acli non ne abbiamo, siamo totalmente auto-finanziati, grazie ai nostri soci tesserati. Ci sarebbe una possibilità di accedere, iscritti all’albo delle associazioni culturali, ai contributi della Regione; ma è una perdita di tempo, perché per ricevere un sostegno miserrimo di quattrocento, cinquecento euro in un anno, devi fare rendicontazione e una montagna di atti e documenti. E uno rinuncia pure a quello.

d: Ci potrebbe poi essere anche un problema di “indipendenza intellettuale”?

r: Questo no, più che altro, come dicevo, la Cultura ha un suo costo, che è notevole. Noi pagavamo un fitto che adesso non possiamo più sostenere.

d: Ma adesso la sede ce l’avete o no?

r: Ce l’abbiamo. Prima eravamo in Via Plebiscito (dietro la Trinità): condividevamo la sede col nostro patronato, che poi però è dovuto andare via e il costo per noi è diventato esorbitante: 400 euro al mese. Oggi ci ha generosamente accolti il Vescovo (essendo un’associazione riferibile alla comunità ecclesiale) in Via Vescovado, 73.

d: Quindi, problema risolto?

r: Solo in parte, perché la sede è molto piccola e per fare iniziative culturali c’è bisogno di un salone. Ogni volta, pertanto, abbiamo il problema di trovare sale, salette, saloni, per fare le iniziative che richiamano persone.

d: Mi risulta che alcune associazioni abbiano chiesto la revoca della delibera del Comune. Può servire?

r: E’ una strada obbligata. Bene ha fatto chi ha chiesto la revoca, perché provvedimenti di questo tipo devono essere trasparenti e condivisi. Qual è il rapporto che le associazioni hanno con il Comune? Glielo dico io: nessuno. Un tempo c’erano addirittura le “consulte” per la Cultura, per lo Sport; magari l’Amministrazione poco ti sentiva, però venivi perlomeno ascoltato, quelle quattro/cinque volte l’anno. Ora non c’è nulla, non esiste alcun tavolo di confronto col Comune. Io non lo so come l’attuale assessore al ramo pensa di fare Cultura! Magari presenziando a iniziative e inaugurando cose, ma il rapporto con la rete associativa dov’è???

d: Lei cosa propone di concreto?

r: Innanzitutto la revoca della delibera sulle sedi, e che si allestisca un tavolo di confronto, di raccordo, di apertura all’arcipelago delle associazioni e dei circoli culturali. Guardi, Potenza ha una rete associativa e di iniziative culturali SPAVENTOSA, impensabile per una città così piccola. A volte capita che ci siano iniziative concomitanti, e la gente non sa come si deve spartire.

d: Ma non c’è però una tendenza ad agire “ognuno per sé”?

r: Ha ragione: non c’è guerra, bensì una tendenza, antica, ancestrale, a coltivarsi ognuno il proprio orticello. Noi, come CTA Acli, facciamo iniziative con la più ampia partecipazione di realtà associative, proprio per dimostrare che non siamo soli in questa Città. A marzo scorso, per esempio, facemmo quattro giorni sulla geopolitica, all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina. Sono venuti Nico Piro, inviato Rai, nonché altri blasonati giornalisti e docenti universitari. Si è parlato di Afganistan, Turchia, America Latina. Sono state iniziative molto partecipate, ma non abbiamo visto la presenza di UN rappresentante della giunta comunale.

d: Ma voi li avete invitati?

r: Li abbiamo invitati, ma per avere un colloquio con il Sindaco ce n’è voluto, e alla fine non l’abbiamo manco ottenuto***. Non è possibile andare avanti così.

d: Mi dice almeno una cosa buona che ha fatto questo Comune in ambito Cultura?

r: Non saprei, non me ne viene in mente nessuna.

d: La polemica sul “flop” del Capodanno in Centro: solo fuffa o questione seria?

r: E’ stato gravissimo. Seppure organizzare un evento la notte di Capodanno abbia i suoi limiti, sarebbe stata comunque un’occasione, un grande momento d’incontro, soprattutto per i giovani. Per i giovani questo Comune che fa? Quali input, quali sollecitazioni, quali suggestioni offre loro, che non siano soltanto la sfilata dei Turchi o eventi simili e saltuari?

d: Il Comune ha annunciato i lavori di ristrutturazione del Teatro Stabile: per l’occasione, già in cantiere da tempo, qualcuno (anche in consiglio comunale) ha proposto che il teatro diventi un vero e proprio istituto culturale con personalità giuridica.

r: Il teatro resti teatro, facendo teatro. Ci sono ben altri enti che oggi, finalmente, vivaddio, svolgono un ruolo di promozione culturale. Il Polo Bibliotecario di Potenza, ad esempio, io lo chiamo “La Nuvola Bianca del Sapere” (a Roma c’è “La Nuvola Azzurra” di Fuxas). Vista la disponibilità eccezionale del direttore, Luigi Catalani, abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa, una convenzione, tramite la quale periodicamente usiamo una sala per le nostre iniziative. In ogni caso, quel Polo sta svolgendo un ruolo eccezionale: noi, ad esempio, ci incontriamo ogni giovedì per “raccontarci” dei libri. La gente in questo modo ritrova la parola: non è necessario essere “un esperto”, basta avere voglia di raccontare un libro che si è letto. Oltre a noi, mi diceva lo scrittore Paolo Cioffi, c’è un altro gruppo di lettori, giunto al centesimo incontro! Il Polo Bibliotecario è diventato come la biblioteca del Centro UNLA che una volta c’era dietro la Banca d’Italia: un centro propulsore di Cultura.

d: Quindi il succo è: a Potenza le cose si fanno, eccome, ma vanno promosse e sostenute come meritano.

r: Le iniziative si fanno e sono moltissime. E a farle sono l’Università, le parrocchie, gli ordini professionali, le associazioni culturali, il comitato per la Pace…

d: Però?

r: Però manca questa osmosi, questo respiro, questo raccordo.

d: Un personaggio di Potenza che andrebbe rivalutato? (Non dica Michele di Potenza, sennò sembra che ci siamo messi d’accordo).

r: Michele di Potenza!!! (Ride) Va senz’altro rivalutato: era una figura straordinaria, caratteristica, un personaggio che da piccoli noi prendevamo anche in giro per il suo modo di vestire, ma che era straordinario! Resta l’unico, vero, cantante folk di Potenza. A lui andrebbe aggiunta la figura, anch’essa straordinaria, di Pietro Basentini, sulla quale il Comune non ha speso UNA parola. Tempo fa è stata organizzata una celebrazione (da parte di Dino Becagli- ndr), ma il Comune è mancato. Almeno esserci, dico io.

d: Se potesse prendere Guarente sottobraccio, cosa gli direbbe?

r: Gli direi: «Uagliò, la Cultura non ha appartenenza. La Cultura è promozione, e chi la promuove va al di là dei confini, delle identità e delle appartenenze. Pertanto, guarda a noi, a Libera, al comitato per la Pace, all’Arci, alle associazioni che hanno una visione progressista, così come vuoi guardare alle piccole realtà culturali (che pure meritano attenzione)».

d: Il viaggio che meglio la rappresenta?

r: Quello negli USA: loro sono un ossimoro, sono tutto e il contrario di tutto. Ricchi di diversità e di contraddizioni, di paesaggi enormi, ma anche piccolissimi.

 

***DIRITTO DI REPLICA

In merito  alle parole dell’intervistato Filippo Pugliese, presidente CT Acli Potenza (“A marzo scorso, per esempio, facemmo quattro giorni sulla geopolitica, all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina (…)Sono state iniziative molto partecipate, ma non abbiamo visto la presenza di UN rappresentante della giunta comunale. (…)Li abbiamo invitati, ma per avere un colloquio con il Sindaco ce n’è voluto, e alla fine non l’abbiamo manco ottenuto”), il sindaco Guarente tiene a precisare che, per quanto riguarda direttamente la sua persona, la richiesta  che gli risulta inviata dal Ct Acli (l’unica) risale a un evento del 2021, che tuttavia riguardava Cuba. 

 

 

 

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“La mozione presentata dai consiglieri Vizziello e Zullino relativa a garantire l’effettività, in tutte le strutture sanitarie regionali deputate alla cura dei malati di cancro, di un servizio di psico-oncologia riservato ai pazienti e ai familiari è un passo che la sanità deve compiere”. E’ quanto affermano, in una nota congiunta, le Consigliere regionali di parità, Ivana Pipponzi e Rossana Mignoli.

“Ricevere una diagnosi di cancro porta a uno sconvolgimento di tutti gli aspetti della vita. Si modifica la routine quotidiana, familiare, lavorativa, ed è necessario prepararsi a mesi, oppure anni, di frequentazione di ospedali e strutture sanitarie, sia per affrontare le terapie che tutti i successivi controlli. In brevissimo tempo cambiano le priorità, le aspettative, il rapporto con il proprio corpo ed è importante - da parte dell'ufficio della consigliera regionale di parità - riflettere sul trauma psicologico che le tante donne che si ammalano di tumore al seno devono affrontare nell'accettare lo stravolgimento della loro femminilità”.

FONTE

https://www.regione.basilicata.it/giunta/site/giunta/detail.jsp?otype=1012&id=3088025&value=regione

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di Walter De Stradis

 

Dai modi pacati e la voce gentile, Francesco Bonito Oliva, nato a Polla (Sa) quarantanove anni or sono, attivo soprattutto nel settore imprese, da una decina di giorni è il nuovo Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Potenza.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: Come persona, da cattolico, ritengo che l’esistenza sia voluta da chi ci ha creati e che occorra svolgere al meglio la funzione assegnata a ognuno di noi. Come presidente dell’Ordine, la mia esistenza la giustifico in maniera un po’ “casuale”: sono entrato nel Consiglio alcuni anni fa, e dopo un po’ di esperienza, si sono verificate le condizioni perché adesso ricoprissi questo ruolo.

d: Lei è nipote di due personaggi molto noti, l’uno critico d’arte (Achille), l’altro medico (Prospero). Quando e come la professione di avvocato può diventare una forma d’arte?

r: Come ogni altra professione, può anche essere un’arte, fondata com’è sullo studio e sull’applicazione, ma anche sull’istinto –se vogliamo- e sulla creatività. Se invece la vogliamo paragonare alle “arti” in senso stretto, è piuttosto lontana, essendo fondata su logica e ragionamento.

d: E se invece l’avvocatura la intendiamo come una “medicina”, quali “mali” della Giustizia dovrebbe/potrebbe curare?

r: Mah, la nostra professione cambia molto a seconda del settore (civile, penale, imprese…). In generale io la vedo come un modo per risolvere i problemi degli altri, affermando i diritti. In questo senso è una professione molto vicina a quella medica, se ci pensiamo. Va detto che il nostro lavoro è molto cambiato nel tempo: adesso, c’è una forma di prevenzione importante quanto (se non di più) la risoluzione dei problemi.

d: Insisto: quali sono le “patologie” del tribunale di Potenza? I suoi predecessori mi parlavano di lungaggini importanti nei procedimenti (specie nel Civile), di magistrati “di passaggio”…

r: I grandi problemi della Giustizia italiana, civile e penale, sono gli stessi: è molto lenta. E il tribunale di Potenza non fa eccezione. Nonostante gli sforzi che vengono fatti, anche dai singoli magistrati, nel complesso è un tribunale che -ancorché vada migliorando nei tempi- generalmente ancora non riesce a dare una Giustizia in tempi rapidi (con le dovute eccezioni, ovvio). A mio modo di vedere, i tempi della Giustizia potentina, come quelli di gran parte dei fori italiani, sono ancora inaccettabili: non garantiscono pronunce in tempi brevi e spesso nemmeno in tempi utili a risolvere i problemi.

d: E’ dunque vero che il nostro tribunale è un po’ “ingolfato”…

r: … il nostro è un tribunale “di passaggio” per molti magistrati. Questo vuol dire che spesso è un tribunale di giovani magistrati che dopo un po’ tendono a tornare alle loro sedi. Quelli che si fermano qui a Potenza sono tendenzialmente quelli di origini lucane, ma sono solo una parte. Tutto ciò crea dei problemi, perché un giudice in due/tre anni si organizza il proprio ruolo…

d: …e poi lo deve passare ad altri…

r: …il problema non è nemmeno quello, ma il fatto che spesso si viene a creare una “vacatio” nel passaggio fra il vecchio e il nuovo magistrato. E’ QUESTO il vero problema. In quei periodi di “vuoto” si accumula altro arretrato e le prassi virtuose del magistrato andato via finiscono per vanificarsi. Accade a Potenza, come a Lagonegro, come a Matera e in tutti i tribunali periferici.

d: Quindi la questione non è la carenza di magistrati.

r: No, è ANCHE carenza di magistrati. Non ho dati aggiornati, ma non credo che il nostro tribunale sia a pieno organico. Le due cose si sommano: gli organici non sono completi e i magistrati che ci sono tendono ad alternarsi. E’ la combinazione peggiore, per garantire tempi brevi alla Giustizia.

d: Come si potrebbe rendere più “attrattivo” il nostro tribunale? Oppure, essendo Potenza una piccola città del Sud, è una questione che ci porteremo dietro per sempre?

r: Una soluzione? Non saprei dire, in quanto dovrebbe provenire da livelli più alti, e non locali. Delle soluzioni sono state anche provate, come quella di rendere Potenza una sede “disagiata”; (questo tipo di destinazioni sono molto più appetibili per i magistrati, in quanto implicano un considerevole aumento di stipendio). Ma questo non ha risolto il problema, perché i posti non sono stati comunque coperti. Evidentemente c’è uno scarso appeal della città, della regione, per via dei trasporti, per le difficoltà di accesso che un magistrato di Napoli incontra venendo qui e non ad Avellino, per esempio. E’ un problema di attrattività derivante anche dalla marginalità sul piano territoriale. E’ la stessa cosa alla base dell’esodo di molti giovani: ciò che spinge ad andarsene da qui, è anche ciò che rende difficile arrivarci. E’ un discorso che vale per i magistrati, per i medici…

d: …però di avvocati ce ne sono tanti.

r: Sì, tanti.

d: Troppi?

r: Mah, se guardiamo alle esigenze della Giustizia “classica”, possiamo dire che qui gli avvocati sono sovrabbondanti. Ma questo è un retaggio storico: ci portiamo dietro un gran numero di legali, che si è stratificato negli anni. Consideriamo anche che, da sempre, per alcuni l’avvocatura è solo una fase di passaggio, ma in assenza di concorsi e/o di altre occasioni, questa “avvocatura di passaggio” si cristallizza maggiormente. Adesso, in corrispondenza di una contrazione economica della nostra regione, i numeri dell’avvocatura sono particolarmente importanti.

d: Quanti sono gli avvocati iscritti all’Ordine che effettivamente vivono della loro professione?

r: E’ un dato che non le so dare, perché bisognerebbe guardare ai redditi di ciascuno, ma in ogni caso ci sono le statistiche che Cassa Forense pubblica ogni anno e da quelle si evince un quadro dei redditi dell’avvocatura assolutamente non paragonabile a quelli del Centro-Nord. C’è un grande gap. La sfida è rendere queste professionalità utili al sistema Giustizia, che non è fatto solo di cause, ma anche di mediazione, consulenza, prevenzione del contenzioso, di affiancamento all’Amministrazione. In ogni caso, per il quadro che le descrivevo, per forza di cose occorrerà comunque andare incontro a una contrazione dei numeri dell’avvocatura, in linea con quanto accade negli altri stati Europei.

d: Magari limitando l’accesso alle varie facoltà, con test d’ingresso?

r: Se lei osserva, gli attuali praticanti avvocati sono pochi, e non sono minimamente paragonabili ai tempi in cui la pratica la facevo io. C’è dunque già una riduzione del flusso, da parecchio. Il problema non sono quindi gli accessi alla professione, ma il numero di iscritti GIA’ esistente, che è sovrabbondante. Va trovato un modo per risolvere il problema, garantendo tutti: ma non esistono soluzioni ex abrupto.

d: L’Ordine degli avvocati di Potenza è particolarmente litigioso? Vengono attivati molti procedimenti disciplinari, tramite, magari, segnalazioni fra colleghi? Oppure no?

r: Per il tipo di attività svolte, ritengono che gli Ordini che maggiormente possano prestarsi a criticità disciplinari siano quello degli Avvocati e quello dei Giornalisti. Per quanto riguarda i legali, queste criticità possono manifestarsi nei rapporti con i colleghi, con i magistrati, con le forze di polizia. Insomma, i problemi disciplinari ci sono, ma in Basilicata non c’è certamente un’emergenza in tal senso. Trattasi di problemi fisiologici, anche generalmente non gravi (questioni minori), fermo restando che l’attenzione dev’essere sempre massima, nel rispetto del cittadino. Un avvocato non deve mai violare la legge, né confliggere con gli interessi del proprio assistito. Sono due valori fondamentali che a volte è difficile far andare d’accordo, ed è lì che possono palesarsi le criticità. Ma ogni avvocato sa bene quali sono i limiti della sua professione.

d: Torniamo allora alla questione “lentezza” della macchina giudiziaria. Sovente si sente dire che certe lungaggini sono cercate anche dagli avvocati difensori, nell’interesse dei loro assistiti. Per la serie: “campa cavallo…”.

r: Lo dico in maniera abbastanza netta: è un luogo comune. Generalmente gli avvocati non hanno interesse che la cause durino a lungo, tantomeno nel Civile.

d: Non vale più il detto “Finchè pende, rende”?

r: Oggi è cambiato anche il sistema retributivo degli avvocati, molto più legato al risultato finale; per dirla banalmente: “Io ti pago quando hai ottenuto il risultato”. Nel Civile è dunque un luogo comune. Nel Penale? Non sono un penalista e immagino che talvolta possa esserci una tendenza a cercare la prescrizione, ma in generale la prescrizione non dipende dall’avvocato, in quanto ci sono solo le sospensioni, delle udienze. Dunque, confermo: un luogo comune.

d: Se potesse prendere sottobraccio il Presidente della Regione (domanda che faccio a tutti) o, in questo caso, addirittura il Ministro della Giustizia, cosa gli direbbe?

r: Innanzitutto direi loro che non li invidio, perché sono posizioni molto scomode. In generale credo che un uomo da solo possa poco, e pertanto non credo di poter dare un consiglio specifico (e non perché non abbia idee). Il consiglio che darei a tutti è però quello di non cedere ai populismi (sarebbe il danno peggiore per la nostra società), ma di perseguire gli obiettivi, ragionati, nell’interesse pubblico, senza preoccuparsi troppo del consenso immediato, che è una trappola. I problemi, ahimè, richiedono scelte impopolari che attirano molte voci contrarie.

d: Il libro che la rappresenta?

r: Non ce n’è uno che mi rappresenti, ma un libro a me molto caro è “Il Gattopardo”.

d: «Tutto deve cambiare, perché tutto resti come prima».

r: In realtà però io sono un ottimista. Vedo le cose positivamente.

d: Il film?

r: Sempre “Il Gattopardo”: forse l’unico caso in cui il film è bello almeno quanto il libro.

d: La canzone?

r: Non me ne viene una in particolare.

d: Mettiamo che tra cent’anni all’Ordine scoprano una targa a suo nome…

r: … non credo che tra cent’anni qualcuno lo farà (sorride). Spero di essere ricordato come un Presidente che ha perseguito l’interesse degli iscritti, tentando di dare un proprio, piccolo, contributo per il funzionamento di una delle principali attività dello Stato: la Giustizia.

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