- Virginia Cortese
- Lunedì, 29 Ottobre 2018 11:52
Si è tenuta lo scorso sabato 27 ottobre, presso la Sala Inguscio della Regione Basilicata, a Potenza, l’importante giornata di studi sulla figura del compianto poeta potentino Beppe Salvia.
A distanza di un anno e mezzo dal primo evento, un parterre di rilievo di scrittori, autori e critici letterari si è riunito per discutere dell’uomo, dell’artista e dell’anima di colui che ha riportato nei suoi versi la parola “lacerata, remota, quasi sibillinamente percepita nell’estrema vaghezza”, quotando il poeta, docente e critico letterario Andrea Galgano, tra i relatori del convegno, insieme alla professoressa Anna Rivelli, fondatrice e direttrice della rivista “Sineresi”, al poeta Claudio Damiani e allo scrittore e critico letterario Arnaldo Colasanti. Ha concluso i lavori, l’ing. Vito Santarsiero, Presidente del Consiglio Regionale della Basilicata, il dibattito è stato invece coordinato dal dott. Bartolomeo Smaldone, presidente del Movimento Culturale Spiragli che ha promosso l’iniziativa.
La prof.ssa Rivelli, docente, ricercatrice, direttrice del centro di produzione culturale PAN e giurata del premio Salvia: “Ho cercato le tracce della Lucania e di Potenza nei suoi componimenti e ho rinvenuto che non ci siano come tratto didascalico; nei versi dilaga come sotterranea e nascosta la terra. Ritrae il proprio animo, ritraendo le cose. E il paesaggio passa in maniera osmotica in esso. Esiste la metamorfosi della parola stessa. La parola che più spesso ritorna è ombra”.
Arnaldo Colasanti, scrittore, conduttore di spazi culturali su Rai Uno e condirettore della rivista "Nuovi Argomenti": “Lo ricordo in cantina da me, a mettere in moto il ciclostile della nostra rivista “Braci”. Beppe fu per noi il mondo e la sua scoperta. La sua, una poesia che ci avviava per sempre a un destino. Due cromatismi emergono prepotenti, un giallo polline, verde e biancastro (che fa eco a Van Gogh) e poi un rosso che insegue l’arancio che diventa viola e poi marrone che si fa terra. Due le stazioni, una manieristica e quella della chiarezza che si abbracciano in un carminio acceso di passioni. La linea di un tempo e di un controtempo, sullo spazio spirituale. C’è contrasto o continuità? Senza dubbio non c’è mai artificiosità, c’è il rifiuto del primato del governo della realtà, contro la definizione del giudizio. La finzione è la curva del cielo, è l’immaginazione. Non è altro che la massima assurda costruzione del senso nascosto della lingua. La molteplicità dei sensi e dei documenti del mondo, nella parola. La vanità è verità, ci insegna. La vita è infinita e crudele innocenza. La sua è casa-poesia. Di Beppe ci restano i sogni, la natura dolce delle parole vere. La nostalgia delle cose impossibili”.
Andrea Galgano, poeta, scrittore, docente di Letteratura e Scrittura Creativa presso la Scuola di Psicoterapia Erich Fromm di Prato-Padova e fondatore e direttore responsabile di “Frontiera_di_pagine_ magazine_on_line” ha citato Zanzotto, che ha a sua volta parlato della poesia di luce in Salvia, poesia che non frequenta solo la luce ma anche ciò che la costringe e ne procura privazione. “Ciò che interessa alla poesia di Salvia è scrivere della vita e della morte- ha spiegato Galgano- Perché la verità resti, anche al di là della piena della nostra indigenza. Un concetto unitario come l’anima si sfrangia. All’interno della ‘gioia costretta’, c’è una pazienza che non ha limite, attraverso una vita grezza ma gravida di parola. Nasce così la parola che abita il silenzio, la parola nuda che non ha assoluto filtro, qualcosa che si sporge dinnanzi alla realtà in modo vero e non ideologico. La sezione ‘Sillabe’ mi ha colpito; sillabare non è solo scandire il tempo, ma creare qualcosa che abita il tempo senza possederlo, perché il cuore dell’uomo è desiderio di compimento. Questa tensione si appropria sia delle cose lontane che di quelle vicine. La vanità delle cose vaste e silenziose non è nichilismo, ma ciò che lo afferma in modo assoluto, anche quando è toccato dal dolore. La parola se è abitata dal dolore, pur nella lacerazione,cerca la luce. La parola lume viene spesso usata, ha a che fare con la luce, che permette di mettere a fuoco la propria realtà, ed esula dalla precarietà”.
Claudio Damiani, è stato tra i fondatori della rivista letteraria Braci (1980-84) e i suoi testi sono stati tradotti in numerose lingue. Ha spiegato: “L’ombra in Salvia è come la psiche greca, è l’anima. La sua grandezza abita nell’anima che egli porta alla poesia e che implica la presenza della luce. Egli è paladino della lingua classica. Braci è essa stessa un fuoco-luce. Il senso è che nonostante fosse tutto “bruciato” (vivemamo gli anni di Piombo), sotto c’era ancora la vita. Egli aveva la Visione della civitas, con l’idea della pacificazione”.