DE_STRADIS_E_POTENZA.jpg

 

di Walter De Stradis

 

 

 

Francesco Potenza è un cinquantaduenne d'aspetto imponente, con la testa glabra, le sopracciglia folte e il sorriso pulito. Gli occhi chiari gli si inumidiscono quando parla del ricordo lasciato in città dal padre Domenico, avvocato come lui, sindaco di Potenza nel post-dissesto, dal 1995 al 1999. Francesco l’abbiamo voluto incontrare, tuttavia, nella sua veste di poeta (ha pubblicato tre libri, è presente in numerose antologie e ha ottenuto diversi premi e riconoscimenti), in qualità dunque di esponente di una “nuova scena” che –anche grazie all’uso dei social- si sta affermando nella città capoluogo di regione.

d - Ci può essere poesia anche nell’avvocatura, o sono due mondi incompatibili?

r - Beh, poesia nell’avvocatura sembra un po’ un paradosso, ma diciamo che forse ha un quid in più quel legale che impronta i propri pensieri, la propria attività, “ad humanitas”. In qualche maniera, la letteratura, la poesia, aiutano una certa forma mentis, che anche il legale dovrebbe avere, o ci si augura che abbia. Ci può dunque essere una compatibilità tra i due mondi.

d - Nel suo caso, è nato prima il poeta o l’avvocato?

r - Difficile dare una risposta. Da un punto di vista meramente cronologico, sin dalle elementari mi ha accompagnato l’amore per i poeti, italiani e stranieri; con gli studi universitari è subentrato anche l’amore per la legge, amore che devo comunque alla figura di mio padre, avvocato per tanti anni.

d - Qual è stato il suo principale insegnamento?

r - Mio padre mi diceva tante cose a proposito della professione. C’è però una frase che mi è rimasta dentro, e che ho riportata anche in un mio scritto: «I fascicoli sono persone». Vale a dire, dietro quelle carte, ci sono dei respiri, delle vite, che vanno rispettate. Il suo ordine maniacale nel riporre i fascicoli nell’armadio, rispecchiava quell’umanità che, spero, in parte, di aver ereditato.

d - A dispetto di un luogo comune che vuole una città-capoluogo piuttosto “arida” culturalmente, a quanto pare esiste una fervida scena di poeti potentini. Penso anche a Oreste Lopomo, Francesco Cosenza, Vito Viglioglia…

r - …Claudio Brancati (anch’egli avvocato e poeta), Andrea Galgano, Angelo Parisi, Lorenza Colicigno, Ione Garramone, Alberto Barra…ci sono tanti bravissimi poeti, e questo amore si respira anche sui social, in questa forma ibrida e moderna di trasmettere sentimenti.

d - Si può dire che esiste un "cenacolo" potentino?

r - Non saprei se definirlo "cenacolo" o meno, ma certamente c’è un movimento, che sta nascendo.

d - Quali sono i rapporti tra di voi? Sa, la nostra è anche la città dei “giardinetti” che spesso ciascuno tende a coltivare in solitaria. C’è competizione? Vedo che alcuni di voi spesso postano sui social foto di enormi coppe vinte ai concorsi di poesia, e sembra che siate reduci da un qualche torneo di tennis.

r - (Ride) Sì, in effetti io sono uno di quelli. Ma, sa, essendo tifoso della Fiorentina, e come tale vincendo ben poco, almeno qualche volta mi posso esibire con un qualche bel trofeo! Tornando seri, beh, io ho rapporti di amicizia con quasi tutti, con alcuni di quei poeti siamo amici fraterni. Ultimamente ho partecipato a questo volume collettivo, “Jazz Club”, che ha coinvolto alcuni di noi poeti lucani e poi adesso c’è una forma “polifonica” di approcciarsi alla poesia, non più individualistica. Ciò che ci lega è l’amore per la cultura e per la bellezza.

d - E invece come venite percepiti in città? C’è ancora quella visione che vuole la poesia da un lato come una forma d’arte elitaria, o dall’altro come un genere in cui ci si infilano un po’ tutti?

r - Sono consapevole che un poeta, o un sedicente tale, possa essere percepito in maniera particolare, ci sta, comunque si avverte in città l’avvicinarsi di molte persone a questo mondo, grazie a coloro che lo praticano. La cosa più bella nello scrivere poesie non è partecipare ai concorsi, vincere trofei o vendere migliaia di libri (beh, se accadesse non sarebbe male), ma l’essere letti, riuscire a comunicare qualcosa.

d - Il famoso “scrivere per se stessi” è dunque una coperta del soldato.

r - Può anche esserci, all’inizio, ma se poi non c’è un messaggio che arriva a qualcuno, si rimane nel proprio limbo. Personalmente, per quanto riguarda la mia esperienza di “amante della poesia”, più che di “poeta”, mi sento felice quando qualcuno mi fa sapere che un mio verso gli è rimasto impresso, perché magari lo ha riportato a qualcosa. In quel momento mi sento felice.

d - Quindi, “tutto bene madama la marchesa”? L’ambiente culturale potentino la soddisfa o ritiene, magari, che ci potrebbero essere più spazi, occasioni e attenzioni?

r - Cerco di vedere le cose in positivo, è nella mia natura. Gli spazi per chi ama la poesia ci sono, e credo anche le occasioni, un po’ per tutti; penso al Polo Bibliotecario (con l’ottimo direttore Luigi Catalani), al Jazz Club, al Palazzo della Cultura. E potrebbero anche esserci nuovi spazi, certo, e me lo auguro.

d - Lei pensa positivo, ma io voglio farle dire una cosa cattiva. Anzi, facciamo così: mi dica qual è l’aspetto più poetico della nostra città, e poi quello meno poetico.

r - L’aspetto più poetico a mio avviso è legato alla natura, alla bellezza del posto, ai paesaggi, alla possibilità di vedere queste montagne che ci circondano, magari innevate. L’aspetto meno poetico, ahimè, è legato ai problemi che affliggono la nostra città. Io un pensiero ce l’ho sempre per i giovani; vorrei che ci fossero sempre più spazi per loro, che non si sentissero più soli e senza motivazioni. Spero ci possa essere un aspetto poetico sempre crescente anche per loro, senza dimenticare – ovviamente- gli anziani. Spero si possa, intanto, costruire in questa città, perché il rischio spopolamento c’è –diciamocelo- al pari di tanti problemi che non sto qui a elencare. Bisogna cercare di vedere il bicchiere mezzo pieno, ma i ragazzi bisogna comunque coinvolgerli, nel mondo della cultura, dello sport e certamente in quello del lavoro.

d - C’è il titolo di una poesia, sua o di un altro autore, che potrebbe adattarsi al momento vissuto dalla nostra città e dalla nostra regione?

r - Una mia poesia a cui tengo molto, anche perché dedicata a mio padre, è “Domani”. Ecco, sempre in un discorso di prospettive future, spero che anche per noi ci sarà un bel domani. Citando un altro autore, direi “Sognai”, di Evtušenko. In questo sogno del poeta c’è la possibilità che tutti possano avere pari condizioni e opportunità per vivere ed esprimere se stessi.

d - Chiudiamo con un passaggio su suo padre, Domenico, che è stato anche sindaco di Potenza. Quando ho avuto modo di parlarne con alcuni cittadini, ho spesso sentito ripetere «una brava persona». Brave persone lo sono state e lo sono anche gli altri, ma perché, secondo lei, è la prima cosa che dicono di suo padre? E’ stato anche un buon politico o magari viene ricordato soprattutto per la sua umanità?

r - Sottoscrivo, non senza un pizzico di orgoglio: papà era sicuramente una brava persona. Mi è rimasto il suo grande senso dell’umorismo, quella sua grande capacità, carismatica, di ridere e far ridere gli altri con una battuta. Era una persona di profonda moralità e umanità, riconosciuta dai clienti, ed è una cosa che ancora adesso mi emoziona. Come politico? Sicuramente, come sindaco, era “nuovo”, ma credo che abbia fatto bene; specie nel momento storico (1995-99) in cui si è trovato, e con i mezzi che aveva la nostra città. Credo abbia fatto tutto quello che si poteva fare per ridare dignità al capoluogo.

d - Potrà mai rispondere, lei, a quel tipo di chiamata?

r - Al momento, non è nei miei progetti. L’esperienza di mio padre l’ho vissuta con grandissimo entusiasmo, all’inizio, nella fase delle elezioni; tuttavia, essendo papà una persona sensibile, ho vissuto anche la sua amarezza, alla fine di quella esperienza (pur rimanendo sempre amato e ben voluto dai cittadini, anche come amministratore). E forse ho ereditato anche quella sensazione, per cui, non mi sentirei pronto a vivere un’avventura politica.