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Cari Contro-Lettori,

c’è da domandarsi perché a pagina 6 il nostro opinionista Mario Petrone, dissertando di benzina, bollette e rincari in generale, abbia voluto parlare di ennesima “tosatura” per i Lucani.

Cos’avrà voluto mai dire?

Avanziamo delle ipotesi.

Che il suo non sia un riferimento al “Barbiere di Siviglia”?

Potrebbe anche essere, visto e considerato che i nostri politici, novelli “Figaro”, probabilmente (e all’uopo basta collezionare e leggere in fila una manciata dei loro ultimi comunicati) percepiscono se stessi come “factotum della città”, pronti cioè “a far tutto, la notte e il giorno”. Certamente -se è questa la metafora “colta” del nostro Petrone- colpisce nel segno, più che altro laddove i nostri governanti locali, in realtà, sono protagonisti di un “bel vivere”, toccati come sono da una “miglior cuccagna”, che consente al beneficiario di ammettere con goduria che “al mio comando tutto qui sta”. Il crescendo rossiniano delle difficoltà incontrate dai giovani lucani sarebbe la degna conferma di questa ricostruzione.

Ipotesi numero due: rimanendo ancora in ambito musicale, è anche probabile che il nostro opinionista abbia voluto fare un riferimento alla tradizione tutta meridionale (e dunque anche lucana) dei famosi “barbieri musicanti” (celebrati di recente anche da un bellissimo disco di Graziano Accinni), depositari di quella tradizione che voleva i loro negozi non solo come luoghi atti all’uso di pettini, rasoi e saponette, bensì anche di chitarre, fisarmoniche e mandolini. E quindi il Lucano “tosato” in questa accezione sarebbe da intendere come Lucano “suonato”, e per benino. E potrebbe anche essere, visto che noi cittadini della Basilicata, a fronte degli errori che si ripetono con ritmi ossessivi, ascoltiamo la canzone, ma non ce l’accattiamo (come direbbe sempre la vecchietta della nostra rubrica).

Terza e ultima ipotesi: l’articolista col termine “tosatura” non vuol far nessun ammiccamento, colto o popolaresco che sia, e si riferisce molto più pragmaticamente non agli uomini, bensì alle pecore, e dunque all’antica pratica che vuole che queste siano private del vello, che sostanzialmente è tutto ciò che queste povere bestie hanno e indossano.

Ma proprio mentre ci pare lampante che questa terza interpretazione sia la più –ehm- ficcante, ci sorge un leggerissimo (fantozzianamente parlando) dubbio: non sarà che con “tosatura” il buon Petrone volesse intendere tutte e tre le metafore?

Ovvero che i Lucani sono dei pecoroni tosati a mestiere da quattro (sia detto con sommo rispetto per la categoria) "barbieri" (che si sentono tanto “Fighi”), che nel frattempo, armati di chitarre e mandolini, (loro) se la cantano e (loro) se la suonano?

Ai posteri l’ardua sentenza.

Walter De Stradis