NicolaRAGONE

In molti casi le storie si legano in maniera indissolubile ai personaggi che le indossano, tuttavia queste stesse storie assumono forme, colori e sfumature diverse a seconda dei periodi dell’esistenza.

Il volto del poeta di Grassano Carmine Donnola è esso stesso una storia; è un po’ come se fosse una mappa geografica nella quale ogni ruga si ricollega a un solco dell’anima che non necessariamente dev’essere sanato, poiché è lì per ricordare a se stessi e al resto delle persone la presenza di un percorso di crescita e di profonda maturazione interiore. “Urli e Risvegli” è il titolo di un toccante documentario su Carmine Donnola realizzato dal regista lucano Nicola Ragone, vincitore nel 2015 del prestigioso “Nastro d’Argento” per “Sonderkommando”, giudicato dalla giuria come il miglior cortometraggio. Abbiamo incontrato il regista Nicola Ragone alla prima potentina del docufilm, tenutasi al Caffè Mediterraneo di Potenza lo scorso venerdì 5 luglio.


L’anteprima di “Urli e Risvegli” si è svolta lo scorso anno all’International Film Fest di Bari, una vetrina importante per un lavoro come questo e oggi (5 luglio, ndr) siamo alla prima potentina. Cosa l’ha spinta ad approfondire la fi gura di Carmine Donnola al punto di volergli dedicare un intero documentario?
Carmine mi ha raccontato la sua storia incontrandomi per caso nel suo paese di origine, ricordo che mi ha colpito in maniera particolare il suo volto. La prima cosa che mi è venuta in mente è la similarità della sua espressione con i tanti paesaggi lucani. I suoi occhi vispi mi sono entrati nella testa e nel cuore, al punto che ho portato con me, durante il mio rientro a Roma, quel toccante fotogramma. Dopo diversi mesi e costanti riflessioni, ho pensato che dietro quegli stessi occhi si nascondeva la necessità di raccontare e trasmettere agli altri la sua storia. Sicuramente c’è voluto molto tempo per allestire il documentario, tuttavia devo ringraziare il supporto di Ivan Brienza che ne ha curato la produzione.


Dopo aver conosciuto il poeta di persona ha avuto modo di approfondire anche le sue opere e le sue poesie, come lo stesso volume “Urli e Risvegli” che dona il nome al documentario…
Certo. La storia di Carmine è quella di una seconda opportunità che la vita dovrebbe sempre ricercare e, per natura stessa, concedere a chiunque. Carmine quell’opportunità l’ha bramata a lungo e l’ha saputa cogliere, al punto che oggi è un uomo nuovo, un venticinquenne direi.


Nel film c’è anche Eugenio Bennato. Come è nato questo coinvolgimento?

Carmine è circondato da tanti artisti, tra i quali figura anche lo stesso Bennato. Anzi Carmine idolatra Bennato, e non è il solo. La collaborazione con Eugenio nasce anni prima rispetto al documentario, pertanto abbiamo pensato di coinvolgerlo anche per raccontare un rapporto di stima e di sincera amicizia. La loro interazione artistica, infatti, viene raccontata durante il culmine del loro processo di creazione.

 

Raccontare Carmine Donnola secondo lei è anche un modo per raccontare un Sud a lungo sottovalutato, personaggi compresi?
Assolutamente sì, è stato un pretesto per esplorare e spiare una Basilicata e un Sud underground mai raccontati che, invece, hanno il merito di essere portatori di antichi valori da tramandare.


Carmine secondo lei cos’è? È più un poeta maledetto, una rock star o un bohemien?
Bella domanda. Secondo me più che un poeta maledetto è un espressionista. Mi ricorda molto la poesia di Clemente Rebora. Il suo urlo lanciato verso il mondo in realtà rappresenta la voglia di ottenere da quella stessa platea di ascoltatori un riconoscimento o , più semplicemente, un po’ di attenzione e di ascolto. Fortunatamente Carmine oggi è riuscito a farsi udire e comprendere.


In passato le è capitato di cimentarsi più che altro con il cosiddetto “cinema di finzione”, ossia con un taglio artistico che prevede un copione e una sceneggiatura, mentre “Urli e Risvegli” è il suo primo documentario. Come si è trovato a indossare questa nuova veste artistica?
Be’, all’inizio mi sono trovato in difficoltà, poiché da buon regista sono abituato alla messa in scena. Solo in un secondo momento ho compreso che lasciare liberi i personaggi e spiarli da lontano permette alla naturalezza di emergere. Con questa tecnica, infatti, sono riuscito ad ottenere ciò che volevo: una narrazione più documentaristica.