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di Antonella Sabia

 

 

Complice il Covid, la denatalità nella nostra regione cresce a dismisura. Secondo i dati Istat relativi al 2020, pubblicati qualche giorno fa, la Basilicata si distingue per l’età media che pare essersi alzata a 33 anni. Da sottolineare inoltre che la maggior parte delle donne ha contratti nell’ambito del terziario, oppure part-time e lavori precari, quindi fa parte di un sistema lavorativo ancora poco tutelato. Abbiamo trattato l’argomento con la Consigliera di Parità, avv. Ivana Pipponzi

d: I dati sulla natalità in Basilicata nel 2020 sono drammatici, stando anche alle parole del Dr. Sergio Schettini, direttore del Dipartimento materno-infantile dell’ospedale San Carlo di Potenza. Quali possono essere i fattori scatenanti?

Da qualche anno, l’Italia e in particolare le regioni del Sud, tra queste la Basilicata, sono attanagliate da un problema stringente: la denatalità. E a ben ragione possiamo definirli “paesi non per giovani”. Come Consigliera Regionale di Parità ritengo che una delle cause della mancata nascita di bambini dipenda da una scelta che viene operata dalle tante donne e dalle neo coppie, che prima di mettere al mondo dei bambini verificano se hanno le disponibilità economiche per poterli mantenere. Avviene in particolare nel caso delle lavoratrici madri in Basilicata, dove si registra una mancata presenza di welfare, di strutture a sostegno delle famiglie per la conciliazione tra vita privata e lavoro.

d: Il sistema sanitario lucano corre il rischio di ulteriori tagli, sulla scorta dei dati riportati sulla natalità?

r: È evidente che si corre il rischio di chiusura di alcuni punti nascita più piccoli sul territorio lucano, ma non ho informazioni precise in merito poiché la mia competenza è focalizzata in particolare sulle donne nel contesto lavorativo.

d: Questi due anni di pandemia che abbiamo vissuto, di cui ancora non vediamo la fine, di quanto hanno acuito il problema?

r: La pandemia è vero che ha inferto un colpo molto pesante, stiamo sentendo ancora i riverberi, e quanto a isolamento e paura, credo che chi ha pagato un prezzo maggiore siano i bambini che si sono trovati a vivere isolati a casa, con lezioni da remoto. Tantissimo hanno sofferto anche le donne a causa dello smart working, un’importante misura di conciliazione vita-lavoro che ha evitato la propagazione del virus. È anche vero però che nel mentre lavoravano da casa, erano impegnate nei lavori casalinghi, nella cura dei bambini che avevano la didattica distanza aiutandoli. Anche attraverso l’osservatorio dello Smart Working in ottica di genere, si è osservato che queste lavoratrici hanno subito un carico di stress da lavoro correlato molto pesante. Voglio ricordare ancora che le donne lucane sono quelle in cui si riscontra ancora il Gender Digital Divide, cioè una scarsa conoscenza del digitale, che ha impedito loro di lavorare in maniera fruttuosa, non riuscendo nella gestione dei propri figli con la didattica a distanza. Non siamo ancora usciti dalla pandemia, ma pare che il trend sia quello di continuare a lavorare da casa, proprio come una buona misura per conciliare il lavoro, e quindi le donne hanno la necessità di misurarsi con i computer, ma soprattutto è necessario che le donne si mettano al pari con i loro colleghi uomini.

d: Le generazioni dei nostri nonni, pur non avendo grandi disponibilità economiche, tendevano a creare grandi famiglie, in particolare nei paesini più piccoli. Oggi questo non accade più: in cosa è cambiata la mentalità dei giorni nostri?

r: È una domanda che ci si pone spesso: seppur non c’erano grandi situazioni economiche, c’era una comunità intorno alle famiglie; magari questi bambini avevano nonni, bisnonni, zii e vicini che si prendevano cura di loro. Oggi viviamo in una situazione di benessere, ma le famiglie sono isolate e tante volte non ci si conosce neanche sullo stesso pianerottolo, quindi quella solidarietà che si è rivelata tanto preziosa e importante, si è andata perdendo. Tante volte ho stimolato un’idea che viene dalla Francia -uno dei paesi più attivi da questo punto di vista- circa la presenza del cosiddetto babysitter di condominio.

d: Anche l’età media delle donne che diventano madri è di fatto aumentata, come si può conciliare il desiderio di fare carriera con quello di mettere al mondo un figlio?

r: Una donna accede già in ritardo al mondo del lavoro, o accede con tante difficoltà visto il perdurante divario tra uomo e donna. Una volta che la donna lucana ha recuperato un lavoro, spesso part-time, o anche pagato male rispetto al collega uomo, opera purtroppo un’odiosa scelta: rimanere nel mondo del lavoro oppure diventare mamma. E spesso si opta per la prima cosa, perché è ovvio che un figlio costa, soprattutto in mancanza di sostegni che vanno ad aggravare ulteriormente le casse familiari; talvolta si ricorre quindi ai nonni per sopperire a questa mancanza. Ci si riduce quindi a non fare più figli oppure a farli in tarda età, il che potrebbe creare non pochi problemi anche a livello fisico. I preziosi dati che abbiamo letto lo scorso 12 novembre sulla convalida delle dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, ci presentano un fatto molto interessante che può spiegare questa denatalità. Se pensiamo alle convalide delle madri con figli da 0 a 3 anni, andiamo a verificare come l’80% delle lavoratrici che si sono dimesse lo hanno fatto perché hanno denunciato proprio l’assenza di Welfare a sostegno della maternità, come asili nido aziendali, pubblici o privati (che hanno costi altissimi), scegliendo poi di rinunciare al lavoro.

d: Per concludere, quali potrebbero essere ulteriori incentivi a favore dei nuovi nati?

r: Rimane fondamentale anche la misura del congedo di paternità, che oggi dà la possibilità a un padre di prendere fino a 10 giorni, ma sarebbe opportuno che questi giorni aumentino in maniera tale che accanto alla lavoratrice madre ci sia anche un sostegno fattivo del padre, che garantirebbe una maggiore tranquillità alla nuova mamma. È molto importante a tale scopo la legge Gribaudo sulla parità salariale, che va a focalizzarsi su quali sono le misure che le aziende prendono in favore delle lavoratrici donne, a favore della parità di genere. Tutte le aziende che adotteranno queste misure otterranno delle premialità: devo dire che per quanto riguarda il governo centrale c’è uno focalizzazione sul sostegno alla parità di genere e quindi anche alla maternità. Dobbiamo mutuare delle esperienze dei Paesi vicini, penso ad esempio alla Francia proprio per il sostegno del governo centrale messo in campo a favore delle donne; e lì non è raro trovare giovani francesi che hanno almeno tre figli, perché sono sostenute in maniera fattiva e strutturale dal governo con degli assegni familiari. Congedi di maternità, ma anche di paternità, sono obbligatori nei paesi del Nord Europa, ormai maniera crescente rispetto all’Italia. C’è da ben sperare con le nuove misure che sono state messe in campo dal governo centrale con un assegno unico, a seconda del numero di figli, anche indipendentemente dal reddito della famiglia. Abbiamo compreso, purtroppo, che le misure spot che ci sono state negli anni passati, non hanno sicuramente giovato sul sostegno alla maternità.