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di Walter De Stradis

 

Molte cose, in Basilicata, inevitabilmente passano da lei, tanto che alcuni, nell’ambiente, la chiamano “Lady Cultura” o addirittura la “Zarina” dell’ufficio regionale preposto, ma a lei questi epiteti, ci dice –qualora facciano riferimento al suo rigore, precisione e trasparenza- non danno fastidio, anzi.

«Anche perché io il teatro russo lo amo».

Patrizia Minardi, 50 anni, materana, da oltre sei anni è la dirigente dell’ “Ufficio Sistemi Culturali” della Regione Basilicata.

D: Come giustifica la sua esistenza?

R: Per il versante esistenziale, tutto è dipeso dai miei genitori. Per quanto riguarda quello professionale, c’è stato tutto un percorso che mi ha portato alla Regione. La mia prima esperienza lavorativa è stata al Parco Scientifico e Tecnologico, poi ho fatto la Dirigente alla Provincia di Matera (si può dire che “ho portato” in Città i primi computer, e ho digitalizzato l’Archivio nato nel 1927), successivamente sono passata al Ministero per l’Innovazione Tecnologica. In seguito ho vinto un concorso presso il Consiglio regionale. Qui sono dirigente dal 2005.

D: Si sente una donna “di Potere”?

R: Mi sento una donna che governa dei processi. Ne deriva un “Potere” più collettivo, più comunitario, governato da diversi soggetti. Essere soli al Potere non è mai conveniente, né efficace.

D: Tanto più adesso, che siete in tre: oltre a lei e all’Assessore, si è aggiunta la nuova figura della consulente culturale rappresentata dalla consigliera regionale Dina Sileo. Vi dividerete il lavoro o non vi dividerete nulla, nel senso che andrete “in parallelo”?

R: A livello politico c’è una grande attenzione sulla Cultura, e non poteva essere che così dopo Matera-Basilicata 2019. Per questo credo che il Presidente abbia pensato a una consigliera delegata. Certo, il ruolo politico è fondamentale, quanto quello tecnico, che è fatto di esperienza e di processi amministrativi, perché la Cultura sembra un settore più facile, ma non lo è. Abbiamo tante norme, che tecnicamente devono essere messe in fila, altrimenti ci si perde. Non esiste più la “Cultura del Contributo”…

D: … il buon vecchio “Un po’ per uno, non fa male a nessuno”…

R: …assolutamente no. Abbiamo portato l’esperienza europea, quella dei fondi strutturali, di sviluppo e coesione, e anche oggi con il Recovery Fund e con la nuova programmazione ‘21-‘27 esiste tutta una nuova batteria di strumenti. Quindi il ruolo politico e quello tecnico devono essere quanto mai sulla breccia per poter realizzare dei risultati.

D: Il problema, infatti, è che quando ci sono i soldi, poi bisogna spenderli.

R: Sì, spesso ci sono e non si riesce a incanalarli bene; alcune altre volte non ci sono e bisogna trovarli e penso che la mia esperienza all’Autorità di Gestione mi abbia insegnato a capire come utilizzare i fondi di investimento e non già quelli di spesa corrente.

D: Ma quando i soldi europei tornano indietro (perché non utilizzati) è una sconfitta “tecnica” o “politica”?

R: Mmm, penso di entrambi. Perché il tempo non è una variabile indipendente, e spesso non si impiega correttamente per programmare politicamente, ovvero stabilizzando delle cose che hanno funzionato e aprendo al nuovo. Dall’altro lato, tecnicamente, bisogna anche essere “in linea” con l’approvazione dei bilanci: sappiamo che oggi quelli regionali sono “per cassa”, per cui gli impegni e le liquidazioni sono da “cavalcare” nei tempi giusti.

D: Parlare oggi di Cultura, in un momento in cui c’è della gente malata e che muore, può sembrare un argomento di secondaria importanza, ma non è così, perché proprio sulla Cultura si muovono molte speranze di ripresa e di rilancio della nostra Terra. Lo sto chiedendo spesso: questo momento di stop forzato, può essere un’occasione per cancellare alcuni errori e ripartire? E se sì, quali?

R: Penso che in questo momento di “ripensamento” anche per i beneficiari (privati, associazioni, volontariato), la Regione debba “governare” tutti loro, cercando di dare una guida precisa. Io penso che la dimensione antropologica e sociale è fondamentale nell’ottica di una nuova sfida. Bisogna tornare alla cultura dei luoghi, intesi anche come parchi e presidi culturali: nessun Comune può essere privato di un archivio storico, di una biblioteca, di un parco letterario.

D: Tuttavia -e mi riferisco a un paio d’anni fa- accade che il sottoscritto vada a Tursi, il 13 di agosto, e trovi la casa-museo di Albino Pierro chiusa, perché “manca un ragazzo del servizio civile” che possa tenerla aperta.

R: Il tema è proprio questo. Ripartire dai luoghi significa ripensare la loro gestione: creare un’alleanza con i detentori, comuni, istituti, e portare avanti dei piani. Noi abbiamo già iniziato a fare questo esperimento con i cinema storici, tramite dei fondi di accordo di programma-quadro con il MiBACT, Direzione Cinema. Abbiamo preso 18 cinema storici inattivi (ma ora già pronti), e dopo una concertazione con i Comuni, abbiamo deciso di non lasciarli nelle mani –concedetemi il termine- di un “passante del Comune”, ma cercando di capire chi dovrà gestirli, dando il via quindi all’innovazione tecnologica (ovvero passando dall’analogico al digitale). Ritornare alla dimensione antropologica dei luoghi, significa mettere in rete cinema all’aperto (“naturali”), che a loro volta permettono di aggregare altre attività economiche tradizionali, enogastronomiche, ma anche l’apertura di una qualche nuova biblioteca. Diciamolo subito, però, tutto ciò implica anche cercare nuovi esercenti, giovani del posto formatisi fuori, che potrebbero gestire una partita del genere. Senza creare gelosie con i gestori “classici”. Venendo ai parchi letterari, capisco che spesso sono tenuti da storici e letterati: di loro non ci vogliamo privare, ma non si possono trascurare le nuove tecnologie e le nuove professionalità che possono affiancarli, in una visione di rete, una filiera delle professionalità, specie oggi dopo le “perdite” dovute al Covid.

D: A proposito di Cinema, sono state molte le produzioni, anche televisive, tenutesi a Matera e in regione. Spesso, però, abbiamo assistito a delle ricostruzioni troppo “oleografiche” della nostra Terra e, per di più, il cittadino medio non sembra avvertire sulla propria pelle questo grosso “cambiamento” che l’industria cinematografica avrebbe apportato.

R: Il Cinema ovunque si sta aprendo a nuovi target, e in alcune altre produzioni italiane (“Vite Rubate”, in Trentino) vedo la stessa sperimentazione che è stata fatta a Matera con “Sorelle”, ovvero il giallo che si mixa alla valorizzazione del territorio. Anche la legge 2020 del 2016 punta molto sul “cine-turismo”. Sicuramente anche qui va fatta una riforma di metodo, circa le produzioni che si devono “stimolare”: sicuramente documentari, cortometraggi e lungometraggi, ma non dobbiamo pensare di fermarci solo a una visione “regionale”, quanto allargarci a una “interregionale” del cinema, laddove il turismo verrebbe valorizzato, così come gli itinerari e tutta la filiera di professionalità. Ma proprio quest’ultima (attori, tecnici, scenografi) deve farsi trovare pronta per accogliere la produzione che viene da fuori. Tramite i nostri bandi, potremmo stimolare la realizzazione in loco di doppiaggio e post-produzione, che permetterebbero ai nostri giovani, bravissimi, di creare delle “Factory”, cosa che converrebbe anche ai produttori di fuori (che a quel punto eviterebbero di fare andata-e-ritorno con i loro girati). La scelta della Scuola di Cinematografia a Matera va appunto in questo senso.

D: Passiamo alla musica. Anche questa è una domanda che rivolgo spesso agli operatori culturali: è immaginabile un grande Festival regionale della musica popolare, alla stregua di ciò che hanno fatto in Salento con la Notte della Taranta? C’è chi parla di “campanilismo lucano” come primo, grosso impedimento.

R: A Tricarico esisteva un evento internazionale. La Taranta –nel senso vero, antropologico del termine- è partita da lì. Oggi soffriamo di un handicap fondamentale: rispetto ad altre regioni, non abbiamo luoghi deputati alla musica (ma vale anche per il teatro). Antonio Infantino, proprio per questo, ci ha in segnato come tanto i suoni, quanto il paesaggio e il territorio, possono essere protagonisti di una musica etnografica, e penso che il suo esempio vada ripreso. Abbiamo visto che addirittura dei Cinesi hanno ripreso la sua musica. C’è poi un altro limite, quello della non-conoscenza degli autori lucani tra di loro: quelli di Montalbano non conoscono Maratea, per intenderci. “Gli Stati Generali della Musica” potrebbero essere quindi un luogo in cui conoscersi di più e in cui sperimentare: un evento del genere potrebbe essere guidato da noi Regione, superando però quel campanilismo, che più che altro nasce dal fatto che ognuno di noi si è chiuso e non riesce ad andare oltre se stesso.

D: Lei ha citato più volte Antonio Infantino come esempio da seguire, ma non dovrà più accadere che un artista di tale calibro –se mai lo avremo- debba morire in situazioni economiche difficili e dimenticato un po’ da tutti, soprattutto -mi permetta- dalle istituzioni.

R: Sì, anch’io colsi ad Aliano, in occasione di uno dei suoi ultimi meravigliosi concerti, questa sua difficoltà. Perché è accaduto? Perché era un Genio incompreso…ecco quindi l’importanza della presenza degli strumenti per capire un personaggio così. Ma era incompreso…

D: Incompreso da chi?

R: Dalla maggior parte delle persone, sia istituzioni, sia operatori della Cultura.

D: E quando –post-mortem- questi grandi personaggi vengono finalmente celebrati, si chiamano sempre persone da fuori regione (musicisti come intellettuali). A Potenza come a Matera. Perché?

R: In effetti una certa tendenza esterofila c’è sempre (anche se il confronto è necessario), perché non siamo totalmente consapevoli del nostro valore e non ci si sente in grado di saper interpretare quell’incomprensione che c’è stata su un personaggio del genere. Va quindi messo in moto un meccanismo che parta dalla ricerca, musicale e storiografica, che prenda corpo anche nell’Università, con la quale non si collabora quasi mai se non nella parte didattica. E poi bisogna tutti lavorare di più insieme, e superare certi individualismi. Dal canto nostro, su Infantino abbiamo fatto un documentario e anche nel film “Lucania” lui aveva una parte importante, in cui ha interpretato se stesso, quasi presagendo –ahimè- la sua morte. Però bisogna insistere, soprattutto sullo “studio” del nostro territorio. Il nostro bando sullo spettacolo dal vivo, sul cinema, richiede che le società abbiano sede operativa e legale in Basilicata. Così come “Basilicata Circuito Musicale” copre 100 comuni lucani su 113. Oggi vanno fatti progetti di rete, ma –come dicevo- anche “di filiera” delle professioni.

D: Il film che la rappresenta?

R: “Una pura formalità “ di Tornatore.

D: Il libro?

R: “Il principio di responsabilità” di Hans Jonas.

D: La canzone?

R: Fra tutte quelle di Mogol, forse “Emozioni”.

D: Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?

R: Pensando a quella di Carlo Levi, nulla, solo un fiore e l’essere a contatto con la terra, quella di Matera e dei Sassi.