- Redazione
- Sabato, 05 Dicembre 2020 08:46
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di Walter De Stradis
Racconta di aver fondato con alcuni altri una “Corrente dei romantici” all’interno del Pc, e poi nel Pds, nei Ds e infine nel Pd.
Sessantatrè anni, già assessore regionale e Presidente della Provincia di Potenza, da sette anni è sindaco del suo paese, Lavello.
D: Come giustifica la sua esistenza?
R: Il mio attuale incarico di sindaco si può dire che arrivi alla fine di un’esperienza, fatta di una militanza crescente, nata da giovane nella sinistra giovanile, per poi arrivare al Partito Comunista Italiano e, attraverso ulteriori passaggi, al Partito Democratico, nel quale ancora milito, pur in presenza di alcuni miei…
D: …dissensi?
R: Disagi.
D: Dovuti a cosa?
R: Beh, credo che bisogni ritrovare il senso di una comunità, cosa che negli ultimi anni si è smarrita, laddove per lunghi anni c’è stata invece un’idea di democrazia “notabilare”. Tuttavia credo ancora che la forma partito del Pd possa rappresentare la soluzione, anche se dev’essere molto più vicina agli iscritti e ai territori, cosa che per adesso non vedo.
D: Lei ha parlato addirittura di “democrazia notabilare” del Pd. E’ per questo che oggi c’è un governo regionale di centrodestra o magari invece quel tipo di forze politiche hanno saputo veramente offrire qualcosa di diverso ai cittadini?
R: Io credo che con la sconfitta alle regionali si sia chiuso un ciclo politico iniziato diversi anni prima, con il centrosinistra che aveva manifestato una capacità di governo e una efficace lettura della società e una notevole capacità di riforma con conquiste esemplari (penso al “Computer in ogni casa” e una certa idea di sanità, screening e prevenzione). Poi c’è stata una certa stanchezza e delle divisioni enormi che hanno rappresentato una sorta di pre-condizione per la sconfitta: un’incapacità di fare sintesi. E sono mancati anche i dirigenti all’altezza: io vengo da quella generazione che ha trovato in Antonio Luongo una capacità di guida e sintesi molto importante. Quindi, la vittoria del centrodestra non mi pare tanto dovuta alla capacità di fare una proposta forte (e anche i risultati in questa prima fase di governo mi sembrano tutt’altro che eccellenti), quanto piuttosto a una quasi punizione del centrosinistra.
D: Lei si sente ancora un comunista?
R: Certamente sì, ancora oggi essere comunista significa partire dalle diseguaglianze e dalla tutela dei soggetti più deboli.
D: E ritiene che questa Pandemia, specie in Basilicata, abbia accentuato un certo tipo di diseguaglianze?
R: Assolutamente sì. Perché innanzitutto colpisce quelle comunità con i soggetti più fragili (gli anziani, ma anche le famiglie con maggiori difficoltà economiche e con meno istruzione), cercando delle reazioni a catena. La prima è la povertà educativa che sta colpendo diversi nuclei familiari, condannando le generazioni future a problemi abbastanza seri; la seconda è che stanno venendo fuori della forme –per così dire- “ricattatorie” nel mondo del lavoro. Nel senso di mancanza di tutele.
D: “Ricattatorie”?
R: In un certo senso sì, se lei pensa a quei dipendenti con contratti interinali di poche settimane che devono vivere in ambienti di lavoro in cui ci sono sì i livelli di sicurezza assicurati dai protocolli, ma ove non ci sono però attività di prevenzione, di screening costanti e di tracciamenti puntuali. Situazioni in cui si va a lavorare anche in presenza di qualche sintomo, pur di non rischiare di perdere il lavoro. Ho usato un termine forte, ma il senso è quello.
D: Spesso i sindaci sostengono che quella da Primo Cittadino sia un’esperienza chiave per chiunque voglia fare il politico. Lei ci è arrivato dopo essere stato presidente della Provincia…
R: La rete dei sindaci potremmo dire che è quasi l’ossatura della Repubblica. E’ vero, io vi arrivo dopo un notevole bagaglio di esperienze che mi hanno visto consigliere e assessore regionale, nonché Presidente della Provincia, ma posso dire che questa è la funzione più articolata e complessa: ha poteri che definirei enormi, ma con mezzi che sono prossimi allo zero. Non parlo del mio, ma so di comuni lucani in cui ci sono solo quattro o cinque dipendenti, che devono occuparsi tanto dell’ufficio tecnico quanto della vigilanza, e in assenza di dirigenti. Io penso che questo sia il momento di un’assunzione straordinaria di giovani intelligenze, da immettere negli enti locali.
D: Servono i soldi, però.
R: I soldi pure ci sono, ma occorre una capacità ad adeguare alcune cose nelle leggi sui concorsi, a non avere una “omologazione” rispetto a molte richieste, che trovo legittime, circa alcune stabilizzazioni negli enti locali. Tuttavia, negli ultimi dieci/quindici anni, c’è stato un depauperamento della pubblica amministrazione, mancano all’appello centinaia di migliaia di dipendenti, e questa può essere l’occasione giusta, anche per gli enti locali.
D: Alcuni sindaci che abbiamo intervistato lamentano inoltre una certa “distanza” dal Palazzo regionale.
R: Da parte mia negli ultimi periodi ho registrato soprattutto la mancanza di una regia democratica, esattamente la funzione che credo una Regione debba attribuirsi: avere una visione, un programma, una capacità di lettura dei fenomeni e delle dinamiche (pandemia e altre vicende) e quindi di regolare. Invece abbiamo assistito da un lato a una capacità molto limitata di coordinare e fare regia democratica, dall’altro a una tendenza a trovare soluzioni estemporanee che finivano con l’aumentare la confusione e i disagi. Le faccio un esempio su tutti: il cittadino oggi può fare un test molecolare dal privato, ma poi CHI è a conoscenza di questa scelta del cittadino? Il sistema sanitario no. Il paradosso è che nel momento in cui si verifica la positività al Covid, diventa un problema di sanità pubblica e quindi investe il sindaco, l’azienda sanitaria, la Regione etc. Io dico: non è molto più semplice se il cittadino, prima di farsi il tampone privato, lo comunica al proprio medico, in modo che vi sia “traccia”, insomma? Non accade, al contrario riscontro un’attività molto disordinata, laddove ci vorrebbe invece una regia.
D: Eppure l’assessore alla sanità Leone è stato sindaco come lei.
R: Sì e ci siamo anche frequentati in Anci, in cui era anche molto attivo. Tuttavia –e non lo dico per polemica, perché adesso serve coesione- ribadisco che a mio avviso manca una regia democratica, che –soprattutto- sia TRASPARENTE. Specie se vogliamo chiamare i cittadini a maggiori sacrifici.
D: E quindi se potesse prendere Bardi sottobraccio cosa gli direbbe?
R: Di ascoltare di più il territorio: a prescindere da chi sta parlando, il nostro territorio esprime una grande qualità di amministratori locali. E’ un grande patrimonio che andrebbe coinvolto e chiamato a decisioni. Lo dico sottovoce: non serve quell’atteggiamento “paternalistico”, ma privo di regia, e i territori non vanno visti solo come “un pezzo” da guidare in alcuni casi, e da “allisciare” in molti altri.
D: Le scuole non andavano chiuse?
R: E’ una discussione molto complessa, anche in Anci, ma io credo che non dovremmo privarci di questo presidio. Non nego che possano esserci problemi e contagi, ma proprio per questo –all’interno di uno scambio democratico- alla Scuola io devo assicurare il massimo della tutela della salute pubblica e ridurre al minimo il rischio di contagi. Ma come? Purtroppo ci arriviamo in ritardo: solamente qualche giorno fa la Regione ha messo a disposizione dei comuni 6 milioni euro, un’ottima scelta, perché andare a scuola e tranquillamente si ottiene solo se ogni 40 giorni si fa uno screening a tappeto di tutta la popolazione scolastica con test antigenici, e se ci sono focolai o positività si chiudono alcuni i plessi. Solo così si avrà la certezza che il ritorno a scuola avverrà in sicurezza. Capisco la difficoltà della scelta della Regione che ha chiuso le scuole, ma io avrei operato diversamente.
D: In merito ai contagi nel suo paese, lei ha chiamato spesso in causa la Fiat di Melfi, non senza suscitare anche qualche polemica con alcuni sindacati, i quali rivendicano l’essersi battuti in fabbrica per l’ottenimento e l’applicazione dei protocolli di sicurezza necessari…
R: E’ chiaro che la mia posizione è stata semplificata, ma io mi riferivo all’intero comparto dell’automotive e dell’indotto nella zona industriale di Melfi, laddove i protocolli sono stati attivati a maggio (in una situazione diversa da quella attuale) e che so bene essere tenuti in piedi e rispettati con grande rigore. Tra l’altro, io ho registrato contagi in famiglia di dipendenti Barilla, di imprese della logistica, agroalimentari, di trading elettronico: c’è un agglomerato enorme, in cui la mobilità influisce pesantemente sul contagio. Guardi, dal mio Comune io comunico qual è lo stato dell’arte su tamponi, contagi e contatti, pertanto io chiedo: si può avere un’informazione condivisa di questo tipo? Anche per poter intraprendere i comportamenti consequenziali e di sanità pubblica! A parte la Fiat e qualche altro, non tutte le imprese lo fanno, non hanno un rapporto trasparente. Capisco che certe cose hanno dei costi (come Comune ho comprato mille test antigenici, a fronte di sei/settemila che probabilmente in seguito ne serviranno, e ho già speso 12mila euro), ma anche qui lo scambio democratico dev’essere di questo tipo: da un lato assicurare uno screening permanente, anche senza interrompere le attività produttive, e dall’altro la sicurezza nella fabbrica. Quella di “chiudiamo Fiat e tutta la zona industriale” era solo una provocazione, finalizzata ad un altro tema che si sottovaluta: a Lavello abbiamo una diffusività elevata del contagio, ma una singola “zona rossa” non risolve il problema, dato che solo nel mio paese ci sono circa duemila persone che vanno a lavorare in queste zone industriali. Capisco le problematiche del mondo dell’impresa e di quello sindacale, ma se non c’è trasparenza e scambio è difficile realizzare qualcosa.
D: Concludiamo. La canzone che la rappresenta?
R: Direi un intero album, “Non al denaro non all'amore né al cielo” di Fabrizio De Andrè. E il disco che mi ha spinto a superare il dilettantismo nel suonare la chitarra: infatti ancora oggi faccio spettacoli in teatro. Ricordo con piacere l’esperienza con Libera e Banca Etica, per la regia di Pino Quartana.
D: Il film?
R: Forse “La leggenda del pianista sull’oceano”.
D: Il libro?
R: Adoro gli autori sudamericani, Garcia Marquez, Sepulveda…
D: Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?
R: Proprio oggi (mercoledì –ndr) ricorre il centenario di Alberto Jacoviello, e mi piace molto il suo epitaffio, «Una persona che guardò il Mondo da molto in lato, senza però mai perdere i contatti con il territorio», o qualcosa del genere.