- Redazione
- Sabato, 11 Aprile 2020 09:11
di Walter De Stradis
Filtrata dal telefonino, la sua voce è quella di sempre: scandita, priva di esitazioni, quasi marziale. Ritrovarsi in videochat con Carmen Lasorella è come avere il privilegio di ricevere un suo personale collegamento da una zona di guerra, proprio come quelli che l’hanno resa nota in tv. In fondo, una “war zone” è quella in cui ci ritroviamo un po’ tutti, chi nelle proprie trincee domestiche, chi (medici, infermieri, volontari), faccia a faccia con il nemico senza volto. Il Covid-19.
D: Come giustifica la sua esistenza?
R: Non mi sono mai posta il problema. Ho vissuto.
D: Veniamo subito all’emergenza Coronavirus. In un suo fondo recentemente pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno, rilanciando l’appello di accademici e scienziati, lei caldeggia un celere avvio della cosiddetta Fase 2, con una sua proposta: avvalersi del Sud, della Basilicata in particolare, come zona in cui sperimentare le misure di cui si sta parlando (ritorno al lavoro con dipendenti in sicurezza, ricorso all’intelligenza artificiale per monitorare il virus sul territorio). Il tutto, in virtù della storica e atavica “resilienza” dei territori e del basso livello di contagio.
R: Non si tratta di un discorso “locale”. La “Fase 2” riguarda il mondo intero: bisogna ricominciare, altrimenti tutto crollerà. Qui in Italia, in presenza di segnali positivi che ci parlano di un contagio che piano piano rallenta (ma che non si è esaurito), è più che mai evidente che bisogna tornare al lavoro (ovviamente in sicurezza, altrimenti si ricomincia daccapo). Ergo, questa fase si può avviare subito laddove il contagio è minore. Guardi, non è una cosa solo “da scienziati”, è NORMALE che si debba uscire da questa situazione. Ne ho parlato con tanti amici e conoscenti, anche stranieri, e l’esigenza è condivisa: la ripresa del lavoro in sicurezza deve intervenire in tempi stretti, siamo quasi in un dopoguerra, servono dunque provvedimenti eccezionali in termini finanziari ed economici per rimettere in corsa il Paese, con annesse misure di sostegno al reddito, liquidità, investimenti. …Non possiamo continuare ad essere comprati a quattro soldi dagli stranieri!
D: E quindi, la Basilicata…
R: I provvedimenti speciali vanno innanzitutto presi laddove il contagio è meno diffuso. Ma non bisogna parlare di “Area Test” (si è trattato di un equivoco), quanto di un luogo ove “implementare”, ovvero spingere, portare avanti, condividere un problema. Il tutto in uno spirito di solidarietà rispetto ad altre aree del Paese, ove il contagio e il numero dei decessi è invece altissimo, che potrebbero beneficiare dell’avvio di questo percorso.
D: Può non piacerci ma, per ragioni storiche, a volte nella mentalità del cittadino del Sud c’è il classico “ma a me che me ne viene in cambio?”. Il discorso della geolocalizzazione implica infatti una rinuncia ad alcune prerogative costituzionali…
R: Le dico una cosa. Un giornale tedesco ha pubblicato l’appello dei colossi nazionali dell’auto alla signora Merkel: «Dobbiamo aiutare l’Italia». L’hanno chiesto perché tutta la componentistica viene dall’Italia e della Spagna. Il concetto è semplice: siamo tutti sulla stessa barca. Sempre sui giornali tedeschi, Joska Fisher, un politico di rango, che ho conosciuto quando ero corrispondente da Berlino e lui era ministro degli esteri, ha pubblicato una lettera, che sostanzialmente dice: «La Germania nel Dopoguerra è stata aiutata, adesso tocca a lei aiutare gli altri. In particolare l’Italia...».
D: Viene quasi da dire “Lucani, non facciamo i Tedeschi”, perché proprio il governo tedesco…
R: …Tenga presente che i governi sono una cosa e i popoli un’altra. E questi ultimi CAPISCONO che devono lavorare insieme e ogni volta che possono lo fanno. Ne ho avuta la conferma a tante latitudini. Non innamoriamoci dei titoli… purtroppo ci sono tanti giornalisti che sono emarginati e perfino privati della libertà, perché stanno denunciando l’inadeguatezza dei propri governi. Penso alla Turchia o al Sudafrica, ma anche all'Europa, all’Ungheria, al Sud America e al Venezuela. Raccontano le morti, i ritardi, i disservizi, i favoritismi e lo pagano carissimo. Detto questo, continuo a credere negli uomini. Mi auguro che il Sud possa essere migliore di quel che lei dice, e che apprezzi e comprenda che questo è il ragionamento da seguire. Inoltre, partecipare all’avvio della Fase 2, con la regia di Roma in un progetto evidentemente più ampio, potrebbe rappresentare un’opportunità per la Basilicata: più investimenti, controllo del territorio anche in termini di sicurezza, accelerazione tecnologica... L’allargamento della banda sarebbe una benedizione in un terra che ha problemi giganteschi.
D: Anche qui in Basilicata non si placano le polemiche circa la gestione dell’emergenza sanitaria. Sui social e sui giornali si denunciano corsie preferenziali per la somministrazioni dei tamponi, ritardi che possono essersi rivelati fatali…
R: Innanzitutto voglio manifestare le mie condoglianze per la morte di Antonio Nicastro, che era un collaboratore del suo giornale e che io ho conosciuto. Per il resto, quella a cui lei accenna non è una realtà tipica soltanto della Basilicata (pensiamo allo scandalo del momento, quello del Pio Albergo Trivulzio), ma che ci sia stata una buona gestione dell’ordine pubblico e non altrettanto in ambito sanitario, sul versante lucano è più grave, perché il numero dei casi è molto limitato. La scienza ci sta dimostrando che ciò che conta è la COMPETENZA e che non si può mettere uno qualsiasi a fare un lavoro importante. Ci si rivolge ad un architetto per fare una casa e lo si cerca bravo...perché invece la Cosa Pubblica deve stare nelle mani di chiunque?
D: Il tema qui da noi sembra essere proprio questo, a proposito delle scelte che sono state fatte per alcune figure apicali.
R: Mi piacerebbe che il tema della competenza ricevesse la giusta considerazione, perché non si può andare avanti con i sistemi clientelari. In una piccola realtà come quella lucana, una Sanità che non funziona, un grande ospedale inzeppato di raccomandati… ma che roba è?! È solo un danno! Sono questi i nodi che prima o poi vengono al pettine. Non si tratta, ovviamente, di puntare il dito contro tizio o caio, ma è il sistema... un sistema che ha fatto sempre comodo al potere e che si continua a legittimare. D’altro canto, in questi momenti in cui la verità passa al setaccio, ci si rende conto che la Cosa Pubblica è stata lasciata alla deriva. La Storia ci ha regalato esempi altissimi di servizio: il privilegio di interpretare i bisogni di una comunità. Invece oggi è come se si fossero clonati tanti piccoli Maduro: si vivono i privilegi e non si mollano. Del resto, la crisi di leadership a livello planetario è uno dei problemi del nostro tempo.
D: Se potesse prendere Bardi sottobraccio, cosa gli direbbe?
R: In fondo, sono una donna timida, non prendo sotto braccio chi non conosco.
D: Diciamo una telefonata di cortesia, allora.
R: Le chiacchiere da bar mi piacciono poco. Credo però che siano sempre e solo le persone a fare la differenza, e queste devono assumersi le loro responsabilità. Ecco, è il concetto di responsabilità quello che manca.
D: Alcuni, fra coloro che leggeranno questa sua intervista e le sue proposte, si chiederanno se lei non stia per caso ripensando a un eventuale impegno politico.
R: No, guardi, come ben sa, io ho fatto un passo indietro, dopo che mi ero affacciata per vivere DA DENTRO, e non “da vicino”, la realtà lucana, che è LA MIA: mia madre vive a Potenza, mio padre è sepolto nel cimitero del Capoluogo, io sono nata a Matera. Mi sono resa conto che il desiderio di cambiamento non c’era, se non a parole, come se fosse una cosa che riguardasse altri. Io mi ero messa a disposizione per interpretare un cambiamento doveroso in una Regione lontana dagli standard che –con le sue risorse- avrebbe diritto di vivere. Non sono una “donna di potere”, pur essendomi guadagnata tutto: ruoli e successo, grazie al mio impegno. Ma ho scoperto di non avere compagni di viaggio. Negli incontri, nelle possibilità di alleanze che vagliavo, l’unica questione che veniva posta era “A noi cosa tocca?”: (che poi è un po’ il discorso che faceva lei all’inizio).
D: E quindi lei per il futuro esclude che…
R: … Per mia natura non escludo mai niente a priori. “La vita cambia sempre” : mi ha detto tanti anni fa, a Rangoon, Aung San Suu Kyi, la leader birmana, che ho intervistato (fu quasi un miracolo) quando lei era agli arresti domiciliari. Lo penso anch’io.
D: Il libro che la rappresenta?
R: “Il gabbiano Jonathan Livingston”. Anche se il mio primo, grande amore è Hemingway.
D: La canzone?
R: “Emozioni” di Battisti, ma sono una fan di Bach e di Beethoven.
D: Il film?
R: Ne vedo meno di quanti vorrei.
D: Lei è diventata famosa anche per i suoi collegamenti dalle zone di guerra. Se le fosse concesso un ultimo “collegamento tv” prima di lasciare questo mondo, con quali parole lo chiuderebbe?
R: «Ho scelto sempre la mia strada, nella gioia di amare, curiosa di sapere».