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di Walter De Stradis

E’

stato per decenni il presidente del gruppo lucano dell’Aiac, l’associazione italiana allenatori calcio, e -fino al primo exploit (compreso) del Caiata presidente- una figura irrinunciabile nell’organigramma del Potenza Calcio, ove ha ricoperto il ruolo dell’allenatore in seconda, praticamente «con quasi tutti i mister che si sono succeduti sulla panchina». Fra i progetti di cui va più orgoglioso, vi sono il “Premio Mancinelli”, in virtù del quale ha fatto venire a Potenza nomi molto grossi del calcio nazionale, e i corsi di allenatore tenutisi nel carcere del Capoluogo, che – a suo dire- hanno consentito a non pochi detenuti di ritrovare il giusto senso della vita, una volta fuori.

Il giorno che lo incontriamo (il 23 ottobre), mister Gerardo Passarella compie settantun anni.

d - Lei è stato, per tantissimi anni, l’allenatore in seconda di quasi tutti i tecnici che si sono succeduti sulla panchina del Potenza; ha avuto una parentesi come allenatore titolare (nel 1992-93) ed è stato responsabile dell’area tecnica.

r - Sono stato calciatore per il Potenza, successivamente per alcune squadre dilettantistiche, e poi sono tornato come allenatore in seconda e delle giovanili.

d - La domanda è: perché c’è sempre stato bisogno di Passarella?

r - Non saprei, forse perché, con molta umiltà, ho sempre voluto svolgere il mio ruolo. Guardi, a me non ha mai interessato fare l’allenatore in prima qui a Potenza, troppo complicato. L’allenatore in seconda, invece, è -a mio avviso- proprio la figura che la società non può permettersi di sbagliare; fa da cosiddetto “sarto”, cuce i rapporti, tra squadra, allenatore e società.

d - Cioè i giocatori vanno a lamentarsi da lui?

r - Sicuramente sì. Ma tenga presente che è una figura che la società non può sbagliare, perché se prende un allenatore in seconda il cui obiettivo è fare le scarpe al primo...sono guai. Io ho fatto l’allenatore in seconda con tutti, ma non mi hanno mai fatto sentire “un secondo”, bensì un collaboratore. Ho sempre rispettato: sapevo dove finiva il mio ruolo e dove iniziava quello dell’altro.

d - Non ha mai invaso lo spazio dell’allenatore.

r - No, c’era collaborazione, cosa rara nel calcio, perché spesso il secondo...

d -...sgomita.

r - Esatto. Certo, poi ho avuto l’occasione di fare l’allenatore in prima, perché andò via Lombardo (una persona eccezionale), arrivando fino allo spareggio di Foggia; ma la stagione successiva, benché la società avrebbe voluto confermarmi, tornai tranquillamente a fare il secondo, al fianco del mio grande amico Marcello Pasquino, che non c’è più.

d - Quindi potremmo titolare: “Allenatore in seconda per scelta (non degli altri)”.

r - Certo. Non che mi sia mancata l’opportunità di andare a fare l’allenatore fuori, ma, lavorando qui a Potenza (al Ministero dei Beni Culturali – ndr), ho sempre preferito rimanere in città.

d - Che momento vive il calcio in Basilicata? Mi riferisco tanto alla FGCI, quanto ai settori giovanili e agli impianti.

r - La situazione del calcio locale è in tutto e per tutto simile a quella nazionale. Come allenatore professionista sono stato anche più volte delegato per l’elezione del Presidente nazionale della Federazione, e dico che ci vuole un “reset”: non è possibile che da quaranta, cinquant’anni, ci siano sempre le stesse persone.

d - Bisogna rottamare, per usare un termine caro a Renzi?

r - Direi proprio di sì. Dai vertici nazionali fino a scendere giù, “a pioggia”, devono essere resettate pure le guardie giurate.

d - Ma cosa c’è che non va, a parte l’età delle persone?

r - Io vorrei un confronto con queste persone che sono al loro posto da così tanti anni, sia a livello nazionale sia regionale, affinché possano spiegarmi quali sono stati i miglioramenti ottenuti, che cosa hanno dato al calcio. Pensi che qui in Basilicata, da oltre 150 squadre, siamo giunti sì e no a 100. Di questo passo rischiamo l’accorpamento alla Puglia o a qualche altra regione. Chi sta lì, insomma, che cosa fa? Il problema è che alle società sembra andare tutto bene, salvo poi lamentarsi.

d - Ma l’imprenditoria locale crede ancora nel calcio?

r - Credo di sì, ma va anche detto che diverse realtà mancano all’appello del calcio che conta: Melfi, Lavello, tutti questi grossi centri, non meritano certo le categorie in cui stanno giocando.

d - E come mai, nella storia, pochissimi giocatori lucani (Colonnese, Zaza...) sono emersi a livello nazionale?

r - Questo non è vero. Se facciamo le dovute proporzioni con le altre regioni, beh, non sono pochi: Colonnese, Lo Re, Bruno... Colonnese forse è stato il top, ma ci sono stati anche Catalano, Nolè. Queste cose accadevano quando si faceva il settore giovanile come si deve. Col professor Bochicchio di Avigliano andavamo a cercare i migliori talenti in giro per la Basilicata e facemmo una squadra veramente all’altezza della situazione. Tant’è vero che quell’anno Colonnese, Lo Re e Bruno furono venduti e avviarono le loro carriere di successo. Sette dei nostri ragazzi fecero inoltre parte della rosa di prima squadra.

d - Quindi oggi il problema è tutto nel settore giovanile?

r - Proprio lì. E una scuola calcio NON E’ un settore giovanile. Quest’ultimo si viene a creare quando una società investe e si sceglie i ragazzi. Le scuole calcio invece sono degli oratori a pagamento. Mi consenta la provocazione, ma mi devono dimostrare cosa si riesce a insegnare a un bambino di cinque/sei/sette anni. Questi ultimi hanno bisogno di tecnici qualificati, perché la facilità di apprendimento in un bambino è sopratutto visiva, ma alcuni dei cosiddetti tecnici non hanno gli strumenti. Il problema è a livello nazionale: sono state abilitate persone che il pallone non l’hanno mai visto, neanche al negozio sotto casa. E poi, anche se avrei dovuto dirlo per primo, non c’è rispetto dei ruoli: ci sono giornalisti che pretendono di fare i tecnici, dicendo fesserie, tra l’altro. Ognuno deve fare il suo.

d - Diciamo una cosa positiva: quali sono stati i personaggi che hanno dato DAVVERO qualcosa al calcio potentino, e di conseguenza anche alla città?

r - Dal punto di vista tecnico, direi subito Gino Masperi: quelli della mia generazione devono dire grazie a lui se, alla nostra età, riusciamo ancora a calciare la palla. A livello dirigenziale, citerei un po’ tutti quelli che si sono succeduti: Sandrino Giraldi, Geny D’Onofrio, Pietrafesa, Zaccagnino, Basentini, Postiglione. L’elenco sarebbe più lungo. Hanno tutti dato un contributo. Adesso c’è Macchia.

d - Le piace il corso Macchia?

r - Beh, dico quello che ho detto anche in riferimento alle gestioni passate: quando una società piglia e parte, senza essersi prima seduta e aver stanziato un tot congruo per il settore giovanile, individuando tecnici qualificati, per me non c’è futuro. Perché poi in questo modo si vivranno sempre i “carpe diem”. Se andiamo a vedere quanti fallimenti ci sono stati...si capisce che bisogna costruire dalla base. Una casa non la si costruisce a partire dal tetto. E vanno prese le persone più qualificate: un costruttore non assumerà mai un muratore per fargli fare l’ingegnere. E, come dicevo, una scuola calcio, coi suoi tempi molto limitati, non può sopperire.

d - Il suo appello è chiaro: ricostruiamo il calcio a partire dal settore giovanile.

r - Oh!!! E se una prima squadra fa cinque allenamenti a settimana, una giovanile ne deve fare sei! E’ un’impresa, ma va fatta. Le scuole calcio ci sono perché con dieci-quindici gruppi a giornata, sono soldi, e poi -diciamocelo- per certi genitori diventano un parcheggio, laddove una volta invece c’erano gli oratori. Ma, ripeto, è un problema nazionale. I ragazzi di oggi si stanno allontanando dal calcio; e sa perché non emergono più talenti? Perché non si gioca più in mezzo alla strada! I bambini di oggi, sempre attaccati ai cellulari, non fanno attività motoria.

d - Veniamo alla questione Viviani, ove i lavori si sono fermati. Secondo lei è meglio ampliare o delocalizzare?

r - Non sono dell’avviso di delocalizzare, visto che probabilmente stiamo parlando dello stadio più vecchio d’Italia. D’altronde, dovremmo fare uno stadio da 15-20mila posti...e per metterci chi? I numeri non ce li abbiamo. E poi, delocalizzazione dove??? Pertanto, io sistemerei il Viviani: coprendo i distinti e le curve, ne verrebbe fuori un gioiellino.

d - Un episodio che porterà sempre con sé?

r - Nell’anno dello spareggio a Foggia, stagione 1992/93, avevamo una squadra veramente notevole (Libro, Toscano, Marino, Crucitti: oggi mi hanno chiamato tutti per farmi gli auguri). Facemmo lo spareggio dopo un mese, mentre tutte le altre squadre erano al mare. La tensione e le aspettative erano molto alte. Una volta arrivati allo stadio, vennero da me Del Giudice e il capitano Garzieri, chiedendomi di incontrarmi -da solo- per cinque minuti. Io -me ne vergogno a dirlo- malignai per un secondo, ma una volta entrati da soli negli spogliatoi, loro mi dissero queste parole: “Mister, parliamo a nome di tutti: noi oggi questa partita la giochiamo per te”. Mi commuovo ogni volta che ci penso. Come dicevo, con loro ho un rapporto eccezionale ancora oggi.

d - La città, in generale, come la vede?

r - Come una RSA, perché tutti i giovani stanno andando via. La politica si deve porre soprattutto questo problema, altrimenti è inutile fare gli stadi grandi, eh.