- Redazione
- Sabato, 20 Luglio 2024 09:33
clikka sulla foto per guardare il video di Lucania Tv
fare a meno di notare alcuni
dei suoi (molti) tatuaggi.
Due sono dedicati ai
fi gli, un altro, sul braccio
sinistro, raffi gura un leone, probabilmente
il suo lato “animale”. Ma ce n’è ancora di
spazio, su due metri e tre di altezza, per
futuri ornamenti.
Aristide Landi, trentenne campione di
basket potentino (ha vinto gli europei
con la nazionale under 20 nel 2013 ed
è attualmente in forza al Torino, in A2),
fi glio d’arte (il padre Edmondo è stato
una leggenda locale), da quindici anni gira
per l’Italia con successo (Bologna, Roma,
Trieste, Milano), ma ogni volta che torna
nella sua Potenza, man mano gli si delinea
in testa con più chiarezza un “disegno” che
riguarda la sua città.
D - Come giustifica la sua esistenza?
R - La ricollego certamente all’ambito sportivo.
Devo tutto a mio padre, poiché è lui che
mi ha trasmesso questa grande passione,
andavo a vedere le sue partite quando
ancora ero nella pancia di mia madre.
Quest’ultima, invece, giocava a pallavolo;
insomma ho avuto due genitori sportivi
che da sempre mi hanno accompagnato e
assecondato questa mia voglia di emergere.
D - Le sarà mai capitato di sentirsi dire nella
sua carriera: “Ah, sei di Potenza? Ma
Potenza dove si trova? “
R - Sempre. Tutti i giorni. Ma lo vivo come un
punto a favore, è un orgoglio. Anche se torno
a casa una volta l’anno per me rimane una
gioia immensa. Per me questa è casa e guai
a chi me la tocca.
D - In realtà mi ha fornito uno spunto. Suo
padre è stato un grande personaggio del
Basket potentino, mi pare di aver letto a
tal proposito su Facebook un post di un
personaggio politico locale nel quale si
sottolineava che proprio suo padre qui
non è mai stato celebrato come merita.
Lei è d’accordo?
R - In realtà con quel politico, Smaldone, ho
avuto modo di incontrarmi di persona e di
intrattenere una piacevole chiacchierata.
Sono rimasto particolarmente legato
nel tempo alle parole dell’ex assessore
Ginefra il quale aveva dimostrato la
volontà di intitolare il Coni in memoria
di mio padre. Sono a Potenza da qualche
giorno e, insieme alla mia compagna, mi
è capitato di apprendere che ci sarebbe
la volontà, sempre in merito alle sorti del
Coni, di destinarlo ad un progetto differente
e ai cosiddetti “sport minori” come le arti
marziali. Le dico la verità, ne ho sofferto
molto. Mi sarebbe piaciuto che proprio lì,
nella sede del Coni, ci fosse stato un campo
da Basket, magari dedicato a mio padre.
Quando ho saputo che sarebbero stati
privilegiati altri sport un po’ ne ho sofferto.
Io sono nato in quella palestra, andavo a
vedere mio padre giocare anzi, dico di più,
avrei voluto dare una mano durante le fasi
della ristrutturazione, sarebbe stato anche
un modo per fare emergere qualche nuovo
talento locale nella pallacanestro. Con
Pierluigi Smaldone, come dicevo poc’anzi,
c’è stata una piacevole e produttiva
chiacchierata, speriamo che qualcosa si
muova. Vedere il Coni in quelle condizioni
fa male al cuore. Quando si parla del Coni a
Potenza l’associazione con la Pallacanestro
è immediata.
D - Lei è uno dei pochi sportivi di successo
che ho sentito, che parla di fare qualcosa
per la città. Magari al termine della sua
carriera da giocatore ha intenzione di
ritornarci e riversare qui le competenze
e le abilità acquisite?
R - Io ho ancora molti amici che sono rimasti
qui e che sono degli sportivi. Quello che
non riesco a comprendere è come sia
possibile che oltre a me non ci sia stato più
nessun giovane ad emergere nel basket.
Qui ci sono tante società, ma ognuna
lavora per conto suo. Quando stavo a
Bologna, ad esempio, c’erano la Virtus
e la Fortitudo, il top a livello italiano nel
settore giovanile. Ebbene anche tutte le
altre società collaboravano tra di loro. Tutti
facevano squadra per provare a fare un
settore giovanile di qualità. Semplicemente
ci si metteva tutti insieme, mentre qui
questa cosa non accade, ognuno coltiva il
suo orticello. È visibile a un occhio esperto
come il mio che tra le società locali non ci
sia armonia. E questo purtroppo è il nostro
limite.
D - È per questo, secondo lei, che rimane
l’unico a essere emerso?
R - Magari ho avuto la fortuna di nascere con
un talento, ma dietro ci sono tanti sacrifici e
un duro lavoro. Io devo ringraziare Gaetano
Larocca che mi consentiva di tirare al
campetto nei giorni di libertà. Ci rimanevo,
a volte, anche fi no alle due di notte. Vorrei
tanto provare e fare qualcosa di bello per
la mia città, anzi, dopo la chiacchierata
con Smaldone ho buttato giù qualche idea,
magari per la prossima estate.
Non voglio costringerla ad anticipare
qualcosa, ma secondo lei cosa si potrebbe
fare?
Un camp professionale per i giovani. Voglio
metterci la faccia e perché no, sponsorizzare
una società, ma coinvolgendo tutti.
Vedremo.
E secondo lei a strutture sportive come
siamo messi? Potenza è stata anche Città
europea dello sport, ma non se n’è accorto
nessuno.
Di certo c’è molto da lavorare. Io ho
trascorso buona parte della carriera nelle
città top italiane ove non mi sono mai potuto
lamentare delle strutture. Qui ce ne sono
tante, forse pure troppe per le dimensioni
della città stessa, quindi è normale che non
si riesca ad averle tutte perfette, poiché i
costi sono elevati. Le strutture principali
come il Pala Rossellino o la Palestra Vito
Lepore -grazie anche al supporto delle
società che se ne servono- devono però
essere riqualifi cate, specialmente per ciò
che concerne il parquet, i canestri o le
dimensioni del campo. È ovvio che le società
da sole non ce la possono fare, pertanto si
rende necessario anche il supporto delle
istituzioni competenti.
Quando le capita di tornare, come “vede”
la sua città?
Ho trovato tanti locali nuovi e un bel
fermento, specialmente durante il weekend.
Si mangia bene e si beve altrettanto bene.
In merito ai collegamenti direi qualcuno
buono, altri peggiori, ma le buche purtroppo
non mancano mai. Ma qui sto bene e non mi
lamento.
D - Come immagina il suo futuro postbasket?
R - Per ora non ci voglio pensare. Mi piacerebbe
però molto allenare o, chissà, mi dedicherò
agli investimenti che ho fatto.
D - Qual è il suo più bel ricordo in ambito
sportivo?
R - Quando ho vinto l’Europeo Under 20
o la promozione con la Virtus Roma. O
forse anche il mio rientro a seguito di un
bruttissimo infortunio durato otto mesi. Mi
ero fatto male durante una semifi nale per
lo scudetto con l’Under 17, se non sbaglio.
Mi sono rotto il crociato e ricordo che
nonostante tutto mi allenavo otto ore al
giorno solo per fare terapia. Quando sono
rientrato in campo è stata una bellissima
soddisfazione.
D - Viviamo in un Paese di calciatori e
allenatori. Nel caso specifico del Basket,
vi sentite un po’ trascurati dai media?
R - È normale rispondere sì. In Italia gira tutto
intorno al calcio. Qui c’è poca spinta sulla
pallacanestro.
D - Però forse la pallacanestro è anche più
salutare?
R - Tutti dicono che lo sport fa bene, ma non
hanno visto le Tac e le Risonanze (risate
generali, ndr). Insomma lo sport fa bene, ma
puoi avere in futuro qualche problemino.
D - La canzone che la rappresenta?
R - “The show must go on”, anche perché mi
ricorda un periodo duro della mia vita. Ma
ascolto un po’ di tutto.
D - Il libro?
R - Le dico la verità: non sono un lettore.
D - In cosa spera che la Basilicata vada a
“canestro”?
R - Bella domanda! Spero che riparta dai
giovani e dallo sport, che penso sia un
elemento che possa in qualche modo
salvare, nel caso specifico, Potenza. Ho
seguito un po’ il Potenza Calcio e ho visto
che c’è un presidente che ha investito
molto. Spesso qui nel Basket non accade,
perché ognuno vuole comandare ed essere
al centro. Basterebbe investire in una sola
società e mirare a giocare in B.