- Redazione
- Sabato, 13 Luglio 2024 09:48
clikka sulla foto per guardare il video di Lucania Tv
“Guardalinee: il signor
Votta da Moliterno”.
Un tempo Ameri, o magari Pizzul,
avrebbe sicuramente annunciato così l’esordio
in serie A (avvenuto
a maggio scorso), del trentaduenne Federico
Votta, giovane dall’aplomb inglese che “nella
vita” segue il commerciale in una ditta di
trasporti e logistica. Linguaggio d’altri tempi
a parte (ma è doveroso segnalare il mancato
aggiornamento in materia dello scrivente), è
opportuno precisare (e anche l’interessato pare
tenerci) che gli “assistenti arbitrali” (termine
più moderno) con la bandierina, al pari degli
arbitri, nel gergo sportivo vengono abbinati al
comune della sezione arbitrale (in questo caso
Moliterno) e non a quello di nascita (sempre in
questo caso, Marsico Nuovo).
D - Da bambini un po’ tutti sognavamo di
diventare calciatori...lei invece sognava di
diventare arbitro?
R - (Sorride) No, a dire il vero, sognavo anch’io
di fare il calciatore, ma poi una serie di
vicissitudini mi ha portato a intraprendere il
percorso arbitrale, di cui mi sono innamorato.
Quel che è certo, è che di base ci vuole
comunque una grande passione per il calcio.
D - Lei ha iniziato come arbitro in mezzo al
campo, facendo molta esperienza in serie
D, e successivamente è diventato assistente
arbitrale, quello che una volta si chiamava
“guardalinee”. In questa veste, il 13 maggio
scorso, ha esordito in serie A, nella partita
Fiorentina-Monza.
R - Sì, in serie D ero arbitro, ma non sono
riuscito a passare in C; ho quindi fatto un
corso di qualificazione (messo a disposizione
dall’Associazione Italiana Arbitri); l’ho
superato e ho iniziato dalla serie superiore,
ovvero la C, il percorso di assistente arbitrale.
Dopo cinque anni, ho ricevuto la promozione
alla CAN( Comitato Nazionale Arbitri serie A
e B).
D - Rispetto all’arbitro un assistente arbitrale
ha maggiori o minori pressioni?
R - E’ una cosa molto soggettiva, che in realtà
dipende molto dal nostro approccio. Se guardo
indietro alla mia carriera, mi accorgo che
provavo più tensione in una partita di Prima
Categoria di un certo tipo, rispetto, magari, a
quella di serie A che ho fatto.
D - I calciatori sono molto scaramantici. Gli
arbitri pure? Anche lei fai gli scongiuri
prima di una partita?
R - (sorride). L’arbitro è molto scaramantico, e lo
sono anch’io. E anch’io, come tutti, ho i miei
riti, prima della gara, dopo la gara, o durante
gli allenamenti.
D - E’ difficile ammettere un errore? Cosa si
prova, in quel caso, rivedendosi in tv?
R - I primi ad addolorarsi per un eventuale errore
siamo proprio noi. Ma fa parte del gioco. Così
come un giocatore può sbagliare un calcio di
rigore, un arbitro o un assistere arbitrale può
sbagliare su un fuorigioco o su un fallo. La
chiave di volta risiede in come reagiamo.
D - Lei in serie D ha arbitrato in tutta Italia. Ha
notato differenze tra Nord e Sud?
R - Sicuramente al Sud mi è capitato di arbitrare
gare con un clima ben diverso, magari, rispetto
a gare del Nord, ove c’è un clima più sereno.
Questo dal punto di vista ambientale. Dal
punto di vista tecnico, invece, non ho notato
grandi differenze.
D - Sono sicuro che di aneddoti, anche coloriti,
da raccontare ce ne sono. Le è mai capitato
di dover essere scortato dai Carabinieri? Ha
mai ricevuto minacce?
R - Di aneddoti in effetti ce ne sarebbero. Ricordo
in particolare una gara di Interregionale,
a Palmi, in Calabria. La gara andò bene,
ma c’era comunque molta animosità e i
Carabinieri preferirono scortarci all’uscita
dalla stadio. Ma niente di particolare, in realtà.
Episodi molto eclatanti non ce ne sono stati.
D - Una cosa che in campo la fa particolarmente
arrabbiare?
R - Non me ne viene in mente nessuna, anche
perché sul campo bisogna essere pacati,
evitando di “arrabbiarsi”.
D - C’è una figura alla quale si inspira, in
particolare?
R - Di sicuro, ma preferisco tenerla per me.
(sorride)
D - Ci può dire almeno chi è stato, a suo avviso,
il miglior arbitro italiano?
R - Anche questo lo tengo per me (sorride).
D - Dopo l’esordio in serie A, ci saranno altre
partite?
R - Dipenderà tutto da me. Ogni anno si riparte da
zero. Sicuramente la designazione di serie A è
stata qualcosa di emozionante, un sogno che si
è avverato.
D - Come avviene materialmente?
R - E’ l’arbitro che chiama il team arbitrale. E
quindi, molto semplicemente, mi ha telefonato.
Di lì è scoppiata la gioia.
D - Facile immaginare che finora, sia il ricordo
più bello.
R - Beh, ce ne sono tanti altri. Sa, ciò che ci lascia
questa carriera è anche tutto ciò che c’è
intorno: l’Associazione, la conoscenza di tante
persone in giro per l’Italia, le amicizie che
nascono e che ti porti dietro per anni, anche
fuori dal contesto sportivo.
D - Quanto dura la carriera di un arbitro? E’
più lunga di quella di un calciatore o magari
oggi corre in parallelo?
R - Dai quattordici anni ai quaranta è possibile
frequentare il corso. Poi, tutto dipende dalla
capacità e dalla bravura del singolo nel
superare le varie categorie. Una cosa è certa:
tutti partono dallo stesso punto, ovvero il
settore giovanile, per poi approcciarsi alle
categorie maggiori. In generale, però, la
tempistica è comunque soggettiva.
D - Lasciando lo sport vero e proprio per un
attimo e concentrandoci sulla nostra regione
in generale, la domanda viene facile: per
quali aspetti, la Basilicata, è ancora in
“fuorigioco”?
R - Va spesso in fuorigioco perché ancora non ha
una mentalità del tutto aperta su certi temi.
Tende a chiudersi, piuttosto che ad aprirsi,
piena com’è di opportunità e potenzialità.
D - Su cosa siamo ancora... “chiusi”?
R - Direi istruzione, trasporti, logistica. E poi i
collegamenti. Siamo ancora indietro rispetto
ad altre regioni, in termini di treni e aerei, e
questo certo non ci apre alle opportunità che si
potrebbero cogliere.
D - Lei lavora proprio nei trasporti: anche le
nostre strade non sono messe benissimo.
R - Beh, quello dipende un po’ anche dalla
morfologia del territorio, ma è il mio personale
pensiero.
D - A chi dare il cartellino giallo, o addirittura
rosso? Alla politica? Ai lucani stessi?
R - (Sorride). Non mi permetto di dare cartellini
rossi...
D - Almeno un giallo, su.
R - No, no, io faccio l’assistente. Sicuramente,
posso dire che abbiamo margini di
miglioramento, sotto tutti i punti di vista,
dal lato associativo- senz’altro- dal lato
politico e anche imprenditoriale. Qualcosa sta
sicuramente cambiando e stiamo progredendo,
ma si può fare meglio. Dal momento in cui
vedremo il successo di un’altra persona come
un’opportunità per tutta la collettività, e non
come un ostacolo, potremmo sicuramente
giovarne tutti.
D - Ecco, dopo il suo esordio in serie A, la
politica l’ha chiamata per complimentarsi?
Non so, ha ricevuto una targa...
R - Sì, assolutamente. Devo infatti ringraziare
sia il sindaco di Marsico Nuovo, Massimo
Macchia (che mi ha trasmesso la gioia di
tutta la comunità), sia il sindaco di Moliterno,
Antonio Rubino, che tra l’altro è un collega,
nominato da poco presidente degli arbitri
regionali. Mi sono stati vicino entrambi. Hanno
sentito come loro, anche, il raggiungimento del
mio traguardo. Ma anche la classe calcistica
lucana ha gioito di questo risultato.
D - Come presidente dell’Aia di Moliterno, cosa
possiamo dire del rapporto dell’Associazione
con le istituzioni e col territorio? Tutto bene
o qualcosa potrebbe andare meglio?
R - In questi tre anni di presidenza ho sempre
avuto il supporto delle istituzioni per le nostre
iniziative. Va detto, infatti, che noi ricopriamo
anche un ruolo sociale importante: i ragazzi
hanno realmente e concretamente la possibilità
di crescere come persone, di portarsi
l’esperienza arbitrale nella vita.
D - Se dovesse fare uno “spot”, rivolto a un
bambino o a un giovane, cosa direbbe a
proposito della carriera arbitrale?
R - Che ti fa crescere come persona, migliorando
le cosiddette “soft skills” da utilizzare anche
nella vita e nel lavoro.
D - E a lei, nella vita e nel lavoro, cos’ha dato
l’essere arbitro e assistente arbitrale?
R - Mi ha fatto maturare come persona, come
genitore e come sportivo a tutto tondo.
D - Le ha dato più autocontrollo?
R - Mi ha permesso di trovare la versione migliore
di me, anche se è un percorso in continua
evoluzione.
D - Il film, il libro e la canzone che la
rappresentano?
R - Il film “Inside Out”; la canzone “Vado al
massimo” di Vasco; il libro “Semplici strategie
per grandi miglioramenti”, della
bravissima