- Redazione
- Sabato, 25 Marzo 2023 03:27
Cari Contro-Lettori,
a Potenza -per usare una metafora trita, ma efficace- ci stiamo stringendo tutti attorno al capezzale di un malato che, ahinoi, sembra terminale: il centro storico.
Apposta ai piedi del letto è da tempo ben visibile una targa di metallo, arrugginita, che reca la cartella clinica, parimenti ingiallita e incartapecorita. La “linea” della pressione sanguigna del paziente è da tempo (pare di scorgere una data iniziale riferibile al 1980, a margine del Sisma) in caduta libera, con alcuni, quasi impercettibili, segni di ripresa qua e là (in corrispondenza, probabilmente, dei recenti “Concertoni Rai” di Capodanno), ma che hanno poi lasciato il campo libero a una picchiata rossa vertiginosa. Il battito del “cuore” è insomma ai minimi storici. E fra gli esperti, in camice bianco e non solo, chiamati per un consulto, c’è già chi –di soppiatto e con aria scocciata- sfoglia l’elenco telefonico occhieggiando all’agenzia funebre più vicina.
I congiunti del paziente, qualche decina di migliaia (anch’essi in vistoso calo, a causa dello spopolamento) dal canto loro si aggirano per i corridoi di questo grande ospedale a cielo aperto, carichi di sensazioni e sentimenti contrastanti: c’è chi è preoccupato; chi non sa nulla o finge (probabilmente la maggior parte); e chi bellamente se ne frega proprio, convinto –come accade spesso in casi del genere- che certi drammi (la morte) non potranno mai verificarsi per davvero in casa sua, e che comunque le cause non sarebbero addebitabili a lui, ma tutt’al più a quegli altri parenti-serpenti, chiamati “politici”, che da anni mangiano e bevono alla sua tavola senza manco dire grazie.
Si diceva che al capezzale del centro storico ci sono gli esperti, ed è giusto che sia così. C’è chi dà la colpa ai giovani colleghi del presente, lamentando la distruzione del lavoro fatto in precedenza (il proprio); c’è chi la dà alla congiuntura storico-socio-economica; chi la dà ai cittadini pigri e “macchinisti”; chi la dà ai commercianti del posto; chi la dà, infine (ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo), ai capricci dei residenti. Forse hanno ragione tutti. E forse nessuno.
Poi, naturalmente, quegli stessi esperti, ed è giusto che sia così, dopo le diagnosi, propongono le cure. Una confezione completa di “ri”: ri-creare parcheggi; ri-portare gli uffici pubblici in Centro; ri-vedere il sistema di trasporto pubblico urbano; ri-pristinare vecchi eventi, tradizioni o usanze; ri-pensare ai collegamenti con l’hinterland; ri-mettere il proprio mandato (chi ne ha ancora uno) ai cittadini…no, scusate, questo no, errore nostro. In ogni caso, quasi tutti sembrano d’accordo almeno su un punto, che in realtà appare piuttosto focale; non è una medicina, non è un tonico, non è una puntura e non è un intervento chirurgico: è la parola. Parlarsi. Tutti insieme. Tutti i parenti seduti allo stesso tavolo. Solo così si può INIZIARE a pensare a come salvare il moribondo, quel nostro amato “cuore” che ci guarda con gli occhi scavati e lucidi dal cuscino del suo letto d’ospedale.
Purtroppo, come dice argutamente il nuovo (ma già molto focalizzato) presidente provinciale di Confcommercio nell’intervista concessaci (leggetela), in questa terra così piccola, non ci si parla nemmeno. Quando basterebbe un fischio.
Che le orecchie, pertanto, ci fischino, a tutti.
Walter De Stradis