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di Walter De Stradis

 

 

 

 

«D

islessia: semplicemente un differente modo di imparare, che all’inizio si manifesta anche come un apprendimento lento. E’ come se una persona dovesse imparare a guidare avendo a disposizione un’auto di Formula Uno e strade tortuose».

E’ quanto ho modo di leggere sulla brochure che mi ha consegnato, poco prima del pranzo, Marcella Santoro, una signora gioviale e loquace, presidente dell’AID, Associazione Italiana Dislessia, per la Basilicata.

d - Vorrei partire dai contenuti di un video che è diventato virale sui social, In questa clip, il presentatore Flavio Insinna, se ben ho interpretato, sostiene che l’uso ad ogni costo di un linguaggio “politicamente corretto” (“ragazzi speciali” etc.), in riferimento alle persone che vivono un disturbo, può far passare in secondo piano il fatto che “c’è bisogno di aiutare”. Cosa ne pensa?

r - Non ho visto il video, ma bisogna capire cosa significhi “bisogno di aiuto”. Nel caso della dislessia si parla di persone normalissime. Nel 1998, aderendo all’AID, sono stata la prima iscritta della Basilicata, perché ho un figlio dislessico, che sicuramente ha un diverso modo di apprendere, però come tutti noi, del resto. Non è né “speciale”, nè "handicappato", quindi, ma una persona che deve seguire le proprie modalità di apprendimento. E’ dunque un ragazzo che, come tutti, dovrà trovare la propria strada nella vita. Il problema vero è che dagli anni Novanta, a oggi, la situazione è notevolmente cambiata; il lavoro svolto sul territorio dall’associazione (fondata dal professor Giacomo Stella, psicologo e genitore di un ragazzo dislessico) è stato quello di far capire all’opinione pubblica cos’è un DSA, un disturbo specifico dell’apprendimento (dislessia, disortografia, discalculia etc.). Il problema è la scuola, che deve capire come aiutare questi ragazzi, anche perché, dal 2010, da quando c’è la legge 170 , con le linee guida uscite l’anno successivo, l’istituzione stessa sa come dovrebbe fare.

d - Quali sono i dati circa le persone dislessiche in Basilicata?

r - Abbiamo a disposizione i dati che ci ha fornito l’Ufficio scolastico regionale, col quale abbiamo un ottimo rapporto di collaborazione, soprattutto con la dottoressa Antonietta Moscato, che si occupa di disabilità e dislessia a livello regionale. Nell’anno scolastico 2023/2024, su una popolazione scolastica totale di 69.288 studenti, gli alunni certificati sono 2.801. Si tratta quindi di una percentuale del 4,04, che si avvicina alla media nazionale che è tra il 4 e il 5%. Si consideri, però, che nel passato avevamo dei dati molto bassi, perché le famiglie avevano magari paura di etichette, e c’era meno consapevolezza.

d - La Basilicata, storicamente, è stata la prima regione a dotarsi di una legge regionale sui DSA.

r - Sì, la legge 20 del 2007 (“Interventi in favore di soggetti affetti da dislessia e da altre difficoltà specifiche di apprendimento” - ndr).

d - Mi diceva a microfoni spenti, però, che i finanziamenti sono fermi.

r - Sì.

d - Cosa prevede questa legge?

r - Questa legge è intervenuta nei primi anni grazie al finanziamento di cui era dotata (se non sbaglio 100mila euro). E’ stato quindi possibile fare degli interventi a livello di aziende sanitarie (Potenza e Matera), che addirittura erano sfornite di computer, programmi, testistica aggiornata. Poi, per tre anni, ci furono (perlomeno con l’ASP), degli screening “non medici”, tramite dei dettati che vennero somministrati ai bambini di classi scelte in tutta la provincia di Potenza. Successivamente ci fu una grande collaborazione tra Asp, Ufficio scolastico, insegnanti, con delle logopediste che intervenivano nelle scuole a supporto di quei bambini che avevano manifestato delle difficoltà. A fine anno scolastico veniva poi somministrato un ulteriore dettato, per verificare quanto quegli interventi avessero apportato dei benefici, e risultò che il numero dei bimbi in difficoltà era notevolmente diminuito. Per cui, soltanto in riferimento ai bambini che mostravano ancora delle difficoltà, si suggeriva alle famiglie di portarli a diagnosi. Queste, a loro volta, non certificano una malattia, ma escludono la presenza di altro genere di difficoltà, visive o auditive, il che porta a concludere che il bambino è dislessico.

d - Ora tutto questo è fermo ?

r - Sì, questo screening non è stato più ripetuto, la legge non è stata più finanziata. Dopo si è andati avanti, per molti anni, grazie al capitolo inserito, a favore dei ragazzi dislessici, nell’ “Aiuto allo studio” (acquisto di strumentazione, computer e altri software, come la sintesi vocale).

d - La vostra attività quindi è rivolta anche a far ri-finanziare questa legge.

r - Il nostro intervento, riferito alla politica e sopratutto alla Regione, è affinché si diminuiscano i tempi di attesa, per la diagnosi e per la riabilitazione logopedica. Le liste sono praticamente bloccate da tre/quattro anni. Se una famiglia potentina fa richiesta di una prima visita, rischia di averla tra un anno. E questo, per il bambino, che dovrà lavorare senza poter avere degli strumenti, comporta un anno di scuola perso.

d - Prima diceva che in passato, nei genitori stessi, c’era meno consapevolezza. Oggi la situazione è cambiata?

r - Con tutto il lavoro svolto dal 2002, da quando abbiamo inaugurato la sezione di Potenza, ormai se ne sa tanto in materia, a meno che uno preferisca non interrogarsi sulle difficoltà scolastiche del figlio. La scuola ha fatto passi da gigante; la sanità, a livello di professionisti, ormai sa distinguere un ragazzo che ha difficoltà, da un altro che ha differenti problematiche. Il problema è la situazione in Italia, che è notevolmente peggiorata, a seguito della legge nazionale 170/2010 (“Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” - ndr). A prescindere dagli insegnanti capaci, che sempre ci sono e ci saranno, l’adozione dei PDP, Piani Didattici Personalizzati (che, attenzione, non sono i Piani Educativi Individuali della legge 104), non funziona dappertutto, e ci sono istituti in cui questi PDP vengono fatti uguali per tutti, in stile fotocopia.

d - E’ una legge sbagliata?

r - Non è la legge a essere sbagliata, ma invece di fare di più, come si dice, in realtà si fa meno. La famiglia spesso delega troppo alla scuola, non collaborando e non intervenendo, e viceversa. Il problema è questo. In presenza di una scuola che attiva il PDP, lo fa firmare alla famiglia, e poi non lo applica, se dietro non c’è una famiglia attenta (che magari si lamenta che le interrogazioni programmate non vengano effettivamente svolte), diventa un problema. Le famiglie, molto spesso, ci contattano a fine anno scolastico, quando ormai è chiaro che il figlio verrà bocciato. Collaborare con la scuola non significa soltanto andarsi a lamentare verbalmente, o ricordarsi di un’associazione soltanto quando il ragazzino viene bocciato o porterà dei debiti scolastici. Bisogna invece far comprendere alla scuola che ciò che viene messo per iscritto deve essere attuato: un PDP, che viene stilato entro i primi tre mesi dell’anno scolastico, può inoltre essere rivisto, se non dà i suoi frutti.

d - Riassumendo, oggi cosa chiedete alla politica?

r - Alla politica regionale chiediamo che si intervenga sui tempi di attesa e che magari si rifinanzi la legge 20, per dare una mano ai ragazzi. Questa legge, inoltre, può intervenire nei bandi regionali; devono rendersi conto che nei bandi per le assunzioni deve essere inserito anche un ragazzo dislessico, e questo purtroppo, non viene mai fatto.