landi_e_de_stradis.jpgMentre parliamo, non posso

fare a meno di notare alcuni

dei suoi (molti) tatuaggi.

Due sono dedicati ai

fi gli, un altro, sul braccio

sinistro, raffi gura un leone, probabilmente

il suo lato “animale”. Ma ce n’è ancora di

spazio, su due metri e tre di altezza, per

futuri ornamenti.

Aristide Landi, trentenne campione di

basket potentino (ha vinto gli europei

con la nazionale under 20 nel 2013 ed

è attualmente in forza al Torino, in A2),

fi glio d’arte (il padre Edmondo è stato

una leggenda locale), da quindici anni gira

per l’Italia con successo (Bologna, Roma,

Trieste, Milano), ma ogni volta che torna

nella sua Potenza, man mano gli si delinea

in testa con più chiarezza un “disegno” che

riguarda la sua città.

D - Come giustifica la sua esistenza?

R - La ricollego certamente all’ambito sportivo.

Devo tutto a mio padre, poiché è lui che

mi ha trasmesso questa grande passione,

andavo a vedere le sue partite quando

ancora ero nella pancia di mia madre.

Quest’ultima, invece, giocava a pallavolo;

insomma ho avuto due genitori sportivi

che da sempre mi hanno accompagnato e

assecondato questa mia voglia di emergere.

D - Le sarà mai capitato di sentirsi dire nella

sua carriera: “Ah, sei di Potenza? Ma

Potenza dove si trova? “

R - Sempre. Tutti i giorni. Ma lo vivo come un

punto a favore, è un orgoglio. Anche se torno

a casa una volta l’anno per me rimane una

gioia immensa. Per me questa è casa e guai

a chi me la tocca.

D - In realtà mi ha fornito uno spunto. Suo

padre è stato un grande personaggio del

Basket potentino, mi pare di aver letto a

tal proposito su Facebook un post di un

personaggio politico locale nel quale si

sottolineava che proprio suo padre qui

non è mai stato celebrato come merita.

Lei è d’accordo?

R - In realtà con quel politico, Smaldone, ho

avuto modo di incontrarmi di persona e di

intrattenere una piacevole chiacchierata.

Sono rimasto particolarmente legato

nel tempo alle parole dell’ex assessore

Ginefra il quale aveva dimostrato la

volontà di intitolare il Coni in memoria

di mio padre. Sono a Potenza da qualche

giorno e, insieme alla mia compagna, mi

è capitato di apprendere che ci sarebbe

la volontà, sempre in merito alle sorti del

Coni, di destinarlo ad un progetto differente

e ai cosiddetti “sport minori” come le arti

marziali. Le dico la verità, ne ho sofferto

molto. Mi sarebbe piaciuto che proprio lì,

nella sede del Coni, ci fosse stato un campo

da Basket, magari dedicato a mio padre.

Quando ho saputo che sarebbero stati

privilegiati altri sport un po’ ne ho sofferto.

Io sono nato in quella palestra, andavo a

vedere mio padre giocare anzi, dico di più,

avrei voluto dare una mano durante le fasi

della ristrutturazione, sarebbe stato anche

un modo per fare emergere qualche nuovo

talento locale nella pallacanestro. Con

Pierluigi Smaldone, come dicevo poc’anzi,

c’è stata una piacevole e produttiva

chiacchierata, speriamo che qualcosa si

muova. Vedere il Coni in quelle condizioni

fa male al cuore. Quando si parla del Coni a

Potenza l’associazione con la Pallacanestro

è immediata.

D - Lei è uno dei pochi sportivi di successo

che ho sentito, che parla di fare qualcosa

per la città. Magari al termine della sua

carriera da giocatore ha intenzione di

ritornarci e riversare qui le competenze

e le abilità acquisite?

R - Io ho ancora molti amici che sono rimasti

qui e che sono degli sportivi. Quello che

non riesco a comprendere è come sia

possibile che oltre a me non ci sia stato più

nessun giovane ad emergere nel basket.

Qui ci sono tante società, ma ognuna

lavora per conto suo. Quando stavo a

Bologna, ad esempio, c’erano la Virtus

e la Fortitudo, il top a livello italiano nel

settore giovanile. Ebbene anche tutte le

altre società collaboravano tra di loro. Tutti

facevano squadra per provare a fare un

settore giovanile di qualità. Semplicemente

ci si metteva tutti insieme, mentre qui

questa cosa non accade, ognuno coltiva il

suo orticello. È visibile a un occhio esperto

come il mio che tra le società locali non ci

sia armonia. E questo purtroppo è il nostro

limite.

D - È per questo, secondo lei, che rimane

l’unico a essere emerso?

R - Magari ho avuto la fortuna di nascere con

un talento, ma dietro ci sono tanti sacrifici e

un duro lavoro. Io devo ringraziare Gaetano

Larocca che mi consentiva di tirare al

campetto nei giorni di libertà. Ci rimanevo,

a volte, anche fi no alle due di notte. Vorrei

tanto provare e fare qualcosa di bello per

la mia città, anzi, dopo la chiacchierata

con Smaldone ho buttato giù qualche idea,

magari per la prossima estate.

Non voglio costringerla ad anticipare

qualcosa, ma secondo lei cosa si potrebbe

fare?

Un camp professionale per i giovani. Voglio

metterci la faccia e perché no, sponsorizzare

una società, ma coinvolgendo tutti.

Vedremo.

E secondo lei a strutture sportive come

siamo messi? Potenza è stata anche Città

europea dello sport, ma non se n’è accorto

nessuno.

Di certo c’è molto da lavorare. Io ho

trascorso buona parte della carriera nelle

città top italiane ove non mi sono mai potuto

lamentare delle strutture. Qui ce ne sono

tante, forse pure troppe per le dimensioni

della città stessa, quindi è normale che non

si riesca ad averle tutte perfette, poiché i

costi sono elevati. Le strutture principali

come il Pala Rossellino o la Palestra Vito

Lepore -grazie anche al supporto delle

società che se ne servono- devono però

essere riqualifi cate, specialmente per ciò

che concerne il parquet, i canestri o le

dimensioni del campo. È ovvio che le società

da sole non ce la possono fare, pertanto si

rende necessario anche il supporto delle

istituzioni competenti.

Quando le capita di tornare, come “vede”

la sua città?

Ho trovato tanti locali nuovi e un bel

fermento, specialmente durante il weekend.

Si mangia bene e si beve altrettanto bene.

In merito ai collegamenti direi qualcuno

buono, altri peggiori, ma le buche purtroppo

non mancano mai. Ma qui sto bene e non mi

lamento.

D - Come immagina il suo futuro postbasket?

R - Per ora non ci voglio pensare. Mi piacerebbe

però molto allenare o, chissà, mi dedicherò

agli investimenti che ho fatto.

D - Qual è il suo più bel ricordo in ambito

sportivo?

R - Quando ho vinto l’Europeo Under 20

o la promozione con la Virtus Roma. O

forse anche il mio rientro a seguito di un

bruttissimo infortunio durato otto mesi. Mi

ero fatto male durante una semifi nale per

lo scudetto con l’Under 17, se non sbaglio.

Mi sono rotto il crociato e ricordo che

nonostante tutto mi allenavo otto ore al

giorno solo per fare terapia. Quando sono

rientrato in campo è stata una bellissima

soddisfazione.

D - Viviamo in un Paese di calciatori e

allenatori. Nel caso specifico del Basket,

vi sentite un po’ trascurati dai media?

R - È normale rispondere sì. In Italia gira tutto

intorno al calcio. Qui c’è poca spinta sulla

pallacanestro.

D - Però forse la pallacanestro è anche più

salutare?

R - Tutti dicono che lo sport fa bene, ma non

hanno visto le Tac e le Risonanze (risate

generali, ndr). Insomma lo sport fa bene, ma

puoi avere in futuro qualche problemino.

D - La canzone che la rappresenta?

R - “The show must go on”, anche perché mi

ricorda un periodo duro della mia vita. Ma

ascolto un po’ di tutto.

D - Il libro?

R - Le dico la verità: non sono un lettore.

D - In cosa spera che la Basilicata vada a

canestro”?

R - Bella domanda! Spero che riparta dai

giovani e dallo sport, che penso sia un

elemento che possa in qualche modo

salvare, nel caso specifico, Potenza. Ho

seguito un po’ il Potenza Calcio e ho visto

che c’è un presidente che ha investito

molto. Spesso qui nel Basket non accade,

perché ognuno vuole comandare ed essere

al centro. Basterebbe investire in una sola

società e mirare a giocare in B.