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Guardalinee: il signor

Votta da Moliterno”.

Un tempo Ameri, o magari Pizzul,

avrebbe sicuramente annunciato così l’esordio

in serie A (avvenuto

a maggio scorso), del trentaduenne Federico

Votta, giovane dall’aplomb inglese che “nella

vita” segue il commerciale in una ditta di

trasporti e logistica. Linguaggio d’altri tempi

a parte (ma è doveroso segnalare il mancato

aggiornamento in materia dello scrivente), è

opportuno precisare (e anche l’interessato pare

tenerci) che gli “assistenti arbitrali” (termine

più moderno) con la bandierina, al pari degli

arbitri, nel gergo sportivo vengono abbinati al

comune della sezione arbitrale (in questo caso

Moliterno) e non a quello di nascita (sempre in

questo caso, Marsico Nuovo).

D - Da bambini un po’ tutti sognavamo di

diventare calciatori...lei invece sognava di

diventare arbitro?

R - (Sorride) No, a dire il vero, sognavo anch’io

di fare il calciatore, ma poi una serie di

vicissitudini mi ha portato a intraprendere il

percorso arbitrale, di cui mi sono innamorato.

Quel che è certo, è che di base ci vuole

comunque una grande passione per il calcio.

D - Lei ha iniziato come arbitro in mezzo al

campo, facendo molta esperienza in serie

D, e successivamente è diventato assistente

arbitrale, quello che una volta si chiamava

guardalinee”. In questa veste, il 13 maggio

scorso, ha esordito in serie A, nella partita

Fiorentina-Monza.

R - Sì, in serie D ero arbitro, ma non sono

riuscito a passare in C; ho quindi fatto un

corso di qualificazione (messo a disposizione

dall’Associazione Italiana Arbitri); l’ho

superato e ho iniziato dalla serie superiore,

ovvero la C, il percorso di assistente arbitrale.

Dopo cinque anni, ho ricevuto la promozione

alla CAN( Comitato Nazionale Arbitri serie A

e B).

D - Rispetto all’arbitro un assistente arbitrale

ha maggiori o minori pressioni?

R - E’ una cosa molto soggettiva, che in realtà

dipende molto dal nostro approccio. Se guardo

indietro alla mia carriera, mi accorgo che

provavo più tensione in una partita di Prima

Categoria di un certo tipo, rispetto, magari, a

quella di serie A che ho fatto.

D - I calciatori sono molto scaramantici. Gli

arbitri pure? Anche lei fai gli scongiuri

prima di una partita?

R - (sorride). L’arbitro è molto scaramantico, e lo

sono anch’io. E anch’io, come tutti, ho i miei

riti, prima della gara, dopo la gara, o durante

gli allenamenti.

D - E’ difficile ammettere un errore? Cosa si

prova, in quel caso, rivedendosi in tv?

R - I primi ad addolorarsi per un eventuale errore

siamo proprio noi. Ma fa parte del gioco. Così

come un giocatore può sbagliare un calcio di

rigore, un arbitro o un assistere arbitrale può

sbagliare su un fuorigioco o su un fallo. La

chiave di volta risiede in come reagiamo.

D - Lei in serie D ha arbitrato in tutta Italia. Ha

notato differenze tra Nord e Sud?

R - Sicuramente al Sud mi è capitato di arbitrare

gare con un clima ben diverso, magari, rispetto

a gare del Nord, ove c’è un clima più sereno.

Questo dal punto di vista ambientale. Dal

punto di vista tecnico, invece, non ho notato

grandi differenze.

D - Sono sicuro che di aneddoti, anche coloriti,

da raccontare ce ne sono. Le è mai capitato

di dover essere scortato dai Carabinieri? Ha

mai ricevuto minacce?

R - Di aneddoti in effetti ce ne sarebbero. Ricordo

in particolare una gara di Interregionale,

a Palmi, in Calabria. La gara andò bene,

ma c’era comunque molta animosità e i

Carabinieri preferirono scortarci all’uscita

dalla stadio. Ma niente di particolare, in realtà.

Episodi molto eclatanti non ce ne sono stati.

D - Una cosa che in campo la fa particolarmente

arrabbiare?

R - Non me ne viene in mente nessuna, anche

perché sul campo bisogna essere pacati,

evitando di “arrabbiarsi”.

D - C’è una figura alla quale si inspira, in

particolare?

R - Di sicuro, ma preferisco tenerla per me.

(sorride)

D - Ci può dire almeno chi è stato, a suo avviso,

il miglior arbitro italiano?

R - Anche questo lo tengo per me (sorride).

D - Dopo l’esordio in serie A, ci saranno altre

partite?

R - Dipenderà tutto da me. Ogni anno si riparte da

zero. Sicuramente la designazione di serie A è

stata qualcosa di emozionante, un sogno che si

è avverato.

D - Come avviene materialmente?

R - E’ l’arbitro che chiama il team arbitrale. E

quindi, molto semplicemente, mi ha telefonato.

Di lì è scoppiata la gioia.

D - Facile immaginare che finora, sia il ricordo

più bello.

R - Beh, ce ne sono tanti altri. Sa, ciò che ci lascia

questa carriera è anche tutto ciò che c’è

intorno: l’Associazione, la conoscenza di tante

persone in giro per l’Italia, le amicizie che

nascono e che ti porti dietro per anni, anche

fuori dal contesto sportivo.

D - Quanto dura la carriera di un arbitro? E’

più lunga di quella di un calciatore o magari

oggi corre in parallelo?

R - Dai quattordici anni ai quaranta è possibile

frequentare il corso. Poi, tutto dipende dalla

capacità e dalla bravura del singolo nel

superare le varie categorie. Una cosa è certa:

tutti partono dallo stesso punto, ovvero il

settore giovanile, per poi approcciarsi alle

categorie maggiori. In generale, però, la

tempistica è comunque soggettiva.

D - Lasciando lo sport vero e proprio per un

attimo e concentrandoci sulla nostra regione

in generale, la domanda viene facile: per

quali aspetti, la Basilicata, è ancora in

fuorigioco”?

R - Va spesso in fuorigioco perché ancora non ha

una mentalità del tutto aperta su certi temi.

Tende a chiudersi, piuttosto che ad aprirsi,

piena com’è di opportunità e potenzialità.

D - Su cosa siamo ancora... “chiusi”?

R - Direi istruzione, trasporti, logistica. E poi i

collegamenti. Siamo ancora indietro rispetto

ad altre regioni, in termini di treni e aerei, e

questo certo non ci apre alle opportunità che si

potrebbero cogliere.

D - Lei lavora proprio nei trasporti: anche le

nostre strade non sono messe benissimo.

R - Beh, quello dipende un po’ anche dalla

morfologia del territorio, ma è il mio personale

pensiero.

D - A chi dare il cartellino giallo, o addirittura

rosso? Alla politica? Ai lucani stessi?

R - (Sorride). Non mi permetto di dare cartellini

rossi...

D - Almeno un giallo, su.

R - No, no, io faccio l’assistente. Sicuramente,

posso dire che abbiamo margini di

miglioramento, sotto tutti i punti di vista,

dal lato associativo- senz’altro- dal lato

politico e anche imprenditoriale. Qualcosa sta

sicuramente cambiando e stiamo progredendo,

ma si può fare meglio. Dal momento in cui

vedremo il successo di un’altra persona come

un’opportunità per tutta la collettività, e non

come un ostacolo, potremmo sicuramente

giovarne tutti.

D - Ecco, dopo il suo esordio in serie A, la

politica l’ha chiamata per complimentarsi?

Non so, ha ricevuto una targa...

R - Sì, assolutamente. Devo infatti ringraziare

sia il sindaco di Marsico Nuovo, Massimo

Macchia (che mi ha trasmesso la gioia di

tutta la comunità), sia il sindaco di Moliterno,

Antonio Rubino, che tra l’altro è un collega,

nominato da poco presidente degli arbitri

regionali. Mi sono stati vicino entrambi. Hanno

sentito come loro, anche, il raggiungimento del

mio traguardo. Ma anche la classe calcistica

lucana ha gioito di questo risultato.

D - Come presidente dell’Aia di Moliterno, cosa

possiamo dire del rapporto dell’Associazione

con le istituzioni e col territorio? Tutto bene

o qualcosa potrebbe andare meglio?

R - In questi tre anni di presidenza ho sempre

avuto il supporto delle istituzioni per le nostre

iniziative. Va detto, infatti, che noi ricopriamo

anche un ruolo sociale importante: i ragazzi

hanno realmente e concretamente la possibilità

di crescere come persone, di portarsi

l’esperienza arbitrale nella vita.

D - Se dovesse fare uno “spot”, rivolto a un

bambino o a un giovane, cosa direbbe a

proposito della carriera arbitrale?

R - Che ti fa crescere come persona, migliorando

le cosiddette “soft skills” da utilizzare anche

nella vita e nel lavoro.

D - E a lei, nella vita e nel lavoro, cos’ha dato

l’essere arbitro e assistente arbitrale?

R - Mi ha fatto maturare come persona, come

genitore e come sportivo a tutto tondo.

D - Le ha dato più autocontrollo?

R - Mi ha permesso di trovare la versione migliore

di me, anche se è un percorso in continua

evoluzione.

D - Il film, il libro e la canzone che la

rappresentano?

R - Il film “Inside Out”; la canzone “Vado al

massimo” di Vasco; il libro “Semplici strategie

per grandi miglioramenti”, della

bravissima