- Redazione
- Sabato, 10 Giugno 2023 07:48
di Antonella Sabia
Al termine dell'inaugurazione dei nuovi locali dell’ambulatorio multidisciplinare del Dipartimento Oncologico, lo scorso giovedì è stato presentato il Rapporto sull'attività ospedaliera del biennio 2021-2022 dal Direttore Generale del San Carlo, ing. Giuseppe Spera, che abbiamo incontrato per capire l'eredità che ha lasciato la pandemia e quali sono le sfide future del più grande ospedale della regione.
D - Il 2021 è stato caratterizzato dalla seconda ondata della pandemia, anche peggiore della prima, quali sono stati i principali cambiamenti relativamente al COVID?
R - Sicuramente il 2021 è stato un anno peggiore del 2020. Nella prima fase, che tanto ci ha spaventato, la Basilicata ha contato solo 350 positivi, mentre è arrivato realmente a partire dalla fine di settembre 2020, tanto è vero che nel 2021 abbiamo avuto quasi 24mila giornate di degenza ordinaria e 1200 giornate di terapia intensiva solo per pazienti COVID. Abbiamo dovuto trasformare la struttura, creare un ospedale nell'ospedale, cioè creare percorsi divisi, reparti duplicati, per evitare il contagio nell’ospedale e garantire la continuità delle altre attività.
D - Quali sono state le maggiori criticità?
R - Sono state sostanzialmente due, intanto il fatto che un ospedale non è pensato per una patologia infettiva come questa, che necessita di tecnologie separate, pensiamo in primis alla radiologia, dove non c’è un percorso dedicato. Siamo ricorsi quindi a tutte le procedure di sanificazione per poter garantire la cura dei pazienti COVID e la cura di quelli che avevano invece altre patologie. Inoltre, essendo il San Carlo l'unico DEA (Dipartimento di Emergenza Urgenza e Accettazione) di II livello, politraumi, casi gravi di cardiochirurgia, di neurochirurgia e anche di ortopedia dovevano arrivare necessariamente da noi.
D - Nel 2022 è cominciata una lenta ripresa, ma da questi cambiamenti obbligati, il San Carlo ne è uscito giovato in qualche modo?
R - Sicuramente, perché in quel momento l’attività ordinaria dell’ospedale non si è fermata, abbiamo saputo pensare anche al futuro e rilanciare l’attività, attivando nuovi servizi e potenziato quelli esistenti, nonostante ci fosse il Covid. Nel 2022, in ogni caso, le giornate di degenza sono state circa 23mila, ma è diminuito l’utilizzo della terapia intensiva, i vaccini infatti hanno ridotto i casi gravi pur mantenendo l’ospedalizzazione. Non abbiamo focalizzato l’attenzione solo sul COVID, come tante altre aziende ospedaliere, per esempio abbiamo aperto i day-hospital di oncologia e l'oculistica sui vari presidi, dove abbiamo anche avviato la terapia del dolore. Sembrava strano in quel momento pensare di potenziare altri servizi, ma abbiamo ritenuto che fosse il momento adatto per rilanciare.
D - Quali nuove sfide ha lanciato la pandemia?
R - Innanzitutto, quella di essere pronti anche all’imprevedibilità, a quelle situazioni eccezionali di emergenza pandemica che probabilmente non rimarranno isolate. Bisogna essere pronti ad adottare strumenti nuovi sia per la gestione che per i servizi alternativi, per esempio, la pandemia ha aperto molto la vista sulla necessità della telemedicina, così da evitare spostamenti e assembramenti inutili, velocizzando alcuni percorsi che erano troppo lenti.
D - Mi ha anticipato sul discorso della digitalizzazione, oltre al processo di adeguamento, in questi casi è necessario anche un cambio di mentalità?
R - Certamente, in quel momento abbiamo attivato delle agende di telemedicina che adesso stiamo ampliando perché crediamo che per alcune visite di controllo, la telemedicina rappresenti un’agevolazione tanto per l’utenza che non si deve spostare, quanto tutta una serie di vantaggi per gli operatori. Questo percorso deve però essere accompagnato dall'attivazione di presidi sul territorio che possano dare supporto a quei pazienti che ancora non abbiano competenze digitali, in particolare nelle fasce più avanti con l’età.
D - Per quanto riguarda invece il tema della prevenzione, la pandemia ha bloccato ogni attività?
R - Se la prevenzione la intendiamo come screening, come attività di ricognizione prima che avvenga l’acuzie, sicuramente il COVID ha fermato ogni attività, come avvenuto in tutta Italia. Soffermandoci sui LEA (Livelli essenziali di assistenza, ndr) del 2020, confrontati con quelli 2021, la Regione Basilicata aveva un giudizio insufficiente, oggi invece ha ripreso il trend giusto ed è promossa anche dal punto di vista della prevenzione.
D - Durante il COVID l’attività è stata centralizzata sul San Carlo, rimane fondamentale però la presenza dei presidi sul territorio?
R - È stata una scelta necessaria, perché per il COVID c'è stato bisogno della multidisciplinarietà che soltanto gli ospedali di Potenza e Matera potevano garantire, dallo pneumologo all’anestesista, l'area dell'urgenza, e tante altre specialità, tra cui la Malattie Infettive. Era impensabile creare un ospedale dedicato, diverso da quello dei due capoluoghi. Bisogna fare inoltre i conti con quello che i nostri presidi offrono, si tratta di presidi di base, quindi hanno alcune discipline come la medicina, la chirurgia generale, la rianimazione e l'ortopedia, ma non hanno delle specialità che si trovano sui DEA di II livello.
D - Per concludere, quali sono le imminenti sfide del San Carlo?
R - Per il futuro sicuramente tanti progetti da portare avanti, dobbiamo crescere sia nella risposta data sia in termini di qualità. Il Piano Nazionale Esiti ha dimostrato che siamo sulla strada giusta, dobbiamo cercare di far comprendere quello che stiamo realizzando, per esempio con la robotica, con la sala ibrida della cardiochirurgia e attraverso interventi innovativi che pochi centri effettuano. In una regione piccola come la nostra, però, spesso il passaparola è anche basato su notizie non propriamente esatte e forse funziona più della notizia stessa. Apro questo rapporto Biennale con una frase di Lao Tsu: “Fa più rumore un albero che cade, che l’intera foresta che cresce”. Stiamo cercando di far crescere questa foresta, ma magari qualche episodio crea sbavature, che oscurano quello che invece stiamo realizzando. Abbiamo avuto diversi premi, siamo entrati nell’elenco dei migliori ospedali del mondo, si può scherzare quanto si vuole su questa cosa, ma è un fatto essere entrati tra i migliori ospedali del mondo. È la prima volta per un ospedale lucano, il che significa che siamo nella direzione giusta. Siamo anche nei primi posti per bassa mortalità negli interventi di cardiochirurgia, tutti dati consultabili nel Programma Nazionale Esiti, redatto da AGENAS.