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di Walter De Stradis

 

 

 

 

Il fatto che (complice anche una sua vecchia, abile idea di “marketing”) qui nel Capoluogo lui sia conosciuto semplicemente come Mimmo “Il Ciclista” (quasi alla stregua di un fatto singolare), rende chiaro a tutti l’esiguità del rapporto esistente, storicamente, tra Potenza, i suoi abitanti e il ciclismo stesso.

In occasione del passaggio nel Capoluogo (anche proprio sotto la sua trattoria) del Giro d’Italia, abbiamo voluto dunque incontrare Domenico Carlucci, ristoratore da una vita, che –secondo i dettami di uno sport «che è soprattutto sofferenza»- è abituato a lamentarsi poco e a lavorare molto.

d: Come giustifica la sua esistenza?

r: La passione per la bicicletta è arrivata tardi. Certo, ne avevo avuta una da piccolo, ma mai pensavo che mi ci sarei dedicato; finché un giorno non vidi una bicicletta da corsa appesa nella vetrina di un negozio. La comprai. Fu un colpo di fulmine.

d: Lei dunque era già grandicello?

r: Sì, avevo ventisette/ventotto anni. Quel negozio era in piazza Bologna.

d: Cosa le è scattato quel giorno?

r: Non saprei, ripeto, una bicicletta da piccolo ce l’avevo, ma all’età di quindici anni già lavoravo a Milano e quindi… ma anni dopo ci fu questo episodio qui a Potenza. Comprai una bicicletta fuori misura, tra l’altro, neanche adatta a me.

d: Questo ristorante esiste dal 1973, ma lei come ha cominciato?

r: Lavando i piatti in un ristorante, a Milano. Poi passai ai primi, successivamente ai secondi, poi arrivai in sala…insomma, feci tutta la trafila del ristoratore. Fin quando, nel 1973, trovai questa trattoria che si vendeva a Potenza e iniziai a lavorare da solo.

d: I suoi erano del mestiere?

r: Io sono di san Cataldo, comune di Bella, vicino Avigliano e no, i miei non erano del mestiere. Nessuno lo era: misi le mie sorelle e le mie cugine a lavorare, ma avevano imparato tutto da me.

d: E il ristorante già si chiamava “Da Mimmo il Ciclista”?

r: All’inizio no, era solo “Trattoria e vini da Mimmo”.

d: In città quando hanno cominciato a chiamarla “Mimmo il Ciclista”?

r: Vede, quando iniziai a gareggiare e a vincere qualche coppa, cominciai anche a metterle nel ristorante, ma la gente mi domandava cosa fossero; allora mi venne l’idea di chiamare la trattoria “Da Mimmo il Ciclista”, in modo tale che i clienti sapessero già a cosa si riferivano quei trofei.

d: Di che tipo di gare si trattava?

r: Erano sempre tornei amatoriali (io lavoravo, e non avevo moltissimo tempo libero). Ho partecipato a più di seicento gare, finora. Mi sono sempre allenato, quasi tutti i giorni, e ho vinto tre campionati italiani di categoria. Ho vinto circa cinquecento trofei. Finora, ho fatto circa cinquecentomila chilometri, tra gare e allenamenti vari.

d: Finora???

r: Non gareggio più, ma in bicicletta ancora ci vado.

d: Potenza è una città quantomeno “difficile” per chi vuole usare la bici. Lei dove va?

r: Eh, io vado. (Sorride). Perché se non sei allenato, in bicicletta non ci vai, a Potenza. Io però i miei settanta/ottanta chilometri me li faccio tranquillamente, il lunedì che sono di riposo.

d: Ho sentito bene? Settanta/ottanta chilometri???

r: Il lunedì sì, poi quando esco il mercoledì e venerdì me ne faccio altri quaranta/cinquanta.

d: E che tragitto segue di solito?

r: Dipende dal tempo…in una bella giornata prendo la salita che va verso Cuppulicchio, verso Tricarico, vado verso Brienza, Lagopesole, Muro Lucano…

d: Ma scusi lei quanti anni ha?

r: Settantatrè.

d: E non le capita mai di spingere la bicicletta a mano?!

r: Eh, no, mai (sorride). Finora è capitato solo una volta, per cento metri sulla salita dello Zoncolan, una delle salite più dure d’Europa, a Belluno, sulle Dolomiti.

d: La sua soddisfazione più grande?

r: La prima volta che ho vinto il campionato italiano: il campione uscente, vedendo come affrontavo le salite, mi disse “Sei peggio di un camoscio!”. Era il 1998.

d: La sua famiglia non le ha mai detto: “Ma dove vai, lascia perdere. Pensa al ristorante”?

r: Mai, anzi, mia moglie mi seguiva pure.

d: Abbiamo detto che Potenza è difficile “morfologicamente” (salite ripide etc.), per un ciclista o per chiunque voglia usare la bicicletta; ma dal punto di vista delle “strutture” (piste ciclabili, eventi etc.), come siamo messi?

r: Purtroppo non ci sono. Siamo costretti a camminare sulla strada, dovendo stare attenti al traffico. Strutture non ce ne sono, anche perché è il territorio che non lo consente. Come dicevo, Potenza non è una città da “passeggiare”, se non sei allenato –o se non hai la bici elettronica- non ce la puoi fare.

d: Quindi non è colpa di chi comanda?

r: E’ il territorio che – a parte la pista ciclabile del Pantano, l’unica che c’è al momento- non è adatto per chi fa la “passeggiata” normale in bicicletta. Tutti gli altri devono essere allenati.

d: Ritiene comunque che questo mondo –a parte l’episodio del Giro d’Italia- necessiti di più eventi e/o di maggiore visibilità? Oppure va bene così?

r: “Va bene così”, no, qualcosa di più si può sempre fare. Adesso si sta parlando di questa via ciclabile che parte da Potenza e che va verso Pignola (seguendo la vecchia tratta della Calabro-Lucana); mi è stato detto che qualcosa si sta facendo, pur avendo incontrato qualche difficoltà. Per noi tutto quello che viene è gradito.

d: In questo locale vengono a mangiare molti giornalisti, e presumo che nel corso di cinquant’anni siano venuti anche molti politici. Le dicono o le chiedono qualcosa di particolare?

r: No, più che altro sono curiosi della mia passione, delle mie coppe…

d: E lei ha mai chiesto qualcosa, sempre nell’interesse della città o dello sport che pratica?

r: No, no. Non è mio costume.

d: Dopo diversi anni il giro d’Italia torna a Potenza: quali sono le sue sensazioni al momento (martedì scorso – ndr)?

r: Per me è un grande evento. Per appassionati e non. Ci saranno sicuramente dei disagi, ma è uno giorno solo, che poi passa, non è la fine del mondo.

d: In effetti, tra divieti di circolazione e di sosta, fra chiusure di scuole etc., non manca chi rumoreggia.

r: Ci vuole solo un po’ di pazienza, da parte di tutti: l’evento è sicuramente superiore al disagio.

d: Lei lavorerà quel giorno?

r: Io sarò aperto, ma non so se verrà qualcuno a mangiare (sorride).

d: Beh, il turismo indotto dall’evento è proprio ciò che ci si augura, sindaco e Presidente della Regione in primis. Lei cosa si augura che porti, in città e in regione, questo Giro d’Italia?

r: Un ritorno d’immagine internazionale, sicuramente. Credo che ci sarà. Spero vada tutto bene.

d: Ha un suggerimento da dare? A ch gareggia, ai tifosi, alla politica…

r: No…io lo vedrò in tv, a parte il passaggio qui sotto. Non potrò vedere l’arrivo perché lavorerò, ma sarà sicuramente un’emozione grandissima, beato chi potrà.

d: Una domanda banale: in cuor suo, si è mai immaginato o sognato al Giro d’Italia?

r: No, no. Ho cominciato a ventotto anni e questo tipo di sogni non possono esserci. Sicuramente, però, se avessi cominciato da piccolo…beh, la predisposizione alla sofferenza c’era. E non si sa cosa poteva uscire fuori.

d: Quindi il ciclismo è innanzitutto sofferenza?

r: Senza di quella non vai.

d: Ma lei cosa prova, ancora oggi, quando è in sella e si fa i suoi settanta/ottanta chilometri?

r: Il ciclismo mi dà tutto, come salute, mentalità…quando ho qualche dolore salgo sulla bicicletta e mi passa tutto. La bicicletta per me è come una “medicina generale”: mi passa tutto, dolori, pensieri…è come una terapia. Ma bisogna essere appassionati, perché in salita è dura.

d: Venendo al settore della ristorazione, sappiamo tutti che è stato uno di quelli maggiormente danneggiati dalle chiusure e dalle restrizioni dovute al Covid. Come ha vissuto quei momenti?

r: Le istituzioni hanno fatto il possibile per agevolarci: abbiamo avuto degli incentivi e non posso negare che siano stati utili, in un momento in cui le bollette continuavano ad arrivare nonostante tutto. Certo, abbiamo sofferto (le chiusure forzate etc.), ma ci stiamo riprendendo piano pano, specie da quando è stato tolto l’obbligo del green pass.

d: Il sistema sanitario lucano ha tenuto bene?

r: Penso di sì, non ho lamentele personali da fare. Bisogna anche capire che è stata una situazione che nessuno poteva prevedere.

d: Se potesse ospitare Bardi al suo tavolo, cosa gli direbbe?

r: Non me ne intendo di politica, ma noi votiamo della gente –che paghiamo- e vorrei che si dedicassero a risolvere i problemi, invece di andare in giro a litigare per “voglio questo e voglio quello”, mentre ognuno di loro fa come gli pare

d: Mettiamo che fra cent’anni, chi erediterà questo ristorante ponga una targa a suo nome in mezzo a tutte queste foto e tutti questi premi. Cosa vorrebbe ci fosse scritto?

r: Dovrebbe far capire che c’è stato tanto sacrificio, che su ogni coppa ci sono circa mille chilometri di allenamento. Un giorno, giocando con la calcolatrice, è uscito fuori che finora ho prodotto ottanta quintali di sudore!