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di Walter De Stradis

 

Indossa la mascherina, ma parla –come leggerete- senza filtro. Salvatore Adduce, sessantacinque anni, nativo di Ferrandina, Presidente della Fondazione Matera 2019, attualmente consigliere comunale d'opposizione (Pd) in quella città, e Presidente dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) è un “ex” molte cose: sindaco della città dei Sassi, deputato, presidente della Lega delle Cooperative, consigliere regionale (eletto la prima volta nel 1995). Ci riceve nella sede Anci nel palazzo del Consiglio Regionale.

D: Dopo decenni di politica e di incarichi, sono qui a chiederle: come giustifica la sua esistenza?

R: Non credo di dover giustificare la mia esistenza, come tutti, del resto. Il tema è piuttosto: come e perché sono giunto fin qui.

D: Quando ha capito che nella vita sarebbe stato un politico?

R: Be’, a quindici anni circa, quando studiavo a Matera, feci la scelta consapevole di interessarmi a cosa stava succedendo. Quella era l’epoca delle stragi e in tanti capimmo, ragazzi e ragazze, la necessità di stare in campo. Eravamo lontani dalle pulsioni localistiche, dalle baldorie di paese e non c’era alcuna idea che la politica sarebbe stata un’occupazione a tempo pieno, anche se la politica come professione ci affascinava.

D: Ritiene di aver mantenuto fede a quegli ardori giovanili, o ha dovuto rinunciare -o addirittura tradire- qualcosa, lungo la strada?

R: Ritengo di aver mantenuto fede e di non dovermi rimproverare cose particolari. Perché ancora oggi non mi rassegno, mi incazzo e sento il “sacro fuoco” delle battaglie civili, come quando da giovani eravamo militanti del Partito Comunista.

D: Venendo subito ad oggi, spesso si sente dire –fra coloro che non si ritengono soddisfatti di questo governo regionale - che la “colpa” è vostra, di voi del centrosinistra cioè, poiché siete stati capaci di “regalare” questa regione al centrodestra.

R: Al netto delle vicende traumatiche che hanno riguardato l’ultima parte del governo di centrosinistra, ho maturato l’idea che l’alternanza a un certo punto sia fisiologica e che rappresenti comunque un valore in sé.

D: Quindi sarebbe successo comunque?

R: Forse no, ma i segnali di un certo logoramento c’erano. Ma, ripeto, è anche giusto che ognuno debba coltivare la preoccupazione di poter essere sostituito. Questo ti fa lavorare meglio, e in maniera più trasparente.

D: Nel corso di diverse interviste fatte con sindaci lucani, specie quelli dei piccoli comuni –al di là delle consuete carenze economiche- più che altro denunciano una distanza, anche fisica, del governatore Bardi e della sua Giunta. In qualità di Presidente Anci ha raccolto anche lei questo tipo di disagi?

R: Credo che la loro sensazione sia fondata, e noi dell’Anci l’abbiamo detto anche pubblicamente: la forestazione, ad esempio, parte senza alcun tipo di consultazione. Il fatto è che confrontare, condividere e coinvolgere… beh, è faticoso (sorride). Tuttavia, anche a fronte delle situazioni più catastrofiche (siamo tutti reduci dal lockdown), non dev’esserci mai la sospensione della democrazia. Credo che Bardi e la sua Giunta abbiano invece proprio la necessità di doversi calare nel contesto sociale e politico che ci circonda. Dal confronto si esce sicuramente migliori, anche se a volte un po’ bastonati.

D: E lei che bastonata gli darebbe?

R: Il mio rimprovero è questo: hanno avuto l’incarico di governare, sì, ma non hanno capito che dal punto di vista elettorale rappresentano comunque un pezzo MOLTO relativo della comunità lucana. E questo dovrebbe spingerli ad aprirsi, non a chiudersi. Non devono perdere di vista il concetto che l'attività di amministrazione è DENSA di politica e la politica non s’inventa. Io credo che Bardi stia facendo un buon corso di formazione, che spero e credo possa presto maturare anche una propensione un po’ più “raffinata” al confronto e alla disponibilità.

D: …un corsista a spese dei Lucani.

R: È la democrazia, bellezza! Non condivido per niente la sua sottolineatura, perché è ciò che sta scritto nella Costituzione. Se dopo venticinque anni vince le elezioni una forza politica diversa, be', dobbiamo mettere nel conto che debba fare anche un po’ di formazione. E con le risorse pubbliche, perché no.

D: MicroMega ha intervistato Chiara Appendino. La sindaca di Torino afferma: «È nelle città che dovremo convivere con il virus (…) Per farlo, però, non bastano le risorse, ovviamente fondamentali per evitare il dissesto economico dei comuni, promesse dal governo Conte, ma servono più poteri».

R: È un’osservazione del tutto condividibile. Serve soprattutto svincolare i sindaci da una infinità di incombenze, incongrue e ridondanti, che non sono propriamente utili al normale sviluppo dell’attività. Prima dell’emergenza Covid, il Presidente De Caro con la direzione dell’Anci nazionale, di cui anch’io faccio parte, ha lanciato una proposta di legge dal titolo “Liberiamo i sindaci”. E poi, diciamocelo, i sindaci sono costantemente sotto la spada di Damocle di Procure, Corte dei Conti, Tar: una parte importante della loro vita la passano a star dietro a questioni di carattere legale e giudiziario! L’emergenza del Coronavirus forse ci ha indicato la strada da seguire nel prossimo futuro, e ha testimoniato la forza che i primi cittadini possono esprimere anche sul versante della sicurezza pubblica e della protezione civile. Onestamente hanno fatto un figurone.

D: In questi giorni in cui si dà, a volte con disinvoltura, la patente di “eroi” un po’ ovunque ... la diamo dunque anche a loro?

R: Sono contrario a quella retorica… vorrei citare quel comico che dice: «Mi dà ai nervi che quando atterra l’aereo si fa l’applauso al pilota! Ha fatto solo il suo dovere!». Beh, questo dovere, seppur in situazioni assai difficili, lo hanno fatto migliaia e migliaia di sindaci. Ottomila sindaci non hanno dormito, sono stati sul campo, hanno coordinato le forze e per di più con pochissimi vigili urbani, a volte con nessuno: specie in Basilicata, dove i piccoli comuni sono la maggioranza. Qui da noi, ove spesso i municipi condividono i servizi per ottimizzare i risultati, i sindaci sono stati un vero, grande baluardo. Nessuna patente di eroe, ma, ripeto, questa esperienza ci ha dimostrato che quella del sindaco è una figura fantastica nel panorama politico-amministrativo italiano. Abbiamo visto anche dei video-messaggi rivolti alla popolazione molto duri (come quello virale di Cosma, sindaco di Tursi), ma sono molto contento che i primi cittadini abbiano mantenuto quell'atteggiamento severo e rigoroso, anche incuranti di non piacere, magari. Se siamo riusciti a evitare conseguenze anche più gravi, in larga parte lo dobbiamo a loro.

D: Lei ha detto che fare il sindaco ti espone continuamente alla spada di Damocle di tribunali assortiti. Su questo numero (a pagina 3, ndr), l’ex direttore amministravo dell’Unibas Cornetta, dice che, dopo decenni di carriera, ha conosciuto le aule giudiziarie solo dopo essere venuto in Basilicata… Come mai secondo lei?

R: Per quanto riguarda la politica, il mio ambito, credo che negli ultimi decenni abbia perso di autorevolezza ed è anche incappata in una situazione, diciamo così, di facile bersaglio. Non saprei dire se la riflessione dell’ex direttore dell’Unibas abbia un fondamento, ma per quanto riguarda il mio settore, credo che lo status del politico sia stato in effetti destrutturato, ma per colpa della politica stessa, non per colpa della Magistratura. Le classi dirigenti devono saper allargare le partecipazioni, far affluire aria nuova e ruscelli di acqua limpida nelle stanze delle decisioni, in modo tale che il cittadino non debba poi trovarsi nemmeno a pensare che c’è un altro organo, quello giudiziario, che vuole sostituirsi nelle decisioni.

D: Ergo quando è stato interessato lei da un qualche procedimento si è sentito sempre sereno e non si è mai sentito “un bersaglio”, come alcuni suoi colleghi.

R: Ho la fortuna di non aver avuto chissà quali esperienze, salvo qualche problema –come dicevo, ordinario per un amministratore locale- con la Corte dei Conti (seppur con qualche contraddizione, visto che sullo stesso procedimento contabile ce n’è stato uno penale addirittura archiviato in fase di indagini preliminari). Non posso quindi dire di aver avvertito “invasioni di campo”, per quanto mi riguarda.

D: Mi ammette una cosa che non è stata fatta con Matera 2019?

R: Faccio una premessa. Matera 2019 è stato l’elemento che è riuscito, finalmente, a piazzare a livello internazionale Matera e la Basilicata, cosa che non era mai avvenuta in passato. Per far ciò, tuttavia, è stato necessario rinunciare ad alcune cose, come una maggiore attenzione al “local” rispetto al “global”. Abbiamo portato avanti un’operazione di tipo globale, poiché se ci fossimo curati solo di un settore, per così dire municipalistico, ossia Matera come luogo in cui realizzare delle cose simpatiche o mangiare il peperone crusco e basta, il posizionamento internazionale non l’avremmo mai raggiunto.

D: Lei, dunque, sta rispondendo anche un po’ alla polemica di coloro che hanno lamentato un mancato coinvolgimento delle personalità e degli intellettuali locali? Lo storico Giovanni Caserta, ad esempio, è stato uno di questi, sulle nostre pagine.

R: Questa è una questione un po’ strumentale e non adeguata all’altezza delle personalità che l’hanno esternata. Bisognerebbe comprendere, invece, che siamo riusciti ad incuriosire il mondo. Abbiamo voluto dimostrare che può succedere qualcosa anche al di fuori delle capitali vere, come Berlino, Londra, Parigi, New York. Ecco, volevamo dimostrare che è possibile che qualcosa di grande accada anche nel luogo più sperduto del Mezzogiorno: la Basilicata.

D:...ma forse la Basilicata e Matera sono poi rimaste com’erano prima.

R: No, sono molto diverse da prima, perché si è sperimentato una funzione di produzione culturale di straordinaria qualità e quantità. Il tema vero era ciò che ci chiedeva la Commissione europea, ossia un’operazione comprensibile da tutti i paesi comunitari. Non potevamo organizzare degli eventi legati ai gruppi folk della Basilicata, perché non è ciò che ci veniva chiesto, né Matera 2019 poteva essere confusa con la sagra del pecorino, non era certo quello l’indirizzo. Lo dico in Italiano: non c’entrava un cazzo!

Bisogna leggere cosa chiede l’Europa alle città che vogliono diventare Capitale europea della cultura. Quando Genova si è presentata, nel 2004, non si basava certo sulla valorizzazione del pesto alla genovese! L’errore di fare della Capitale europea della Cultura il simbolo di fave e cicorie non potevamo permettercelo!

Volevamo dimostrare, così come diceva Giancarlo Giannini a Sophia Loren nel film “Fatto di sangue tra due uomini per causa di una vedova” della Wertmuller, che anche noi avevamo “i coglioni per uccidere”. Che anche noi avevamo cioè i coglioni per fare ciò che fanno i londinesi, i tedeschi o gli americani a New York. Ciò ha lasciato sul terreno una serie di elementi che, se si vorrà, potranno essere raccolti in futuro.

D: Il film che la rappresenta?

R: “Il Padrino” del nostro compaesano Coppola, poiché è la rappresentazione, anzi quasi una saga del potere.

D: Il libro?

R: In questi giorni ho fatto un po’ d’ordine nelle carte e sono andato a rileggere Vittorini, il “Sentiero dei nidi di ragno” di Calvino, per poi passare ad un libro fantastico intitolato “Sapiens. Da animali a dèi”, che è un po’ la ricapitolazione del genere umano sulla Terra.

D: La canzone?

R: “Generale” di De Gregori.

D:...È casuale la scelta?

R: Lasciamo il dubbio. (risate, ndr)

D: Tra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?

R: Sono minimalista: nome e cognome.