- Arturo Cornetta
- Mercoledì, 05 Giugno 2019 11:11
I fatti che si raccontano, salvando il principio di presunzione di innocenza, non stupiscono più nessuno e tantomeno un qualsiasi attempato burocrate che, nell’ arco della sua lunga carriera, ne ha viste di cotte e di crude nello svolgimento di concorsi ed assunzioni di competenza di un Ministero.
Così lo stesso, appena entrato in carriera e con l’incarico di vigilante in concorsi pubblici, sia per personale docente che amministrativo, che si svolgevano in via Girolamo Induno a Roma, restò stupito dal fatto che quasi tutti i concorrenti plagiavano i compiti e che, nella consegna degli elaborati non si accertava, per non violare l’anonimato della valutazione, l’identità del vero estensore della prova.
Nei Ministeri, poi, si fa carriera come in tutte le amministrazioni, e ti chiama il Direttore generale, ora Dirigente generale, e ti dice: ”Tu sei giovane e non sei ancora corrotto, quindi ti do l’incarico di curare tutte le assunzioni, per il nostro comparto di formazione del personale appartenente alle categorie protette: invalidi di guerra, profughi, invalidi civili, ecc.”
Il giovane funzionario, per arginare le raccomandazioni a pioggia, che fa? Fa stilare da riluttanti collaboratori, per ogni categoria riservataria, le domande degli aspiranti all’assunzione e costituisce apposita commissione mista di funzionari, sindacalisti e rappresentanti delle categorie con il compito di scegliere, in base ad una griglia di requisiti, le persone da assumere, con Decreto del Ministro, e poi da assegnare agli Uffici centrali e periferici.
Tutti contenti, e si fissa la riunione: finalmente si potrà fare una corretta selezione!
“Dottore (tutti in coro) non perdiamo tempo… assegniamo ad ogni componente un certo numero di posti disponibili e poi formiamo noi i nominativi se abbiamo i nostri iscritti”.
La Commissione non si riunì più e si continuò con la precedente prassi di assunzione.
Andiamo avanti e diciamo che i concorsi pubblici erano accentrati al Ministero; i vincitori venivano assegnati alle strutture collegate nel rispetto di organici prefissati.
In verità se il Ministero bandiva cento posti a livello nazionale, forse dieci posti andavano ai soliti noti, ma per novanta la selezione era rispettosa delle relative regole. Ovviamente, il sistema andava modificato e corretto; allora politici, sindacalisti, burocrazie centrali e periferiche sono concordi nel chiedere, con legge, un ampio decentramento così gli ipotetici cento posti vengono preventivamente divisi tra gli uffici decentrati e svolti da commissari locali.
Il risultato? Bandi spezzettati di concorsi per tre posti, per due posti, per un posto, tutti sparsi per l’Italia, con conseguente moltiplicazione di commissioni d’esame e turismo di massa dei partecipanti.
Chi vince il concorso? Certamente il locale impiegato avventizio, salvo miracoli amministrativi.
“Dottore viene a fare il Presidente di commissione per il concorso di tre posti presso la nostra sede universitaria? Sa, non voglio interferenze!”
“Mannaggia che fatica! Centocinquanta concorrenti per tre posti di aspiranti, provenienti da tutta Italia”
“Dottore, mi raccomando! Su quei posti abbiamo già tre avventizi e speriamo che vada tutto bene. Sono anni che lavorano qui”
“Ho capito. Pregherò la Commissione di fare una correzione delle prove scritte e pratiche in modo rigoroso e collegiale”.
“Mi dispiace, caro amico, nessuno è stato ammesso alle prove orali: bisognava prendere sette su dieci in ogni prova, come da bando. Certamente si può fare di nuovo il bando e nominare un altro Presidente”.
Ultima chicca, per esperienza personale maturata in una lunga carriera di alto funzionario e dirigente statale e periferico:
Fino agli anni novanta nelle Università, il Direttore Amministrativo era un dirigente nominato dal Ministero, ma già proveniente dal ruolo nazionale specifico dei direttori amministrativi, nella logica di tenere distinta la funzione amministrativa da quella docente, pur nel rispetto delle competenze degli organi accademici.
Ora, invece, con apposita legge di decentramento, il Dirigente generale di un Ateneo, viene scelto e nominato dagli organici accademici della Università interessata, con contratto di direzione temporaneo, aperto anche ad esperti esterni all’ amministrazione. La retribuzione grava sul bilancio degli Enti in parola, con compensi rapportati al numero degli studenti, dei docenti e ad altri parametri.
Risultato? Paga sempre “Pantalone”, ma la Corporazione è aperta solo ai soliti noti, come sostengono alcune malelingue.
Chi scrive non vuole fare la figura del solito estimatore del tempo passato o del pensionato frustrato, perché l’Amministrazione pubblica non è sempre matrigna. L’esperienza insegna che il cittadino ottiene servizi e prestazioni migliori quando la selezione del personale di qualsiasi ufficio si basa esclusivamente sul merito e sulle competenze professionali dei propri operatori e non sulla cordata di appartenenza politica, sindacale e/o partitica dei medesimi.
I furbi in Italia sono tanti, ma la maggioranza dei cittadini vuole chiudere con il passato e desidera che le istituzioni non siano più luoghi di privilegio inefficiente.
Il rimedio? Sconfitta elettorale dei tanti demagoghi nostrani e la riconferma aggiornata dei principi ispiratori dell’Unione Europea, portata avanti da una nuova classe dirigente che guardi al futuro più che al passato, dove ha prevalso la visione ragionieristica dell’economia, portata avanti dagli euroburocrati a trazione franco-tedesca. Arturo Cornetta