- Walter De Stradis
- Venerdì, 22 Marzo 2019 10:02
Non c’è da negarlo: in Basilicata (e non solo) dopo “la televisione” (il TGR) è “La Gazzetta” (del Mezzogiorno) l’organo di stampa che il cittadino medio reputa come il più noto e autorevole. Massimo Brancati (fratello del compianto Rocco, che era uno dei volti più riconoscibili proprio del tg regionale), veterano della redazione, è divenuto da qualche tempo il caporedattore per la Basilicata dello storico quotidiano. Che vive il momento più difficile dei suoi 131 anni di vita. Con lui abbiamo parlato di questa “scoppiettante” (ma fino a un certo punto) campagna elettorale e di quella che –ahinoi- sembra essere divenuta la “professione pericolo” del momento: il giornalista.
Come giustifica la sua esistenza?
Credo di essere nato per fare il giornalista, ne ho respirato l’aria fin da piccolo. Come sa, mio fratello maggiore Rocco (che mi faceva anche un po’ da padre, avendolo io perso da giovanissimo) scriveva già su giornali nazionali e poi passò alla Rai: io mi divertivo in casa a fare i “giornalini”, e lui mi aiutava. Ho quindi avuto la fortuna di coronare un mio sogno, anche se adesso viviamo tempi difficili.
Lei infatti è divenuto caporedattore per la Basilicata della Gazzetta Del Mezzogiorno nel momento più difficile di questa storica testata, con il sequestro delle quote all’editore, l’amministrazione giudiziaria, gli stipendi in arretrato…
Sì, infatti, come dicevo ho realizzato un obiettivo nel momento peggiore. E’ piombata sul giornale questa vicenda giudiziaria, relativa all’editore, che però sta avendo ripercussioni sulla redazione.
I lettori lucani però vi hanno dimostrato una vicinanza che ha del commovente. E questo in una delle regioni in cui si legge di meno.
Sì, è stato bello. Le vendite sono aumentate e questo è una testimonianza della voglia dei lettori di sostenerci: forse non serve a molto in questo momento, ma sicuramente ci fa piacere. La vicenda si risolverà, ne sono sicuro, perché la Gazzetta è un patrimonio inestimabile per tutto il Sud: centro trentun anni di storia non si possono buttare via così. Ci sono attualmente quattro proposte di acquisto, e magari c’è anche qualcun altro che non è ancora venuto allo scoperto. Ci preoccupano però i tempi della Giustizia, perché in questo momento viviamo in grossa difficoltà, giornalisti, grafi ci, amministrativi: in tutto siamo 170. Tuttavia, torno a ripetere: sono convinto che alla fine ne usciremo fuori.
Abbiamo detto che i lettori della Basilicata vi sono stati vicini pubblicamente. C’è, invece, qualcos’altro che le ha fatto male?
La classe politica. E’ stata assente. Sarà stato per la mancanza di punti di riferimento relativa alla fine della legislatura, me devo dire che siamo stati completamente snobbati.
Fra la gente che “si informa” solo sui Social e la propaganda politica contro i giornalisti, in realtà il momento non è esaltante per tutta la categoria. Probabilmente siamo ai minimi storici.
Il giornalista oggi viene comunemente visto come il servo o il portavoce del Potere, ma non bisogna certo generalizzare, perché i “buoni e i cattivi” ci sono in tutti i campi. I grillini, dal canto loro, certo hanno contribuito a fomentare questo tipo di visione. Io sono sempre stato svincolato da qualsivoglia potere politico, non ho padrini e pertanto non mi riconosco in quella descrizione. Scrivo quello che posso e che voglio, ma c’è da dire che noi subiamo comunque un altro tipo di censura: le querele.
La questione è stata sollevata a livello nazionale anche da giornalisti di fama.
Esatto. Io personalmente ho in pendenza quattro/cinque querele, e i miei avvocati mi dicono che andiamo verso l’assoluzione completa; tuttavia è innegabile che queste cose ti frenano. Ne vuole una fresca fresca? Stamattina (lunedì – ndr), sono venuti ad acquisire degli atti per la vicenda della spinta nel corso del comizio di Salvini. Noi ci siamo limitati a riportare le dichiarazioni di un candidato, ma l’acquisizione di quegli atti è sicuramente propedeutica a una querela. Allora io mi chiedo: ma cosa si può scrivere, alla fi ne, su un giornale? Ormai, credo, più nulla.
La capisco benissimo, perché anche noi abbiamo questo tipo di problemi. L’aumento di denunce ai giornalisti, spesso temerarie, è anch’esso un segno dei tempi. Ma generato da cosa? Dall’odio, a cui accennavamo prima, seminato nei confronti dei cronisti? Dalla rabbia, in costante aumento, dei cittadini, che per un niente fanno causa? Dall’arroganza di un Potere che accetta sempre meno serenamente le critiche?
Più pragmaticamente, io credo che il problema sia nella presenza -mi faccia passare il termine- di quattro avvocatucci, che mal consigliano i loro clienti, spingendoli a denunciare e poi si vede. E poi, sì, serpeggia la convinzione che un giornalista non possa scrivere di tutto, e che se tocca i tuoi interessi personali va querelato comunque. In tutto questo, come si diceva, c’è la crisi che attanaglia i giornali: una volta, se venivi condannato, erano loro che pagavano, anche per te. Adesso invece ne va di mezzo il tuo patrimonio. Tutte queste cose messe insieme, come accennavo, sono una pesante forma di censura.
Quale potrebbe essere un argine, anche normativo, alle querele facili?
Stabilire con chiarezza delle “soglie”. Mi spiego: se io mi limito a riportare, virgolettandole, le dichiarazioni di un politico (sempre che non contengano ingiurie), non è giusto che io giornalista venga denunciato solo perché vanno a lambire un tuo interesse personale. E purtroppo ciò accade anche quando alla controparte la fai replicare! Sono intimidazioni vere e proprie. Pensi, di recente io ho riportato una sentenza della Corte dei Conti che condannava una certa docente a restituire dei soldi. Questa persona mi ha querelato! Siamo arrivati all’assurdo, ormai. Forse Ordine dei giornalisti e Federazione della stampa dovrebbero affrontare di petto una situazione che sta a tutti sfuggendo di mano.
Quella volta che lei si è sentito veramente un giornalista?
Forse il giorno che scoprirono il corpo di Elsia Claps nel sottotetto della Trinità. Io passavo di lì per caso (perché ci vuole anche fortuna) e notai dei movimenti strani, addrizzai le antenne e mi ci fiondai. Fu così che diedi la notizia per primo. Fui orgoglioso di me stesso.
…Secondo lei Potenza riuscirà mai a guarire da questa ferita?
Guarirà solo se verrà fuori l’altra parte della verità, poiché a mio parere ci sono state realmente delle connivenze e delle complicità. Mi trovo in perfetta sintonia con la famiglia Claps e forse bisognava indagare ancora di più all’interno della Chiesa.
C’è stato un periodo in cui i diversi casi di cronaca della regione sembrava fossero collegati o collegabili: Elisa Claps, Anna Esposito, Ottavia De Luise…
Forse per una comodità giornalistica lo abbiamo fatto anche noi, ma sono semplicemente delle storie parallele che non c’entrano nulla l’una con l’altra, se non per alimentare il fi lone della cosiddetta “Basilicata noir”.
Cosa pensa dei giornalisti che scendono in politica? Il caso più evidente è il tentativo (finora a vuoto) di Carmen Lasorella
Il giornalista non dovrebbe mai entrare in politica, poiché a mio parere è una strada di non ritorno.
…e dei magistrati?
Ancora peggio. Un impegno diretto è inconciliabile con un eventuale ritorno alla professione al termine del mandato elettorale.
Cosa ha caratterizzato questa campagna elettorale? Se lei dovesse dare un titolo, quale sarebbe?
«Senza idee». Tutti hanno esposto generici programmi sovrapponibili, parlando alla buona di luoghi comuni («coniugare petrolio e ambiente», «creiamo nuovi posti di lavoro»). Ovvietà che chiunque può dire. Nessuno dei candidati è stato in grado di restituire agli elettori un’idea futura della Basilicata, ci si è limitati a parlare di problematiche spicciole senza fornire con precisione i dettagli o gli strumenti (tipo i soldi) per realizzarle. Forse solo Tramutoli, sul petrolio, ha la posizione più dirompente: «Chiudiamo tutto». ma, anche questo è troppo facile a dirsi e impraticabile nella realtà. Molti parlano, per esempio, di “raddoppio della Potenza- Melfi ”, ma dei fondi da reperire –e dove- non ne parla nessuno.
Secondo lei questa assenza di contenuti dipende dal fatto che tutti i candidati governatori sono neofiti della politica, o dalla volontà di solleticare la pancia dei cittadini, un fenomeno tipico dei grillini?
Sono più a favore di questa seconda tesi. È vero che molti sono neofiti, ma alle spalle hanno persone che sanno benissimo quello che fanno e che conoscono bene quali tematiche fanno maggiore presa sull’elettorato.
Anche “la calata” dei big politici nazionali mi sembra si sia risolta in un vacuo parlarsi addosso. Ci si è accorti “solo adesso” che a Matera non c’è la ferrovia.
Certo, così si può dare la colpa a chi ha governato prima, specialmente se mancano le infrastrutture o se sono del tutto carenti, come nel caso della ferrovia a Matera. Coloro che hanno fatto parte del governo nazionale, tuttavia, potevano certamente intervenire a tempo debito!
Qual è il suo rapporto personale con la politica? Ha mai avuto proposte …“indecenti”?
Sì, ma non le ho mai accettate. Per fare politica bisogna avere attitudine e un determinato talento. Non mi sento pronto e probabilmente non lo sarò mai, perché è un mondo non è adatto alle mie corde, dunque mi limito a guardarlo a distanza per poterlo raccontare. Le proposte sono arrivate, “bipartisan”, solo per il fatto di essere una persona “conosciuta in città”, per via della mia professione. Solo questo interessava loro. Gli unici a non avermi mai contattato sono i 5 Stelle.
Da padre, se lei dovesse spiegare a un bambino la situazione attuale della Basilicata, cosa gli direbbe?
Da un lato gli direi che è una terra bellissima, da amare e difendere, dall’altro che deve andare via. Negli ultimi anni si è accentuata nei giovani la voglia/necessità di agganciarsi al politico di turno per poter lavorare, anche se mi viene da dire che ormai sono finiti perfino i posti da “occupare”. Insomma, se i giovani vanno via non li biasimo. In questa campagna elettorale si è parlato tanto di meritocrazia, un altro di quegli slogan facili a cui abbiamo fatto cenno prima. E se n’è parlato anche alle volte scorse. Ma, alla resa dei conti, qui va avanti chi ha “Santi in Paradiso”. Ma la colpa è anche nostra.
Il film che la rappresenta?
“Easy Rider”, poiché amo moltissimo la moto, anche se nel 1998, dopo un incidente, mi sono “ritirato” (ride). Ero senza casco e credo che mi abbia salvato un qualche spirito. E’ come se qualcuno avesse voluto che non sbattessi la testa.
Il libro?
Ultimamente ho letto il libro di Oreste Lo Pomo, “Malanni di stagione”, e mi è piaciuto particolarmente, poiché ci vedo molto della nostra professione, anzi in diversi episodi mi sono anche quasi riconosciuto.
La canzone?
“Highway to hell” degli AC/ DC, ricordo che la prima volta l’ascoltai al grammofono grazie a mio fratello. Quella voce sgraziata è stata la causa di una vera e propria emarginazione musicale da parte dei miei amici (ride).
Continuiamo il gioco. Il film che rappresenta la Basilicata?
“Basilicata coast to coast”, ma lo dico come provocazione, perchè non rappresenta per nulla la regione.
Il libro?
“La peste” di Maurizio Bolognetti, perché descrive la Basilicata in maniera inquietante, specialmente dal punto di vista ambientale. La nostra vera emergenza.
La canzone della Basilicata?
“Tears in heaven”, “Lacrime in Paradiso”, di Eric Clapton, anche se qui le lacrime sono amare. Lei suona anche, e a un certo punto aveva quasi imbroccato la strada professionistica.
Sì, col gruppo attuale, “Drops of Gems”, facciamo cover dei classici del rock, ma il mio gruppo storico giovanile erano i “Daya”: ottenemmo molti consensi e arrivammo quasi al punto di svolta, ma non ce la facemmo e tutto finì. Come solista arrivai terzo a Castrocaro, ma la mia carriera finì lì, perché ci rimasi malissimo.
Tra cent’anni, se dovessero ricordarla con la pubblicazione di un articolo sulla Gazzetta, quale vorrebbe fosse il titolo?
Mi piacerebbe essere ricordato come un collega che ha lavorato con impegno, dedizione e con la massima libertà. Se proprio dovessi scegliere un titolo, mi viene in mente: «Ci lascia il “Massimo” della dedizione». (ride, ndr)