- Rosa Santarsiero
- Sabato, 01 Settembre 2018 10:01
Lo scorso 11 agosto, il Consiglio regionale della Basilicata si è espresso favorevolmente riguardo la modifica della legge elettorale, traducendo in realtà un tema a lungo inespresso: la doppia preferenza di genere. Come già accade da tempo nei comuni con popolazione superiore ai 3000 abitanti, la nuova legge regionale introdurrà, a partire dalle prossime tornate elettorali, il principio della parità e dell’equilibrio nella composizione dell’organo legislativo regionale, nonché -ci si auspica- anche della Giunta.
La Consigliera regionale di parità, l’avvocata Ivana Enrica Pipponzi, che già all’indomani dell’approvazione della nuova legge regionale non ha nascosto la sua soddisfazione per il primo traguardo raggiunto, è tornata a parlane insieme a noi nel corso di un’intervista a tutto campo sull’universo femminile.
In che misura la nuova legge elettorale può favorire l’affermazione delle donne nel quadro politico regionale?
Dico innanzitutto che tale norma andava assolutamente varata, poiché in conformità con lo Statuto regionale. La nuova legge elettorale si allinea così agli input provenienti dallo scenario normativo nazionale ed europeo, dunque mi sembra sia un atto dovuto sia un enorme passo in avanti. Con questa norma si danno più chance alle donne in ambito politico, poiché le aiuta non solo ad essere elette, ma anche a trovare il posto che meritano nei consessi pubblici. Sono profondamente convinta che non si possa fare a meno del punto di vista della donna in ambito politico. Al contrario, è quando la donna cerca di emulare l’uomo che sbaglia, poiché finisce per sminuire o deprezzare il suo valore. Le donne non solo sono più pratiche, ma hanno anche un’operatività differente che finisce positivamente per eliminare ogni forma di conflittualità e competizione in un gruppo, solita invece tra gli uomini.
Lei ha definito la nuova legge elettorale il “primo passo” verso la parità di genere. Cos’altro c’è di concreto da fare?
In questo momento direi che spetta alle forze politiche rendere effettiva l’applicazione della norma nel concreto, non deve diventare l’ennesimo step burocratico. Ad esempio, secondo voi perché le donne frequentano meno degli uomini le riunioni di partito? Semplice, perché il più delle volte le stesse si svolgono di sera, quando una donna sveste i panni di lavoratrice e inizia a indossare quelli di madre e moglie. Allora io dico che la parità di genere è fatta anche di queste semplici, quanto indispensabili, accortezze e che i partiti politici devono impegnarsi.
C’è forse un retaggio culturale, una forma di complesso che le donne stesse devono superare?
Assolutamente sì. Quando le donne riescono a vincere le loro stesse resistenze e la convinzione di avere qualcosa in meno rispetto al sesso forte sono capaci di portare a termine in maniera egregia qualsiasi compito, sia in ambito lavorativo sia in quello pubblico e sociale. Io dico che deve cambiare proprio la mentalità, sia quella delle donne sia quella degli uomini che si approcciano a loro, per questo sostengo che la nuova legge elettorale è solo il primo di tanti altri passi da compiere. Mi aspetto dunque che nella composizione della Giunta regionale, anche se non è prevista come nei comuni la quota di proporzione del 40%, ci sia un’adeguata rappresentazione femminile o, addirittura, una presidentessa donna (Questa cosa l’ho già detta in precedenza, e infatti colgo l’occasione per chiarire, anche se per me era pleonastico, che ovviamente non mi riferivo certo a una mia eventuale candidatura!!!).
La sua proposta di legge sulla “Parità di genere come tutela dei diritti” è un altro passo in avanti quando si parla di cultura paritaria…
Le forme di aiuto concreto alle donne passano certamente attraverso strade tortuose, come quella del Welfare. A mio giudizio è proprio da lì che si dovrebbe ripartire, sostenendo il gentil sesso in momenti particolari come quello della maternità, o quando si parla di parità di salario.
Uno dei temi più sentiti dalle donne lavoratrici è proprio la disparità di salario rispetto agli uomini. L’ONU ha definito questo fenomeno, noto come Gender Pay Gap, “il più grande furto della storia”, sottolineando come le donne guadagnino il 23% in meno rispetto agli uomini. Rapportando questo dato al nostro contesto sociale, cosa si può fare di concreto per invertire la tendenza?
Salvaguardare la presenza delle donne nel mercato del lavoro significa apportare indubbi benefici all’economia. Le donne che producono spendono di più e creano, di conseguenza, uno slancio vitale all’economia. Io credo che un modello da imitare sia il caso dell’Islanda, ove i datori di lavoro sono tenuti a rendere pubblici annualmente dei report sulle condizioni lavorative degli uomini e delle donne comprendenti dati importanti come le ferie concesse, il salario, i congedi e altri indicatori di benessere, al fine di valutare e smascherare ogni forma i discrepanza rispetto agli uomini. Tutto ciò si fa anche in Italia, nelle aziende con più di cento dipendenti, ma è altrettanto vero che questi dati vengono trasmessi solo ad alcuni uffici pubblici come quello della Consigliera di Parità, ma non espongono gli imprenditori agli occhi della società. Il mio obiettivo, tra l’altro condiviso con la Consigliera nazionale di parità, è che si possa ripartire proprio da qui, estendendo la tutela anche alle aziende più piccole, certamente più diffuse in Basilicata ove si registrano maggiori casi di discriminazione.