BELMONTEsuInfantino

L’INTERVENTO - Ho conosciuto Antonio tanti anni fa, ero amico di suo fratello Giancarlo: anche lui cantava (ma preferiva il pop), grande artista morto prematuramente tanti anni fa. Ad Antonio va riconosciuto il merito di essere stato il primo uomo di cultura a scoprire quella che è l’identità lucana nella musica tradizionale.

Ricordo che decenni fa in molti –fra gli “intellettuali”- lo deridevano, lo giudicavano con una certa superficialità, essendo lui un uomo controcorrente. Era un uomo introverso, un genio della musica, sensibile alle corde che partivano dal suo cuore. Era un profondo conoscitore della cultura sonora lucana, della musica tradizionale nostra e di quella etnica, era un conoscitore delle note e di tutte quelle espressioni musicali che venivano dal popolo lucano, che non era certo rumoroso nel Mezzogiorno, anzi, spesso veniva accantonato. Antonio è riuscito con la sua forza a dare una caratterizzazione e un marchio DOC alla musica lucana. I Tarantolati, sin dalle origini, erano guardati con la classica puzza sotto il naso dai benpensanti della cultura lucana in generale, ma anche nella stessa provincia di Matera. Da alcuni furono etichettati quasi alla stregua di cafoni che facevano la tarantella di paese, tentando anche di arrangiarsi economicamente nelle feste. Questi “personaggi” non avevano capito però che Infantino e i suoi segnarono l’inizio della riscoperta della nostra cultura musicale. Antonio ha impresso un marchio, segnato una svolta, ma soprattutto ha dato quel tocco di finezza e un taglio esclusivamente culturale a quella che era la musica tradizionale lucana. È stato lui a riscoprire questi valori, ma soprattutto era un uomo dall’animo buono, perché molti non lo sanno, ma lui non viveva bene a livello economico; è scomparso anche con un po’ di solitudine nell’animo, ma soprattutto –essendo uno controcorrente- è sempre stato guardato come una persona -sì da prendere come esempio culturale- ma con cui non farsi vedere troppo sotto braccio. Un vero controsenso della cultura. Andava controsenso a quella che era l’egemonia della cultura, andava controsenso alle istituzioni che lo hanno sempre oscurato e mai aiutato. In questa regione, Antonio Infantino, dalle istituzioni comunali e culturali -parliamo degli stessi circoli che manipolavano la cultura musicale della nostra regione- è sempre stato emarginato. Ora non venissero tutti a dire che era grande e bravo, perché sono pochi quelli che possono parlare di lui, tra questi c’è proprio Walter, direttore di questo giornale, che l’ha conosciuto profondamente, ed io per quanto riguarda il punto di vista personale, perché a livello musicale sono “ignorante”. Antonio mi ha trasmesso questo amore per la musica etnica, il suo amore sviscerato. Ora le istituzioni facciano qualcosa, facciano un mea culpa e riconoscano a questo nostro grande concittadino, l’onore delle armi, ma soprattutto gli riconoscano quello che è stato il suo intuito culturale musicale: quello di dare alla nostra piccola regione il suo angolo importante grazie al contributo della sua musica etnica. Oggi si versano lacrime di coccodrillo, oggi tutti l’hanno voluto bene, tutti l’hanno stimato e apprezzato, ma vorrei sapere: dov’erano quelle persone che oggi si stracciano le vesti, quando lui aveva bisogno anche dal punto di vista economico? Lui chiedeva solo di suonare, di fare cioè il suo lavoro. Antonio, insomma, era uno di quegli artisti che vengono oscurati proprio dalla classe politica che ha paura di essere scavalcata. Antonio rimarrà nella storia, io spero che qualcuno faccia delle grandi iniziative su di lui, per esempio intestandogli una strada, una piazza, facendo in modo che questa persona non venga dimenticata. Nella nostra società sono i veri geni ad essere estromessi.
Vincenzo Belmonte