- Redazione
- Sabato, 13 Gennaio 2024 08:00
Scalo di Grassano, Tursi,
San Giorgio Lucano,
Sant’Arcangelo, Oliveto
Lucano e Stigliano in
provincia di Matera; Teana
e adesso Montemurro in provincia di
Potenza. Venticinque anni di sacerdozio
(festeggiati l’estate scorso a Stigliano),
di cui quindici in Italia.
Il neo parroco di Montemurro, il
cinquantenne don Mario Antonio, è un
sacerdote originario dell’Angola, dai
modi particolarmente soavi e con un
sorriso che è di per sè un abbraccio. La
fuga dei giovani, dai piccoli centri lucani
-di cui ormai ha vasta esperienza- ma
anche dalla fede, è uno dei sui crucci:
per questo, a un certo punto -lui, cintura
nera di karate- ha deciso di sposare la
pastorale con le arti marziali.
In quale momento della sua vita ha
capito che sarebbe stato un sacerdote?
Da ragazzo, in Angola, a Cubale, il mio
paese, mi piaceva molto pescare, e una
mattina, mentre mi accingevo a farlo,
vidi che lì nei pressi c’era il gruppo
scelto per il seminario e allora mollai
la canna e andai dal parroco (che era
Svizzero). Lui disse ok: potevo anch’io
dare gli esami (che superai il giorno
dopo).
Ma cosa la spinse, quel giorno
particolare, a contattare il suo
parroco?
Da bambino pregavo sempre, e fui
colpito dall’arrivo di un sacerdote nel
mio paese. Dissi subito a mia madre che
anch’io volevo essere sacerdote. Anche
a scuola mi dissero che ci ero portato.
E così, poi, in quel giorno di pesca, mi
convinsi del tutto.
E’ interessante, perché lo stesso Gesù
disse ai discepoli «Vi renderò pescatori
di uomini».
Infatti. Ci ho pensato spesso, anche
perché al mio Paese abbiamo trascorso
situazioni non facili. Io ho fatto anche
gli studi di medicina, e mi sono trovato
davanti a un bivio, anche perché ero
l’unico ad aver superato la selezione per
il seminario. Alla fine, pur sapendo che
il percorso sacerdotale era lungo, mi
affidai a Dio, seguendo la Sua volontà, e
le cose sono andate bene. E adesso sono
in Italia da quindici anni, dopo essere
stato sacerdote nella mia stessa Angola.
Walter De Stradis
-continua