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di Walter De Stradis

 

 

 

 

Il lettore più assiduo di “Controsenso” si sarà reso conto che, da qualche tempo, la nostra testata cerca di prestare maggiore attenzione alle cosiddette “aree interne” della Basilicata, di cui fanno parte, secondo il sito dell’Alsia, ben 126 comuni su 131. Questa settimana c’ è pertanto sembrato interessante affrontare l’argomento “minoranze linguistiche”, con particolare riferimento alle comunità Arbëreshë presenti in regione.

Di questo, e di molto altro, abbiamo parlato col professor Donato Michele Mazzeo (originario di Barile), fondatore della storica rivista “Basilicata Arbëreshë”, giornalista, saggista, coordinatore di vari progetti inter-culturali sulla tutela delle minoranze linguistiche, già membro dell’esecutivo della Commissione Immigrazione della Regione Basilicata e supervisore di lingue straniere S.S.I.S all’Unibas.

d - “Cristo è nato a Barile” è un suo libro di qualche anno fa, incentrato su quella parte di riprese del film “Il Vangelo Secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini, che furono girate nel suo paese. Anche lei fu tra le comparse, come diversi giovani dell’epoca?

r - Non proprio. I figuranti erano contadini, barbieri, professori, piccoli artigiani. Il merito di Pasolini fu proprio questo: avvalersi di un materiale umano fatto di persone semplici, diseredate, magari non portate per la recitazione. Io avevo 16 anni e con gli amici del vicinato ci incuriosimmo molto per questo piccolo terremoto culturale, che si stava verificando in un piccolo paese senza un albergo, senza un ristorante. C’erano solo le cantine...

d - Quanto tempo si fermò Pasolini a Barile?

r - Due settimane, ma quello che mi preme dire davvero è che i ciak di quel film sono INIZIATI proprio a Barile, con gli episodi de La Natività, La Strage degli Innocenti, l’Adorazione dei Re Magi. Le foto presenti nel mio libro, gentilmente concesse da alcuni fotografi dell’epoca, rientrano nel progetto internazionale “Barile come Betlemme” che, come “Basilicata Arbëreshë”, avviamo col compianto Rocco Brancati, quando questi lavorava in Rai.

d - Quindi lei non fu una comparsa, bensì un osservatore.

r - Un osservatore molto interessato. Ricordo tutti questi cavalli presi in prestito dalle masserie di Piano del Conte di Avigliano, oppure a Rapolla; così come Pasolini che armeggiava con la sua macchina da presa; oltre a tanti episodi stupendi, raccontati nel testo.

d - Come veniva percepito in paese Pasolini, che in quell’Italia dei primi anni Sessanta era un intellettuale costantemente al centro di polemiche, tanto per le sue posizioni politiche quanto per la sua omosessualità dichiarata?

r - Incuteva in effetti un pochino di soggezione, specialmente nei bambini e nei ragazzi, e direi anche nella chiesa: c’era un sacerdote che aveva addirittura convinto alcune famiglie ad astenersi dal partecipare al film. Tant’è vero che uno dei piccoli che doveva interpretare il Bambinello Gesù fu dissuaso dal farlo, anche da parte di alcuni sacerdoti dell’epoca. Sì, c’era quel tipo di pregiudizio, oltre alla novità in sé per sé. Ma Pasolini “incoraggiava” la gente, cioè anche economicamente, pur di poter svolgere questa sua “missione cinematografica”. Com’è noto, il regista era stato anche in Palestina, alla ricerca di locations, ma non aveva trovato la grotta giusta perché secondo lui c’era già troppa modernità. La trovò dunque a Barile, dove avviò il film. A questo proposito, vorrei dire che a Matera c’è questa...come chiamarla..., non direi “prosopopea”, bensì “leadership”, in virtù della quale si dice sempre sulla stampa che quel film è stato “in gran parte” girato lì. Non è proprio così: il ciak fu avviato a Barile e il lungometraggio in parte fu girato anche a Castel Lagopesole (Avigliano), a Gioia del Colle e a Castel del Monte (in Puglia) nonché a Crotone (in Calabria) e nella Valle dell’Etna (in Sicilia). Insomma, abbiate pazienza! Date a Cesare quel che è di Cesare!

d - Veniamo alle cosiddette minoranze linguistiche della Basilicata. Chiariamo, innanzitutto, che quando si parla di lingua “Arbëreshë”, non si fa riferimento a quella parlata attualmente in Albania...

r -...Direttore, è proprio la domanda che mi auguravo. Si sta tentando di “barattare” la lingua dell’Albania...con la quale, in un certo senso, c’è un qualche riferimento; tuttavia qui stiamo parlando della lingua dell’ “Albanese d’Italia”, che fu importata dai profughi nel 1500/600. A ciò seguirono tutte le polemiche del vescovo di Melfi di quei tempi, Diodato Scaglia, che era contro il Rito Bizantino. Attualmente, così come la professoressa Del Puente e l’Unibas, noi si sta lavorando alla salvaguardia dei codici linguistici Arbëreshë, ovvero quelli di San Costantino Albanese, San Paolo Albanese, Ginestra, Barile, Maschito e non ultimo Brindisi di Montagna, che fino al 1904 fu una comunità Arbëreshë.

d - Si può fare un calcolo, anche approssimativo, circa le persone e le comunità “alloglotte”, che parlano dunque un’altra lingua, presenti in Basilicata?

r - Un discorso statistico si può fare fino a un certo punto. D’altronde, c’è un problema più generale: in Italia si parla solo l’Italiano? O magari “un certo” Italiano? Ci sono di mezzo i dialetti romanzi con le loro influenze, e poi, la lingua “domina”, ovvero l’Anglo-Americano. Pertanto, il codice della lingua italiana va difeso, al pari dei dialetti o delle lingue minoritarie. A suo tempo, il già ministro della Pubblica Istruzione, professore universitario di filosofia del linguaggio, Tullio De Mauro, ci incoraggiò a continuare in questo senso, con una serie di seminari tenutisi a Roma e a Frascati. Il codice linguistico degli Albanesi d’Italia è una storia bellissima, comprensiva del Rito Bizantino, che in Basilicata si celebra a San Costantino e a San Paolo Albanese, che a loro volta fanno parte dell’“eparchia” di Lungro (e infatti il vescovo bizantino viene chiamato “eparca”). In Italia ci sono altre due eparchie: a Piana degli Albanesi (in Sicilia) e a Grottaferrata (Roma).

d - In un comune Arbëreshë della Calabria, Santa Sofia d’Epiro, anni fa mi dissero che loro parlavano questa lingua “tutti i giorni”. Accade lo stesso nelle comunità lucane?

r - In gran parte sì, ma c’è sempre l’alea percentuale degli influssi dei dialetti circostanti e della lingua anglo-americana.

d - Quali sono i rapporti con le istituzioni? Come comunità Arbëreshë vi sentite adeguatamente rappresentati?

r - Beh, sì. Esiste una legge nazionale, la 482/99, che tutela le minoranze linguistiche: oltre a quella Arbëreshë, c’è la Franco-Provenzale, la Croata, la Grica (nel Salento), il Tedesco-Germanico etc. Ultimamente, inoltre, c’è stata una notizia bellissima: la Rai avvierà -speriamo presto- una serie di notiziari informativi, letti nelle lingue minoritarie.

d - Quindi, siete contenti.

r - Siamo contenti, sì, ma occorre sempre tutelare la lingua, cercando di far aprire biblioteche specialistiche; da noi ce ne sono solo due, albanofone, una a San Paolo Albanese (gestita dal Comune), e un’altra a Barile, il Centro documentazione “Basilicata Arbëreshë”, gestita dalla nostra associazione. Quest’ultima ha diversi collegamenti con realtà consimili in altre regioni d’Italia.

d - Lei ha portato qui al pranzo due libri: il primo, di cui abbiamo già discusso, si chiama “Cristo è nato a Barile”; il secondo (proveniente dalla vostra biblioteca sociale di Rionero, “Voce del Vulture”), scritto da Antonio Capuano, si intitola “Cristo di Eboli”. Insomma, Cristo è di Barile o di Eboli?

r - (Sorride) No, il secondo fa riferimento...

d -...a Carlo Levi, ovviamente.

r - Sì, e al suo Cristo che, fermandosi a Eboli, non ha portato lo sviluppo da noi. Il testo di Capuano narra dell’amicizia di Levi con l’editore Francesco Esposito. L’altro libro, come dicevamo prima, si riferisce invece al film di Pasolini, film che è “nato”, appunto, a Barile.

d - La mia era una provocazione: Cristo è ancora fermo alla stazione di Eboli?

r - Per certi aspetti sì. Le popolazioni, le comunità non si stanno ancora rendendo conto che tutte le nostre ricchezze, materiali e immateriali, se ne stanno andando “a quel paese”. Anche oltre Eboli, dunque. Stiamo parlando di acqua, di Stellantis...

d -...di petrolio.

r - Già. E quando ho saputo della scomparsa di Giuseppe Di Bello, mi sono dispiaciuto davvero molto.