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di Walter De Stradis

 

 

Una volta la curva del Viviani gli dedicò uno striscione in cui si invocavano -anziché i soliti “11 Leoni”- “11 Nolè”. Oggi, a 40 anni, dopo una carriera notevole, arrivando a militare in serie B con Messina e Ternana (e, come ci racconterà, sfiorando anche la A), la seconda punta potentina, Angelo Raffaele Nolè, non sa ancora se continuerà a giocare nel suo Francavilla (serie D, in cui milita dal 2019), o se magari farà “il grande salto”.

d - Raffaele, noi la stiamo intervistando in un momento “di attesa” della sua carriera sportiva.

r - Sì, c’è questo bivio. Stiamo valutando con la società del Francavilla...c’è anche la possibilità di diventare allenatore della prima squadra.

d - Dunque lei ha già il patentino.

r - Sì, l’ho preso a Coverciano quattro anni fa.

d - Quindi, in ogni caso, non sarà un “ex” del calcio.

r - Sicuramente no.

d - Le faccio solo adesso la domanda iniziale: come giustifica la sua esistenza?

r - Col sacrificio. E col non accontentarsi mai. E’ stata questa la mia forza, che mi porto dietro sin da bambino. Ho iniziato a giocare, da solo con i grandi, a sedici anni, in Eccellenza con l’Asc Potenza (dopo il percorso nell’Asso Potenza e prima ancora nella vecchia “Paolo Ferri”).

d - Qual è stato il momento della sua vita in cui ha capito che avrebbe giocato a calcio per professione?

r - Non saprei, è stato un percorso naturale. Già a cinque/sei anni andavo alla scuola calcio, sicuramente ero già proiettato verso questo sport.

d - Tra l’altro lo sport è di casa: sua sorella Francesca è una nota pallavolista. Desumo che i vostri genitori vi abbiano sempre supportati, piuttosto che pretendere -che so- lauree in medicina a tutti i costi.

r - Non si sono mai intromessi, spingendoci casomai a fare con serenità ciò che ci piaceva e ci rendeva felici. Anzi, direi che il problema di oggi è la troppa ambizione e le troppe pressioni che alcuni genitori infondono nei loro figli, aspettandosi che diventino subito come Cristiano Ronaldo.

d - Immagino parli con cognizione di causa.

r - A Coverciano qualcuno ci disse: “Se aprite una scuola calcio, appendente subito uno striscione con la scritta: NON VOGLIAMO I GENITORI”.

d - Addirittura.

r - Eh, sì, se il bambino vede i genitori sugli spalti che lo incitano o lo rimproverano, beh, gli viene l’ansia. E tutto ciò crea difficoltà anche al mister.

d - Vanno a rompere le scatole pure a lui.

r - Ripeto, è un problema che sta avendo questa generazione.

d - Immagino che a Coverciano abbia conosciuto ex calciatori molto famosi.

r - Mi sono ritrovato, da tifoso juventino, con uno dei miei giocatori preferiti, Barzagli, un vero combattente. Ma c’era anche Sorrentino...eravamo un gruppo di sessanta, tutti provenienti da serie B e serie A.

d - Da questi grossi personaggi c’è sempre e comunque da imparare, o magari a volte si riamane delusi?

r - Un po’ e un po’. Di alcuni di loro ti accorgi subito che sono portati per la carriera di allenatore o di dirigente; di alcuni altri ti rendi conto che sono arrivati lì... con un pizzico di fortuna.

d - Il famoso fattore “C”. Lei è soddisfatto della sua carriera?

r - Molto. Perché sono partito dalle “parti basse”, dall’Eccellenza, e sono salito di categoria, ma non grazie al supporto di qualche procuratore, bensì vincendo i campionati: prima l’Eccellenza, poi la D, poi la C2 (la famosa partita col Benevento) e poi ancora la C1 (con la Ternana). Sono infine arrivato in serie B, ma mi è mancato quel piccolo “gradino” finale per salire ancora. E qui c’è un po’ di rammarico, perché mi sono infortunato nel mio momento più bello: avevo ventisette anni, l’età della maturità, e avevo già quasi firmato il contratto col Parma, in serie A. E invece il 26 dicembre mi ruppi il crociato a Padova, in serie B. Tutto sfumato.

d - Come si fa a risalire dopo una grande delusione del genere?

r - E’ stato un momento difficile, perché calcisticamente ero al mio apice (da poco il mister mi aveva dato anche la fascia di capitano). Però, come dicevo, sono uno nato “dal basso”, mi sono fatto da solo, e ho continuato a crederci, col sacrificio.

d - Lei ha sottinteso che i procuratori possono favorire anche le carriere di giocatori mediocri.

r - Beh, sa, un procuratore importante ha un gruppo di giocatori, in cui ci sono di solito alcuni calciatori di fama. E quindi conosce direttori importanti, coi quali a loro volta si consigliano i dirigenti delle squadre minori. Accade quindi che un procuratore del genere “piazzi” un giocatore importate in una squadra, “abbinandogli” anche qualcheduno meno bravo, suggerito sempre da lui. Quel pizzico di fortuna, poi, come dicevo, fa il resto.

d - E qui, nella sua città, ritiene di aver dato tutto quello che poteva o si aspettava di dare?

r - Io iniziai con l’Asc Potenza, che poi si fuse con l’Fc Potenza. Facemmo tre anni in serie C2, vincendo infine il campionato (poi fui acquistato dal Rimini). Direi che il mio sogno si è realizzato, dal momento che ogni bambino sogna di giocare nel Potenza e di vincerci qualcosa. E mi porterò sempre dietro una cosa: la curva rossoblu, che per sua scelta non ha mai tifato il singolo, quanto l’intera squadra, mi dedicò uno striscione gigantesco, con la scritta: VOGLIAMO 11 NOLE’.

d - Tra l’altro “Nolè” è quasi l’anagramma di “Leone”.

r - (ride) E’ vero!

d - Qualcuno di quella curva è diventato anche sindaco, assessore. E’ contento di questo?

r - (sorride) Certo, mi ha fatto piacere.

d - Lo ha anche votato?

r - (ride). In quel periodo ero fuori, non avevo modo.

d - Negli ultimi tempi è approdato a Francavilla. Abita anche lì?

r - Sì, mi portai la famiglia durante il Covid. Poi mia figlia ha iniziato la scuola, e quindi, anche per fare contenta lei che si è fatta gli amici, sono rimasto lì.

d - Lei è tornato nella sua regione solo da qualche anno, dopo essere stato fuori per molto tempo: come ha trovato Potenza?

r - Dispiace vedere tanti giovani che vanno via. Così si perde un po’ di “anima”. Tuttavia rimango fiducioso e confido che si punti su di loro.

d - Potenza è stata Città Europea dello Sport, ma non se n’è accorto nessuno, anche a causa della pandemia. Come siamo messi a strutture sportive?

r - Ho avuto la fortuna di giare un po’, e devo dirlo: siamo abbastanza indietro rispetto ad altre città. Se non escono fuori tanti atleti di talento è anche per quello: non sono messi in condizione di migliorare. E qui da noi è difficile: una volta c’è l’infiltrazione nel palazzetto, una volta manca l’acqua da un’altra parte, una volta è la mancanza di campi di calcio...In altre città non succede: si trova subito l’alternativa o la soluzione. Sono molto più avanti rispetto a noi.

d - Spostiamoci sulla Nazionale, che ha fatto una figura tremenda agli Europei di calcio. Cos’è successo?

r - Mi ha colpito la totale assenza di cattiveria agonistica, da parte di giocatori giovani che stavano vivendo un’occasione più unica che rara. Mi è molto dispiaciuto. Non penso si sia trattato di paura (dopotutto giocavamo con la Svizzera, con tutto il rispetto). Forse il problema è generazionale: coi giovani di oggi sembra che tutto sia loro dovuto, non hanno quella voglia di conquistarsi qualcosa.

d - Da cosa bisogna ripartire per salvare il calcio italiano?

r - Cercando di eliminare l’obbligo dei giovani in campo. Prima il posto bisognava conquistarselo, mentre adesso -grazie a questa norma- si sentono già appagati, col posto assicurato e meno disposti a migliorare in allenamento. E anche il loro comportamento negli spogliatoi ne risente, in quanto si sentono protetti dalle società.

d - Non c’è anche un problema di troppi giocatori stranieri nei campionati?

r - Guardi, purtroppo devo riconoscere che hanno più “fame” di noi. Andando in giro, non vedo più i ragazzini giocare nei parchi; si accontentano di quell’oretta di scuola calcio. Una volta, invece, si migliorava tantissimo, proprio perché, giocando anche in mezzo alla strada, toccavi il pallone cinque/seimila volte in più, e miglioravi in ogni aspetto. Persino la prospettiva di vincere un gelato ti faceva migliorare nella “cattiveria”. Tutto ciò è sfumato, ecco perché non escono più talenti. Altrove, invece, è diverso.

d - Il film che la rappresenta?

r - “Quasi amici”, perché mi reputo un buono e cerco di aiutare sempre il prossimo, senza aspettarmi niente.

d - La canzone?

r - Vasco Rossi, ma non saprei sceglierne una in particolare.

d - Il Libro?

r - Confesso che non leggo tanto. Mi coglie spiazzato (ride).

d - Spesso i suoi colleghi si salvano in calcio d’angolo, citandomi la biografia di un calciatore.

r - (Risate). Beh, sì, non volevo dirlo.

d - La vita di un calciatore che l’ha colpita?

r - Quella di Cristiano Ronaldo, perchè si è costruito ed è stato costante.