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di Walter De Stradis

 

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a sezione di Potenza dell’Associazione Italiana Donne Medico è nata sei anni fa (a Matera è attiva da undici, con una prima presidenza della dottoressa Titti Laurentaci). Il nostro è un gruppo di ventitré medici, tutte donne, con diverse specialità. Vorremmo inserire anche uomini, per la verità, come uditori e collaboratori per i vari congressi, incontri, webinar che ci apprestiamo a organizzare».

Elena Carovigno, ginecologa dalla voce gentile e i modi particolarmente garbati, è una donna assai appassionata, interprete di un lavoro nobile, che lei ha deciso di vivere in maniera il più possibile intensa, completa (anche dal punto di vista sociale)... e soprattutto libera, come vedremo.

d - Su cosa si concentra la sua attività e per quali necessità è nata l’associazione?

r - L’Associazione Italiana Donne Medico, che di per sé è una società scientifica, è nata più di cento anni fa. In tutta Italia le iscritte sono più di duemila e la nostra presidente nazionale è la dottoressa Vezzani. Ci occupiamo di prevenzione, pediatria, oncologia... ma la “mission” è principalmente quella di informare/formare il personale sanitario e i medici circa la “medicina di genere”. Direi che l’intento in realtà è rivolto a tutta la cittadinanza perché, purtroppo, si sente parlare di questo tema, ma non si sa bene cosa sia.

d - Ottima occasione per spiegarlo.

r - La medicina di genere è nata nel 1991, con la pubblicazione di un editoriale di Bernanrdine Healy, una famosa cardiologa americana, nel quale evidenziava il diverso trattamento medico riservato alle donne con patologie coronariche. In quella sede evidenziò che le donne arrivavano a una diagnosi di patologia coronarica con ritardo, perché non veniva prestata molta attenzione nei loro riguardi.

d - Perché, c’era forse la convinzione diffusa che l’infarto fosse un evento prettamente maschile? O di mezzo c’era una questione “di genere” più complessa?

r - Innanzitutto va detto che sia gli uomini sia le donne possono avere la stessa sintomatologia; ma le donne possono manifestare anche epigastralgia, dolore a livello dorsale, nausea. E così capita che queste vadano in pronto soccorso e vengano curate semplicemente per epigasltralgia, e mandate a casa. Ma poi, ovviamente, in preda a dolori sempre più gravi, quelle donne al pronto soccorso ci ritornano e quindi, finalmente, dal tracciato risultano le alterazioni tipiche dell’infarto. E’ una questione, dunque, di conoscenza. Però va anche detto anche che, fortunatamente, in questi ultimi anni i colleghi si sono dimostrati sempre più bravi nell’individuare le patologie cardiache nelle donne che si presentano in pronto soccorso con sintomi atipici dell’infarto.

d - Immagino che la medicina di genere vada anche oltre le patologie cardiache.

r - E’ associata a tutte le branche della medicina. Ed è importante che nei corsi di laurea e in quelli delle varie professioni sanitarie, i docenti parlino anche di medicina di genere. Personalmente lo faccio, nei corsi di laurea triennali che tengo alla Cattolica.

d - La vostra associazione collabora anche con le altre realtà locali riferibili al mondo femminile, rivestendosi anche di un ruolo sociale.

r - Ci occupiamo anche di violenza: le donne che l’hanno subita spesso manifestano patologie che non sono conosciute o che perdurano per lungo tempo, richiedendo un approccio multidisciplinare.

d - Parliamo di patologie principalmente a livello psicologico o...

r -...no, anche ginecologico: varie problematiche derivanti dalle violenze subite.

d - Si ritiene falsamente che la nostra città sia un’isola felice, e di conseguenza spesso si è portati a pensare che da noi certe cose non accadano, se non in maniera residuale rispetto ad altrove. Invece il problema c’è.

r - Sì. Di recente abbiamo collaborato con la dottoressa Perretti, con la dottoressa Bonito e abbiamo organizzato diversi webinar e congressi ai quali hanno preso parte e collaborato non solo le nostre socie, ma anche illustri personaggi, persino al di fuori della professione medica (come il professor Giovanni Gasparini al nostro convegno d’esordio o -al regionale del 2021- il nuotatore Domenico Acerenza, il cestista Aristide Landi o la schermitrice Francesca Palumbo). Stiamo lavorando insieme a tutte le altre associazioni per formare e informare cittadinanza e medici circa il problema.

d - A proposito di cittadinanza...avete una sede?

r - (Sorride) Al momento è nel mio studio, per questioni economiche, non avendo un gran numero di iscritti.

d - Ma al Comune l’avete chiesta?

r - No. L’associazione è nata anche per essere un’oasi felice, ove, tutte quante noi, possiamo decidere, scegliere, circa i convegni etc.

d - Insomma, non volete dover dire troppi “grazie” ed essere il più possibile libere.

r - Esatto (sorride).

d - Quindi al sindaco, per esempio, non si sente di chiedere alcunché?

r - No, nulla.

d - Quando ha iniziato lei, è stato difficile per una donna pensare di fare il medico in Basilicata? Qui da noi ci sono eguali opportunità per entrambi i sessi? Adesso abbiamo anche la Facoltà di Medicina...

r - Adesso infatti è un po’ più facile, non a caso il 70% degli studenti di Medicina è composto da donne. Ai miei tempi non era così. Le racconto un solo aneddoto: il mio professore alla scuola di specializzazione non amava molto le donne. E purtroppo, su dieci specializzandi, eravamo in sette. Ma lui, in sala operatoria preferiva lo stesso i colleghi di sesso maschile, per puro pregiudizio, e tenga conto che una delle mie colleghe era un chirurgo eccezionale.

d - Mi auguro che quella collega abbia ugualmente avuto una brillante carriera da chirurgo.

r - No. Purtroppo no.

d - Quindi il “danno” c’è stato.

r - Eh sì.

d - Oggi però -diceva- le cose vanno meglio.

r - Sì. Spero che altre colleghe decidano di iscriversi alla nostra associazione, perché possiamo fare tante cose. Il 29 novembre scorso, grazie all’aiuto di Inner Wheel, dell’Ande e soprattutto di Giovanna D’Amato, abbiamo organizzato un concerto di solidarietà per le ragazze uscite dalla tratta. E’ stato un grande successo, la chiesa di Sant’Anna era piena, davvero. Il tutto rientra in un progetto più ampio: ogni quindici giorni, teniamo un incontro formativo sulle patologie e sulle questioni che loro ritengono più importanti (gravidanza, fisiatria e pilates etc.).

d - Rimaniamo in ambito delle vittime di violenza e dei danni, fisici e psicologici che subiscono. Oggi, soprattutto tra i giovani, a volte si avverte una percezione alterata della sfera sessuale. Al telegiornale sei sente sempre più spesso parlare delle conseguenze di “rapporti malati”. Si sente, pertanto, di lanciare un messaggio anche agli uomini?

r - Secondo me, innanzitutto, è importante l’educazione in famiglia. Un primo passo in avanti, per fare un esempio banale, potrebbe essere un’equa distribuzione, fra maschietti e femminucce, dei “lavoretti” in casa. A scuola, invece, si potrebbero organizzare corsi di sessuologia. Dovremmo collaborare tutti insieme affinché questi giovani vengano educati onde porre fine a queste violenze.