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di Antonella Sabia

 

 

 

 

 

 

Riprende questa settimana il viaggio all'interno dei rioni di Potenza. Lo faremo attraverso gli occhi di chi vive la quotidianità e la comunità ogni giorno, proprio come il parroco di Rione Lucania, Don Giovanni Di Carlo, che da poco più di un anno è parte viva di uno dei quartieri più popolati della città.

d - Come si vive nel rione? Cosa ha trovato al suo arrivo?

r - Mi trovo bene qui, all'inizio è stato un po' difficile, dopo essere stato per quattro anni a Santa Croce, di cui due di COVID. Ho dovuto rimettermi in cammino, esattamente come le pregresse esperienze, infatti, sono stato 15 anni a Paterno, 10 ad Avigliano, 11 a Tito. Ho fatto tanti spostamenti nella mia vita, e cambiare nuovamente a 70 anni, è stata un po' una novità. Sono arrivato qui dopo vari problemi che si erano creati in questa parrocchia,e il vescovo ha pensato di mandarmi pensando che fossi la persona giusta in quel momento. Sono un po' il parroco delle emergenze, non è la prima volta che accade, però Dio vede e provvede, e al di là dei traslochi qui sto bene. Ho trovato sicuramente una bella comunità, persone semplici con cui si può dialogare, però mi sono accorto sin da subito che è una realtà che presenta diverse problematiche sia a livello sociale sia religioso.

d - Rione Lucania veniva definito da alcuni “rione ghetto”, ancora oggi si percepisce questa sensazione?

r - No questo ormai è superato, anche grazie a tutta l'opera messa in campo da Don Peppino e da tutti gli altri sacerdoti che con lui hanno collaborato. Naturalmente però bisogna camminare, non bisogna fermarsi, è necessario uscire a riveder le stelle, la luce. In generale i tempi sono difficili, se pensiamo alle crisi economiche che si susseguono una dietro l'altra, poi la pandemia è andata ad aggravare ulteriormente le crisi già esistenti e infine tutti questi conflitti, che seppur lontani dal nostro quotidiano, sono più vicini di quanto pensiamo e ci portano a vivere talvolta in uno stato di tensione a livello inter-sociale, ma anche nella vita religiosa poiché c'è stata una sorta di diaspora...

d - Non c’è partecipazione alla vita religiosa da parte del quartiere?

r - Proprio qualche giorno fa, in un incontro con oltre 200 parroci provenienti da tutte le parti d'Italia, abbiamo appurato che la realtà delle chiese vuote è generalizzata in tutto il Paese. In questo quartiere però ho notato una cosa, già questa estate, quando venivano organizzati degli eventi aggregativi da parte delle associazioni. Molto spesso purtroppo la gente preferisce rimanere chiusa nelle proprie case, nei loro problemi e nella loro malinconia. Molti hanno difficoltà a uscire, a incontrarsi con gli altri.

d - C’è qualche motivo che giustifica queste chiusure?

r - Indubbiamente più di qualcuno è stato fortemente preso e condizionato da una sorta di apatia, di stanchezza psicologica e a volte anche sfiducia a livello di rapporti umani. Ma non è chiudendosi che si può risolvere una situazione, anzi probabilmente si peggiora. Ed è per questo che tante volte stimolo anche io alla partecipazione e alla presenza.

d - Anche lei vive nel quartiere, i cittadini lamentano qualcosa?

r - Ho cominciato il mio cammino il 7 gennaio 2023 e a marzo stabilmente ho iniziato a vivere qui. In realtà non ho mai sentito grosse lamentele, proprio perché molto spesso non è semplice avere rapporti con le persone, per la mancanza del dialogo che dicevamo prima, non si progetta qualcosa tutti insieme e quindi non si riesce a creare quel senso di comunità. Provano a farlo le associazioni di quartiere realizzando frequentemente degli eventi e per quanto riguarda la chiesa, io ci credo e voglio crederci. Abbiamo avviato un percorso di incontri con un parroco che viene da Firenze, che ho conosciuto in terra santa poco prima dello scoppio della guerra. Padre Gaetano Lorusso è un rogazionista, viene una volta al mese proprio per cercare di far rinascere la comunità parrocchiale coinvolgendola sotto più aspetti, dallo sport alla musica, dalla cultura all'oratorio che vorremmo cercare di ripristinare. Ci sono poi la Caritas, i centri di ascolto, e stiamo pensando anche alla creazione di una pagina web.

d - È un modo anche per attirare i giovani?

r - Esatto, perché ahimè tranne due o tre che vengono in chiesa la domenica, i ragazzi hanno totalmente abbandonato la chiesa, quando in realtà dovrebbero essere loro la mente e il motore per la rinascita della comunità. Ci abbiamo provato con un oratorio estivo, ma purtroppo non so se è stato più un centro estivo o un “parcheggio”, talvolta capita anche questo, per ovvie ragioni.

d - Possiamo dire però che Rione Lucania è un quartiere accogliente, visto l'ampio numero di cittadini stranieri residenti?

r - Sì assolutamente, la gente è abbastanza accogliente, qui alloggiano molti cittadini stranieri, anche se sono solo di passaggio per cui a volte non c'è neanche il tempo di potersi inserire. Purtroppo è la situazione del lavoro che preoccupa molto, se prima il quartiere era vissuto dal cosiddetto ceto medio oggi purtroppo è medio-basso, anzi più basso che medio. Io credo però che se ci fosse una maggiore partecipazione da parte dei cittadini, con proposte che vengono direttamente da loro e con apertura al dialogo, si potrebbero fare delle cose belle, che ci aiuterebbero a crescere ma anche ad uscire da quella situazione di apatia e blocco che dicevo prima. Da un punto vista più prettamente religioso devo dire che nelle ultime settimane ho notato una maggiore partecipazione in chiesa, talvolta meravigliandomi.

d - La famosa mensa di Rione Lucania è attiva?

r - È una bella realtà, era stata chiusa per poi riaprire, ma vedo che funziona e lavora bene. È aperta a tutti, ad ora di pranzo, dal lunedì al sabato, anche a chi viene da fuori, i prezzi sono accessibili e contenuti ed è molto frequentata in particolare dalle persone anziane. Uno dei tanti problemi di questo quartiere è proprio l'alto numero di persone sole e in là con gli anni.

d - Nei prossimi mesi la città di Potenza sarà chiamata a scegliere il nuovo primo cittadino, se fosse lei il sindaco quali sarebbero le sue priorità?

r - Prendo in prestito quello che disse John Kennedy nel 1961, il giorno della sua elezione. Disse agli Americani di non pensare tanto a quello che lo Stato avrebbe potuto fare per loro, ma ciò che loro invece avrebbero potuto fare per l'America. Pertanto direi ai cittadini di Potenza, e di Rione Lucania, di pensare a cosa loro vorrebbero per il Rione affinché possa crescere. Non bisogna stare lì sempre ad aspettare che scenda il panierino dall'alto, ma è necessario che ognuno faccia la sua parte, così da arricchirsi tutti. Di una ricchezza, anche se grande, una volta preso tutto rimane ben poco. Bisogna mettere a disposizione il proprio talento a servizio della comunità affinché cresca ognuno di noi, ma anche la società in cui viviamo, e questo vale a tutti i livelli.