cosma_tursi_int.jpg

 

 

di Walter De Stradis

 

 

 

Prima della Pandemia –afferma- non era un tipo “social”, ma quando ha capito che le sue “pepate” dirette Facebook (con le sue colorite espressioni dialettali) fungevano da stimolo (per cittadini e non solo), ha deciso di insistere. Il sindaco di Tursi (Mt), il 43enne Salvatore Cosma, ha poi pubblicato un libro (a sue spese, rassicura), significativamente intitolato “Un uomo in trincea”.

d: Lo scorso anno, in pieno Covid, a un certo punto lei è diventato un personaggio “virale”, in tutta Italia, a seguito del video in cui ammoniva i suoi concittadini a rispettare le norme di sicurezza, tramite l’ormai famoso “…altrimenti vi rompo il muso”. Ritiene forse che il popolo sia “minorenne”, come diceva Gian Maria Volontè nel film “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”?

r: Qui parliamo dell’esperienza più difficile che i sindaci hanno mai dovuto affrontare, probabilmente dal Dopoguerra in poi. Sì, ho dovuto usare espressioni forti, ma per comunicare anche e soprattutto la paura e la difficoltà di un primo cittadino, preoccupato per la salute dei suoi compaesani. Ho abbracciato la croce, come sul dirsi, e sono stato in “trincea”, arrivando anche a dove minacciare qualcuno perché non mi ascoltava.

d: In effetti era la primissima fase della Pandemia, in cui c’era molta confusione…

r: …e alcuni cittadini sottovalutavano. Dopotutto, lo stesso assessore regionale alla sanità, Leone, inizialmente aveva parlato di “febbricciola”, e quindi figuriamoci se chi non ha voglia di starsene a casa non abbraccia quel tipo di pensiero.

d: Infatti in alcuni dei suoi video sui social lei è stato molto critico col sistema sanitario regionale (e anche nazionale, come vedremo). A un certo punto ha addirittura parlato di “istituzioni di patate”, se non erro.

Sì, sì.

d: A distanza di un anno e passa la sua opinione è forse cambiata?

r: Qualcosina, con l’ausilio del tempo, è pure migliorata, ma il sistema sanitario ha fatto acqua proprio nell’organizzazione: tamponi, ospedalizzazioni, tracciamenti… I sindaci sono dovuti scendere in prima linea, ma sono stati del tutto abbandonati, dal sistema sanitario regionale (che, ripeto, ha fatto acqua), ma anche e soprattutto dal sistema POLITICO regionale. Non c’erano contatti per chiedere cosa fare e che cosa potesse fare la Regione per i nostri concittadini e per i nostri comuni. Siamo arrivati al punto che Bardi ci voleva addirittura “imbavagliare”.

d: “Imbavagliare” ???

r: Fece un’ordinanza nella quale diceva che le istituzioni non dovevano usare i social per “istigare” i cittadini (si riferisce alla lettera del Governatore sulla “privacy” dei cittadini positivi - ndr), ma nessuno voleva “istigare”, quanto informare su ciò che accadeva e sull’abbandono della Regione a danno dei sindaci e delle comunità.

d: Quindi lei lo rifarebbe quel famoso video?

r: Certamente sì, non una volta, ma mille. Quelle dirette hanno fatto sì che qualcuno si “svegliasse” nei posti di comando, sia regionali sia nazionali.

d: In un video successivo lei disse addirittura di voler vaccinare Speranza “nel cervello”. In quel momento lamentava un ritardo nelle vaccinazioni presso il suo Comune.

r: Sicuramente la forma è stata sbagliata, dettata da un momento di rabbia. In quella fase noi sindaci avevamo organizzato tutti gli hub vaccinali, stavamo già chiamando gli anziani (che erano felicissimi) per vaccinarli all’indomani, quando mi giunge improvvisa la comunicazione che i vaccini non sono arrivati. Chiedo lumi alla Regione e la colpa ricade sul Ministero. In questo “palleggiamento” fra istituzioni, mi sono quindi permesso di inviare dei messaggi al ministro Speranza, che tra l’altro è lucano. Non avendo ricevuto risposte, in una delle mie dirette ho detto quelle frasi –come dire, forti- su di lui…come a dire, “Muoia Sansone con tutti i Filistei”.

d: …ed è stato “richiamato” per questa cosa?

r: Più che un richiamo, sono stato spinto a riflettere che fra istituzioni ci vuole in effetti un linguaggio più sereno e meno colorito.

d: Si è chiarito con Speranza?

r: Mi sono chiarito con Sua Eccellenza il Prefetto di Matera e poi, sì, ho parlato con alcuni collaboratori del Ministro per significare meglio il senso di quella mia diretta -chiamiamola anche provocazione- dettata dalla rabbia: avevo combattuto per avere l’hub a Tursi. Avevo fatto un lavoro immenso e i vaccini non c’erano: secondo lei i cittadini si rivolgono a Bardi e Speranza o al sindaco?!

d: Nel corso di queste interviste, diversi sindaci ci hanno detto che se non ci fossero stati loro, la Basilicata la Pandemia forse non l’avrebbe retta.

r: E hanno detto bene. Ecco perché il sottotitolo del mio libro è “La forza del Tricolore”. Quella fascia noi sindaci ce l’abbiamo attaccata alla pelle. Abbiamo visto che il sistema faceva acqua e ci siamo addossati tutti gli oneri. Ed è grazie alla mia comunità che tutto è andato bene.

d: Ma crede sia successo in tutta Italia o in particolare qui in Basilicata?

r: In Basilicata un po’ di più.

d: Perché?

r: A causa dell’improvvisazione di alcuni amministratori o dirigenti che hanno voluto insistere con quella task force regionale. Se vedi che la squadra non funziona, o la cambi subito, o continui a fare acqua da tutte le parti.

d: Togliamoci subito il dente: la prefazione del suo libro l’ha scritta Aurelio Pace, alla presentazione a Lauria è intervenuto Marcello Pittella: lei si definirebbe in qualche modo un “Pittelliano”?

r: Ho molta stima di Marcello (anche di Gianni), e c’è un legame umano e personale, non “politico”: da presidente della Regione fu molto di aiuto alla mia comunità, diede risposte rapide in un momento particolarmente difficile.

d: Sarebbe?

r: Io mi trovai in una fase di pre-dissesto, e senza i 600mila euro della Regione il mio comune sarebbe andato in default totale. Comunque, a parte la prefazione di Pace, c’è la postfazione di Tiziana Perretti, di Ferrandina, a cui si deve l’idea del libro.

d: Ho aperto una pagina a caso del suo libro, in cui si parla di «stereotipi coi quali mascheriamo i nostri ego, sempre preoccupati della nostra immagine». Un sindaco che fa tutti quei video non è forse preoccupato un po’ anche lui della sua immagine?

r: Ma no, non li ho fatti per la mia immagine: in quei momenti mi sentivo più un padre della mia comunità che non il sindaco. Volevo farmi ascoltare dalle istituzioni, e allora indossavo la fascia, altrimenti la mia divisa è quella della protezione civile, quella del volontario della mia città, come sa, l’ “omino giallo” (così come “l’Esercito Covid” che mi sono inventato per l’occasione) è quello che interviene nei momenti di reale difficoltà e necessità dei cittadini. Anche di carattere economico, com’è stato.

d: Di solito a Salvini si contesta di ostentare questo tipo di maglie e divise…

r: Sì, ma lui le indossa tutte. Non potrei mai indossare la maglia di carabinieri e polizia, che ci hanno aiutato molto, ma che non sono di mia competenza.

d: Lei ha proiettato questa immagine di “uomo forte”, ma c’è stato un momento in cui si è sentito debole e/o ha avuto paura?

r: Nel libro racconto proprio le mie fragilità, cose che magari non si sono viste nelle dirette: ho indossato una corazza per dare coraggio alla mia comunità, ma le paure sono state tante. Una sera tornai a casa stanchissimo, con la febbre a 38 e 8. Temetti si trattasse di Covid, ma il tampone risultò fortunatamente negativo. E poi, certo, c’era sempre la paura di poter sbagliare qualcosa nell’aiutare le persone positive o di essere contagiato a mia volta.

d: Lei ha parlato di difficoltà di interlocuzione con la regione Basilicata, ritiene che questa “crisi” -innescata (anche) dalle annunciate dimissioni di Cupparo (e finora mai formalizzate), e dalla “questione morale” sollevata dallo stesso Bardi- possa complicare ulteriormente le cose?

r: Già c’era un caos totale, anche a seguito del “cambio di casacca” di alcuni consiglieri interessati soltanto al proprio “harem” politico; e poi il tutto è complicato dalla dimissioni “congelate” di Cupparo, che non si sa se dovute a motivi personali, familiari o politici. Se poi lo senti parlare, l’amico Presidente Cupparo (nel senso del Francavilla Calcio), ci manda ancor di più in confusione, perché non si sa se ce l’ha con Moles, con Bardi, se sono questioni sue personali o se non ha mandato già qualche rospo.

d: Cupparo è stato un sindaco con un temperamento simile al suo…

r: Sì, Franco lo stimo molto, l’ho conosciuto come uomo di sport e come sindaco ed eravamo tutti e due con Alfano. L’altra sera l’ho incontrato a Senise, e gli ho chiesto: «Come ti devo chiamare? Presidente, assessore, Franco…?». Lui mi ha risposto: «Fai come sempre, chiamami Presidente».

d: “Presidente” nel senso calcistico.

r: Sì. Perché mi ha spiegato che le dimissioni sono congelate. Di più non mi ha detto, e io ho capito che era meglio non andare oltre perché -conoscendo i nostri rispettivi caratteri- magari la discussione poteva prendere un’altra piega. (sorride)

d: E se potesse prendere Bardi sottobraccio, cosa gli direbbe?

r: Premetto che alle ultime regionali mi ero candidato (nella lista di Trerotola –ndr), ma non nel centrodestra, il mio “alveo” in quel momento, proprio perché Bardi non lo conoscevo, in quanto sapevo che veniva “da fuori”. In due anni e mezzo l’ho visto solo di sfuggita in alcuni eventi, ma a Tursi non è mai venuto. Gli ricorderei che è stato un generale, e che quindi deve riprendere in mano la situazione, sanando queste “falle” che ci sono, dalla Lega a Fratelli d’Italia, nate dalla ossessiva ricerca di postazioni, dirigenze e via discorrendo. Si lamentavano dei precedenti governi che facevano le “spartizioni” dei posti apicali, e alla fine il cambiamento è stato in peggio!!! Acquedotto, Arpab e tanti altri: le persone messe al vertice sono state prese DALLA politica e messe lì per FARE politica. Io invece dico che va premiata la meritocrazia. L’hanno tanto sbandierata, ma finora non ho visto personaggi nominati in quei ruoli per le loro effettive competenze.

d: La canzone che la rappresenta?

r: “Il peso del coraggio”, della Mannoia, l’ho usata anche in campagna elettorale.

d: Il libro?

r: Leggo più che altro poesie, specie quelle del “mio” Albino Pierro.

d: Il film?

r: “Il Gladiatore”. Piango sempre alla scena in cui lui “ritorna”, dopo l’ultimo combattimento e la morte, a casa dal figlioletto.

d: Fra cent’anni scoprono una targa a suon nome al Comune di Tursi; cosa vorrebbe ci fosse scritto?

r: Mah, credo che anche solo un semplice “grazie” sarebbe sufficiente.