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di Walter De Stradis

 

 

Già membro del consiglio regionale, di cui per due anni è stato anche presidente, già esponente del Pd e già direttore generale dell’Asl di Matera: forse, è anche in forza di tutti questi “già” che Domenico Maroscia (di professione radiologo, oggi direttore sanitario del Centro Medico KOS, ove avviene l’intervista), è stato nominato (da Speranza) nel Comitato per il monitoraggio per l’istituzione della facoltà di Medicina in Basilicata.

D: Dopo una vita nella Medicina e nella Politica, oggi come giustifica la sua esistenza?

R: La mia è un’esistenza carica di belle, profonde e interessantissime esperienze, che mi hanno arricchito interiormente. Mi ritengo uno fortunato e dico grazie per questo ricco bagaglio che mi caratterizza, anche a chi in certi casi (come all’Asl di Matera), ha pensato di nominarmi.

D: A proposito di nomine, di recente il ministro della Salute, Roberto Speranza, l’ha inserita nel Comitato per il monitoraggio per l’istituzione della facoltà di Medicina in Basilicata. Come sa, in questi casi, c’è sempre chi legge un’appartenenza politica alla base della nomina. E’ così, è così solo in parte o non è affatto così nel suo caso?

R: Dicevo prima che alla base c’è un considerevole bagaglio di esperienza differenziata: in sanità ho lavorato per 42 anni, conoscendola da tutti i punti di vista, pubblico e privato, tanto in ruoli dirigenziali quanto di gavetta. Non nego, anzi lo posso dire con orgoglio, di essere da sempre della stessa parte politica –con coerenza (oggi è facile cambiare)- mantenendo una serie di relazioni amichevoli e politiche che probabilmente hanno anche dato un valore aggiunto a questa nomina. Quando mi ha chiamato il Ministro, io questo tema gliel’ho esposto. Gli ho detto: «Guarda che ti esponi tu alle critiche, perché io non devo fare certo una carriera». E lui, giustamente, mi ha risposto: «Ma chi altri scegliere, se non te -che sei una persona di esperienza, di fiducia, che mi è sempre stata vicina- per avviare un processo a cui tengo molto? Che critichino pure!». Certo, la vicinanza politica e soprattutto il rapporto fiduciario, politico, che c’è col Ministro, hanno contribuito.

D: Probabilmente le avrà detto pure «… un LUCANO come te…». Anche questa oggi non è una cosa scontata.

R: (Ride) Certo. Difatti lui ha detto proprio: «Ci tengo a nominare un Lucano di esperienza e di cui mi posso fidare».

D: Visto che ne parliamo, la famosa polemica sui “Campani d’importazione” non l’appassiona oppure ha un fondamento dibattere sulla rischio “handicap” –specie in situazioni di emergenza- rappresentato dalla presenza di dirigenti in ruoli apicali che non conoscono il territorio, la gente e le sue necessità?

R: E’ una cosa vera a metà. Noi siamo una piccola regione del Sud Italia, in cui trovare persone che abbiano significative esperienze gestionali e amministrative non è facile: se lei va in Lombardia, scopre che sono tanti e diversificati gli enti, pubblici e privati, che possono formare una classe dirigente a ricoprire ruoli di rilievo. Qui da noi la scelta è molto più ridotta, in termini di esperienze e di numeri, quindi qualche volta è necessario attingere all’esterno per trovare figure che possano dare un contributo per far crescere la nostra società. Quindi, qualche volta può essere utile, ma non sempre e non per forza. Di questa “esterofilia” mi sembra si sia fatto quasi uno strumento politico, eh, e bisogna evitare le esagerazioni. Ricordo però il 1995, quando in Consiglio Regionale –in pieno furore di cambio nel centrosinistra- bisognava fare una nomina di un soggetto qualificato all’Apt, ente a cui volevamo dare una svolta: scegliemmo Toppan, questo grande professionista che veniva dal Veneto, ancora oggi sulla piazza, al quale riconoscevamo esperienza e curriculum superiori a qualsiasi altro a livello regionale.

D: Il suo attuale incarico nel Comitato per la facoltà di medicina prevede un compenso?

R: No, questo è fondamentale: come unica condizione per accettare l’incarico ho chiesto al Ministro che il mio incarico fosse a titolo gratuito. Diversamente ci saremmo esposti alla questione dei consulenti pagati. Non avrei accettato.

D: Ma non ritiene possa essere comunque un ruolo di potere?

R: Mi auguro di no, nel senso che auspico che questo mandato si esaurisca con l’avvio della Facoltà. Anche perché, una volta partito, quello è un treno che non si può più fermare. Mi auguro quindi che questo Comitato non si trovi a “gestire” una Facoltà di medicina, ma a garantirne soltanto l’avvio.

D: Avete già avviato le interlocuzioni tra di voi? Cosa le ha chiesto il Ministro?

R: Un’unica cosa: lui ci tiene molto che la Facoltà possa avviarsi entro settembre-ottobre dell’anno prossimo. Io gli ho già detto che non credo sia una cosa facile, perché ci sono dei passaggi intermedi da completare. E’ una faccenda di quattro mesi, infatti, se pensiamo che le Università –entro marzo- mandano al Ministero i posti da mettere a concorso. Quindi entro marzo la nostra Università deve già garantire al Ministero di aver concluso un processo. Io non so se la burocrazia universitaria o ministeriale –specie in questi tempi di Covid- sia in grado di garantire una tempistica così veloce. Io però sono ottimista di natura, e se il Ministro mi/ci ha dato questo impegno, sono convinto che ce la faremo.

D: E quindi per quando, realisticamente, potremo contare su questa Facoltà?

R: Come dicevo, se per marzo (poiché ad aprile viene fatto il bando) riusciremo a comunicare i posti disponibili per gli studenti, che verranno messi a concorso nazionale (aspetto derivante dal numero chiuso della facoltà), garantiamo che a settembre si parte.

D: Occorrerà fare una ricognizione sui docenti.

R: Eh, certo. Anche se la norma prevede che i primi anni si può partire in affiliazione con altri atenei oppure in convenzione per le docenze. Questo perché probabilmente non si fa in tempo a fare i bandi per i professori, e appunto la legge dice che si può tranquillamente partire così.

D: A proposito del numero chiuso, ultimamente c’è stata una polemica. C’è chi sostiene che se non ci fosse stato, oggi non ci troveremmo con questa carenza di medici e chi invece ritiene che un “filtro” sulla qualità a monte ci debba comunque essere.

R:E infatti è così. E’ chiaro che il numero chiuso oggi comporta meno medici rispetto al fabbisogno, però è pur vero che la norma è stata introdotta in parallelo a un’altra che prevede dei requisiti minimi per i posti alla Facoltà di medicina, ovvero un certo numero di docenti, spazi, aule e anche posti letto, sui quali fare la formazione. I posti in facoltà devono essere dunque contingentati in base ai requisiti di strutture e di professionalità delle docenze, a garanzia di una qualità della formazione. Ricordo che ai miei tempi, quando il numero chiuso non c’era, in reparto per visitare tre pazienti eravamo quaranta tirocinanti. E non era certo una cosa decente.

D: Non sempre ha senso fare le domande all’americana, in stile “What if”, ma cosa sarebbe cambiato, oggi in piena epidemia, se GIA’ avessimo avuto la facoltà di medicina in Basilicata?

R:A differenza di altre facoltà, quella di Medicina porta –o dovrebbe portare- un cambiamento anche nella qualità del sistema sanitario. Perché una parte delle attività è proprio deputata all’assistenza sanitaria. In questa prospettiva, pertanto, credo che potrà nascere anche una sana competizione per la qualità del servizio sanitario. Ma soprattutto va detto che, insieme alla Valle D’Aosta, siamo l’unica regione d’Italia che non ha la Facoltà di medicina: ne consegue che i nostri giovani intenzionati a fare quegli studi vanno tutti fuori regione e lì si specializzano. E nel 99% dei casi RESTANO fuori regione. In presenza di un percorso formativo fatto tutto in Basilicata, non solo i nostri studenti (poi medici) sarebbero rimasti qui, ma forse ne sarebbero venuti anche altri da fuori regione, quindi c’è anche un risvolto occupazionale, ovvero “recuperare” manodopera, cosa sulla quale oggi abbiamo dei problemi.

D: In qualità di membro di questo Comitato immagino che dovrà confrontarsi con la Giunta regionale e con Bardi, anche se di diversa “parrocchia” politica rispetto alla sua. Se potesse prenderlo sotto braccio, cosa gli direbbe?

R:Gli chiederei se è realmente intenzionato, sul piano politico, a far partire questa facoltà. Se sì, non siamo in contrapposizione, bensì in linea.

D: Perché, ha dei dubbi sulle sue intenzioni?

R: (sorride) No, ma farei una verifica “ad personam” di queste volontà. Guardi, non ci illudiamo… La Facoltà di Medicina è una di quelle cose che tutti dicono “Ah, bella, bella! Se ci fosse!”, ma poi non è detto che trova percorsi privilegiati. Il mondo delle Università è sempre il mondo delle Università, fatto, come sappiamo, anche di invidie, di gelosie…

D: …Di familismi.

R:… Di familismi, e altre cose. Non solo, ma siccome la Facoltà ha anche dei risvolti sanitari, e forse anche sul San Carlo (dove bisognerà “clinicizzare” dei reparti), non credo che nell’ambiente ospedaliero potentino saranno tutti entusiasti di avere un professore universitario che viene da fuori a dirigere il reparto. Insomma, dicono tutti “che bello”, ma magari…

D: … C’è qualcuno che “gufa”.

R:C’è qualcuno che “gufa” e che però non lo può dire. (Ride). Al presidente Bardi chiederei: “ma tu sei intenzionato realmente?”. Perché a quel punto non divergiamo, ma convergiamo.

D: A microfoni spenti lei mi diceva che è originario di Lauria.

R:Con orgoglio, anche se sono nato a Potenza. Ma a chi mi chiede dico sempre che sono di Lauria.

D: Nato sotto l’egida della sanità “pittelliana”?

R: (Ride). In contrapposizione. Politica. Con Don Mimì.

D: Mi diceva anche che all’epoca aveva una band.

R: “Le Ombre”. Erano gli anni Settanta.

D: Oggi la canzone che la rappresenta qual è?

R: “Ti lascio una canzone”, di Gino Paoli. Ancora oggi mi emoziona.

D: Il libro?

R: “Il cappello di ciliege” di Oriana Fallaci.

D: Il film?

R:Mi piacciono i film catastrofici, tipo “L’Inferno di cristallo”. Quando lo passano in tv mia moglie mi chiama e mi dice «Vieni a vedere!».

D: «… Che c’è la fine del Mondo!»

R:Sì, sì (ride).

D: Fra cent’anni cosa vorrebbe fosse scritto sulla sua lapide?

R:Difficile a dirsi. Simpaticamente, scriverei: «Non vi preoccupate, è solo sonno arretrato».