- Redazione
- Sabato, 04 Aprile 2020 08:37
di Walter De Stradis
Compie sessantaquattro anni oggi, quattro aprile (per voi che leggete).
Monsignor Antonio Giuseppe Caiazzo, calabrese nativo di Isola di Capo Rizzuto, dal 12 febbraio 2016 è arcivescovo della diocesi di Matera-Irsina. Negli ultimi giorni si è ritrovato pastore di un gregge particolarmente disorientato e sconvolto, a seguito sia della chiusura di Irsina (per le ben note vicende relative al dilagare del Coronaviurus), sia per la scomparsa -iniqua, atroce e straziante- del piccolo Diego, trovato morto nei pressi del fiume Bradano, a Metaponto.
L’intervista che segue è stata realizzata in videochat lunedì 30 marzo scorso.
D: Quando ha capito che nella sua vita sarebbe stato un sacerdote?
R: Per la verità da ragazzo ho sempre scartato a priori l’idea (ride). Pensi che una volta, quando ero alle medie, il parroco mi chiese se per caso volevo entrare in seminario… e io da quel momento in poi non misi più piede in chiesa! In realtà io volevo fare il medico, curare i corpi…
D: …e invece poi ha curato le anime.
R: Infatti. Il Signore mi ha indicato altre cose e mi ha fatto capire nel tempo. Ricordo il giorno che lo dissi a mio padre, dopo il diploma: sa, io ero l’unico maschio di quattro figli e lui agricoltore analfabeta… insomma, gli comunicai l’intenzione di diventare prete e lui mi guardò negli occhi e disse: «Ma figlio mio, così perdiamo la razza!». Poi ci pensò un po’ su e continuò: «…ma se tu sei felice, lo sono anch’io». Solo dopo scoprii che mia mamma mi aveva promesso in sogno al Signore quando era in attesa e rischiava di morire per il parto.
D: Immagino che questo possa essere il momento più difficile della sua carriera…
R: …missione.
D: Missione.
R: Essendo stato parroco per trent’anni, mi manca moltissimo la possibilità di stare in mezzo alla gente. Sto cercando di sopperire con i mezzi che la tecnologia ci mette nelle mani. Me la cavo: faccio dei videomessaggi, omelie della messa e altro. Cerco anche di sostenere moralmente i confratelli sacerdoti.
D: Com’è il morale della truppa?
R: Stanno soffrendo molto anche loro: la cosa più triste che stiamo vivendo è non poter celebrare l’eucarestia … o i funerali. E’ veramente INUMANO. E’ inumano non poter celebrare le esequie e dare una parola di conforto, accogliere il pianto delle persone, che viene strozzato interiormente. Penso, ad esempio, anche alla morte del piccolo Diego di Metaponto: proprio ieri ho avuto modo di parlare al telefono, a lungo, col papà. Domani ci sarà questa piccolissima cerimonia nel cimitero di Bernalda, ma questi sono i momenti in cui noi come Chiesa dovremmo essere particolarmente vicini… e non possiamo esserlo.
D: Lo dice senza polemica o con un pizzico di rammarico?
R: Guardi…il rammarico c’è, perché è giusto che si osservi tutto quanto ci viene prescritto, ma in certe situazioni almeno un momento di preghiera, con i soli familiari, e distanziati, forse si poteva fare…
D: Cioè lei dice: un funerale in chiesa, con i soli familiari, posti alla giusta distanza, sarebbe anche giusto poterlo fare…
R: Sì, anche se il no ai funerali è stata una delle condizioni poste da subito. E si capisce anche il motivo: in queste occasioni ci si riversa in massa per manifestare il proprio affetto e ci sono anche i curiosi. Pertanto, capisco e osservo rigorosamente quanto ci viene detto e invito i confratelli sacerdoti a fare lo stesso.
D: Immagino che non sia facile fare una telefonata come quella col padre di Diego.
R: Non ci sono parole da dire, si tratta di entrare nel dolore dell’altro. Mi creda, è stato più lui a dire delle cose a me, che non il contrario. Sono rimasto davvero confortato, io, nel mio spirito. Non appena ci sarà l’opportunità, mi recherò dalla famiglia.
D: I segnali che le arrivano dal territorio quali sono, ora che alcuni comuni del Materano sono chiusi?
R: Col vescovo di Tricarico mi sono sentito, ma soprattutto con i parroci di Irsina e col sindaco. Nella lettera di Pasqua ho scritto loro che saranno anche isolati, ma che non devono sentirsi soli. Il morale fra i fedeli non è certo dei migliori, col sospetto, i dubbi e la paura del contagio, e per questo io telefono spesso ai sacerdoti agli “arresti domiciliari” di Salandra, Montescaglioso… e appunto Irsina, per sapere come stanno e quali progressi ci sono.
D: Arresti domiciliari?
R: (sorride) Sa perché ho usato quelle parole? Perché in un messaggio ai detenuti di Matera ho detto «In questo momento noi ci sentiamo come voi».
D: Man mano che passano i giorni, cresce il problema della povertà.
R: Noi ci siamo organizzati da subito. Solo su Matera abbiamo due mense, a Piccianello e nella parrocchia di San Rocco. Ogni giorno, fra pranzo e cena, distribuiamo circa 150/160 pasti da asporto. Le Caritas sul territorio sono tutte mobilitate: nel corso dell’anno veniamo in aiuto di oltre quattrocento famiglie. Attualmente, a causa dell’epidemia, l’esigenza sta crescendo e noi abbiamo siglato una convenzione col comune di Matera. Abbiamo individuato tre supermercati in città, in cui i più bisognosi potranno andare a fare la spesa con un buono. Ancora: ospitiamo già 120 persone (comprensive di immigrati) nelle case della diocesi, fra Matera e i diversi paesi. Alla Caritas centrale ne ospitiamo 31; alla casa don Tonino Bello abbiamo 15 posti, nella casa canonica di Metaponto attualmente ci sono 20 persone… e così via. Ovviamente, in questi luoghi vengono rispettate tutte le prescrizioni e le indicazioni relative all’emergenza Coronavirus, a cominciare dalla distribuzione delle persone ospitate.
D: Altro tema del giorno è il susseguirsi dei reclami circa il ritardo con cui sarebbero somministrati i tamponi ai cittadini che denunciano di mostrare dei sintomi di contagio. Se potesse prendere Bardi sottobraccio, cosa gli direbbe?
R: Guardi, io mi rendo conto delle difficoltà di certi momenti, e di come sia anche facile andare in confusione in determinate condizioni e in presenza anche di alcuni consiglieri che si hanno attorno. In questo momento però, come ci ha detto Papa Francesco, siamo tutti sulla stessa barca e dobbiamo remare tutti verso la stessa destinazione.
D: Al bando quindi le polemiche?
R: Dobbiamo smetterla con l’atteggiamento tipico del Sud, che è quello di tagliarsi le gambe; occorre mettere da parte la propaganda politica e darci una mano l’un l’altro. Detto questo, delle criticità e delle mancanze CI SONO STATE. Proprio sui tamponi, io sono stato testimone di situazioni incresciose, e l’ho fatto presente ai rispettivi sindaci. «Io non posso nulla –ho detto loro- ma voi che rappresentate le istituzioni vi dovete far sentire».
D: Quindi, lei mi dice, un problema sulla somministrazione dei tamponi forse in effetti c’è.
R: Il problema c’è. Io mi sono interessato personalmente su Salandra, Montescaglioso,
Tinchi e Pisticci affinché si intervenisse in alcune situazioni: sono stato infatti in contatto con alcune famiglie che chiedevano aiuto e che attendevano risposte.
D: E lei, collegamenti virtuali a parte, adesso come passa le sue giornate?
R: Il da fare non mi manca. (ride) Il 2 aprile, giorno di San Francesco di Paola, andrò a celebrare qui in ospedale per tutti i malati. Abbiamo anche devoluto 35mila euro per comprare dei ventilatori polmonari e altri presidi. In città forse siamo stati i primi a dare un segnale, da questo punto di vista.
D: La canzone che la rappresenta?
R: Adoro Renato Zero e Baglioni, ma sin da piccolo ho sempre cantato “Io vagabondo” dei Nomadi.
D: Il film?
R: “Morire d’Amore”… sarà che l’ho visto tante volte da ragazzo…
D: Il libro?
R: Amo la poesia e Alda Merini, e quindi uno qualsiasi dei suoi libri. Pochi come lei hanno saputo raccontare la sofferenza, ma anche la speranza.