- Walter De Stradis
- Venerdì, 02 Marzo 2018 10:05
Sessantatrè anni, sacerdote da trentatré, in “servizio” ad Avigliano da dieci. Sono questi “i numeri” di don Salvatore Dattero, parroco di Santa Maria del Carmine.
Come giustifica la sua esistenza?
Rispondendo alla chiamata del Signore, e al Suo invito a vivere la vita come un dono. Un regalo da “girare” agli altri. Io sono originario di Muro Lucano, paese di San Gerardo Maiella. Sono qui ad Avigliano dal 17 febbraio 2008, prima sono stato parroco di Castelgrande. Provengo da una famiglia di quattro figli, di cui due immigrati in Canada, mentre l’altra mia sorella è suora e vive a Udine.
Quando è arrivata la chiamata?
Progressivamente. Da bambino frequentavo la parrocchia del mio paese e il gruppo dei ministranti. Poi sono entrato in seminario e così, pregando, consigliato dalle persone, e riflettendo, ho compreso che la “chiamata” era per il sacerdozio. Successivamente, seguendo gli studi in teologia, si faceva sempre più chiaro il mio destino.
Venendo alle questioni locali, ultimamente quando si parla di Avigliano, vengono in mente immediatamente gli episodi dei furti, nel circondario e nelle contrade.
Purtroppo sì. Questi episodi avvengono anche tra Tito e Pignola, dove c’è stato il furto di mezzi agricoli. Pochi giorni fa da queste parti c’è stata anche una sparatoria, il proprietario non solo ha trovato i ladri in casa, ma ha anche rischiato la vita; è una cosa orribile trovare in casa persone estranee, intente a mettere mano nelle tue cose più intime. Tutto questo accade per mancanza di lavoro, di ideali, per mancanza di rispetto della persona…, e non sappiamo poi cosa accade a questa refurtiva. È un fatto deleterio che va condannato; d’altro canto, non ci si può difendere mettendo un carabiniere per ogni abitazione: occorre insistere sull’educazione e il rispetto degli altri.
Come se lo spiega il fatto che fino a qualche tempo fa non c’era questa emergenza?
Effettivamente, fino a qualche tempo fa non si parlava più di questi fatti, ce n’eravamo dimenticati. Come dicevo, adesso c’è sicuramente una mancanza di lavoro e di prospettiva di vita. Verosimilmente, la povertà sta avanzando, ma certamente non è così che si risolve il problema, facendo soffrire altre persone.
Cosa le dice la gente quando la incontra?
La gente è stanca e preoccupata, non sa come difendersi, il clima non è dei migliori, perché viene meno anche la serenità. Come è stato fatto anche in altri posti, c’è chi proponeva di dar vita a delle ronde.
Lei pensa che sia giusto fare queste ronde?
Mah… che dire, non sapendo chi trovi di fronte, presi dall’esasperazione, si va incontro a dei rischi. Ognuno è demandato a un compito, e sono le forze dell’ordine che dovrebbero controllare il territorio. Tuttavia, dicevo, è impossibile pensare di mettere un carabiniere davanti alla casa di ogni singolo cittadino. Il problema credo sia alla radice.
Per esempio, lei cosa direbbe ai ladri, ai cittadini e ai politici?
Ai ladri direi: cari amici, se avete bisogno di qualcosa, chiedete a chi ve la può dare. Non si può avere tutto, chiaramente, ma si può parlare e dialogare. Andare a distruggere e disturbare la quiete delle persone, che tra l’altro hanno tanto lavorato per avere ciò che hanno, non è giusto. Ai cittadini, ma anche a me stesso, non posso dire altro, se non di prestare attenzione. Non so fino a che punto però si può vivere sempre chiusi in casa, anche perché si perde il senso della vita. Ai politici, beh, non so se sono in grado di risolvere questo problema. Insisto: chiederei di impegnarsi un po’ di più per il lavoro, perché a volte si ruba per necessità.
Ha parlato della disoccupazione e della povertà. Avigliano, vista da Potenza, ha sempre proiettato l’immagine del centro limitrofo produttivo. La dinamicità degli Aviglianesi è proverbiale. Oggi è ancora così?
Il lavoro anche qui scarseggia, è venuta meno la straordinaria opera degli artigiani, anche se sto vedendo che più di qualche ragazzo sta pensando di rimettersi in gioco. La società si è evoluta, questi bravi artigiani hanno fatto altri lavori, ma chiaramente anche qui l’occupazione latita. Gran parte dei ragazzi emigra, molti non tornano perché trovano lavoro altrove; si tratta di ragazzi aviglianesi che ricoprono ruoli di grande prestigio e si fanno valere ovunque. Da quando sono arrivato, ho sempre pensato che gli Aviglianesi hanno grandi capacità, forte volontà e testardaggine. Poi sono schietti e penso che queste qualità aiutano a realizzarsi nella vita. Dispiace non averli qua e vedere il nostro territorio impoverirsi. Tanti ragazzi in realtà non vorrebbero andare via, vorrebbero vivere in famiglia, nel loro ambiente, ma le condizioni di oggi non lo consentono. Dispiace per loro che se ne vanno, e per la famiglie che restano, che perdono ancora di più. Colgo l’occasione per esprimere la mia vicinanza alla famiglia del giovane operaio morto a Tito, pregando che nessuno debba più perdere la vita per il lavoro.
In merito alla povertà, qual è la “fotografi a” scattata dalla chiesa e dalla Caritas locale?
C’è un gruppo di persone che continuiamo ad assistere, cercando di “stimolarle”, cioè non soltanto passando loro viveri o pagando le bollette. Stiamo cercando di fare con loro un percorso educativo, umano, di inserimento nel mondo del lavoro: il concetto è farli sentire non come individui che vivono ai margini, bensì come persone che stanno attraversando un momento di crisi, situazione che –di per sé- non può determinare l’emarginazione dalla società. Molti di loro partecipano anche alle nostre attività parrocchiali, alcuni ne escono fuori e ce lo comunicano con grande soddisfazione, mettendosi a loro volta a disposizione per chi ha più bisogno. È un momento delicato, soprattutto per gli anziani.
Ad Avigliano ci sono molti anziani soli?
Ci tengo a dire che le famiglie sono molto presenti nella vita dei nostri anziani, che, pur vivendo da soli, hanno fi gli e nipoti vicini. Meno male, altrimenti finiremmo come nelle metropoli. Poi abbiamo diverse case di riposo per chi è rimasto solo. Ci sono diverse associazioni che offrono vicinanza agli anziani, corsi di formazione, ma anche corsi di canto, ballo, teatro: da questo punto di vista la nostra è una società abbastanza vivace.
Fino a qualche anno fa si parlava di un aumento dello spaccio di droga ad Avigliano. Oggi questa situazione è rientrata?
L’allarme sicuramente resta, come quello per le slot-machine, l’alcol e le altre devianze, ma anche qui bisogna risalire al motivo per cui una persona si droga, beve o gioca forsennatamente. E molto spesso non è facile. Nel 2013, per combattere lo spaccio, ci fu una grossa retata, arrestarono tante persone e ci fu un grosso stop al fenomeno. Anche se, come si dice, sotto la cenere cova ancora il fuoco. I ragazzi non si limitano a frequentare Avigliano, ma si spostano in città, in altri posti … e questi “ladroni” della dignità umana, gli spacciatori, rubano la gioventù, gli ideali e la speranza ai nostri ragazzi. Anche questi ladroni vanno rieducati e tenuti sotto controllo, affinché non si perdano più delle vite umane.
Siamo sotto elezioni. La politica cerca di entrare anche nella parrocchia?
No, almeno, a me non è mai capitato.
Secondo lei negli anni, qual è il “peccato” più grande compiuto dalla politica in Basilicata?
La lontananza dalla gente. Dicono spesso che la gente è lontana dalla politica, ma io penso sia il contrario. Molte volte questi discutono di problemi che i cittadini non riescono a spiegarsi, e non parlano di vicinanza alle persone, di spopolamento, di questione giovanile, di lavoro e delle varie problematiche di emarginazione. Cioè, magari ne parlano anche, ma non si intravedono vie d’uscita. La politica dovrebbe progettare, e poi ognuno deve fare la sua parte, ma tocca a loro dare un indirizzo. Ma io non ne vedo.
Dicono che questa campagna elettorale sia particolarmente vuota di contenuti rispetto al passato.
A dire la verità, ho letto sui quotidiani le diverse proposte, ma mi sembra una campagna elettorale sonnolenta; sarà –rispetto al passato- per l’assenza di comizi e di volantinaggio, ma mi sembra di non percepire proprio nulla, se non qualcosa per televisione. Non so se questo è un nuovo modo di fare politica, ma ci si allontana sempre di più dalle persone.
Secondo lei lo slogan che dovrebbe caratterizzare la “nuova Basilicata”, post elezioni, quale dovrebbe essere?
Vorrei una Basilicata più unita: insieme si esce dalle problematiche, da soli no. Per “mettersi insieme”, intendo forze imprenditoriali, sindacali, forze politiche e anche la Chiesa. Poi bisognerebbe stabilire nuove relazioni, relazioni autentiche tra le persone, garantendo più considerazione a quelli più svantaggiati. Nel settembre 2016, io andai dal Papa con il gruppo degli “Invisibili”che avevano creato un presidio permanente davanti la Regione...
…Ricordo. Cosa vi disse Papa Francesco?
Eravamo lì, sulle scale, a parlare informalmente, quando uno del gruppo chiese, «Papa, cosa dobbiamo fare?». E Lui, di scatto, rispose: «Pregate, lottate. Senza mollare mai». E abbiamo cercato di farlo … anche se ora gli hanno dato quel “contentino” del Reddito Minimo. Staremo a vedere.
Secondo lei la chiesa moderna, al Sud, in Basilicata, ha qualche responsabilità nella perdita dei valori?
Il mea culpa lo facciamo sempre, siamo uomini come tutti, tuttavia, sentendo i confratelli, avverto che c’è un grande sforzo nell’accompagnare le persone. Inconsapevolmente, qualche responsabilità forse ce l’ha anche la Chiesa, ma negli ultimi tempi questa sta cercando -come dice il Papa- di essere molto più come una mamma, che sa comprendere e accarezzare. Oggi c’è un’umanità malata, mi riferisco ai giovani che hanno bisogno di punti di riferimento, di valori e di uomini veri che sappiano dare esempi di vita buona.
Il suo santo preferito qual è?
San Gerardo, sicuramente, ma anche San Francesco, San Vito e San Girolamo, insigne biblista del 400 Dopo Cristo.
Tempo fa ci fu un’inchiesta a livello nazionale, circa le “tariffe” per la celebrazione dei vari sacramenti. Si è scoperto che molte parrocchie hanno addirittura un vero e proprio “tariffario”. Ad Avigliano come funziona?
(Sorride) I sacramenti sono gratis, la grazia di Dio non si paga. Se ci sono delle “tariffe” -ad esempio per i matrimoni- è più che altro per coinvolgere le persone e farle sentire parte di una comunità parrocchiale, che ha molte spese (il rifacimento delle campane, il sacrestano, le pulizie) e si regge proprio grazie a queste offerte. E’ facile parlare, ma se si va a guadare i nostri conti…
Quindi ad Avigliano c’è un tariffario?
Diciamo che per un matrimonio chiediamo 160 euro, ma sempre come forma di offerta. C’è anche chi non li dà, e non è obbligatorio. Anche per il funerale...
..quanto, in quel caso?
Dai 50 agli 80 euro, sempre come offerta, mai per la celebrazione del sacramento.
Quali sono le categorie più generose? A volte succede che chi ha meno, dona di più...
Devo dire che quando faccio “l’appello”, rispondono tutti quanti.
Il libro che la rappresenta?
“Il crollo del noi”, un libro scritto da un vescovo di Senigallia, tra i fondatori della comunità di Sant’Egidio di Roma
Il film?
“Wonder”.
La canzone?
“Il coraggio di ogni giorno”, la canzone che Enzo Avitabile ha cantato all’ultimo Sanremo. Un testo ricco di speranza. Avitabile, che ricordo essere uomo di grande fede, l’ho anche confessato, prima di un’esibizione a Baragiano. Lo andai a salutare nella roulotte –perché c’eravamo già conosciuti tempo prima e lui fece uscire tutti perché voleva confessarsi.
Tra cent’anni cosa vorrebbe forse scritto sulla sua lapide?
(ride) Speriamo che ci sia una lapide, intanto. Semplicemente, nome e cognome, e… «Sacerdote di Cristo, indegnamente ».