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CARI CONTRO-LETTORI,

C

i ho messo del tempo, a dargli del tu.

E questo nonostante avessimo condiviso un ufficio per circa un anno, in stanze attigue (cogliendo al volo un’idea scaturita da un fortuito, e fortunato, caffè con l’editore di questo giornale).

Quel “Voi” o “Avvocato” non era certamente solo per la differenza d’età, ma anche e soprattutto per la soggezione –sembra un gioco di parole- che ti sanno infondere i saggi.

Piervito Bardi mi si era rivelato subito come una persona con stile e personalità non comuni (a tratti mi sembrava Gassman), nonché dotata di una cultura sbalorditiva e di una conoscenza senza pari della Legge.

Pur essendo lui, quando lo conobbi, ancora (s)travolto nell’assurdo Maelstrom di quella tremenda e clamorosa ingiustizia giudiziaria (la cacofonia è voluta) che lo aveva colpito (e da cui, tempo dopo, in aula sarebbe uscito trionfante), l’illustre penalista potentino, già presidente del Potenza Calcio, mi impressionava per la sua grandissima compostezza, dignità e –come dicevo- classe. Che notoriamente non è acqua, non tutti ce l’hanno, e che quindi assai spesso –ahimè- è la vera causa di maldicenze velenose e di studiati colpi bassi (anche di certa stampa, spiace dirlo).

Cominciai a chiamarlo semplicemente “Piervito” (sbarazzandomi finalmente del “voi”), solamente allorquando decise di “ingaggiarmi” per scrivere con lui un romanzo con molti spunti autobiografici (suoi, ma che alla fine furono anche miei); lui, che era l’avvocato “dei vip” (pur rimanendo di indole bonaria, riservata, ma affabile) e che poteva tranquillamente rivolgersi a un giornalista o a uno scrittore assai più blasonato. Non so ancora oggi cosa vide in me o nei miei scritti, ma non posso che dirgli grazie, perché quel primo libro pubblicato mi diede il coraggio di farne uscire altri. Scrivere e pubblicare racconti e fiction, infatti, a volte è come uscire di casa volutamente nudi e senza mutande.

E Piervito, di suo schivo e spesso silenzioso (e mai inappropriato), se avesse proseguito nell’attività letteraria sarebbe stato senz’altro uno scrittore valido e interessantissimo da leggere. Aveva un grande senso della “fiction”, conosceva il dialogo e soprattutto le persone. E non è certo poco. E poi era spiritoso. Di lui mi resteranno soprattutto i viaggi nella sua station wagon (acquistata per trasportare i suoi amatissimi cani, da cui non vedeva l’ora di tornare), alla volta di paesi lucani in cui presentare il romanzo, ma anche verso città importanti come Napoli e Roma. Le ore trascorrevano velocemente perché Bardi raccontava aneddoti irresistibili, con quel suo vocione profondo e ruvido, tanto riferibili al mondo del calcio, quanto al variopinto pianeta della cosiddetta “giustizia”. Che era stata la passione di una vita, ma -come si accennava- anche un grande dolore, da un certo punto in poi.

Più in generale, l’avvocato aveva il raro dono di saper ricollegare fra loro fatti e spunti diversi, giungendo col ragionamento logico a una profonda analisi e comprensione della natura intima delle cose (politica compresa), che a volte lasciava di stucco. E proprio la sua invidiabile e connaturale concretezza, lo rendeva un interlocutore prezioso, e anche rassicurante, con quella sua risatona.

Personalmente devo molto, moltissimo a Piervito Bardi. Anche questo giornale, a cominciare dall’editore Claudio Rossiello (a cui lo legava una stima profonda e sincera, ricambiata) è in debito con lui. Per la saggezza, la comprensione, la pazienza e l’energia che sapeva infondere in tutti noi.

Ma mancherà moltissimo a tanta, tanta, tanta altra gente. Tutta quella gente a cui ha fatto del bene, spessissimo per amor di verità e basta.

Perché la Giustizia, quella vera, quando c’è, è un lavoro che si ripaga da solo.

E perché la classe non è acqua.

C’è poco da fare.

Walter De Stradis